mercoledì 26 luglio 2017

Mafie: la loquacità del mondo di sotto e i silenzi del mondo di sopra.

La Repubblica Palermo

25 luglio 2017

GLI INVINCIBILI SILENZI DELLA CLASSE DIRIGENTE

Francesco Palazzo
Dopo ogni 23 maggio e 19 luglio ci rimane una certezza. Ancora tanti sono i buchi neri di verità da riempire, sia per quanto riguarda il periodo stragista, sia per che ciò che concerne i legami tra classe dirigente e cosche. Non senza amarezza abbiamo registrato la constatazione di Fiammetta Borsellino, che 25 anni si sono persi in riferimento all'attentato in cui perse la vita il padre. Ma potremmo dire che quasi due secoli si sono perduti perché mai si è riusciti a fare piena luce sulle connivenze tra criminalità organizzata e i piani alti del paese. E non certo per colpa dei mafiosi. Loro parlano, eccome se parlano. Lo fanno quando collaborano con la giustizia, quando li ascoltiamo in diretta con le intercettazioni, anche da dentro le patrie galere ci trasmettono fiumi di parole. Quella che sta allineata e coperta è la classe dirigente, soprattutto del meridione. Dove sino a oggi, saranno indebolite finché volete, imperversano tre organizzazioni criminali. Che fanno di questa parte del paese la palla al piede dell'Italia, non facendola competere come potrebbe nel sistema europeo e mondiale. Parliamo di una lunga trattativa, implicita o esplicita, che ha attraversato tre secoli, e che ha visto i colletti bianchi osservare, al contrario delle coppole storte, che invece sono affette da logorrea, un oggettivo status omertoso che costituisce davvero ancora il problema che abbiamo davanti. Sì, ci indigniamo quando la statua rappresentate Falcone o la lapide raffigurante Livatino sono profanate. Episodi, è bene dirlo, sui quali è più la retorica che viene riversata, che i provvedimenti concreti. Allo ZEN 2 c'è stata sino ad oggi una teoria di visite di ministri e massimi esponenti delle istituzioni da fare paura. Ma la situazione non si è mossa neppure di un millimetro. Ma il vero scandalo è, appunto, il silenzio delle classi dirigenti. Siamo d'accordo che la mafia, a parte il consenso che riceve, da non sottovalutare con valutazioni buoniste, dal popolo dei quartieri, non sarebbe mai diventata un fatto strutturale se non avesse mai avuto stretti legami con chi detiene il potere economico e politico. Quando la classe dirigente viene coinvolta in indagini, assume l'atteggiamento della difesa ad oltranza. Un muro contro muro che neanche i mafiosi incalliti adottano, visto che molte star del gotha criminale passano dalla parte dello Stato. È facile sentire i mafiosi che collaborano pronunciare la seguente frase. « Lo faccio perché i miei figli non crescano in questo ambiente e non seguano la mia strada » . Vi è mai capitato di sentire un'affermazione del genere da un rappresentante del mondo di sopra che si trova accusato e magari condannato? Ancora più impossibile che una tale reazione si abbia da parte di chi non è stato sfiorato da nulla ma ha macigni sulla coscienza. Ed anche qui, piuttosto, ci sono stati casi di mafiosi, il mondo di sotto, che hanno parlato di gravi reati commessi senza essere indagati. D'altra parte, anche dal punto di vista legislativo si è assunto questo status di resistenza. Quasi tutti i provvedimenti antimafia sono stati presi sull'onda dell'emergenza, il riconoscimento stesso della mafia come reato è stato votato solo nel 1982. Non pervenuta ancora la regolamentazione legislativa, chiesta da più parti da decenni, del reato di concorso esterno alle mafie. Quanti altri 23 maggio e 19 luglio dobbiamo vivere con il peso del silenzio pressoché unanime della classe dirigente rispetto ai tanti frammenti che ancora ci mancano?

giovedì 6 luglio 2017

Quanto conta il popolo delle parrocchie nella chiesa di Palermo?

La Repubblica Palermo

5 luglio 2017

IL DIALOGO CHE MANCA NELLA CHIESA "IN USCITA"

FRANCESCO PALAZZO

Di preti trasferiti e di conseguenti lamentele, sin sotto i balconi curiali di via Matteo Bonello, sono piene le cronache. Dai piani alti dell'arcidiocesi palermitana, sempre lo stesso atteggiamento. Nessuna spiegazione ai praticanti, i quali sarebbero il corpo della Chiesa, il suo cuore pulsante, lo zoccolo duro del messaggio di Cristo sul territorio. Pare che quanto avvenga all'interno del mondo cattolico, non solo palermitano, sia un fatto circoscritto alle gerarchie. Il popolo di Dio, come viene chiamato, è evidentemente, nella quasi totalità dei casi, un gregge da condurre per mano dei pastori senza troppi scambi di idee. Non si vogliono qui scomodare concetti come democrazia o "una testa, un voto". Ma un minimo di dialogo, di confronto, anche a provvedimenti presi, magari meglio prima, sarebbe il minimo. Non dei rapporti tra correligionari ma tra esseri umani. Questo vale sempre, a maggior ragione se lo spostamento avviene non per un fisiologico ricambio, ma per questioni dottrinarie. È il caso di don Alessandro Minutella, la cui forzata rimozione è stata formalizzata dalla Curia, trovando il rifiuto dei parrocchiani sino alla resistenza fisica, rientrata solo adesso. Così che per giorni è stato impedito al successore di prendere possesso, come si dice nel linguaggio clericale, della parrocchia. E già in questo modo di esprimersi sta tutta la dinamica che sottende la vita delle parrocchie e ci fa capire che non siamo di fronte a un caso eccezionale. Il parroco è il capo, questo il messaggio; gli altri, bene che vada, sostanzialmente comprimari. Perciò i fedeli non si percepiscono quali comunità di fede autonome aventi voce in capitolo, ma come masse più o meno indistinte che dipendono dai sacerdoti. Tanto che quando questi vanno via c'è il disorientamento. Ciò denota una forte criticità nella vita delle assemblee cristiane. Del resto, questo stato di cose viene confermato da chi guida le diocesi: se qualcosa non va, si sostituisce un parroco con un altro, e tutto dovrebbe, secondo i piani di chi prende simili decisioni, tornare a posto. Possiamo chiederci che Chiesa è questa? Cosa può comunicare al mondo un siffatto modo di intenderla e praticarla nei rapporti assolutamente asimmetrici tra coloro che stanno sugli altari e le masse che stanno sotto? Per invertire questo pernicioso modo d'essere del cattolicesimo si dovrebbe iniziare a dialogare con le persone. Non agendo sulla leva della misericordia e del paternalismo. Ma riconoscendo diritti tra le parti. Dicendosi reciprocamente che non è da una tunica che dipende un percorso cattolico e che i fedeli non sono i terminali di un'azione pastorale. Per far questo ci vogliono modifiche radicali, nella forma e nella sostanza. Perché allora, per dare un segnale in controtendenza, altrimenti è dura far passare il messaggio che siamo con Francesco di fronte a una Chiesa "in uscita", che si rinnova, l'arcivescovo Corrado, così come richiesto dalla gente del luogo per un'intera settimana, non è andato nella parrocchia in questione per un confronto con quanti la frequentano? Certo, sarebbe entrato nel vortice del conflitto. Ma la vita pubblica, e quella di un vescovo lo è, non è fatta solo di consensi. Siamo certi che a don Lorefice sia rimasta la curiosità sulla parte di ragione, anche piccola, di cui queste persone, a prescindere da don Minutella, sono portatrici e che andrà ad appurarla di persona. E, visto che siamo in tema di chiarimenti, sarebbe opportuno che con i fedeli della Chiesa di Palermo si affrontasse un caso, eclatante per cento volte quello di don Minutella. E cioè la rinuncia, caduta da mesi nel silenzio, del vescovo ausiliare, a causa di contrasti che scorrono nella Chiesa palermitana. Anche qui il popolo di Dio non può essere spettatore, deve sapere cosa accade, visto che ancora non c'è un vicario, farsi un'idea e dire la propria.

lunedì 3 luglio 2017

Palermo: i bambini ci guardano. E hanno diritto alla bellezza.

La Repubblica Palermo
2 luglio 2017
Una città per Anthony e i suoi fratelli
Francesco Palazzo

Registriamo la storia a lieto fine di Anthony, il bambino del Borgo Vecchio che ha segnalato il degrado in uno spazio privato, trovando questo giornale attento e il comune pronto. Pare che dall’altra parte della città, in Via Messina Marine, un altro bambino, avendo saputo di questa vicenda, ha chiesto un intervento simile. Ma, mentre riferiamo di questi due casi, non possiamo fare a meno di pensare ai tanti bambini che subiscono silenziosamente scorci quotidiani di bruttezza a Palermo. Perché, diciamolo, quello di Anthony dovrebbe essere un caso più unico che raro. Normalmente, ai bambini la bellezza dovrebbe essere offerta, quotidianamente, senza che debbano essere costretti a gesti straordinari. Sia perché i bambini devono fare i bambini. Ma anche per il motivo che questi riflettori illuminano singoli casi, tutto il resto rimane al buio. Chissà cosa pensano i bambini che abitano davanti al porticciolo di Sant’Erasmo vedendo un’area sostanzialmente abbandonata. C’è bisogno che un piccolo afferri la giacca di qualche giornalista oppure si può provvedere senza bisogno di gesti così? Ma anche i piccoli che scrutano ogni giorno, senza dire una parola, quella passarella sul mare in legno abbandonata e in malora dalle parti del Buccheri La Ferla, che culto della bellezza nutriranno? E ancora. Cosa gira nelle teste dei pargoli di Via Hazon, quartiere Brancaccio, un insediamento di centinaia di famiglie (de) portate all’inizio degli anni ottanta? Ci passo spesso. Vedo un grande palazzone senza portone d’ingresso, dove entrano ed escono piccoli esseri umani e un altro che ha di fronte un rudere accanto al quale “giocano” piccoli uomini e donne. E cosa occupa le teste dei piccoli e delle piccole nati in un quartiere come lo ZEN 2, ormai non più a favore di telecamere elettorali? Qualcuno di loro avrà il coraggio di Anthony in questo come negli altri quartieri, periferici o meno, dove in molti, troppi casi, non trionfa la bellezza? E seppure accadesse, un’altra volta e un’altra volta ancora, avremmo risolto, ma solo casualmente, dei piccoli frammenti di disagio. Ma il compito della politica non è quello di navigare nel casuale, nell’eccezionale, nell’episodico, nel sensazionale. La buona politica veste l’abito della normalità. Anthony, e tutti i bambini e bambine di questa città, non dovrebbero sentire su di loro il peso di macigni grandi come montagne da spostare. Abbiamo il dovere di garantirgli una vita normale. Il brutto dovrebbe sparire dalla loro vista senza che gridino o lo subiscano muti. Il bello dovrebbe essere una costante dei loro orizzonti di vita, così come l’affetto dei genitori. Ecco, come programma di questa amministrazione, magari quando avrà finito di progettare il governo della regione e inizierà a concentrarsi di più su quello della città, ci pare abbastanza concreto. Si percorrano tutte, ma proprio tutte, le strade del capoluogo e si sostituisca alla narrazione della città che viaggia verso la perfezione quello della comunità guardata con gli occhi dei bambini. Ci si metta a guardare Palermo dal loro punto di vista e si veda cosa non va, facendolo sparire dalle loro vite. Forse, così facendo, il quinquennio che abbiamo davanti inizierà per Palermo nel verso giusto. Una città a misura di bambino sarà più bella e vivibile per tutti.