venerdì 27 giugno 2008

Sicilia: il 118 e un parto al buio allo ZEN

SETTIMANALE CENTONOVE
27 6 2008
COM'E' DIFFICILE NASCERE
Francesco Palazzo



Nella sanità siciliana può capitare di morire per una banalità o di venire alla luce in condizioni del tutto particolari. Quest’ultimo caso è l’esperienza di una coppia rumena abitante a Palermo, allo ZEN. Lei è gravida, quasi al nono mese, e sta male. E’ la notte tra domenica 22 e lunedì 23 giugno. Alle tre e quarantuno di mattina il marito Alexandru chiama il 118. La centrale manda un’ambulanza con medico, infermiera e due soccorritori. A quell’ora la corsa verso quel quartiere periferico è abbastanza veloce, il mezzo di soccorso è sul posto in pochi minuti. Il problema è che il rione si presenta tutto al buio, per un improvviso black-out che ha colpito una vasta zona di Palermo. La coppia abita in un palazzone al nono piano, tutto spento come un albero di natale dopo la festa. Gli operatori non sanno ancora il malessere preciso della donna, salgono a piedi al nono piano con tutto l’armamentario del caso, illuminando la salita con una torcia. Sembra la cronaca da un paese in guerra, ma siamo a Palermo. Arrivati nella casa dei due giovani, la dottoressa, per fortuna una ginecologa, si rende conto che il “malore” è in realtà la cosa più naturale di questo mondo, ossia un travaglio di parto in fase piuttosto avanzata. Sarebbe tutto semplice se ci si trovasse in un comodo ospedale, ma si deve operare al buio più pesto, col solo ausilio di una piccola torcia elettrica e di qualche candela. La donna non può scendere con l’ascensore, un trasporto per le scale al buio, dal nono piano, è altamente rischioso per una partoriente. Si chiamano i vigili, affinché con una pedana mobile facciano uscire la giovane dalla finestra. Nel frattempo il parto va avanti. La situazione si presenta subito più complicata di un normale parto spontaneo, anche perché, in realtà, ci vorrebbe un cesareo. Tuttavia, non c’è tempo. Solo quello di riuscire a divincolare il feto da due giri di cordone ombelicale che lo bloccano. Operazione che fatta alla “luce” di una torcia elettrica e di alcune precarie candele, diventa una manovra quasi alla cieca. Dopo qualche momento di difficoltà, grazie alla collaborazione tra due donne, una rumena, la signora Ramona Bianca, 30 anni, e un’italiana, la dottoressa del 118 Daniela Aquilino, la bimba riesce a vedere il mondo, pur venendo fuori con necessità impellenti di rianimazione. Le quali vengono espletate dal personale sanitario sempre al buio, con grande collaborazione della nuova arrivata, che senza l’aiuto in emergenza sarebbe morta soffocata. Non appena tutto termina felicemente, alle quattro e trenta del mattino, arrivano i vigili del fuoco, torna la luce e due ambulanze, la seconda rianimatoria nel frattempo giunta, partono per l’ospedale palermitano Vincenzo Cervello. Una porta la madre, l’altra la figlia. Potrebbe sembrare una storia di ordinaria sanità se provenisse dalla Norvegia, che possa accadere in Sicilia trasforma l’evento in un fatto abbastanza clamoroso. Sul quale va fatta almeno una riflessione. Il servizio sanitario regionale, certamente fonte di tanti sprechi, disservizi e clientelismi, presenta anche delle punte, pensiamo non poche, di ordinaria eccellenza. Che solitamente operano senza cercare la notorietà e che accettano la sfida di lavorare sul territorio, con tutte le difficoltà e gli imprevisti, come in questo caso, che ciò comporta. Tutte le disfunzioni della sanità siciliana, lo sappiamo, derivano dalla politica che cerca di spartirsi tutti i pezzi della torta in modo sempre più scientifico e brutale. Il nuovo assessore alla sanità, quindi, si occupi certo dei tagli e degli sprechi dove essi si verificano. Ma cerchi, soprattutto, di dare una netta sforbiciata, provando a tranciarli di netto, ai tentacoli dei partiti che infestano la scena pubblica siciliana nel suo settore più redditizio, la sanità. Solo apportando innanzitutto questi tagli si riuscirà a guarire il mondo sanitario pubblico siciliano. Solo così si potrà fare in modo che l’ordinaria eccellenza diventi normalità. La straordinaria normalità di un parto al buio allo ZEN.

domenica 22 giugno 2008

Palermo: Piazza Magione e Giovanni Falcone

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 22 GIUGNO 2008

Pagina XIV
A QUALCUNO NON PIACE LA PIAZZA PER FALCONE
FRANCESCO PALAZZO



Il clima si è notevolmente acceso. Si è arrivati alla petizione popolare. La controversia è partita dall´intenzione del Comune di intitolare piazza Magione a Giovanni Falcone. Le motivazioni dell´amministrazione, per la scelta del luogo, sono da ricercare nel fatto che il magistrato, nel cuore del centro storico, trascorse la sua infanzia. Parrebbe, dunque, una logica conseguenza quella di dare il nome del magistrato al posto dove egli trascorse la parte iniziale della sua, purtroppo non lunga, vita. Tale decisione ha però scatenato forti contrasti. Mossi, anzitutto, da quelli che ritengono non corretto il passaggio d´ufficio da piazza Magione a piazza Falcone. Sarebbe stato giusto, obiettano, sentire il parere dei residenti. Se questa è la difficoltà, si potrebbe mettere in campo, oltre alla petizione, perché no?, un vero e proprio referendum, con relativa campagna propagandistica dei contrari e dei favorevoli ed exit poll alla chiusura dei seggi. Tanto la macchina elettorale è ancora calda. Poi abbiamo chi si è messo di traverso sostenendo che la denominazione Magione, derivante dal francese maison, casa, sarebbe sinonimo di accoglienza e ospitalità. Come si farebbe, in futuro, a entrare in quella piazza senza più avvertire quell´atmosfera struggente di ritorno a casa che notoriamente pervade chiunque vi si rechi? Si propone, in alternativa, di imporre i nomi di Falcone e Borsellino ai quartieri Zen 1 e 2. Dimenticando che lo Zen, da anni, ha assunto il nome del fiorentino San Filippo Neri. Forse dobbiamo aspettarci un´ennesima petizione, questa volta da parte dei devoti del santo in questione?Infine, quella non manca mai, c´è una critica politica all´amministrazione comunale, che certamente ne merita tante e su aspetti strategici per lo sviluppo della città. Invece di intitolare strade, sostengono coloro che la buttano in politica, dovrebbe occuparsi delle emergenze cittadine: i disoccupati, i senzatetto, i quartieri periferici e via elencando. Per carità, giusti rilievi. Ma che sembrano aprire un nuovo filone dell´altrismo. Cioè l´innata capacità, diffusa in Sicilia, di guardare sempre da un´altra parte quando si discute di un argomento. Rappresenta la fatica, evidentemente insostenibile, di attenersi al tema posto all’ordine del giorno. A ben pensarci, allora, su Piazza Falcone, se proprio vogliamo allargare l’orizzonte critico, si possono contrapporre aspetti più importanti. A livello planetario c’è il problema irrisolto della fame nel mondo, che non dovrebbe farci dormire la notte, altro che occuparsi di piazze e targhe. In ambito regionale non si può non pensare, invece di perdere tempo a dedicare vie o slarghi a chicchessia, al dramma dei termovalorizzatori. Prima di realizzare i quali occorrerebbe, appunto, “altro”. Tipo la raccolta differenziata al 99,9 per cento. Inoltre, non possiamo non soffermarci sulla tragedia del ponte sullo stretto, che necessità di un capitolo a parte sul filone dell’altrismo. Prima di costruirlo, infatti, si vorrebbe una Sicilia perfetta, “altra”, completa d’infrastrutture e di quanto più meraviglioso può partorire la mente degli “altristi”. Insomma il Comune, nel porre in essere una decisione che in qualsiasi altra città sarebbe stata accolta senza alcuna discussione, si è imbarcato, senza rendersene conto, in una disputa che rischia di avere dimensioni immense. Finché è in tempo provi a rettificare, faccia un passo indietro. Lasci ai posteri piazza Magione. Solo un´avvertenza: aggiunga alla scritta "Magione" la traduzione in francese e il significato che il nome ha in quella lingua. In modo che gli abitanti del luogo possano respirare un clima internazionale, meglio conosciuto come aria del continente, che il suono del dolce accento transalpino non potrà che richiamare, oltre che ai residenti, anche agli occasionali visitatori. (La parte in rosso non è apparsa sul giornale).

mercoledì 18 giugno 2008

Provinciali siciliane 2008: la quasi scomparsa del centrosinistra

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 2008

Pagina I
L´analisi
Tutte le cifre di una sconfitta
FRANCESCO PALAZZO

Qualche ora dopo la chiusura dei seggi un dirigente palermitano del Pd, con una certa malcelata soddisfazione, assicurava che il trend catastrofico del centrosinistra era in inversione di tendenza. Il riferimento era alla realtà di Palermo e provincia. Registravamo la rivelazione con incredulità, in attesa di dati più attendibili. Dati che poi hanno smentito la certezza granitica del dirigente in questione, che da quel momento non si è più visto nelle varie emittenti televisive che commentavano i risultati elettorali. Ma ormai la leggenda metropolitana era entrata nel circuito mediatico e politico. E, infatti, nei giornali di ieri si poteva leggere la seguente dichiarazione del candidato alla presidenza della Provincia di Palermo: «Sapevamo che la sfida era difficile, ma rispetto ad aprile la distanza abissale del 40 per cento tra centrodestra e centrosinistra alla fine si è accorciata». Purtroppo per lui, dati alla mano, le cose non stanno così. Alle regionali di qualche mese addietro, il centrodestra prese nel collegio provinciale di Palermo il 68,61 per cento, il centrosinistra si fermò al 28,57. Alle provinciali palermitane quest´ultimo si è fermato al 26,34 per cento, il centrodestra ha toccato quota 73,66. Basta avere una semplice calcolatrice per vedere che il baratro tra le due coalizioni è passato dal 40,04 al 47,32 per cento. Altro che distanza accorciata. Vediamo le altre sette province in cui si è votato. Prendiamo Agrigento. In questa provincia alle regionali il centrodestra arrivò al 67,55 per cento, il centrosinistra al 30,65. Alle provinciali di domenica e lunedì scorsi, il centrodestra è balzato al 76,72 per cento, il centrosinistra, diviso in tre, è arrivato al 21,83. Nell´Agrigentino dunque, rispetto alle regionali, l´abisso tra le due parti politiche, inteso come voti andati alle liste, l´unico metro di valutazione che ha una base strutturale nella misurazione del consenso, è passato in poche settimane dal 36,9 al 54,89 per cento. In provincia di Catania si continuano a raggiungere cifre iperboliche. Se alle regionali la differenza tra le due coalizioni era del 50 per cento, ora si è passati al 61,5. A Messina, intesa come provincia, si è traghettato dal 43,32 per cento in più a favore del centrodestra alle regionali al 56,52 di ora. Palermo, Agrigento, Messina e Catania sono da inserire per il centrosinistra, registrandosi un divario che va da più del 45 a più del 60 per cento, nella fascia della più nera e infernale disperazione. Poi ci sono tre province, Caltanissetta, Siracusa e Trapani, dove il centrosinistra sta dentro una striscia, che potremmo chiamare purgatoriale, meno umiliante, ma sempre pesante. Nel Nisseno si è comunque fatto peggio rispetto alle regionali, passando da un distacco del 30,6 al 32,03 per cento. Nel Siracusano quasi simili gli equilibri. Alle regionali il centrodestra aveva staccato il centrosinistra di 30,74 punti percentuali, adesso l´asticella è salita al 33 per cento. Il Trapanese è l´unica provincia di questa fascia dove si è registrato un lieve miglioramento rispetto alle regionali. Ad aprile la divisione tra centrodestra e centrosinistra si attestava al 37,39 per cento, oggi, sommando i tre pezzi del centrosinistra che erano in campo per le provinciali, si arriva al 36,24 per cento di scarto. L´unica provincia dove il centrodestra pur vincendo non si è limitato a passeggiare sugli avversari, ma ha dovuto in qualche modo competere, si conferma quella ennese. Qui, addirittura, le liste del centrosinistra dimezzano complessivamente lo svantaggio delle regionali, che passa dal 14,87 al 7,73 per cento. Rimanendo al tema dantesco, non sarà il paradiso ma, con l´aria che tira, è almeno una sconfitta che il centrosinistra può analizzare e raccontare senza arrossire di vergogna.

sabato 14 giugno 2008

Sicilia: morire di lavoro e lavoro utilizzato male

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO, 14 GIUGNO 2008

Pagina I - Palermo
L´analisi
Nell´esercito regionale pochi addetti ai controlli
FRANCESCO PALAZZO

Morire di lavoro, sette persone in pochi giorni, ieri l´ultima vittima, in una Sicilia con tasso di disoccupazione triplo rispetto alle regioni italiane economicamente più floride. Dopo le tragedie si cercano le responsabilità. Mai un mese o un giorno prima. C’è il solito appello alla presenza dello Stato. Ma nel frattempo si apprende che alla regione, cui spetta insieme alle Ausl la competenza dei controlli sulle quasi cinquecentomila aziende private e su tutti gli enti pubblici, il personale ispettivo è ridotto al lumicino. Solo 150 gli ispettori e altri duecento in formazione. Un piccolo plotoncino di trecentocinquanta addetti, che già avrebbe difficoltà a controllare, bene, una città come Palermo. Figuriamoci tutta la Sicilia. Si tratta di una goccia nel mare. Per un´infrazione scoperta, ne sfuggono migliaia. Basta poco per capire che questo settore dell´amministrazione regionale è uno di quelli più sguarniti, a fronte di tanti uffici dove invece c´è un esubero rispetto alle mansioni da svolgere. Insomma, siamo alle solite. Più di ventimila dipendenti, la Regione Lazio ne ha circa 3.500 a fronte di 5.493.308 abitanti, numero sovrapponibile ai residenti siciliani, e si lasciano sottodimensionate postazioni di primo rilievo. Si farà mai alla Regione una ricognizione completa di tutto il personale, per capire come meglio utilizzarlo e formarlo? Domanda retorica, capite bene. E non c´è rinnovamento, spesso più teorico che praticato, che tenga. Quanti assessori, tra quelli appena insediatisi, hanno fatto, o hanno intenzione di fare, una ricognizione a tappeto delle unità di personale in servizio? Non si tratterebbe, a ben pensarci, di un lavoro improbo. Basterebbero, a ogni assessore, alcune settimane di lavoro per rendersi conto se i singoli sono impiegati secondo le inclinazioni, i bisogni dei vari uffici, il sapere e voler fare, la cultura e il titolo di studio posseduto (alla Regione non si tiene assolutamente conto di tali aspetti). E se, oltre a un impiego quasi sempre non corretto delle persone, c´è una carenza o, al contrario, una dotazione eccedente di lavoratori. Parliamo di aspetti gestionali che dovrebbero essere assolutamente fisiologici, normali, ordinari. Invece, lo sappiamo bene, e accade ogni volta che entra in carica un nuovo governo in Sicilia, i capi delle amministrazioni, e se ci sono eccezioni le registreremmo volentieri, si limitano a un saluto più o meno partecipato alla truppa, senza rendersi minimamente conto, oltre la quantità, di che qualità dispongono. Un´amministrazione complessa come quella regionale non può fare passi in avanti se non utilizza le risorse umane che ha in abbondanza. E che per qualità non sono seconde a quelle di altre regioni storicamente meglio funzionanti. Quanti dei ventimila in organico alla Regione potrebbero diventare ispettori del lavoro, coprendo un settore dalla cui completezza dipende la salvaguardia di vite umane? La risposta è che, a oggi, è impossibile saperlo. Così com´è difficile che altri rami dell´amministrazione, anch´essi marcianti a ranghi largamente incompleti, possano essere portati alle giuste dimensioni se prima non si capirà, nel dettaglio, com´è fatta questa massa, al momento indistinta, dei dipendenti regionali. Facendo questo discorso non possiamo, tuttavia, nasconderci un altro versante critico. Anche ammesso che miracolosamente si riuscisse a sbrogliare la matassa, pensate che sarebbe facile fare andare tutti i tasselli al loro posto? Domanda, anche questa, retorica. Che ne richiama un´altra. Se, non diciamo diecimila, ma uno solo dei dipendenti regionali fosse trasferito d´ufficio, in un luogo più consono alle sue abilità e più utile per le necessità dell´amministrazione, ritenete che i sindacati faciliterebbero l´operazione?