domenica 28 agosto 2016

Storia di manette e Vucciria. Ovvero. Palermo senza regole.

La Repubblica - Palermo
27 agosto 2016 - Pag. I

Quella insopprimibile insofferenza alle regole

FRANCESCO PALAZZO

A febbraio 2014, alla Vucciria, abbattendo un muro, che non era quello di Berlino, messo dal comune dopo la caduta di un rudere, più che la libertà politica la movida palermitana intese difendere un prosecco e un’olivetta. Ad agosto 2016, sempre alla Vucciria, si sono fatti molti passi in avanti. Uno scippatore, già in manette, è stato favorito nella fuga dalla folla indifferente o complice. Queste reti di protezione in genere riguardano altri contesti e comunque vedono in scena familiari o amici stretti dei rei. Ma quando poi scattano le manette neanche il più incallito mafioso riesce a divincolarsi. Alla Vucciria si è superato questo limite. Nei luoghi della movida si fuma, e dunque si spaccia, un po’ di tutto e ciò viene ritenuto normale. I controlli sono visti come un disturbo da una platea di gente formata dalle più diverse classi sociali. Il sottrarsi alle regole minime è la quotidianità a Palermo. Per dire, è difficile, in tantissimi esercizi commerciali, che gli scontrini vengano emessi, anche perché non sono neppure chiesti. Appena tu rompi la prassi, vieni guardato male. Altro scenario. Viale Regione Siciliana. Ci sono cartelli che indicano il limite di velocità. Ma questo asse viario rimane una grande pista da corsa. Se qualcuno cerca di non superare il limite, si prende gestacci e insulti. Per ultimo quello che, dopo avere strombazzato sul clacson, mi ha superato a destra l’altra mattina, tirato fuori il braccio in un certo modo, come solo i palermitani sanno fare, e lanciato improperi di ogni tipo. Come se fosse un comportamento normale, e in effetti lo è diventato in Viale Regione, non rispettare sistematicamente un semplice limite. I panormiti si lamentano del mondo intero, politica compresa. Ma sono i primi a mettersi sotto i piedi elementari regole di convivenza. Che altrove, durante le vacanze estive, ammirano e onorano. Tipo aiutare le amministrazioni sul fronte immondizia. A Carini, vista la cosa dalla zona estiva di Villagrazia, ci stanno provando. Hanno tolto i contenitori e installato delle telecamere di sorveglianza. Prelevano l’immondizia, differenziata, davanti le abitazioni. Le strade sono sgombre dalle montagne di sacchetti che facevano bella mostra. Ma ciò non scoraggia tanti palermitani che costituiscono quasi tutta la popolazione estiva da quelle parti. Cercano zone sprovviste di telecamere per implementare nuovi letamai. Ma il capolavoro lo fanno di mattina presto. Quando lanciano il sacchetto di rifiuti qualche metro prima di immettersi nell’autostrada che li porterà al lavoro a Palermo. Anche in spiaggia vedi tanti palermitani refrattari alle regole e al buon senso. Da quelli che ti fumano tipo ciminiera a due passi dal naso e poi sotterrano le cicche, e se glielo fai notare ti guardano storto, a coloro che giocano, cosa vietata, con i palloni sulla battigia come fossero al Maracanà. Colpendo pure, è accaduto a Magaggiari (Cinisi), due ragazzi immobilizzati sulle sedie a rotelle. Potremmo dire di altre abitudini malsane, come il parcheggiare dappertutto o buttare quella che capita dai finestrini delle auto. Ma ci vorrebbe un saggio. Il vivere in una società in cui ciascun fa ciò che gli pare, coniugato alla mancanza di lavoro, dovuta anche ai ranghi pubblici che si riempiono di assistenzialismo senza merito, porta i giovani universitari palermitani, mi è capitato di sentirne molti sull’argomento, ad attendere impazienti la fine del primo triennio di studi per andarsene a fare la specialistica altrove. Tanto sanno che solo fuori troveranno lavoro e società che si basano, oltre che sul rispetto delle regole, sulla meritocrazia. Ci troviamo a pochi mesi dall’elezione del sindaco di Palermo. In campo con le scarpe chiodate le consorterie politiche, non i bisogni della comunità cittadina. Ma pure se dovessimo trovare un Giorgio La Pira, e allo stato non intravediamo neppure lontanamente tale possibilità, il destino del capoluogo rimane nelle mani degli adulti. Che, nove volte su dieci, danno pessimi esempi alle nuove generazioni. Quando poi si arriva, ma è l’epilogo lungo una linea di inciviltà diffusa, a sottrarre alle forze dell’ordine uno già ammanettato, significa che si è passato un punto dal quale è forse difficile tornare indietro.

giovedì 25 agosto 2016

La ZTL a Palermo. Quando manca il coraggio.


La Repubblica Palermo - 24 agosto 2016 - Pag. I

Consenso e paura intorno al traffico

Francesco Palazzo
Per fare le cose, sostiene la giunta che amministra Palermo a proposito delle zone a traffico limitato, ci vuole il consenso. Ma si potrebbe anche dire che il consenso, che certo in politica non è un aspetto secondario, puoi anche crearlo avendo il coraggio di scelte nette. La primavera di Palermo, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, si è nutrita più del secondo aspetto che del primo.Invece, il comune di Palermo, spostando sempre più verso il basso l'asticella, ha varato la ZTL della paura. Paura degli elettori, da una parte, a pochi mesi dalle elezioni, e paura delle associazioni di commercianti, dall'altra, che pressavano per un provvedimento con un minimo impatto sulle loro attività. Il risultato, rispetto a quanto coerentemente annunciato dal comune dopo la sentenza del CGA, e cioè che si sarebbe andato dritto facendo partire le due ZTL e che si eliminava per i non residenti l'abbonamento annuale sostituito con accessi giornalieri (come avviene ovunque), è un ripiego verso qualcosa che si fa fatica a comprendere. Innanzitutto, per le vie principali interessate. Se consideriamo, infatti, che il primo segmento di questa ZTL impalpabile va dal Teatro Massimo ai Quattro Canti, dobbiamo constatare che trattasi della prima parte di Via Maqueda, già di fatto isola pedonale. Sostanzialmente, quindi, si sta puntando sull'ultima parte di Via Maqueda che comincia dal Palazzo delle Aquile, ossia una zona commercialmente molto desertificata. Anche considerando l'altro asse di questa ZTL della paura, ossia corso Vittorio Emanuele, a parte che anche qui non ci pare che il commercio pulluli, trattasi di una strada già per metà, da Porta Nuova ai Quattro Canti, oggetto di restrizioni che vanno verso la pedonalizzazione. Se, poi, poniamo attenzione sulle vie interne a questi assi principali, che ricadono in questa zona a traffico limitato, sono dedali di strade in cui oramai il traffico veicolare è davvero scarso, dunque non si capisce perché farne il bersaglio di tale provvedimento. Insomma, la percezione è che oramai, visto che ci si era esposti con parole anche non leggere verso i resistenti, cascasse il mondo, si doveva tenere il punto. Facendo partire, o annunciando, perché ancora non sappiamo dovrà andrà a cadere alla fine il ragionamento del comune, un'ordinanza che non è né carne né pesce, assomiglia tanto ad una ritirata, non serve alla città e non sposterà di molto le abitudini degli automuniti. Soprattutto perché, sul versante delle sanzioni, non ci saranno i previsti controlli con le telecamere sino a fine anno. Insomma, per dirla alla palermitana, " un ci fu nienti, pigghiamunni u cafè". Per dirla, meno efficacemente, in lingua italiana, tanto rumore per nulla. A volte, in politica, l'alternativa a un progetto che ormai si ritiene spuntato, per diversi motivi, non è trovare un timido e inutile ripiego. Ma l'ammettere che ci si è provato seriamente e che si rimanda il tutto, se rieletti, alla prossima legislatura. Perché è chiaro che i cambiamenti radicali sulla mobilità vanno decisi e attuati ad inizio mandato. In modo che se ne possa misurare compiutamente e con calma l'efficacia, sottraendo la tematica al dibattito elettorale. Cosa poteva fare, invece, su questa area adesso interessata, il comune a pochi mesi dal voto? Poteva proseguire nella cosa che forse, con tutti i limiti che l'hanno caratterizzata, gli è riuscita meglio dal 2012 a oggi, ossia le pedonalizzazioni. Estendendo quella già esistente nel primo tratto di Via Maqueda a tutta la strada e quella già in nuce nel pezzo alto di Corso Vittorio Emanuele sino a Porta Felice. Del resto, in tal senso, se abbiamo ben capito, diverse sono già le richieste, non sol su queste vie ma anche su via Roma. Se si cercava il consenso e se si voleva fare qualcosa di utile ci si poteva cimentare in questo. Anche se, quando si cominciano a temere gli elettori è probabile che si sia già cominciato a perdere.

venerdì 12 agosto 2016

Sicilia, nuova legge elettorale sindaci. Un passo in avanti per gli elettori.

La Repubblica Palermo
11agosto 2016 - Pag. I

Ma quella riforma elettorale può dare stabilità ai comuni

Francesco Palazzo

Conosciamo la Sicilia laboratorio politico che anticipa quanto poi succede a livello nazionale. Viste le condizioni in cui versiamo, c‘è chi ha qualche dubbio su questo precorrere. Intanto, perché anticipare non vuol dire porre in essere cose positive. Bisognerebbe, poi, riuscire a dimostrare tale virtuosità anticipatrice. In terzo luogo, anche se si ha un’intuizione nuova, non è raro che tutto rimanga impantanato nel capitolo delle occasioni perse. Basta ricordare l’istituto autonomistico. Volevamo essere speciali e fatichiamo a essere normali. Tuttavia i precedenti non devono farci velo quando ci troviamo davanti un provvedimento interessante. Ci riferiamo alle modifiche, votate all’Ars, riguardanti le elezioni dei sindaci, la sfiducia nei loro confronti e la composizione delle relative maggioranze, per i comuni sopra i 15 mila abitanti. Il punto principale prevede che il candidato sindaco che supererà il 40 per cento sarà eletto al primo turno. Partiamo da una considerazione che non si deve perdere di vista quando si parla di leggi elettorali. Queste, più che al ceto politico, servono a chi elegge. Ogni dispositivo elettorale va guardato per ciò che permette, o nega, al corpo elettorale. Vanno esaminati due aspetti: se si consente alle urne l’espressione della democrazia rappresentativa e se si creano, chiusi i seggi, governabilità e veloce gestione della cosa pubblica. Non ci serve sapere altro. Se democrazia in entrata, che non vuol dire permettere polverizzazione del consenso, e governabilità in uscita vengono promosse, possiamo archiviare i mal di pancia provenienti in queste ore da settori del ceto politico.Partiamo dalla democrazia rappresentativa. Gli elettori potrebbero eleggersi il sindaco senza dover attendere due settimane per la celebrazione dei ballottaggi. Che servono più a riposizionare gli apparati che gli elettori. Certo, se si fosse abbassata ancora l’asticella, questa opportunità poteva verificarsi con più facilità. Alcuni avrebbero voluta portarla al 35 per cento, altri eliminarla del tutto. Non c’era da scandalizzarsi. I presidenti di Regione vengono eletti con qualsiasi percentuale e a novembre, in un solo turno, si eleggerà il presidente degli Stati Uniti. Inoltre gli elettori, secondo questa modalità di voto, possono legare la maggioranza dei Consigli comunali ai sindaci. Nel senso che questi, per ottenere il premio al primo turno, dovranno avere al seguito una compagine politica consistente (40 per cento). Cosa del tutto normale, visto che i processi democratici e i governi si devono fondare non sull’uomo solo al comando, ma su un percorso condiviso del tessuto politico che affronta le elezioni. E qui passiamo al secondo corno del problema, cioè cosa accade dopo il voto, la governabilità delle cose concrete, quella per cui esiste la politica, che sovente viene messa in secondo piano da leader, populismi e forze politiche che pensano più a litigare che a praticare soluzioni che facciano andare avanti le comunità. Nel caso della legge appena modificata, con un sindaco che avrà una sua maggioranza forte e determinata da una vera rappresentanza delle forze presenti nella comunità, non più tanti consiglieri che entrano al suo seguito ma che rappresentano ben poco, come accaduto a Palermo nel 2012, si avrà una governabilità basata su un consenso ampio. Anche il discorso della decadenza del sindaco se il Consiglio non approva il bilancio, che deve essere meglio interpretata secondo la nuova normativa, non pare uno sproposito. Il bilancio è lo strumento principe delle amministrazioni, serve non al ceto politico ma alle città. Se come primo cittadino non ho i numeri per farlo approvare, è giusto che vada a casa. Qualsiasi riforma deve sempre servire alla democrazia e al governo della cosa pubblica. Questi due aspetti interessano esclusivamente coloro nei confronti dei quali si amministra, gli unici destinatari di ogni azione politica. Ammesso che la politica sia servizio e non mero esercizio di potere.