mercoledì 26 novembre 2025

Don Corrado Lorefice. I miei primi 10 anni a Palermo.

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

23 novembre 2025

Dieci anni a Palermo, Lorefice si racconta: “Il mio amore per questa città”

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/11/23/dieci-anni-a-palermo-lorefice-si-racconta-il-mio-amore-per-questa-citta/

https://www.facebook.com/share/p/17RP7Ed5Qs/



“Palermo la si deve vedere con gli occhi di chi la ama. Perché così si può misurare la sua crescita, la sua bellezza, le sue forze. Sono testimone di una presenza bella della società civile”. Monsignor Corrado Lorefice, che ama farsi chiamare ancora “don”, racconta e si racconta ai cronisti riuniti attorno a un tavolo al palazzo arcivescovile. Lo fa a quasi dieci anni dal suo arrivo alla guida dell’arcidiocesi di Palermo, il 5 dicembre del 2015.

Dal palco allestito a piazza Pretoria citò l’articolo 3 della Costituzione, quello che dispone l’eliminazione degli ostacoli affinché tutti possano avere lo stesso punto di partenza. Oggi quel passaggio costituzionale lo descrive così. “Quando l’altro compare davanti al mio volto, mi chiede di essere conosciuto e riconosciuto nella dignità di persona”.

Lavoro e cultura

Ma non c’è soltanto la Palermo che va avanti. “Nell’arco di dieci anni vedo la recrudescenza di alcuni problemi, non ultima la povertà, che sono motivo di preoccupazione ma anche sprone per ulteriori assunzioni di responsabilità. L’essenziale è il lavoro, l’accesso alla cultura, alla dimensione del prendersi cura, alla spiritualità che possa aiutare ad affrontare la perdita di senso”.

“Una Chiesa libera di annunciare”

Si toccano pure temi che vanno oltre Palermo e la Sicilia. Il cardinale Matteo Zuppi ad Assisi, durante la sessione della Conferenza episcopale italiana di cui è presidente, ha parlato di fine della cristianità ma non del cristianesimo. L’arcivescovo di Palermo riflette su tale binomio. “È finito il regime di cristianità, resta il cristianesimo. Una Chiesa sgravata dalle sue certezze e dalla sua presenza massiccia può essere più libera nell’annunziare il Vangelo. Del resto è una cosa che parte dal Concilio. Il Vangelo non deve arrivare solo come dottrina, ma come presenza di un Cristo che vuole dare luce”.

L’incarico della Cei

Insieme ad altri cinque vescovi è stato chiamato a occuparsi più direttamente del Sinodo, come ha scritto Portadiservizio. “Cercheremo di fare atterrare nelle nostre realtà il cammino comunque meraviglioso di questi anni di Sinodo, in modo che si consegnino delle linee pastorali”.

Cerca con cura le parole il primate di Sicilia. “Il Vangelo è la strada per me, venendo a Palermo è stato normale stare vicino al cuore delle persone. Se vedo sofferenza, non posso che tirare fuori le viscere di compassione perché ho un cuore umano che sta vicino a chi soffre”.

“Una politica di lupi rapaci”

Si parla della politica che perde consenso perché non sa più servire, allontanandosi dalle persone e concentrando solo potere. “Se si fa così si diventa lupi rapaci e non servitori. Mi chiedo se la prossima volta andrà a votare il 38 o 40%”. 

Di fronte a tutto ciò non si può certo stare a guardare. “Ci dobbiamo riassumere la responsabilità della città. Dobbiamo riconsegnare ai giovani tutta la forza che abbiamo grazie alla Costituzione. Ritornare a votare, riassumendoci la responsabilità e aiutando gli eletti a essere amministrazione di politica e non altro. Perché la corruzione nella politica indigna”.

Lo Zen

Ma non c’è soltanto la cabina elettorale. Bisogna recuperare partecipazione, tornando con don Puglisi alla forza dei segni che costruiscono speranza. “Mi sono fatto compagno con tutti. La proposta di legge antidroga l’ha fatta la società civile, l’abbiamo fatta a Ballarò, laici e cattolici. Durante i miei primi mesi ad accogliere i migranti al porto c’eravamo tutti, tutta la città in tutte le sue espressioni. Il primo dicembre ci saranno gli stati generali allo Zen, già hanno aderito più di 140 realtà. Allo Zen dopo l’ultimo omicidio nei luoghi della movida due vescovi sono andati, abbiamo fatto una lettera insieme, questa è la strada. Si sono avvicinate persone che non erano mai andate in quel quartiere”.

La pandemia

Nei dieci anni a Palermo c’è stata anche la pandemia. “Il Covid ci ha fatto rinchiudere nell’individialismo, nella paura. Sento molto forte il dramma di oggi della sanità in Italia”. Poi un altro riferimento al potere. “Il Dio di Gesù Cristo è umano, non è un Dio di potere”.

La visita del Papa

La foto emblematica di questi  dieci anni è quella con Papa Francesco, Biagio Conte e due ospiti che mangiano nei piatti di plastica, in occasione della visita a Palermo del Pontefice nel 2018. Racconta un particolare degli ultimi istanti della permanenza del Papa a Palermo.

“Alla fine di quella giornata Papa Francesco ha posto un segno che rimarrà con me come uomo, credente e vescovo. Pensando a Francoise, un ospite della missione di Biagio Conte, che voleva andare a Roma,  Francesco sotto l’aereo mi esorta a organizzare per lui un viaggio. Lui, il Pontefice, avrebbe affrontato le spese. Lì c’è la verità di Papa Francesco. Per tutto il giorno si ricorda il viso e il nome di Francoise“.

Il ricordo dei genitori

Si parla anche dei genitori di don Corrado, Clementina e Salvatore. “In questi anni ho parlato spesso di loro, questo mi ha dato la possibilità di fare memoria, al fondo della mia vita c’è l’incontro con Salvatore e Clementina, sino all’altra sera davanti a 130 coppie di nubendi ho parlato di loro. Sono il terzo figlio, nato quando mia mamma aveva 23 anni. Grazie a loro sono qua”. Alla fine don Corrado ci mostrerà commosso una foto che lo ritrae con i genitori.

“Non possono esserci periferie”

Difficile non parlare di sicurezza in una città come Palermo. Servono le  zone rosse? “Se il senso della vita sono una collana d’oro e i simboli delle armi, intanto è una sfida culturale, vuol dire che c’è qualcuno che sta facendo scuola. Ci vuole una città inclusiva, non bisogna perdere di vista il concetto che il centro della città è ogni persona che la abita, non ci possono essere periferie”.

La nomina del 2015

Si torna a 10 anni fa. “Ero il parroco della chiesa madre a Modica. Il 2 ottobre del 2015 era un venerdì. Il primo venerdì di ogni mese andavo a visitare gli anziani e i malati portando la comunione. Tra una visita e l’altra ho guardato il mio cellulare e c’era un numero con prefisso 06. L’ho rifatto, mi risponde la Nunziatura apostolica in Italia. Mi passano il  nunzio, mi dice che deve parlarmi a Roma e mi dà appuntamento per il 6 ottobre. Non dico nulla a  nessuno, il 7 avevo lezione ed ero molto agitato, qualcuno dei miei alunni ha detto, ho poi saputo, forse hanno fatto don Corrado vescovo”.

“L’annuncio ufficiale è stato fatto il 27 ottobre. Parroco a Modica, non mi potevo aspettare di diventare vescovo. Intanto ero davanti il Nunzio apostolico. Mi chiesero: ‘Lei lo sa perché è qui?’. Il Santo Padre vuole nominarla vescovo a Palermo. Io non l’ho detto neppure ai miei genitori, potevo farlo solo la sera prima del 27 ottobre, giorno previsto dell’annuncio, anche se la notizia è uscita quattro giorni prima, il 23, a Palermo. Il Nunzio capì che ero andato in pallone, mi diede qualche giorno per pensarci ed eventualmente confermare, come si fa in questi casi, per lettera. Poi ho dato per via telefonica la mia adesione e scrissi la lettera al Papa”.

“Dona te stesso”

Diventerà cardinale? “Quando il Papa mi incontró, mi disse: ‘Vai a Palermo, vai e dona tutto te stesso a quella Chiesa e non cercare altro, io ho bisogno di un pastore. Rimani quello che sei e non cambiare mai’”.

La Santuzza

Il significato per un ispicese del detto ‘Viva Palermo e Santa Rosalia’? “Negli anni la passione per la città è aumentata. Io non sono sposato, ma quando mi hanno dato questo anello l’ho avuto per Palermo. Non ho conosciuto la crisi dei sette anni. Sono di Ispica ma  mi sento palermitano, come se fossi nato qua”.

Sa di non essere solo in questa complessa e a volte difficile missione palermitana. “Non posso contare solo su me stesso, ogni giorno chiedo al Signore che mi dia il cibo sostanziale per la giornata”.

Una Chiesa attenta alle persone

Davanti al Vangelo che si trovava nella bara di don Puglisi, alla prima pagina del giornale che annunciava l’apertura del Concilio nello stesso giorno in cui è nato, chiediamo qual è stato il percorso dell’arcidiocesi in questi dieci anni e quale sarà nel futuro.

“Piano piano dobbiamo far prevalere il metodo di Pino Puglisi, il territorio come luogo d’Incarnazione. Ciò vuol dire conoscere le attese, le gioie, le ansie della gente. I territori sono tutti diversi, Brancaccio non è corso Italia, a Catania, Palermo non è Roccapalumba. Nei territori una Chiesa attenta ai bisogni delle persone si costruisce come fraternità. Perché il Vangelo non è soltanto dottrina. È una presenza che irrompe nella vita a 360 gradi”.

Scendo dalle stanze della Curia, dove monsignor Corrado Lorefice vive e lavora, con in mano il libro “Nel segno della speranza – Un Vescovo a Palermo città delle emergenze”, scritto dall’arcivescovo e dal giornalista Nuccio Vara. Verrà presentato lunedì 24 novembre alle 19 in Cattedrale. Nella dedica mi scrive: “Condividiamo la città con gli occhi di chi abbiamo incontrato: 3P”. È la prima volta che incrocio l’arcivescovo da vicino. L’impressione che ne ricavo è di uomo molto profondo, che si fida degli altri e di cui fidarsi.



giovedì 20 novembre 2025

Tre ore per un'arancina. Il passato che sequestra il futuro.

 Il Mediterraneo 24

Il futuro, il progresso e... l'arancina

Un viaggio in treno da Palermo a Roma: quasi tre ore di stop tra Messina e Villa San Giovanni per attraversare appena tre chilometri di mare

Francesco Palazzo

17 Novembre 2025

https://www.ilmediterraneo24.it/speciali/il-futuro-il-progresso-e-larancina/



Qualche giorno fa arriviamo alla stazione di Messina alle 21 e 53, dopo essere partiti da Palermo in perfetto orario alle 18 e 48. Mi ero quasi appisolato. Capisco che siamo arrivati nei pressi dello stretto perchè in dormiveglia mi rendo conto che siamo fermi come se non ci fosse un domani da un tempo indefinito.

Da quel momento le procedure di imbarco del treno sulla nave si concludono dopo le 23, con una serie di andirivieni. A un certo punto la nave, col treno spezzato in pancia, si muove per coprire i pochissimi chilometri che portano al di là dello stretto. Necessario, sino a oggi e chissà sino a quando, perché il progresso, lo sviluppo, l’innovazione, fanno paura e movimentano reazioni incontrollate e incomprensibili. Invece non si muove un solo muscolo nel sapere, è notizia recente ma è soltanto una triste conferma, che i giovani fuggitivi verso il nord ci fanno perdere 4 miliardi di euro ogni giro di calendario. Ogni anno se ne vanno 134.000 studenti e 36.000 laureati. Ricchezza che dal Sud prende la via del Nord con amari e tristi biglietti di sola andata. Svuotando famiglie, territori, socialità, economia, classe dirigente. Del resto, si muove molto meno di un muscolo quando palate di assistenzialismo senza sviluppo inondano di miliardi le regioni meno sviluppate.

Dopo lo sbarco si attende ancora per un tempo indefinibile, nessuno annuncia nulla, a Villa S. Giovanni. Non puoi ricaricare il cellulare, tutto spento, non puoi andare in bagno, mi si dice che si deve attendere che il locomotore riagganci il treno affinché ci sia di nuovo vita. A mezzanotte e quindici del nuovo giorno, luce fu, ma si rimane ancora fermi. Sono trascorse quasi due ore e mezza adesso dall’arrivo a Messina e ancora non si riparte. Ma almeno sul traghetto ci si è potuti mangiare una bella arancina.

Non sono salito, ma questa dovrebbe essere ancora l’indistruttibile tradizione. Una stratosferica portentosa arancina, volete mettere! Per un manufatto alimentare di questa portata si possono aspettare pure tre ore, ci siamo quasi, per percorrere uno specchio d’acqua di tre chilometri e duecento metri. Tre ore, tre chilometri.

Siamo nel 2025 o nel 1925? Fatti la domanda e datti la risposta. Del resto il tempo cosa volete che rappresenti di fronte a un’arancina, o arancino che sia, accarne o abburro. Chiedo a un addetto ai lavori se ci si sta sempre quasi tre ore per fare questa operazione di passaggio da una sponda all’altra. Si, qua è normale risponde. È normale. Come non averci pensato prima di fare questa stupida e tendenziosa domanda. Alle 00 e 40 il treno riprende la velocità tutto sommato sostenuta che ci aveva portato da Palermo a Messina. Il continente è tutto nostro, la capitale ci aspetta. Sono trascorse la bellezza di 2 ore e 47 minuti dall’arrivo a Messina per coprire uno spazio che quando corro, e non sono molto veloce, faccio in 15 minuti.

Il mondo gira a mille e noi, perdendo giovani laureati e non disdegnando assistenzialismo, buttiamo a mare il salvagente a forma di arancina. Sperando che qualcuno ci salvi rimanendo immobili e al buio nella notte. Ma se non comprendiamo noi che dobbiamo acchiappare il futuro e lo sviluppo, muovendoci verso il nuovo e il veloce, rimarremo sempre ancorati al passato. Il 29 novembre c’è l’ennesima manifestazione contro il ponte. Per carità tutte le idee e tutte le mobilitazioni sono rispettabili. Ma se da una parte all’altra dello stretto vi fossero la Lombardia e l’Emilia si protestetebbe per il tempo interminabile, quasi tre ore, che impieghiamo per coprire poco più di tre chilometri con le arancine in mano.

Devo dire che il treno, tre ore di attesa a parte per il passaggio marino, ha viaggiato a una buona velocità, la cabina era buona e confortevole, pure i materassi ed anche la ricca colazione servita in camera/cabina prima dell’arrivo, quasi puntuale rispetto al previsto. Pure il personale delle ferrovie a bordo è stato professionale e attento. Insomma, anche senza l’alta velocità, con l’obiettivo più ravvicinato e concreto dell’alta capacità, se scomparisse questa estenuante e lunga attesa tra Scilla e Cariddi, i tempi su rotaia per andare fuori dalla Sicilia sarebbero molto più competitivi rispetto ad altri mezzi di trasporto. Pensiamoci.

lunedì 3 novembre 2025

Noi Rosanero, 125 anni e non sentirli

 ROSALIO 

1 Nov 2025

Francesco Palazzo

Palermo - Pescara, dal Barbera e dintorni è (quasi) tutto

«Il Palermo non vince sempre ma non perde mai per davvero».

https://www.rosalio.it/2025/11/01/palermo-pescara-dal-barbera-e-dintorni-e-quasi-tutto/



E insomma, 125 non sono poca roba. Nel mezzo tanta storia se non sono secondi, minuti, ore ma anni come quelli che la massima espressione del calcio palermitano, e al momento siciliano, celebra oggi. La storia ci dice che il Palermo emette il primo vagito l’1 novembre 1900. Pare che si debbano ringraziare gli inglesi, grazie al loro contributo e a quello di un giovane che aveva conosciuto il calcio in Inghilterra, nasce il rosa nero. «Rosa come il dolce e nero come l’amaro». È il motto associato ai colori del club. Proviene, apprendiamo, da una lettera del 1905 di Giuseppe Airoldi a Joshua Whitaker, che propose i colori rosa e nero per riflettere i successi alterni della squadra, simboleggiando la gioia (il dolce) e le delusioni (l’amaro). I primi presidenti, capitani e allenatori furono inglesi. Poi da viale del Fante sono passate tante storie dirigenziali, tanti giocatori e allenatori, momenti belli, discreti, appena sufficienti, scarsi e nero pece. Questo che stiamo vivendo dal 2019, a prescindere dalle valutazioni che si possono e si devono dare su partite, classifiche e annate, è un buon momento. Il Palermo è in solidissime mani, dopo che un palermitamo come Dario Mirri ha prima preso su di se il peso di una società che ha dovuto ripartirere dalla D e poi, una volta che i rosa sono tornati nel calcio che conta, ha coinvolto il City Football Group, una holding multinazionale britannica attiva nel campo dell’intrattenimento sportivo di prima grandezza sullo scenario mondiale. Poi ci sono i tifosi, certo, gli affezionati che ci sono sempre, i simpatizzanti che non lesinano partecipazioni direttamente sugli spalti e il resto che non di rado consente di riempire come un uovo il Barbera. Essere tifosi non vuol dire affatto pensare di permettersi tutto in termini di parole e azioni. Ho assistito ad una quasi lite tra due persone, una delle quali oltremodo agitata. Quest’ultima sosteneva che veniva a tifare e perciò il sottinteso, l’implicito, era che tutto gli è consentito a livello verbale. Non può essere così. L’amore per i rosa, che si tramanda di padre in figlio (per favore vedete il breve video interpretato alla grande da Roberto Lipari e Tony Sperandeo in occasione di questo 125mo), deve essere anche un insegnamento di come si sta al mondo. La civiltà dentro e fuori lo stadio, la compostezza, il rispetto per gli avversari in qualsiasi momento.

Nel suggestivo inizio della commemorazione, prima della suonata di violino sotto il grappolo di palloni a centrocampo, il presentatore ha ricordato, tra chi non poteva esserci senza averlo deciso, gli operai morti durante il rifacimento dello stadio per i mondiali del 1990 e le donne uccise da chi ha scambia l’amore per il possesso. Il grappolo di palloni si alza dipingendosi tutto di rosa e sulle note della canzone di Sergio Endrigo, Io che amo solo te, una ballerina balla in aria attraversando tutto il perimetro del Barbera.

Sì c’è pure la partita con il Pescara. I rosa prima dell’undicesima sono sesti a 16 punti, ma potrebbero essere settimi perché la Juve Stabia a 14 punti deve recuperare in casa la decima giornata. Il Pescara è in zona retrocessione. Insulti soliti ai catanesi, i consueti fischi di ogni incontro alla formazione avversaria annunciata dallo speaker, insulti e striscione ingiurioso contri i tifosi avversari. Ecco, alcune cose intanto, nel tramandare l’attaccamento al rosanero, da non insegnare invece ai figli, sono per esempio queste imbecillità.

Palermo in una bella maglia rosa molto chiara. Gialli i pescaresi. A fine primo tempo i rosanero vincono 1 a 0, diverse occasioni sprecate ma il Pescara non è certo il Monza che ne ha fatti tre martedì scorso. All’inizio del secondo tempo i rosa mettono in freezer la vittoria con il 2 a 0. Al 60mo quasi il 3 a 0 è solo una formalità. A un quarto d’ora dalla fine Brunori torna in rete e sono quattro. A pochi minuti dalla fine Diakitè fa il quinto. Questo punteggio va in qualche modo a ricompensare, con gli interessi, la sconfitta cocente di pochi giorni fa. Non sappiamo quando è stato l’ultimo 5 a 0 dei rosanero in B.

Il Palermo sale al quinto posto, classifica in testa corta. Va detto che il Venezia stasera sesto deve ancora giocare e stessa cosa devono fare la seconda, la terza e la quarta in classifica. C’è una conferma. Con le squadre non di prima fascia il Palermo non ha problemi. Ma in A vanno in tre e le compagini di prima fascia sono almeno sei. Dunque i rosanero devono fare vedere cose buone anche contro le formazioni forti. Adesso, forse Juve Stabia a parte, otto partite non difficili prima della seconda giornata del girone d’andata a gennaio 2026, quando i rosa incroceranno nuovamente il Modena.

Per riprendere la genesi dei colori del Palermo, stasera, nella torta del 125mo, ha prevalso il rosa della soddisfazione. Il nero è rimasto fuori. Ma non tutte le partite potranno essere così semplici. Anche se qua occorre citare una frase sentita in ambito di presentazione del 125mo al Barbera stasera. «Il Palermo non vince sempre ma non perde mai per davvero».