La Repubblica Palermo
25 luglio 2017
GLI INVINCIBILI SILENZI DELLA CLASSE DIRIGENTE
Francesco Palazzo
Dopo ogni 23 maggio e 19 luglio ci rimane una certezza. Ancora tanti sono i buchi neri di verità da riempire, sia per quanto riguarda il periodo stragista, sia per che ciò che concerne i legami tra classe dirigente e cosche. Non senza amarezza abbiamo registrato la constatazione di Fiammetta Borsellino, che 25 anni si sono persi in riferimento all'attentato in cui perse la vita il padre. Ma potremmo dire che quasi due secoli si sono perduti perché mai si è riusciti a fare piena luce sulle connivenze tra criminalità organizzata e i piani alti del paese. E non certo per colpa dei mafiosi. Loro parlano, eccome se parlano. Lo fanno quando collaborano con la giustizia, quando li ascoltiamo in diretta con le intercettazioni, anche da dentro le patrie galere ci trasmettono fiumi di parole. Quella che sta allineata e coperta è la classe dirigente, soprattutto del meridione. Dove sino a oggi, saranno indebolite finché volete, imperversano tre organizzazioni criminali. Che fanno di questa parte del paese la palla al piede dell'Italia, non facendola competere come potrebbe nel sistema europeo e mondiale. Parliamo di una lunga trattativa, implicita o esplicita, che ha attraversato tre secoli, e che ha visto i colletti bianchi osservare, al contrario delle coppole storte, che invece sono affette da logorrea, un oggettivo status omertoso che costituisce davvero ancora il problema che abbiamo davanti. Sì, ci indigniamo quando la statua rappresentate Falcone o la lapide raffigurante Livatino sono profanate. Episodi, è bene dirlo, sui quali è più la retorica che viene riversata, che i provvedimenti concreti. Allo ZEN 2 c'è stata sino ad oggi una teoria di visite di ministri e massimi esponenti delle istituzioni da fare paura. Ma la situazione non si è mossa neppure di un millimetro. Ma il vero scandalo è, appunto, il silenzio delle classi dirigenti. Siamo d'accordo che la mafia, a parte il consenso che riceve, da non sottovalutare con valutazioni buoniste, dal popolo dei quartieri, non sarebbe mai diventata un fatto strutturale se non avesse mai avuto stretti legami con chi detiene il potere economico e politico. Quando la classe dirigente viene coinvolta in indagini, assume l'atteggiamento della difesa ad oltranza. Un muro contro muro che neanche i mafiosi incalliti adottano, visto che molte star del gotha criminale passano dalla parte dello Stato. È facile sentire i mafiosi che collaborano pronunciare la seguente frase. « Lo faccio perché i miei figli non crescano in questo ambiente e non seguano la mia strada » . Vi è mai capitato di sentire un'affermazione del genere da un rappresentante del mondo di sopra che si trova accusato e magari condannato? Ancora più impossibile che una tale reazione si abbia da parte di chi non è stato sfiorato da nulla ma ha macigni sulla coscienza. Ed anche qui, piuttosto, ci sono stati casi di mafiosi, il mondo di sotto, che hanno parlato di gravi reati commessi senza essere indagati. D'altra parte, anche dal punto di vista legislativo si è assunto questo status di resistenza. Quasi tutti i provvedimenti antimafia sono stati presi sull'onda dell'emergenza, il riconoscimento stesso della mafia come reato è stato votato solo nel 1982. Non pervenuta ancora la regolamentazione legislativa, chiesta da più parti da decenni, del reato di concorso esterno alle mafie. Quanti altri 23 maggio e 19 luglio dobbiamo vivere con il peso del silenzio pressoché unanime della classe dirigente rispetto ai tanti frammenti che ancora ci mancano?