sabato 6 dicembre 2025

Palermo Capitale del Volontariato 2025. Un'analisi corale per il presente e il futuro.

 Il Mediterraneo 24

4 dicembre 2025

Palermo Capitale del Volontariato 2025: un anno che ha messo in rete cuori, competenze e futuro

Voci diverse del Terzo Settore palermitano tracciano un bilancio dell’anno da Capitale del Volontariato: dalla cura dei quartieri alla cittadinanza attiva, dal legame tra istituzioni e associazioni alla necessità di una rete più solida e condivisa. Un patrimonio di impegno civile che chiede ora visione, progettualità e continuità per trasformare le parole in azioni concrete

Francesco Palazzo

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PALERMO. L’anno di Palermo Capitale del Volontariato, inaugurato il 24 marzo al Teatro Garibaldi, si concluderà il 6 dicembre al Teatro Massimo, alla presenza del Presidente Mattarella. Chi scrive, dal mese di marzo, ha pubblicato su questa testata diversi articoli su singole realtà associative e uno iniziale che faceva il punto complessivo del Volontariato in Sicilia.

In questo articolo, dialoghiamo a più voci su questo anno di Palermo Capitale e sul Terzo Settore a Palermo. Samuele Morvillo, Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale “Giovani in”, riflette sul fatto che Palermo Capitale del Volontariato 2025 è il punto in cui ha preso forma la definizione più semplice del volontario: una persona che, compiuti i doveri di cittadino, si mette a disposizione per la comunità. Ritiene che siamo davanti, da una parte, al modello basato sulla competizione e relazioni diseguali, dall’altra a uno impregnato di condivisione, cura reciproca e responsabilità. Dentro questo bivio, prosegue, il mondo del volontariato appare come quello più pronto a stare nel cambiamento. Il volontariato in città, secondo Morvillo, non si limita a coprire un vuoto o a “dare una mano”, ma mette in gioco se stesso attraverso relazioni che hanno a che fare con la qualità della vita quotidiana. Guardando gli anni a venire, conclude, immagina società sempre più aperte, in cui idee, strumenti e responsabilità circolino e si condividano e in cui il rapporto tra ciò che nasce dal basso e ciò che viene deciso dall’alto diventa un dialogo continuo, un “fare assieme” che permetta di ridisegnare i servizi, i luoghi e i legami di comunità, ma anche un nuovo modo di fare economia e business, e dare sostenibilità economica non tramite “i capitali” di pochi, ma verso la costruzione di rete e il portare avanti progettualità e valori condivisi.

Beppe Lumia, per anni presidente nazionale del Mo.V.I. (Movimento di Volontariato Italiano) invita a riflettere sul fatto che il Volontariato palermitano ha una lunga storia di impegno in difficili situazioni, ha dovuto operare in un contesto in cui non si è sviluppato un welfare pubblico territoriale integrato fra i vari pilastri che qualificano le politiche sociali. Inoltre, ha dovuto contendere alla mafia, con un modo di pensare e fare alternativo, il controllo capillare di quartieri e borgate. Palermo, aggiunge, per continuare ad essere capitale del volontariato, deve fare quel salto di qualità che richiede politiche di riqualificazione sociale e ambientale dei quartieri. Blandire il volontariato, conclude l’ex Presidente della Commissione Antimafia, riempirlo di complimenti, applaudirne le attività e lasciare che la condizione sociale resti lontana dagli standard europei non rende Palermo realmente capitale né del volontariato, né per quello che in effetti merita.

Rosi Pennino, già assessore alle Politiche sociali, a Palermo, e fondatrice di ParlAutismo, ricorda quando, sotto il suo mandato da assessore, assieme alla rete del volontariato è stata presentata la candidatura di Palermo come Capitale italiana del volontariato. Il volontariato, per Pennino, in città rappresenta un’opportunità unica per rafforzare solidarietà e partecipazione. Vanno però distinti, precisa, il ruolo, l’azione e il bacino di partecipazione, che fa riferimento al volontariato, dal ruolo, dalla funzione e dalle competenze del terzo settore che in generale si muove nell’ambito dei servizi sociali rivolti alle fasce fragili e bisognose. Non si deve confondere l’azione importante di chi dedica parte del proprio tempo libero nel desiderio di aiutare il prossimo, con l’intervento qualificato, professionale e frutto di un lavoro di progettazione mirato che svolge chi è impegnato all’interno del terzo settore e agisce attraverso progettazioni finanziate o per conto di enti locali che si avvalgono del mondo e della rete di servizi per dare risposte sui territori. Senza tuttavia delegare ciò che deve restare in capo alle istituzioni. Palermo, continua, è pienissima di esperienze sia di volontariato che di terzo settore diffuso. Il limite, a suo avviso, è quello di non riuscire a fare rete. Spera che il passaggio di capitale del volontariato renda più forte i legami e porti tutti a lavorare insieme, in questo momento di difficoltà che non sta vivendo solo Palermo ma che appartiene ad un malessere diffuso in ogni direzione. Il volontariato e l’impegno serio di chi realizza servizi in ambito sociale possono aiutare – crede – a ridurre le disuguaglianze e a promuovere la coesione sociale.

Massimo Messina, presidente dell’Associazione Parco del Sole, ci fa riflettere sul fatto che nel 2025 alcuni gravi episodi di cronaca hanno allarmato la cittadinanza, che ha preso consapevolezza che il risanamento di alcuni territori disagiati può contribuire al “benessere” dell’intera città. Da questo punto di vista, chiosa Massimo, la crescita della dimensione della partecipazione attiva attraverso l’impegno può dare al volontariato un ruolo decisivo per stimolare le istituzioni a impegnarsi realmente con competenza e senza tentennamenti nel risanamento dei quartieri più a rischio, non con interventi spot e qualche elargizione di denaro, ma con un piano strategico di alto profilo a più livelli. Palermo capitale del volontariato, conclude Messina, ha avuto senso se realmente è riuscita a innescare in molte persone una spinta ad adoperarsi.

Giusi Scafidi, past president Rotary Club Palermo Teatro del Sole, ritiene che Palermo Capitale del Volontariato ha fatto capire a tutta l’Italia quanto sia importante e alto il volontariato a Palermo. Sono stati messi in campo progetti e azioni che hanno spaziato in tutti i campi. Dopo un anno, prosegue, restituiamo impegno civico, giovani consapevoli del senso del servizio a favore degli altri e di un’intera comunità, perché nessuno rimanga indietro soprattutto chi vive in uno stato di fragilità.

Per Maria D’Asaro, attenta osservatrice del mondo del volontariato, e coinvolta anch’essa in diverse esperienze in tale settore, fare il volontario significa offrire il proprio servizio per una città umana e solidale, avendo come orizzonte il progetto di una città più ‘comunitaria’ con uguali diritti e possibilità per tutti/e. 

Il giornalista Riccardo Rossi, a lungo accanto a Biagio Conte e ancora volontario nella Missione Speranza e Carità, avanza un punto di vista che aggancia più direttamente la dimensione spirituale. Sostiene che il senso del volontariato puro è donarsi completamente a Dio e quindi all’altro. Ci tiene a sottolineare che vive come volontario a titolo gratuito dal 2003, fidandosi solo della Provvidenza, dal 2016, precisa, è sposato con Barbara anche lei vive di quello che dona il Signore. Come Piccolo Figlio della Divina Volontà, conclude, chiede l’Avvento del Regno di Dio e Gesù, che pensa alla nostra vita in tutto.

Per Daniele Giliberti, presidente dell’Associazione Vivi Sano, il senso del volontariato è quello di costruire comunità promuovendo la cura e l’accudimento delle persone e del luogo in cui viviamo. Il fine è quello di essere promotori di buone pratiche di cittadinanza attiva che devono poter essere replicate.

 Silvio Moncada, dell’Associazione Crisalide, vede il volontariato a Palermo come sentimento, cuore e solidarietà. Il suo ruolo è fondamentale per colmare i forti divari sociali. 

Mimmo Ortolano, Presidente dell’Associazione Castello e Parco Maredolce, sottolinea che il ruolo del volontariato a Palermo e specialmente nelle periferie è indispensabile. Le associazioni possono sopperire ed avere un ruolo se il pubblico mette a disposizione mezzi e strumenti in maniera trasparente. 

Claudia Pilato, dell’Associazione L’Arte di crescere sintetizza così: per le mamme il volontariato è un’infrastruttura sociale, tiene insieme ciò che si rompe, crea comunità collaborando con le Istituzioni per aiutarle dove faticano ad arrivare e mostra ogni giorno che un’altra città più equa, più accogliente, più umana, più accogliente è possibile. 

Caterina Trimarchi è la vicepresidente dell’associazione culturale CalaPanama. Per lei il volontariato dell’arte a Palermo riveste un significato profondo che va oltre l’aspetto estetico. È un gesto culturale, sociale e politico che cambia e rigenera i quartieri, ma allo stesso tempo scuote le coscienze, racconta, educa, unisce e trasforma.

Valeria Perricone, della Biblioteca Sociale del Cesvop, ci dice che il ruolo del volontariato nella nostra città non deve essere inteso come sostitutivo alle funzioni istituzionali. I volontari possono assumere dei compiti con corresponsabilità rispetto alle istituzioni, possono essere comuni cittadini che facendo ricorso alle loro competenze e alle loro passioni rianimano gli ambienti in cui vivono tutti i giorni. Bisogna sfatare il mito del volontariato come super potere che compie azioni eccezionali o straordinarie. Punterebbe molto sull’impegno come cittadinanza attiva anche aldilà delle specifiche identità associative.

Per Antonella Tirrito, già assessore a Palermo e impegnata in realtà del mondo cattolico, il volontariato è cuore aperto, mano tesa, gambe pronte per andare, come lo definiva Papa Wojtyla. Un volontario è un messaggero, uno strumento, un ascoltatore di una chiamata che è sempre condivisione di amore. Il volontario molto spesso nella nostra città è stata la stampella dell’amministrazione, arrivando spesso pure prima. Ritiene che a Palermo il volontariato è molto strutturato, competente e negli anni ha saputo fare “rete” fornendo buone prassi anche da esportare altrove. Pensa che istituzioni e terzo settore debbano collaborare evitando dei progetti che a volte non aderiscono bene ai bisogni del territorio. Inoltre, sottolinea, manca una cabina di regia sulla progettazione che possa aiutare gli enti poco strutturati e che invece svolgono delle azioni bellissime, come molte realtà parrocchiali che spesso rimangono fuori dagli avvisi per mancanza di progettisti.

Agnese Ciulla, anche lei ex assessore a Palermo e coordinatrice della Segreteria nazionale della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, sottolinea che essere volontari oggi è una sfida sociale e civile. Nella trasformazione della gestione dei servizi, che dagli enti pubblici sono affidati agli enti di terzo settore attraverso procedure di esternalizzazione, si fa fatica a porre un confine fra ciò che è impegno volontario e ciò che è retribuito. Ma, continua Agnese, ciò che può apparire un limite è la forza che garantisce continuità di servizi, relazioni e presidi, che spesso, conclusi progetti e risorse, rischierebbero interruzioni disastrose. Le manca, conclude, il volontariato che muove da valori forti di cittadinanza, rivendicazione dei diritti e spinta verso le nuove generazioni a desiderare ciò che alle passate generazioni ha permesso di crescere in questa città, che spesso dimentica quanto ha già fatto.

Per l’architetto Egle Calamia, del Comitato Movimento Educativo Palermo, il volontariato è la possibilità di trasformare una cosa bruttissima che è la lamentela in azione, purché si agisca in rete perché è ciò che fa poi la differenza, che rende forte un gruppo, che rende forte una città. Le città, riflette, sono fatte di persone e se le persone cominciano a parlare tra loro ad ascoltarsi a gestire creativamente i conflitti tutto va meglio. Perché il bello di una realtà è anche quello. Io posso non pensarla come te, come lui, come l’altro. Ma bisogna riuscire a trovare il modo di ascoltarsi per costruire qualcosa che è diverso da quello che pensavo io, da quello che pensava lui, da quello che pensava lei, ma che trasforma la città e di sicuro la migliora.

Alla fine potremmo dire che un altro atto conclusivo della Palermo Capitale del Volontariato 2025 – per quanto non connessi con l’iniziativa – possono anche considerarsi, per una virtuosa eterogenesi dei fini, gli Stati Generali per l’infanzia, l’adolescenza e le politiche giovanili della città di Palermo, svoltisi allo ZEN il primo dicembre. Che dalle parole poi si passi ai fatti è un altro discorso. Ma, se non ci sono le parole e le analisi, le azioni difficilmente possono atterrare nella nostra quotidianità.


mercoledì 26 novembre 2025

Don Corrado Lorefice. I miei primi 10 anni a Palermo.

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

23 novembre 2025

Dieci anni a Palermo, Lorefice si racconta: “Il mio amore per questa città”

Francesco Palazzo

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“Palermo la si deve vedere con gli occhi di chi la ama. Perché così si può misurare la sua crescita, la sua bellezza, le sue forze. Sono testimone di una presenza bella della società civile”. Monsignor Corrado Lorefice, che ama farsi chiamare ancora “don”, racconta e si racconta ai cronisti riuniti attorno a un tavolo al palazzo arcivescovile. Lo fa a quasi dieci anni dal suo arrivo alla guida dell’arcidiocesi di Palermo, il 5 dicembre del 2015.

Dal palco allestito a piazza Pretoria citò l’articolo 3 della Costituzione, quello che dispone l’eliminazione degli ostacoli affinché tutti possano avere lo stesso punto di partenza. Oggi quel passaggio costituzionale lo descrive così. “Quando l’altro compare davanti al mio volto, mi chiede di essere conosciuto e riconosciuto nella dignità di persona”.

Lavoro e cultura

Ma non c’è soltanto la Palermo che va avanti. “Nell’arco di dieci anni vedo la recrudescenza di alcuni problemi, non ultima la povertà, che sono motivo di preoccupazione ma anche sprone per ulteriori assunzioni di responsabilità. L’essenziale è il lavoro, l’accesso alla cultura, alla dimensione del prendersi cura, alla spiritualità che possa aiutare ad affrontare la perdita di senso”.

“Una Chiesa libera di annunciare”

Si toccano pure temi che vanno oltre Palermo e la Sicilia. Il cardinale Matteo Zuppi ad Assisi, durante la sessione della Conferenza episcopale italiana di cui è presidente, ha parlato di fine della cristianità ma non del cristianesimo. L’arcivescovo di Palermo riflette su tale binomio. “È finito il regime di cristianità, resta il cristianesimo. Una Chiesa sgravata dalle sue certezze e dalla sua presenza massiccia può essere più libera nell’annunziare il Vangelo. Del resto è una cosa che parte dal Concilio. Il Vangelo non deve arrivare solo come dottrina, ma come presenza di un Cristo che vuole dare luce”.

L’incarico della Cei

Insieme ad altri cinque vescovi è stato chiamato a occuparsi più direttamente del Sinodo, come ha scritto Portadiservizio. “Cercheremo di fare atterrare nelle nostre realtà il cammino comunque meraviglioso di questi anni di Sinodo, in modo che si consegnino delle linee pastorali”.

Cerca con cura le parole il primate di Sicilia. “Il Vangelo è la strada per me, venendo a Palermo è stato normale stare vicino al cuore delle persone. Se vedo sofferenza, non posso che tirare fuori le viscere di compassione perché ho un cuore umano che sta vicino a chi soffre”.

“Una politica di lupi rapaci”

Si parla della politica che perde consenso perché non sa più servire, allontanandosi dalle persone e concentrando solo potere. “Se si fa così si diventa lupi rapaci e non servitori. Mi chiedo se la prossima volta andrà a votare il 38 o 40%”. 

Di fronte a tutto ciò non si può certo stare a guardare. “Ci dobbiamo riassumere la responsabilità della città. Dobbiamo riconsegnare ai giovani tutta la forza che abbiamo grazie alla Costituzione. Ritornare a votare, riassumendoci la responsabilità e aiutando gli eletti a essere amministrazione di politica e non altro. Perché la corruzione nella politica indigna”.

Lo Zen

Ma non c’è soltanto la cabina elettorale. Bisogna recuperare partecipazione, tornando con don Puglisi alla forza dei segni che costruiscono speranza. “Mi sono fatto compagno con tutti. La proposta di legge antidroga l’ha fatta la società civile, l’abbiamo fatta a Ballarò, laici e cattolici. Durante i miei primi mesi ad accogliere i migranti al porto c’eravamo tutti, tutta la città in tutte le sue espressioni. Il primo dicembre ci saranno gli stati generali allo Zen, già hanno aderito più di 140 realtà. Allo Zen dopo l’ultimo omicidio nei luoghi della movida due vescovi sono andati, abbiamo fatto una lettera insieme, questa è la strada. Si sono avvicinate persone che non erano mai andate in quel quartiere”.

La pandemia

Nei dieci anni a Palermo c’è stata anche la pandemia. “Il Covid ci ha fatto rinchiudere nell’individialismo, nella paura. Sento molto forte il dramma di oggi della sanità in Italia”. Poi un altro riferimento al potere. “Il Dio di Gesù Cristo è umano, non è un Dio di potere”.

La visita del Papa

La foto emblematica di questi  dieci anni è quella con Papa Francesco, Biagio Conte e due ospiti che mangiano nei piatti di plastica, in occasione della visita a Palermo del Pontefice nel 2018. Racconta un particolare degli ultimi istanti della permanenza del Papa a Palermo.

“Alla fine di quella giornata Papa Francesco ha posto un segno che rimarrà con me come uomo, credente e vescovo. Pensando a Francoise, un ospite della missione di Biagio Conte, che voleva andare a Roma,  Francesco sotto l’aereo mi esorta a organizzare per lui un viaggio. Lui, il Pontefice, avrebbe affrontato le spese. Lì c’è la verità di Papa Francesco. Per tutto il giorno si ricorda il viso e il nome di Francoise“.

Il ricordo dei genitori

Si parla anche dei genitori di don Corrado, Clementina e Salvatore. “In questi anni ho parlato spesso di loro, questo mi ha dato la possibilità di fare memoria, al fondo della mia vita c’è l’incontro con Salvatore e Clementina, sino all’altra sera davanti a 130 coppie di nubendi ho parlato di loro. Sono il terzo figlio, nato quando mia mamma aveva 23 anni. Grazie a loro sono qua”. Alla fine don Corrado ci mostrerà commosso una foto che lo ritrae con i genitori.

“Non possono esserci periferie”

Difficile non parlare di sicurezza in una città come Palermo. Servono le  zone rosse? “Se il senso della vita sono una collana d’oro e i simboli delle armi, intanto è una sfida culturale, vuol dire che c’è qualcuno che sta facendo scuola. Ci vuole una città inclusiva, non bisogna perdere di vista il concetto che il centro della città è ogni persona che la abita, non ci possono essere periferie”.

La nomina del 2015

Si torna a 10 anni fa. “Ero il parroco della chiesa madre a Modica. Il 2 ottobre del 2015 era un venerdì. Il primo venerdì di ogni mese andavo a visitare gli anziani e i malati portando la comunione. Tra una visita e l’altra ho guardato il mio cellulare e c’era un numero con prefisso 06. L’ho rifatto, mi risponde la Nunziatura apostolica in Italia. Mi passano il  nunzio, mi dice che deve parlarmi a Roma e mi dà appuntamento per il 6 ottobre. Non dico nulla a  nessuno, il 7 avevo lezione ed ero molto agitato, qualcuno dei miei alunni ha detto, ho poi saputo, forse hanno fatto don Corrado vescovo”.

“L’annuncio ufficiale è stato fatto il 27 ottobre. Parroco a Modica, non mi potevo aspettare di diventare vescovo. Intanto ero davanti il Nunzio apostolico. Mi chiesero: ‘Lei lo sa perché è qui?’. Il Santo Padre vuole nominarla vescovo a Palermo. Io non l’ho detto neppure ai miei genitori, potevo farlo solo la sera prima del 27 ottobre, giorno previsto dell’annuncio, anche se la notizia è uscita quattro giorni prima, il 23, a Palermo. Il Nunzio capì che ero andato in pallone, mi diede qualche giorno per pensarci ed eventualmente confermare, come si fa in questi casi, per lettera. Poi ho dato per via telefonica la mia adesione e scrissi la lettera al Papa”.

“Dona te stesso”

Diventerà cardinale? “Quando il Papa mi incontró, mi disse: ‘Vai a Palermo, vai e dona tutto te stesso a quella Chiesa e non cercare altro, io ho bisogno di un pastore. Rimani quello che sei e non cambiare mai’”.

La Santuzza

Il significato per un ispicese del detto ‘Viva Palermo e Santa Rosalia’? “Negli anni la passione per la città è aumentata. Io non sono sposato, ma quando mi hanno dato questo anello l’ho avuto per Palermo. Non ho conosciuto la crisi dei sette anni. Sono di Ispica ma  mi sento palermitano, come se fossi nato qua”.

Sa di non essere solo in questa complessa e a volte difficile missione palermitana. “Non posso contare solo su me stesso, ogni giorno chiedo al Signore che mi dia il cibo sostanziale per la giornata”.

Una Chiesa attenta alle persone

Davanti al Vangelo che si trovava nella bara di don Puglisi, alla prima pagina del giornale che annunciava l’apertura del Concilio nello stesso giorno in cui è nato, chiediamo qual è stato il percorso dell’arcidiocesi in questi dieci anni e quale sarà nel futuro.

“Piano piano dobbiamo far prevalere il metodo di Pino Puglisi, il territorio come luogo d’Incarnazione. Ciò vuol dire conoscere le attese, le gioie, le ansie della gente. I territori sono tutti diversi, Brancaccio non è corso Italia, a Catania, Palermo non è Roccapalumba. Nei territori una Chiesa attenta ai bisogni delle persone si costruisce come fraternità. Perché il Vangelo non è soltanto dottrina. È una presenza che irrompe nella vita a 360 gradi”.

Scendo dalle stanze della Curia, dove monsignor Corrado Lorefice vive e lavora, con in mano il libro “Nel segno della speranza – Un Vescovo a Palermo città delle emergenze”, scritto dall’arcivescovo e dal giornalista Nuccio Vara. Verrà presentato lunedì 24 novembre alle 19 in Cattedrale. Nella dedica mi scrive: “Condividiamo la città con gli occhi di chi abbiamo incontrato: 3P”. È la prima volta che incrocio l’arcivescovo da vicino. L’impressione che ne ricavo è di uomo molto profondo, che si fida degli altri e di cui fidarsi.



giovedì 20 novembre 2025

Tre ore per un'arancina. Il passato che sequestra il futuro.

 Il Mediterraneo 24

Il futuro, il progresso e... l'arancina

Un viaggio in treno da Palermo a Roma: quasi tre ore di stop tra Messina e Villa San Giovanni per attraversare appena tre chilometri di mare

Francesco Palazzo

17 Novembre 2025

https://www.ilmediterraneo24.it/speciali/il-futuro-il-progresso-e-larancina/



Qualche giorno fa arriviamo alla stazione di Messina alle 21 e 53, dopo essere partiti da Palermo in perfetto orario alle 18 e 48. Mi ero quasi appisolato. Capisco che siamo arrivati nei pressi dello stretto perchè in dormiveglia mi rendo conto che siamo fermi come se non ci fosse un domani da un tempo indefinito.

Da quel momento le procedure di imbarco del treno sulla nave si concludono dopo le 23, con una serie di andirivieni. A un certo punto la nave, col treno spezzato in pancia, si muove per coprire i pochissimi chilometri che portano al di là dello stretto. Necessario, sino a oggi e chissà sino a quando, perché il progresso, lo sviluppo, l’innovazione, fanno paura e movimentano reazioni incontrollate e incomprensibili. Invece non si muove un solo muscolo nel sapere, è notizia recente ma è soltanto una triste conferma, che i giovani fuggitivi verso il nord ci fanno perdere 4 miliardi di euro ogni giro di calendario. Ogni anno se ne vanno 134.000 studenti e 36.000 laureati. Ricchezza che dal Sud prende la via del Nord con amari e tristi biglietti di sola andata. Svuotando famiglie, territori, socialità, economia, classe dirigente. Del resto, si muove molto meno di un muscolo quando palate di assistenzialismo senza sviluppo inondano di miliardi le regioni meno sviluppate.

Dopo lo sbarco si attende ancora per un tempo indefinibile, nessuno annuncia nulla, a Villa S. Giovanni. Non puoi ricaricare il cellulare, tutto spento, non puoi andare in bagno, mi si dice che si deve attendere che il locomotore riagganci il treno affinché ci sia di nuovo vita. A mezzanotte e quindici del nuovo giorno, luce fu, ma si rimane ancora fermi. Sono trascorse quasi due ore e mezza adesso dall’arrivo a Messina e ancora non si riparte. Ma almeno sul traghetto ci si è potuti mangiare una bella arancina.

Non sono salito, ma questa dovrebbe essere ancora l’indistruttibile tradizione. Una stratosferica portentosa arancina, volete mettere! Per un manufatto alimentare di questa portata si possono aspettare pure tre ore, ci siamo quasi, per percorrere uno specchio d’acqua di tre chilometri e duecento metri. Tre ore, tre chilometri.

Siamo nel 2025 o nel 1925? Fatti la domanda e datti la risposta. Del resto il tempo cosa volete che rappresenti di fronte a un’arancina, o arancino che sia, accarne o abburro. Chiedo a un addetto ai lavori se ci si sta sempre quasi tre ore per fare questa operazione di passaggio da una sponda all’altra. Si, qua è normale risponde. È normale. Come non averci pensato prima di fare questa stupida e tendenziosa domanda. Alle 00 e 40 il treno riprende la velocità tutto sommato sostenuta che ci aveva portato da Palermo a Messina. Il continente è tutto nostro, la capitale ci aspetta. Sono trascorse la bellezza di 2 ore e 47 minuti dall’arrivo a Messina per coprire uno spazio che quando corro, e non sono molto veloce, faccio in 15 minuti.

Il mondo gira a mille e noi, perdendo giovani laureati e non disdegnando assistenzialismo, buttiamo a mare il salvagente a forma di arancina. Sperando che qualcuno ci salvi rimanendo immobili e al buio nella notte. Ma se non comprendiamo noi che dobbiamo acchiappare il futuro e lo sviluppo, muovendoci verso il nuovo e il veloce, rimarremo sempre ancorati al passato. Il 29 novembre c’è l’ennesima manifestazione contro il ponte. Per carità tutte le idee e tutte le mobilitazioni sono rispettabili. Ma se da una parte all’altra dello stretto vi fossero la Lombardia e l’Emilia si protestetebbe per il tempo interminabile, quasi tre ore, che impieghiamo per coprire poco più di tre chilometri con le arancine in mano.

Devo dire che il treno, tre ore di attesa a parte per il passaggio marino, ha viaggiato a una buona velocità, la cabina era buona e confortevole, pure i materassi ed anche la ricca colazione servita in camera/cabina prima dell’arrivo, quasi puntuale rispetto al previsto. Pure il personale delle ferrovie a bordo è stato professionale e attento. Insomma, anche senza l’alta velocità, con l’obiettivo più ravvicinato e concreto dell’alta capacità, se scomparisse questa estenuante e lunga attesa tra Scilla e Cariddi, i tempi su rotaia per andare fuori dalla Sicilia sarebbero molto più competitivi rispetto ad altri mezzi di trasporto. Pensiamoci.

lunedì 3 novembre 2025

Noi Rosanero, 125 anni e non sentirli

 ROSALIO 

1 Nov 2025

Francesco Palazzo

Palermo - Pescara, dal Barbera e dintorni è (quasi) tutto

«Il Palermo non vince sempre ma non perde mai per davvero».

https://www.rosalio.it/2025/11/01/palermo-pescara-dal-barbera-e-dintorni-e-quasi-tutto/



E insomma, 125 non sono poca roba. Nel mezzo tanta storia se non sono secondi, minuti, ore ma anni come quelli che la massima espressione del calcio palermitano, e al momento siciliano, celebra oggi. La storia ci dice che il Palermo emette il primo vagito l’1 novembre 1900. Pare che si debbano ringraziare gli inglesi, grazie al loro contributo e a quello di un giovane che aveva conosciuto il calcio in Inghilterra, nasce il rosa nero. «Rosa come il dolce e nero come l’amaro». È il motto associato ai colori del club. Proviene, apprendiamo, da una lettera del 1905 di Giuseppe Airoldi a Joshua Whitaker, che propose i colori rosa e nero per riflettere i successi alterni della squadra, simboleggiando la gioia (il dolce) e le delusioni (l’amaro). I primi presidenti, capitani e allenatori furono inglesi. Poi da viale del Fante sono passate tante storie dirigenziali, tanti giocatori e allenatori, momenti belli, discreti, appena sufficienti, scarsi e nero pece. Questo che stiamo vivendo dal 2019, a prescindere dalle valutazioni che si possono e si devono dare su partite, classifiche e annate, è un buon momento. Il Palermo è in solidissime mani, dopo che un palermitamo come Dario Mirri ha prima preso su di se il peso di una società che ha dovuto ripartirere dalla D e poi, una volta che i rosa sono tornati nel calcio che conta, ha coinvolto il City Football Group, una holding multinazionale britannica attiva nel campo dell’intrattenimento sportivo di prima grandezza sullo scenario mondiale. Poi ci sono i tifosi, certo, gli affezionati che ci sono sempre, i simpatizzanti che non lesinano partecipazioni direttamente sugli spalti e il resto che non di rado consente di riempire come un uovo il Barbera. Essere tifosi non vuol dire affatto pensare di permettersi tutto in termini di parole e azioni. Ho assistito ad una quasi lite tra due persone, una delle quali oltremodo agitata. Quest’ultima sosteneva che veniva a tifare e perciò il sottinteso, l’implicito, era che tutto gli è consentito a livello verbale. Non può essere così. L’amore per i rosa, che si tramanda di padre in figlio (per favore vedete il breve video interpretato alla grande da Roberto Lipari e Tony Sperandeo in occasione di questo 125mo), deve essere anche un insegnamento di come si sta al mondo. La civiltà dentro e fuori lo stadio, la compostezza, il rispetto per gli avversari in qualsiasi momento.

Nel suggestivo inizio della commemorazione, prima della suonata di violino sotto il grappolo di palloni a centrocampo, il presentatore ha ricordato, tra chi non poteva esserci senza averlo deciso, gli operai morti durante il rifacimento dello stadio per i mondiali del 1990 e le donne uccise da chi ha scambia l’amore per il possesso. Il grappolo di palloni si alza dipingendosi tutto di rosa e sulle note della canzone di Sergio Endrigo, Io che amo solo te, una ballerina balla in aria attraversando tutto il perimetro del Barbera.

Sì c’è pure la partita con il Pescara. I rosa prima dell’undicesima sono sesti a 16 punti, ma potrebbero essere settimi perché la Juve Stabia a 14 punti deve recuperare in casa la decima giornata. Il Pescara è in zona retrocessione. Insulti soliti ai catanesi, i consueti fischi di ogni incontro alla formazione avversaria annunciata dallo speaker, insulti e striscione ingiurioso contri i tifosi avversari. Ecco, alcune cose intanto, nel tramandare l’attaccamento al rosanero, da non insegnare invece ai figli, sono per esempio queste imbecillità.

Palermo in una bella maglia rosa molto chiara. Gialli i pescaresi. A fine primo tempo i rosanero vincono 1 a 0, diverse occasioni sprecate ma il Pescara non è certo il Monza che ne ha fatti tre martedì scorso. All’inizio del secondo tempo i rosa mettono in freezer la vittoria con il 2 a 0. Al 60mo quasi il 3 a 0 è solo una formalità. A un quarto d’ora dalla fine Brunori torna in rete e sono quattro. A pochi minuti dalla fine Diakitè fa il quinto. Questo punteggio va in qualche modo a ricompensare, con gli interessi, la sconfitta cocente di pochi giorni fa. Non sappiamo quando è stato l’ultimo 5 a 0 dei rosanero in B.

Il Palermo sale al quinto posto, classifica in testa corta. Va detto che il Venezia stasera sesto deve ancora giocare e stessa cosa devono fare la seconda, la terza e la quarta in classifica. C’è una conferma. Con le squadre non di prima fascia il Palermo non ha problemi. Ma in A vanno in tre e le compagini di prima fascia sono almeno sei. Dunque i rosanero devono fare vedere cose buone anche contro le formazioni forti. Adesso, forse Juve Stabia a parte, otto partite non difficili prima della seconda giornata del girone d’andata a gennaio 2026, quando i rosa incroceranno nuovamente il Modena.

Per riprendere la genesi dei colori del Palermo, stasera, nella torta del 125mo, ha prevalso il rosa della soddisfazione. Il nero è rimasto fuori. Ma non tutte le partite potranno essere così semplici. Anche se qua occorre citare una frase sentita in ambito di presentazione del 125mo al Barbera stasera. «Il Palermo non vince sempre ma non perde mai per davvero».

giovedì 30 ottobre 2025

Palermo Monza, fine dei sogni di gloria?

 ROSALIO

29 Ott 2025

Palermo – Monza, dal Barbera e dintorni è (quasi) tutto

Francesco Palazzo 

https://www.rosalio.it/2025/10/29/palermo-monza-dal-barbera-e-dintorni-e-quasi-tutto/



Con una squadra del sud, il Catanzaro, e una del nord, il Monza, il Palermo, che non aveva mai perso in questo campionato, rimedia due brutte sconfitte una dietro l’altra che sembrano mettere il cappello sopra un periodo non buono, per usare un eufemismo. Che per la verità era stato intravisto sia con i quattro pareggi precedenti, soprattutto in casa, contro squadre di livello, che con un gioco che ha convinto soltanto nelle partite più semplici.

Rispetto a Catanzaro con il Monza, che però è una squadra molto quadrata e al momento superiore al Palermo, si è veduto un primo tempo con qualche nota positiva ma con il resto della partitura piena di errori in tutti i reparti.

L’incontro viene subito messo sulla linea del nervosismo che dalla panchina dei rosa si riversa in campo. Si battibeccherà sino alla fine con il quarto uomo della compagine arbitrale. E non è affatto un buon segno. Settemila spettatori in meno e molti problemi in più per la squadra di casa. Casa si fa per dire, visto che il campo del Palermo sta diventando, come del resto nelle passate stagioni, un problema soprattutto per i rosa. I guai sono in difesa, a centrocampo o in attacco? Meglio la difesa a tre? Questo o quel modulo? Ci si può sbizzarrire nelle ipotesi e nelle analisi ma serve a poco. La verità è che una squadra che non funziona fa acqua da tutte le parti e con tutti i moduli.

Nel secondo tempo il Monza, dopo aver ghiacciato lo stadio alla fine del primo tempo, dà subito il colpo del KO a un Palermo dal centrocampo di burro e dalla difesa imbambolata. Questa partita somiglia molto a tanti incontri al Barbera degli anni di B recenti dopo la D e gli anni di Lega Pro. Eppure sono cambiati gli allenatori, c’è stato un certo turn over di calciatori, si sono applicati diversi moduli, si è modificata anche la guida sportiva. A un certo punto c’e una quasi rissa in più parti del campo. Non serve al Palermo metterla sul piano del nervosismo. Si perde solo tempo e si finisce per dare un ulteriore vantaggio a chi è già sopra di due gol a quindici minuti dalla fine. Una sera amara.

Intendiamoci, il Monza è reduce da tre anni di A ed è superiore al Palermo. Anzi il Palermo dovrebbe essere forte come il Monza. Almeno così era stato dipinto da una tifoseria che si infiamma, così come si sfiamma, troppo presto. Ma al di là di questo stop si ha l’impressione che questa squadra sia stata molto sopravvalutata in sede di pronostici iniziali. Altro che ammazza campionato. Ora tutto ha toccato terra e rialzarsi non sarà semplice.

I rosa vanno a dormire al quinto posto, ma alla fine di questa giornata, che si conclude nella tarda serata di oggi, mercoledì 29 ottobre, potrebbero essere anche più dietro. Sabato scende al Barbera il Pescara, che già lotta in zona retrocessione. Resta da capire quest’anno per quale obiettivo lotta il Palermo al di là delle buone intenzioni. Già sugli spalti iniziano i mugugni e i fischi. Il 3 a 0 fa svuotare lo stadio prima del fischio finale.


Questo pezzo l’ho iniziato a scrivere dopo il primo gol dei brianzoli. Era chiaro già prima della pausa che il Palermo era arrivato e non aveva più nulla da dire nei secondi quarantacinque minuti. E per una compagine che mira ai primi due posti è un atteggiamento sconfortante. La foto che vedete, con il Monza tutto raccolto a fare squadra, è di inizio partita. Il Palermo già dall’inizio invece appariva come una squadra disunita. Certo, prima o poi anche se vai in A alcune partite le perdi. Nel caso del Palermo la situazione appare, ma possiamo sbagliarci, già compromessa a prescindere dalle due sconfitte. Al momento pare una squadra in grado di arrivare tranquillamente ai play off.

In calce all’incontro registriamo una circostanza ormai solita, si gioca pochissimo, sono più le interruzioni che le fasi di gioco. Si dovrebbe porre un rimedio a ciò. Perché così le partite diventano davvero noiose.


lunedì 27 ottobre 2025

We Care, il Volontariato che non ti aspetti. Il tuo.

 Il Mediterraneo 24

25 Ottobre 2025

Dalla sartoria alla salute: viaggio con i volontari tra i laboratori di “WeCare Festival”

A Villa Trabia, nell'ambito di Palermo Capitale del Volontariato, si è svolta la due giorni promossa dal Cesvop e da associazioni del territorio, all’insegna del “We Care”. L’evento ha mostrato come il volontariato possa essere rete, creatività e sostegno concreto alla comunità

Francesco Palazzo

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PALERMO. Il filo conduttore del “WeCare Festival”, la due giorni (24 e 25 ottobre) promossa e organizzata dal CESVOP, insieme ad altre associazioni del territorio a Villa Trabia, nell’ambito di Palermo Capitale del Volontariato, è chiaro: “Il volontariato che non ti aspetti. Il tuo”. Ed è proprio questo, ad esempio, il senso e il compito del Progetto MutaMenti. Ragazze e ragazzi di associazioni diverse che intendono sensibilizzare loro coetanei a entrare nella rete del volontariato. I concetti di rete e di sostegno al volontariato da parte delle istituzioni, cercando di evitare duplicazioni di interventi, ci vengono espressi anche dall’assessore alle Politiche sociali, Mimma Calabrò.

Valeria Perricone ci parla della Biblioteca Sociale del CESVOP, che ha sede dalle parti di Via Malaspina a Palermo e che è anche casa del volontariato. Tiziana Raia ci descrive l’associazione GEFYRA, che in greco significa ponte. Si occupano di prevenzione del disagio in età evolutiva, di famiglie e di salute mentale. Andrea Esposito ci parla dell’ambulatorio medico del Borgo Vecchio che fa parte della Rete degli ambulatori popolari. Sono assicurate prestazioni di cardiologia, neurologia, ginecologica ed esami ecografici. La Sartoria Al Reves, società di cooperativa sociale, si occupa del riuso e riciclaggio dell’usato lavorando anche con i disabili. Fanno anche borse, ci dice Caterina Chinnici, corsi di cucito per giovani disabili e provvedono pure a stampare sui tessuti. Il mercoledì c’è il corso di uncinetto. Quanto realizzato viene anche dato ai senza tetto e ai bambini delle case famiglia. L’altissima Feva, di origini nigeriane ma nata in Italia, frequenta il quinto anno del liceo classico. Ha fatto un corso di cucito, dice di essersi affezionata all’Associazione ed è venuta a trovarli presso lo stand.

La presidente dell’Associazione Da Zero a Cento, Barbara De Sieno, con sede a Carini, ci fa vedere un tavolo dove vengono dipinte borse partendo dallo slogan della due giorni, We care, prendersi cura, preoccuparsi. Fanno sia attività per piccoli, come il Teatro Ramshi Bai, che per anziani, come il corso di approccio ai device di ultima generazione, alle banche online e alla sicurezza informatica. Ma ci sono pure laboratori scientifici e origami. L’avvocato Claudia Pilato fa parte dell’associazione L’arte di crescere, nata per veicolare l’importanza, anche in termini di prevenzione per mamma e lattante, dell’allattamento materno. Hanno commissionato il primo murale, Sangu e latti, comparso allo Sperone. Assistono sia a domicilio che in sede come mutuo soccorso le donne dopo il parto. Hanno ricevuto 100 abiti da sposa di alta sartoria. Il 23 dicembre al Teatro Biondo con questi abiti faranno un evento. Il ricavato servirà a finanziare un’area fitness allo Sperone per le donne che hanno espresso questo desiderio.

Simona Maria Prestileo, Valerio Sanchez e Frank Cottone ci presentano l’associazione Rock 10 e lode. Organizzano eventi musicali per giovani e anziani. Il 7 novembre al Teatro Jolly ci sarà la finale del Green Music Contest. Hanno pure regalato piante a dieci ville di Palermo. In occasione delle piantumazioni ci sono stati pure dei piccoli concerti. Erika Lo Sasso, Responsabile della Formazione dell’ABIO, mentre gonfia palloncini, ci chiarisce il mandato dell’Associazione per il bambino in ospedale. Gestiscono una ludoteca all’Ospedale dei bambini di Palermo. La loro missione è rendere meno traumatico possibile il passaggio dall’ospedale, per un ricovero o una visita, ai bambini.

Nel pomeriggio, il boratorio di maieutica con Amico Dolci, esperienza di dialogo collettivo ispirata al metodo educativo di Danilo Dolci. Poi, in scena “La ricetta di Danilo”, spettacolo teatrale di Barbe à Papa Teatro, di e con Totò Galati, che racconta la storia del poeta e sociologo attraverso aneddoti, gesti quotidiani e la preparazione delle sue famose polpette, trasformando la cucina in un laboratorio di idee e memoria.

Mentre viaggio tra gli stand penso a Don Lorenzo Milani e al suo I care. Mi importa, ho a cuore. L’I Care di don Lorenzo, il We Care della due giorni del volontariato a Villa Trabia. Mi sembrano le coordinate di un mondo più umano e più giusto.

giovedì 23 ottobre 2025

Palermo Modena, con le grandi i rosanero segnano sinora il passo

 ROSALIO

19 Ott 2025

Francesco Palazzo

Barbera e dintorni, il Palermo contro il Modena conferma le difficoltà con le grandi

https://www.rosalio.it/2025/10/19/barbera-e-dintorni-il-palermo-contro-il-modena-conferma-le-difficolta-con-le-grandi/




Il Modena, nella prima partita con una squadra di livello, conferma che il primo posto, che adesso tocca quota 18 punti, è più che meritato. Il Palermo conferma invece un’altra cosa. Con le squadre di livello va sistematicamente in grande affanno.

È accaduto tre volte in casa con Frosinone, Venezia e oggi con il Modena e una volta fuori casa con il Cesena. Al momento basta per essere secondi ma queste quattro partite, con tre pareggi in casa, più di qualche dubbio lo lasciano per il prosieguo del torneo. Insomma, tutto quello che nelle partite più semplici del campionato ha luccicato tra i rosa, non era tutto oro e oggi lo si è compreso molto bene per la quarta volta. Una cosa che succede quattro volte in poche partite è un segnale da cogliere. Sia in termini di gioco da rivedere che di rafforzamento in sede di mercato non appena sarà possibile.

Oggi poteva finire male con una sconfitta, che non sarebbe stata immotivata e immeritata, visto il deludente secondo tempo dei rosa. Il fischio finale è stato infatti accolto con un sospiro di sollievo dai quasi trentatremila spettatori che oggi pomeriggio inondavano il Barbera.

All’uscita, ancora una volta, diversi grossi mezzi della Rap, oltre ai venditori abusivi di bevande e gadget vari dei rosanero, messi a sbarrare la strada dove stanno uscendo migliaia di persone verso oiazza Giovanni Paolo II. Un concetto di sicurezza forse da rivedere leggermente.

In tribuna autorità c’erano i familiari del giovane Paolo Taormina, che è stato ucciso a Palermo durante una serata nel cuore della movida. Scene toccanti, così come le parole sentite (Paolo vive) e gli striscioni (Paolo è figlio di Palermo e vive con noi, si leggeva in uno) delle curve. Certo, come sia possibile stigmatizzare la violenza, verbale o fisica che sia, e poi fischiare a più non posso i nomi della formazione avversaria quando scorrono a inizio partita, ululare contro i tifosi avversari, gridare «chi non salta insieme a noi cos’è un catanese pezzo di merda», lanciare la classica parola offensiva palermitana (suca) durante il rinvio del portiere avversario, è un processo mentale abbastanza singolare e tutto da spiegare. La violenza va spenta innanzitutto nel processo verbale e nelle teste.

La prossima i rosanero la giocano a Catanzaro, squadra al momento vicina alla zona bassa della classifica. Si torna al Barbera con il Monza, che invece al momento, con 14 punti, è dietro i rosanero di soli due punti e lo scorso campionato era in serie A dove è rimasto tre anni.

Vedremo se la squadra di viale del Fante riuscirà a risolvere questa difficoltà con le squadre più quotate e a mettersi con sicurezza in pole position nel torneo cadetto. Cosa che quest’anno viene data per fatta. Ma il pallone è rotondo e nulla nella vita è più incerto delle sicurezze assolute.

mercoledì 22 ottobre 2025

Vivi Sano. Un'associazione che recupera, crea e sostiene.

 Il Mediterraneo 24 

17 Ottobre 2025 

Dallo Zen al cuore di Palermo: Vivi Sano, la rete che semina bellezza e riscatto

Francesco Palazzo

Allo Zen, tra le aule della scuola Falcone, l’associazione Vivi Sano ha mosso i primi passi più di dieci anni fa. Oggi gestisce spazi di inclusione e rinascita come il Parco della Salute al Foro Italico, il Parco dei suoni, la Casa delle Ninfee al Giardino Inglese e il nascente Centro Sportivo Educativo Paolo Borsellino

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PALERMO. L’appuntamento è all’Istituto Ciechi di Palermo, una spettacolare struttura lasciata dai Florio dalle parti di Via Montepellegrino. Mi chiedo cosa stiamo lasciando noi a chi verrà dopo. Trovo un ambiente quasi svizzero e tanti giovani uomini e donne diversamente abili che fanno attività ginnica seguiti da assistenti. Una ragazza allaccia le scarpe a un disabile, pacca sulla spalla e si ricomincia. Poi c’è Ibrahim, detto DJ, un ragazzo arrivato dal Senegal con uno dei tanti sbarchi che mi accoglie all’ingresso e mi accompagnerà fino alla fine. Questa è una delle sedi operative dell’Associazione Vivi Sano, ente del terzo settore che opera sul territorio dal 2013.

Daniele Giliberti, che ne è il presidente, mi dice che all’inizio erano una ventina, tra i quali diversi professionisti a voler rappresentare la società civile, oggi l’Associazione conta sessanta associati. Questo ospitato presso l’Istituto dei ciechi lo hanno chiamato il Parco dei suoni. Si occupano del potenziamento delle  autonomie e dello sviluppo delle abilità sociali delle persone con disturbi del neurosviluppo e deficit neurosensoriali. Giliberti mi fa vedere in fondo un muro. Mi racconta che tra poco si abbatterà.

Si sta per completare, a due passi da Via D’Amelio, dove il magistrato Paolo e la sua scorta trovarono la morte per mano (solo?) mafiosa, il Centro Sportivo Educativo Paolo Borsellino. A luglio è stato inaugurato il murale che ritrae Paolo Borsellino anche in un momento di svago, l’immagine dell’auto usata per l’attentato e un bambino che raffigura Borsellino da piccolo. Giliberti sottolinea, anche con riferimento all’ultimo terribile fatto di cronaca, che l’esperienze di civismo come la sua o di altre realtà palermitane devono servire per essere emulate da altri cittadini. Buone pratiche da replicare.

L’associazione Vivi Sano, continua il presidente, tra il 2013 e il 2016 ha lavorato allo ZEN nella Scuola Falcone e da anni si occupa di interventi di prevenzione e contrasto delle dipendenze patologiche. Dal 2018 lavora con docenti e alunni all’uso consapevole di smartphone e device e a progetti, regionali e nazionali, sulle dipendenze da sostanze. Uno di questi è condiviso con associazioni di Milano. C’è anche un’attenzione verso l’emergenza crack in città. “Stiamo svolgendo un progetto regionale con l’Associazione La casa di Giulio, che opera a Ballarò, con incontri di sensibilizzazione sui rischi che comporta l’assunzione di sostanze psicotrope”.

Contro le dipendenze i luoghi di socializzazione sono finalizzate alla pratica di attività sane. Parliamo anche dell’esperienza forse più conosciuta dell’Associazione, il Parco della Salute del Foro Italico, che quest’anno compie 10 anni. Qualche anno fa è stato oggetto di un incendio doloso. “Quello che mi ha colpito, dice Daniele, è che in risposta ad una gara di solidarietà in pochi giorni sono stati raccolti cinquantamila euro: 25 mila li abbiamo utilizzati per rialzarci, il resto lo abbiamo dato ad altre realtà che hanno vissuto episodi simili”.

Da maggio scorso è attiva dentro il Giardino Inglese, adesso Parco Piersanti Mattarella, La Casa delle Ninfee, come è scritto nella brochure “un autentico scrigno di storia, arte e natura”. La serra, progettata a metà ottocento da Giovan Battista Basile nel corso degli anni è stata vandalizzata. È stata affidata all’Associazione Vivi Sano, la quale, con una raccolta fondi largamente partecipata, l’ha fatta rinascere a nuova vita. Giliberti chiarisce i dettagli delle collaborazioni e dell’uso attuale. “Hanno dato una mano tanti sostenitori e lo Studio di Architettura Provenzano in condivisione con gli Uffici della soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo. Per la parte botanica abbiamo avuto il supporto dell’Orto Botanico di Palermo che aveva collaborato alla realizzazione del giardino delle alofite mediterranee al Parco della Salute. La serra oggi viene gestita insieme a sei giovani con disabilità intellettive che curano la parte botanica seguiti da un terapista”.

Ma non fanno solo questo. Hanno mappato venti stazioni di visita del Parco Mattarella e della dirimpettaia Villa Falcone Morvillo per una completa visita guidata dei due siti. Fanno da ciceroni alle scolaresche. Daniele Giliberti ci racconta un fatto accadutogli proprio a ridosso dell’uscita secondaria del Parco Mattarella fu Giardino Inglese. “Il 17 maggio del 2021, mentre erano in corso i lavori per il recupero della serra, sento trambusto proveniente dalla strada. Era appena stata investita Ghendy, Gandolfa Ilarda, catechista e aderente all’Azione Cattolica. Ho avuto modo di tenere le sue mani negli ultimi minuti della sua vita. E credo che le cose non capitino per caso. Il vicepresidente dell’Associazione Vivi Sano è il Presidente nazionale di Azione Cattolica”. Ora nella serra del Basile recuperata uno spazio è stato intitolato proprio a Ghendy.


mercoledì 15 ottobre 2025

Leone XIV, Dilexi te - Ti ho amato. La mia analisi.

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

12 ottobre 2025

Il primo documento ufficiale di Papa Leone XIV

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/10/12/il-primo-documento-ufficiale-di-papa-leone-xiv/



Una premessa è d’obbligo. Descrivere e commentare una esortazione apostolica quale è la “Dilexi te”, ossia il primo documento ufficiale di Papa Leone XIV, è molto complicato. Soprattutto per chi come me non ha importanti studi teologici alle spalle e solo una superficiale conoscenza della storia delle tante realtà consacrate della chiesa, cui il Papa attinge, con una scrittura molto scorrevole e piacevole, a piene mani.

Sono soltanto, dunque, le seguenti, solo le impressioni che sono rimaste a chi scrive dopo una sola lettura, seppure attenta, del documento. Che ho compulsato senza interruzioni e che meriterebbe molteplici approfondimenti e altre letture a più livelli di analisi.

La prima cosa che mi ha colpito è la passione che pervade tutta l’esortazione. Chi pensava che la dimensione, come dire, sentimentale, emotiva, di questo pontefice fosse più di qualche gradino in giù rispetto a quella di Francesco, dovrà senz’altro ricredersi. E pure chi riteneva la scelta del Conclave come un passo indietro rispetto al papa argentino, anzi in controtendenza rispetto ai suoi principi guida, avrà più di un motivo per ripensarci. Non soltanto perché – a mio personale giudizio – nell’esortazione nulla va in un’altra direzione rispetto al papato precedente, ma anche per la dirimente circostanza che l’asse portante, il perno, il punto di partenza, è la frase, “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”, più di un programma di governo, che Papa Francesco utilizzò proprio all’inizio del suo pontificato.

Ed è proprio la povertà il filo conduttore del ragionamento molto convincente di Papa Leone. Che pure nel titolo si pone in continuità con Papa Francesco. La cui ultima enciclica è stata “Dilexit nos”, ci hai amati. Che adesso diventa “Dilexi te”, ti ho amato. Li il “ci hai amati” era riferito ad altro da noi. Qua il “ti ho amato” si gioca sul piano delle relazioni umane, orizzontali. In cui la prossimità verso chi non ce la fa, per tanti motivi, non soltanto quelli economici, diventa la cifra chiarificatrice e decodificante di un percorso di fede. Ti ho amato. Non, ti amerò. Non è un impegno indefinito e precario per il futuro, ma una constatazione che segue un’azione già posta in essere. Che ha dato i suoi frutti. In chi ha ricevuto e in chi ha donato.

Il Papa cita tutte le tante realtà cattoliche che si sono occupate nel tempo di assistenza alle povertà. Che sono sempre plurali e non sempre sono identificabili con i conti in banca. Leone XIV fa pure una carrellata molto godibile dei papi che si sono occupati della questione sociale. Citando ovviamente il suo quasi omonimo Leone XIII, il quale, con la “Rerum Novarum” a fine 800, inaugurò quella che da quel momento in poi si è chiamata dottrina sociale della chiesa. Da questo punto di vista il Papa, pur sottolineando l’importanza delle opere di carità, a partire dall’elemosina, che ci fanno incontrare la faccia dell’altro, mette in rilievo, citando ordini ecclesiastici e movimenti popolari, il fatto che gli interventi sulle povertà non possono che mirare alla promozione integrale degli individui. Culturale, umana, sociale, economica.

La citazione del Concilio Vaticano II, oltre ai motivi più pertinentemente teologici, va dritto al nocciolo duro dell’avventura conciliare aperta a sorpresa da Giovanni XXIII in pieno travaglio novecentesco. Cosa è stato il Concilio se non il tentativo, sempre in itinere sia chiaro, della Chiesa di mettersi meglio in contatto con il mondo. Rapporto Chiesa-Mondo. Questa fu la diade allora usata.

E cosa è questa visione e contaminazione con il mondo se non quella di guardarne soprattutto gli angoli di sofferenza individuale e collettiva, che riguardano tutti, in cui si tenta di trovare il bandolo della matassa della vita nel pianeta terra. L’esortazione papale non lascia spazio a fraintendimenti e dubbi. Una chiesa che non sappia vivere la dimensione della povertà, che ne faccia un semplice orpello, un ornamento inutile o peggio retorico, sarebbe portatrice di una fede falsa o poco cristiana.

Del resto la data di pubblicazione dell’esortazione è il 4 ottobre, festa di San Francesco, il principe della povertà, il nome programmatico scelto del predecessore di Papa Leone. A volere rimarcare pure in questo una qualche vicinanza con il Papa argentino, pur nelle differenze connaturate a ciascuno di noi, perché la Chiesa di tutto ha bisogno fuorché di fotocopie. Ma è chiaro che come Francesco parlava a tutti, anche questa esortazione è diretta a tante orecchie e coinvolge davvero tutti. A qualsiasi livello di responsabilità.


Questo primo importante documento richiama tutti a liberarsi dallo specchio dell’ego, o almeno a metterlo un po’ da parte, per ascoltare, direi auscultare, termine medico che indica un approccio molto più attento e personale, anzi fisico, il grido a volte silenzioso delle altrui povertà. E, perché no, pure delle proprie. Magari guardando sotto il tappeto dei beni materiali, compreso il denaro, su cui poggiamo gran parte dei nostri passi nel passaggio da questo mondo. Forse chi sa sentire le proprie povertà può percepire quelle degli altri. Che sono pure, aggiungiamo, le povertà di un mondo che stiamo lasciando davvero malmesso alle prossime generazioni.

Mandando a quel paese il concetto e l’impegno relativo alla sostenibilità dello sviluppo. È un documento da leggere personalmente e comunitariamente questo primo del nuovo Papa. Non soltanto nelle parrocchie o all’interno del solo mondo cattolico. A proposito di povertà, ci accorgeremo che ci arricchisce di qualcosa e ci apre scenari nei quali tutti, tutti, dovremmo riconsiderare le nostre storie.

Come scrivevo all’inizio, ho riportato solo qualche impressione per me significativa e omesso chissà quanto d’importante. Ma ciascuno può farsi direttamente la propria opinione leggendo direttamente al link del sito della Santa Sede dove l’esortazione di Papa Leone XIV è pubblicata, che è il seguente: https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/apost_exhortations/documents/20251004-dilexi-te.html.


mercoledì 24 settembre 2025

Biagio Conte, un racconto tra passato, presente, futuro e fatti prodigiosi

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

23 settembre 2025

Biagio Conte, una vita spesa per gli altri

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/09/23/biagio-conte-una-vita-spesa-per-gli-altri/



Il giornalista napoletano Riccardo Rossi l’ho conosciuto tempo fa in cima all’imponente scalinata del Palazzo delle Poste a Palermo, in via  Roma, mentre assisteva Biagio Conte nel suo digiuno, non il primo e non l’ultimo. Poi l’ho incrociato a piazzale Anita Garibaldi, in occasione di un altro digiuno del missionario laico, nel luogo dove è stato ucciso don Pino Puglisi nel giorno del suo 56mo compleanno, il 15 settembre di 32 anni fa.

Biagio Conte nasce un giorno dopo, il 16 settembre. La cronaca ci racconta, e Riccardo lo conferma, che Biagio il missionario e Pino il sacerdote si incontrarono proprio la mattina dell’ultimo giorno di vita del parroco di Brancaccio, nei luoghi della burocrazia per perorare le loro cause, che poi non erano le loro, perché nulla di personale mai chiesero, ma quelle degli altri.

Un cantiere mai chiuso

Della vita di Biagio Conte ne riparlo oggi con Riccardo, proprio a due passi da dove è sepolto dentro la chiesa di tutti i popoli presso la sede della missione di via Decollati. La chiesa presenta tre porte, ci spiega Riccardo, gli ingressi per musulmani, cristiani ed ebrei. Apprendiamo che il luogo dell’attuale tempio, prima appartenente alle forze armate, era un deposito di armi e di mezzi militari.

Venni in questo posto per un reportage nel 2004, si lavorava per costruire. Non si è mai smesso. Oggi di fronte la chiesa si sta definendo una struttura che ospiterà un teatro e altri posti letto. Accanto abbiamo un altro luogo che dovrebbe contenere i lungodegenti. Qui la messa è la domenica alle 18 e il mercoledì alle 7.

Ciò che lo ha colpito di Biagio, sottolinea il mio interlocutore, è la radicalità nel mettere “a terra” il messaggio evangelico. Una volta, mi racconta, durante una celebrazione eucaristica, dopo il passo del vangelo dove si legge “Se qualcuno vuole venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”, Biagio, in pieno Covid, va in sacrestia ed esce con la croce in spalla, dicendo: “Vado a testimoniare, prendo la mia croce e parto”.

Una vita spesa per gli altri

Da quando è sepolto qui, ci viene riferito, tanti e tante si presentano anche per chiedere un miracolo, una guarigione o semplicemente per dialogare con lui. C’è un libro di dediche pieno. Chiedo a Riccardo. Hai avuto la sensazione di essere al cospetto di un santo? Mi risponde di sì senza esitazione, raccontandomi che più di una volta ha visto persone sanate nel corpo e nello spirito dopo un contatto con lui o una sua preghiera.

Mi rivela che durante il digiuno a piazzale Anita Garibaldi vide accostarsi a Biagio una donna e un ragazzo giovanissimo in lacrime. Quando andarono via gli raccontò che il giovane era stato in coma sino a pochi giorni prima, lui era andato in ospedale ed aveva pregato per il ragazzo. Pare che questo episodio sia conosciuto, secondo il punto di osservazione di Riccardo; infatti, mi dice, tanti vengono qua con familiari che versano in stato comatoso.

C’è pure l’episodio del batterista, ci racconta Riccardo, che durante la messa ha un attacco cardiaco, viene chiamato il 118, quel giorno il vangelo parlava della suocera di Pietro che guarisce dopo che Gesù la prende per mano. Biagio inizia a pregare, il musicista sta bene, i soccorritori lo riportano dentro perchè si era ripreso e lui ricomincia a suonare. Pare che Biagio abbia detto: “Il Signore mi ha ascoltato, gli ho chiesto che gli succedesse come alla suocera di Pietro”.

Poi, continua Riccardo, c’è l’episodio della donna gravida con delle macchie sospette sulle lastre che potevano rappresentare problemi per il nascituro, sparite dopo che fratel Biagio ha modo di pregare con lei e per lei.

Tante persone si sono riconciliate grazie a lui. Tanti hanno ridimensionato la portata di disavventure esistenziali. Ad esempio una ragazza che aveva perso il lavoro, ci dice Riccardo, ma era contenta perché aveva scoperto una grande dimensione spirituale ed era andata a riferirlo a Biagio durante il suo digiuno sotto il portico della cattedrale di Palermo. Riccardo aggiunge che erano in tanti e tante coloro che si presentavano durante il digiuno in cattedrale, rivelando episodi davvero fuori dall’ordinario.

Chi scrive registra. Del resto, è o no un grande miracolo quotidiano ciò che Biagio ha costruito in vita e che continua con ancora più forza a quasi tre anni dalla sua scomparsa? Da Biagio, riflette Riccardo, che aveva vinto una selezione per diventare un militare paracadutista e oggi accoglie i pellegrini in visita nel luogo dove il missionario laico è sepolto, “ho imparato che la vita va spesa solo per Dio. E che quando ci appare ostica, quasi insuperabile, dobbiamo affidarci alla fede e tutto cambia in meglio”.


L’incontro col Papa

Biagio stesso si riteneva un miracolato, stava sulla sedia a rotelle, si è alzato dopo un viaggio a Lourdes. Da allora iniziarono le sue “acchianate” a monte Pellegrino per ringraziare pure Santa Rosalia. Non si può non parlare della visita di papa Francesco il 15 settembre del 2018. Al pranzo alla fine sono entrati tutti, apprendiamo, anche quelli sui quali all’inizio c’erano dei dubbi perché privi del permesso di soggiorno.

Nella chiesa dove ci troviamo Francesco entrò con Biagio e pochi religiosi, per il Papa venne preparata una sedia piccola realizzata per l’occasione. Nella chiesa di tutti i popoli ci sono dipinti di un tunisino musulmano, in forma di ringraziamento per aver accolto un suo fratello, la via crucis è stata realizzata da un ghanese evangelico, i dipinti dell’altare da una cooperativa di ragazzi e ragazze. Mentre dialoghiamo entra una signora, Riccardo sottolinea che tanti non vogliono parlare ma avere un rapporto silenzioso davanti al luogo dove stanno le sue spoglie mortali.

L’eredità

Colpisce all’ingresso della chiesa il fonte battesimale, una scala in discesa e in salita con al centro una piccola vasca per ricevere il battesimo. Negli ultimi tempi tutto lo feriva. L’ultimo digiuno prima della morte fu nell’Oasi della Speranza, sulle colline della periferia di Palermo. Si nutriva soltanto con l’Eucaristia.

Il pane lo dava alle formiche che metteva nel giusto percorso, centinaia di colombi andavano a mangiare da lui, in missione educava i gatti a non attaccare i piccioni.

Al suo percorso si sono avvicinati in tanti anche silenziosamente. Apprendo da Riccardo che don Pippo Russo, un prete palermitano in pensione e che da giovane appartenne al movimento dei preti lavoratori, sino alla fine della sua vita prestò servizio, anche come infermiere, oltre che da parroco, nella missione di via Decollati.

Esco fuori e trovo un presepe sotto una capanna. Mi sembra il luogo giusto che possa giustificarne la presenza anche in un periodo estivo. Mentre lo ammiro penso ad una cosa che mi è rimasta impressa. Un giorno del maggio 2019, durante il digiuno nel luogo dell’assassinio di 3P, mi squilla il cellulare, penso sia Riccardo, è il suo numero. Invece sento la voce di Fratel Biagio. Ha letto in quel giorno il mio reportage sulla missione del 2004. Mi dice che si è emozionato rileggendo i nomi dei tre cani, Birillo, Speranza e Libertà, allora in missione, con cui avevo iniziavo il pezzo quindici anni prima. Caro Fratello Biagio, difficilmente dimenticherò quella voce densa di attenzione e piena di calore.


mercoledì 17 settembre 2025

32 anni dall'omicidio mafioso di don Puglisi e i suoi Cento Passi

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

15 settembre 2025

Don Pino Puglisi e le parole che non dimenticheremo, 32 anni dopo

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/09/15/don-pino-puglisi-e-le-parole-che-non-dimenticheremo-32-anni-dopo/



Il 15 settembre 1993 era un mercoledì. Caldo come molti giorni di settembre alle nostre latitudini. Don Pino Puglisi quel giorno compiva 56 anni, essendo nato il 15 settembre del 1937. Nelle ultime ore della sua vita era stato visto da occhi belluini mentre chiamava da una cabina telefonica nei pressi della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo.

Proprio di fronte a quel Centro Padre Nostro da lui fondato, voluto di fronte la chiesa parrocchiale e inaugurato all’inizio del 1993, presente il cardinale Salvatore Pappalardo. Quel Centro, che don Pino volle legare indissolubilmente alla comunità parrocchiale e che tanta paura fece alla mafia pur non prendendo – non c’era ancora l’euro – una lira di finanziamento, è ancora lì, in via Brancaccio 461. Pietra angolare povera e viva di profezia.

Gli ultimi istanti

Non si sarebbe festeggiato quella sera. Don Pino, sapendo che ormai era entrato nel mirino di Cosa nostra, aveva detto agli amici e alle amiche di non fare nulla. Solo a una coppia aveva detto sì, ma non lo avrebbero trovato se non in ospedale. “Tutto è compiuto”, si legge nel Vangelo di Giovanni.

La scena si sposta sotto casa di don Pino. Chissà cosa è passato per la testa di 3P negli ultimi minuti della sua vita. Non sono i cento passi del celebre film su Peppino Impastato quelli che separano quella cabina telefonica, vicino la chiesa di San Gaetano, dalla casa di Puglisi a piazzale Anita Garibaldi dove ci sono i mafiosi ad attenderlo per chiudere, pensano loro, definitivamente i conti. Ma sono a pochi giri d’orologio i due luoghi, pochi minuti. Lo stesso tratto di strada, era il 1996, quasi trent’anni fa, che ho percorso con un gruppo di ragazzi e ragazze di Brancaccio, alcuni universitari e universitarie, per rappresentare una via Crucis che avevo composto per loro e che ancora viene utilizzata nella chiesa di San Gaetano.

“Me lo aspettavo”

Era arrivato davanti casa don Pino, aveva già infilato la chiave nel portone quando sente i passi di due soggetti avvicinarsi. “E’ una rapina”, gli dicono, sottraendogli il borsello. “Me lo sarei aspettato” o “Me lo aspettavo”, risponde don Pino. E magari, innamorato com’era dell’importanza del dialogo, della parola ascoltata per aiutare l’altro o l’altra a orientarsi, avrebbe potuto anche sperimentare un ultimo tentativo di soluzione umana. Insomma, ragazzi, qual è il problema. Venite su e ne parliamo. E se non l’ha detto magari, come ebbe a ipotizzare uno di quelli che gli è stato più vicino negli anni di Bancaccio, potrebbe averlo pensato.

Ma quella canna di arma da fuoco che portava morte, soprattutto per coloro che hanno spento una vita santa, non per chi quella morte l’ha subita, bloccò quel possibile pensiero che avrebbe potuto trasformarsi in salvezza. Non per chi stava per cadere, perchè mai è caduto, ma per coloro che stavano per spargere il sangue di un martire su quel marciapiede. E dunque “me lo aspettavo”. Dietro, intorno e dentro al quale c’è tutta una vita. Fatta di una profondità che i mafiosi non potevano capire. Perché se ne avessero compreso solo un frammento, mai sarebbero stati mafiosi.

La Chiesa e il mondo

È possibile che quel “me lo aspettavo” sarà stato detto pure con quel sorriso ironico che spesso guizzava negli occhi, prima ancora che nel verbo, del parroco dalle orecchie a sventola e dalle mani grandi. Ma è un’ironia, che è l’atteggiamento tipico di chi sa volare alto, che atterra in quella sera di fine estate con gli occhi e la mente già diretti verso quella canna fredda, che si posa sulla sua nuca facendolo in pochi secondi cadere rovinosamente a terra.

Ancora vivo, ma con tutto il suo corpo e il suo essere più profondo già al cospetto di quella dimensione di vita altra e alta che ben coniugò, a Brancaccio, a Godrano, come insegnante, nel mondo vocazionale, dappertutto sia stato, con quella del mondo.

Rapporto Chiesa-mondo, l’asse portante del Concilio Vaticano II. Ricordo, nelle settimane successive all’autunno del 1990, cioè del suo esordio presso la parrocchia di San Gaetano, una sua frase che mi faceva notare che, sulla scorta del Vaticano II, la parola, ossia il luogo da dove si proclamavano le letture, stava nell’altare sullo stesso piano della mensa, cioè del mistero di fede.

Parole indimenticabili

Ci sono frasi che, nel momento in cui le sentiamo, non sappiamo che non riusciremo più a dimenticarle. Senza neppure riuscire a spiegarci il perché. Così come quelle, ero consigliere di quartiere eletto nel 1990 come capolista di minoranza nelle liste di Insieme per Palermo, ascoltate da don Pino che cercava, con pochi risultati concreti, di farsi capire dal consiglio, allora di quartiere, Brancaccio-Ciaculli, ora di circoscrizione. Anche se nulla o poco è mutato nel decentramento attuato, e non semplicemente parlato, a Palermo.

Difficile per me pure scordare la sua riflessione in occasione della prima riunione con i giovani della parrocchia. Riprendendo il titolo di un brano molto famoso e cantato in quegli anni, “Questione di feeling”, diceva a noi ventenni che nella vita non poteva essere questione di sensazione, di sentimento momentaneo ma di impegno profondo, di decisioni importanti, definite se non definitive, soprattutto per noi giovani. Lo guardammo quasi scandalizzati. Ma aveva ragione lui.

martedì 9 settembre 2025

Libera Palermo, tra memoria e territori

 Il MEDITERRANEO 24

8 settembre 2025

Libera Palermo: trent’anni di impegno tra memoria e giustizia sociale

Francesco Palazzo 

https://www.ilmediterraneo24.it/buone-notizie/libera-palermo-trentanni-di-impegno-tra-memoria-e-giustizia-sociale/

Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie è presieduta da don Luigi Ciotti ed è stata fondata nel 1995. Coordina più di 1600 realtà nazionali e internazionali. Le finalità sono quelle di promuovere i diritti di cittadinanza, la cultura della legalità democratica e la giustizia sociale, valorizzando la memoria delle vittime delle mafie.

Nell’anno di Palermo Capitale del Volontariato ne parliamo con Eliana Messineo, di Libera Palermo. Che opera nel capoluogo ma pure in provincia. Ci ricorda che la genesi di Libera va retrotadata ed ha come epicentro la Sicilia, Palermo, le stragi del 1992, tra Capaci e Via D’Amelio, e quelle oltre lo stretto del 1993. Il Coordinamento di Libera Palermo fu tra i primi a nascere. Si trova in un bene confiscato in quella che i palermitani chiamano Piazza Politeama e per fare questo nel 2008 si è trasformata in associazione autonoma. Adesso sta partecipando al Bando del Comune per avere rinnovato l’affido, in questo caso decennale, del bene. La sede del coordinamento è pure una bottega che è nata e vive, sottolinea Eliana, per promuovere i prodotti provenienti da Libera Terra, ossia da terreni confiscati alla mafia. Va ricordato che Libera è stata promotrice della Legge, approvata nel 1996, sull’uso sociale dei beni confiscati.

Negli ultimi 10 anni, puntualizza Messineo, si è dato ancora più spazio al coordinamento provinciale delle attività di Libera. Ciò ha comportato un rafforzamento del rapporto con le altre organizzazioni associative lavorando sui diversi territori, continuando la forte presenza nelle scuole e confermando i percorsi di memoria (che culminano il 21 marzo nella giornata di memoria di tutte le vittime di mafia). Ma c’è anche la giustizia riparativa del Progetto Amunì. Che consiste, precisa Eliana, nella messa alla prova di giovani condannati per favorire percorsi di ripensamento. La strada che si percorre da tempo, per fornire un’altra gamba all’antimafia oltre quella della memoria e del contrasto diretto, ha una linea d’azione che intende contrastare e affrontare le povertà educative nei luoghi dove nascono. Libera interviene sulle famiglie attraverso una coprogettazione che vede coinvolti comunità educanti ed associazioni. Come, ad esempio, l’ultimo progetto Effetto Volontariato all’Albergheria. Ma si è intervenuti, ci dice Eliana, e si interviene, pure nei quartieri palermitani dello ZEN e del CEP.

Messineo mette in evidenza che attraverso i contatti con le scuole Libera è presente in molti pezzi di territorio. C’è da considerare nel campo scolastico la Rete di promozione per la cultura antimafia con 100 istituti coinvolti. Poi altri progetti specifici. Come quello denominato Fuori dal giro, sul contrasto alle dipendenze, condotto nelle scuole, anche allo Sperone di Palermo. Alla Scuola Pertini, sempre allo Sperone, con l’Associazione Per esempio, sono stati supportati diversi percorsi educativi. Le persone che direttamente lavorano a Libera Palermo sono nove. Altre sedi di Coordinamento sono presenti a Catania, Siracusa e Trapani oltre i presidi esistenti in vari territori. Esiste un coordinamento regionale molto articolato. Libera Palermo, apprendiamo da Eliana, organizza assemblee periodiche con associazioni e singoli soci e socie aderenti. Poi vi sono i rapporti con le istituzioni e con le grandi organizzazioni aderenti a Libera, come ad esempio ARCI e CGIL. Il quadro è molto esteso, ce ne rendiamo conto dialogando con Messineo. Ci cita i campi settimanali di impegno e formazione sui beni confiscati alle mafie, denominati E!State Liberi!, dove si incontrano i familiari di vittime di mafia. Ad agosto si è concluso, ci rappresenta l’esponente di Libera, il progetto CORE (Comunità Responsabili) nel quartiere Albergheria di Palermo relativo al rafforzamento di reti giovanili.

Libera guida anche a Palermo un percorso di co-progettazione ricadente nel centro storico che vede coinvolte più di 30 associazioni. C’è anche uno sguardo al problema migratorio. Libera Palermo è impegnata a garantire l’autonomia dei minori stranieri non accompagnati. Il ruolo di Libera, sintetizza Eliana, è di facilitazione nel mettere insieme le forze presenti sul territorio, non necessariamente iscritte a Libera. Sullo sfondo sempre la memoria, le memorie. Soprattutto quelle che tendono per vari motivi a passare nell’oblio. Messineo ci ricorda ad esempio la Mattonella per Lia Pipitone fissata nel giugno di quest’anno nel luogo dove è stata uccisa, nel quartiere Arenella. Anche questo è il frutto di un lavoro comune con altri soggetti e con le istituzioni voluto da Libera Palermo. A conferma che la lotta alle mafie si può condurre meglio, e con più incisivi risultati nei territori, se si fa strada insieme.


sabato 6 settembre 2025

Santa Rosalia, il racconto a più voci dell’acchianata notturna

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

4 settembre 2025

Cronaca di una “acchianata”, percorso di fede tra le luci di Palermo

Francesco Palazzo

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Nel giorno in cui si ricorda l’eccidio mafioso che vide morire il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 settembre di 43 anni fa, proprio nelle stesse ore ogni anno, i palermitani fanno, e io tra loro, la “acchianata” sul monte Pellegrino verso la Santuzza. Di cui il 4 si ricorda il giorno della morte (era il 1170) e in cui le tante Rosalie palermitane festeggiano l’onomastico.

Non è il Festino del 15 luglio, fantasmagorico, brillante, con il pienone di gente dal piano del Palazzo dei Normanni al piano della Marina. Nella nottata tra il 3 e il 4 settembre, questa volta insolitamente fresca, il clima è più di riflessione, silenzio, in compagnia delle stelle, della luna e, caso raro, di qualche nuvola. Anche in questo 3 settembre 2025 il serpentone di devoti e devote che sale e scende è abbastanza trasversale.

Un contesto inusuale

Il contesto, per uno come me, “acchianatore” seriale alla luce del sole nei giorni in cui Rosalia non viene festeggiata, e dunque si incontrano poche persone nei tornanti verso l’alto e verso il basso, è inusuale. Non soltanto per i numeri ma anche perché di sera, di notte, di Palermo vedi le luci. Che delineano forme e immagini davvero belle da ritrarre.

C’è Julian vestito con un completino del Palermo e c’è una bambina con il palloncino rosso a forma di cuore. Don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, ricorda Dalla Chiesa e le vittime del 3 settembre 1982, sottolineando il no alle mafie. Il vescovo saluta e abbraccia cordialmente e fraternamente molti e molte.

È la prima volta, superati i 60, che Mariagrazia e Sabina hanno deciso di fara il percorso a piedi, sono della parrocchia di Santa Rosalia. Per loro la santa è il legame con Palermo, sia religioso, devozionale che popolare. Paola sale con le stampelle, c’è andata pure a Lourdes. È un ex catechista di Acqua dei Corsari. Chiede salute e che si dia testimonianza cristiana ai giovani.

Un messaggio di speranza

Mi avvicino a don Corrado e gli chiedo com’è cambiato, in questi 10 anni in cui è arcivescovo, il rapporto con la santa. Mi dice che c’è intanto una conoscenza sempre più profonda, che lo appassiona per quello che è il suo messaggio di fede, soprattutto di speranza che dà alla città. E che la sente sempre presente nella sua vita, insieme a don Pino Puglisi e a Biagio Conte.

Per la città cosa chiederebbe il suo vescovo a Rosalia? Un senso di responsabilità maggiore per gli adulti nell’accompagnare i giovani – mi risponde – perché non si lascino nelle mani di predatori che li illudono. Dobbiamo dire loro – aggiunge – che la droga è morte e però noi dobbiamo dare loro altra sostanza.

Le voci di chi sale

Una ragazza e un ragazzo inglesi salgono mano nella mano. Le luci messe per l’occasione in alcuni punti abbagliano, ma è la città che rimanda forme accese che affascinano. C’è chi sale recitando il rosario, chi parlando di storie personali, chi non sbaglia un verbo, chi non va oltre il palermitano stretto. Rosalia è ancora lontana nei primi tornanti ma è pronta ad accogliere tutti e tutte.

Elena mi dice che chiederà tranquillità, serenità, salute personale e familiare e per gli amici. Ma poi evidenzia che “la storia della Santuzza può esserci d’aiuto nella prospettiva di indipendenza femminile, se è riuscita ad essere libera lei tanto tempo fa possiamo farcela pure noi”.

Due giapponesi si inerpicano fotografando tutto. Tiziana non è religiosa, ma ci tiene a dire che il rapporto con Rosalia è per lei importante, di stima, “perché vede che smuove le folle e le coscienze. Poi è una donna libera, quindi il suo spirito lo apprezza in toto. Dovrebbe illuminare le menti dei palermitani affinché amino di più la città”.

Un uomo mi chiede se è vero che ci siano ancora 27 chilometri per arrivare. La compagna se la ride per averlo preso in giro. Filippo ha la maglietta di Santa Rosalia realizzata su un suo disegno. Da quando è nato è un “acchianante”, i suoi genitori lo portavano da piccolissimo. Da 18 anni la fa da solo. Rosalia, credi o non credi, è lì – mi dice – come punto di riferimento per tutti. Collabora col Festino e ha realizzato la statua bianca della Santa che si trova in cima.

I volontari e le forze dell’ordine in tutto il percorso sono abbastanza presenti. Così come l’assistenza sanitaria. Rosalia, con un passato in Comunione e Liberazione, con la famiglia e il cane Baltica, sale per la prima volta il 3 settembre. Come donna libera è stata un esempio – afferma – chiede a Lei che i giovani possano rimanere e che ci sia un lavoro per loro e per tutti.

Norma è filippina, sorride sempre, la rispetta come protettrice della città e ha offerto anche le bavette dei suoi figli nati a Palermo.

Siamo quasi a metà percorso. C’è chi si ferma un attimo per riprendere forze. José Antonio Sabino è della Congregazione di Gesù e Maria ed è da quattro anni parroco a Nostra Signora della Consolazione di via dei Cantieri. Sono in 4, due colombiani, un messicano e lui. Che è alla quarta acchianata. Ha un viso e un sorriso empatici e accoglienti. Santa Rosalia è la patrona della parrocchia di sua madre in Venezuela. Anni fa, appena arrivato a Palermo, si è ammalato di Covid. È stato più di un mese ricoverato e ha chiesto alla patrona la guarigione.

Bisogno di pace

Ci sono tantissimi ragazzi e ragazze che salgono. Due suore fanno strada insieme. Una, Mena, è filippina, opera allo Sperone in parrocchia e insegna a scuola. L’altra, Lidia, è originaria del Benin, è infermiera, presta servizio presso una casa di cura ed è impegnata nella parrocchia di Santa Lucia al Borgo Vecchio.

Lidia chiederebbe, come ha detto il vescovo, sottolinea la pace nel mondo. Mena un aiuto per i ragazzi dello Sperone e le loro famiglie che spesso sono in difficoltà, coinvolte in storie di droga. Federica fa l’acchianata a piedi scalzi, come tanti, anzi tante, perché sono soprattutto donne ad andare senza scarpe. Di Santa Rosalia la colpisce il coraggio, chiede salute, serenità e pace.

Non è possibile evitare di riprendere le immagini di luce che provengono dalla città. Valentina sale col marito e col figlio piccolo nel passeggino. L’acchianata l’ha fatta l’ultima volta prima della nascita di Giuseppe, adesso che ha 5 anni ci riprovano. Per suo figlio chiede una buona condotta di vita, onestà, trasparenza e tanta pace.

In compagnia di don Natale

Un pezzo di percorso lo faccio con don Natale Fiorentino, parroco del Santuario dal settembre 2023. È un religioso del Don Orione, realtà che da 80 anni cura il Santuario. Il mio rapporto con lei – mi dice – è mediato dal Vangelo, nel senso che leggi il Vangelo e ritrovi dappertutto lei. Contemplazione, servizio, silenzio, amore della natura la definiscono secondo il suo punto di vista. Aggiunge che Rosalia può essere imitata da tutti, nelle case, nelle famiglie, nei quartieri, perché con semplicità ha vissuto il vangelo. Piuttosto che chiedere grazie dovremmo fare di più noi, chiosa. La vera devozione è l’imitazione dei santi. Chiediamo allora a Santa Rosalia – mi dice – di poterla imitare.

La sua è una parrocchia particolare. Il Santuario, sostiene don Natale, è una parrocchia che ogni giorno cambia parrocchia. I parrocchiani cambiano. La sfida – conclude don Natale – è che in pochi minuti devi dare un messaggio, una freccia d’amore del Signore nel cuore di chi viene, perché chi sale è già molto ben disposto.

Quel che conta è il viaggio

Sono quasi arrivato. Un ultimo sguardo su Palermo e già inizia la piccola discesa asfaltata verso il Santuario. Matteo lo trovo sotto l’ultimo pezzo di scala che porta all’entrata del Santuario. Abbraccia una grande statua di Santa Rosalia attorniato dalla sua famiglia e dai nipoti. Ha lavorato per tanto tempo in Germania, nei pressi di Stoccarda, adesso è in pensione ed è rientrato in Sicilia. Ed è qua, lo dice alla palermitana, per una “promisione'”.


La coda per entrare al Santuario è molto lunga. Scelgo di non varcarla perché questa volta conta il viaggio. Che ho fatto molto lentamente. Da soli si arriva prima, ma insieme si arriva meglio.

Chiudo il taccuino elettronico e inizio la discesa. Sino alla fine c’è ancora tanta gente in salita. Palermo la ritrovi giù. Nelle cure miracolose della Santuzza, ma anche quotidianamente nelle mani dei palermitani.

Concludiamo con don Corrado. Nel suo discorso iniziale chiedeva che la città sia più umana, più vivibile, luogo di incontri veri dove non prevalgano interessi personali. Ne saremo capaci? Abbiamo, al netto della protezione di Rosalia, ampi margini di miglioramento.