lunedì 22 luglio 2019

Antimafia: comici, big della canzone e vecchi merletti.


La Repubblica Palermo – 21 luglio 2019
Ma è giusto che l’antimafia esca dai recinti
Francesco Palazzo


Il 19 luglio, nel chiostro della questura, si è svolto un dibattito ricordando la strage di via D’Amelio. Il tema era il contrasto ai mafiosi e la sensibilizzazione delle nuove generazioni al rispetto di regole e istituzioni. C’erano volti conosciuti. Gero Riggio, Sasà Salvaggio, Gigi D’Alessio e Beppe Fiorello, intervenuto con un video. Le polemiche non si sono fatte attendere. Gonfiate dai social network, luogo in cui ogni testa è più che un tribunale e dove le reazioni seguono la corrente e lisciano il gatto per il verso del pelo. Cosa c’entra questo o quel personaggio con la memoria di una strage di mafia? L’arena di facebook ha fatto pollice verso. Non così i giovani presenti anche per il big della canzone. Che non sarebbero andati magari ad un convegno dove spesso le stesse persone parlano alle medesime facce, o ad appuntamenti sul filo dell’ortodossia antimafiosa. Non capisco francamente dove stia il problema. Perché non utilizzare, anche, canali comunicativi più immediati e coinvolgenti? Le reazioni di chiusura mi sembrano il segno, uno dei tanti, forse troppi a questo punto, di un’antimafia che non sa fare un passo in più rispetto allo stretto recinto del già visto e detto. Un’antimafia che si riduce ad un piccolo orto coltivato da sacerdoti, con il crocifisso e il vangelo della verità branditi come sciabole, che sembrano dire: « Noi sappiamo tutto da sempre e per sempre e voi non rappresentate nulla » . Verrebbe da rispondere a questi atteggiamenti con Francesco (non il papa ma Guccini). Nella canzone Libera nos domine mette in guardia dai fondamentalismi. Dei quali, chi non ha peccato scagli la prima pietra, qualche volta c’innamoriamo.


mercoledì 17 luglio 2019

Brancaccio, scopriamo cosa è in larga maggioranza questo quartiere.


La Repubblica Palermo
17 luglio 2019

Brancaccio, non solo mafia, l'altra faccia di un quartiere
Francesco Palazzo


Come si fa a descrivere il grado di scolarità di un quartiere come Brancaccio? I luoghi comuni sono dietro l’angolo. Ma la realtà può essere, come sempre, da scoprire. Potremmo chiederlo ai professori del luogo che hanno insegnato o insegnano all’università. O a Nino Saccone, che è stato prima tromba al Teatro Massimo e tra i fondatori del Brass Group. O a Claudio Stassi, fumettista e illustratore per editori prestigiosi. O domandare a Nino Sicari, docente di mediazione linguistica, interprete e tra i pochi a tradurre direttamente dall’inglese al francese. Qualche domanda può essere posta a dirigenti e ispettori bancari, come Nando, o a Luigi Condipodero, informatore medico scientifico tra altri o a diversi biologi.Potrebbe dare qualche spunto il giovane urbanista Antonino Di Marco, musicista e voce di un noto gruppo palermitano. Ci si può provare con tante insegnanti di scuola primaria, come Patrizia Russo o Anna Muratore. O materna, come Erina Gargano e altre. Qualche aspetto potrebbero evidenziarlo il compositore e ingegnere informatico Marco Di Stefano o la sorella Rosa, direttrice commerciale di alberghi e giornalista. O l’insegnante di religione Fabio Di Giuseppe, di filosofia Francesca Inzerillo e tanti altri docenti. Ma anche Maria Spataro, che lavora all’università, all’istituto di lingua italiana per stranieri, e ancora Lia Di Mariano, psicologa, operatrice per i bambini disabili al Comune ed esperta per la progettazione sociale su bandi nazionali europei. E poi preparatori atletici, qualcuno arrivato pure nella massima serie calcistica, o Francesco, esperto di psicologia della Gestalt applicata alla disabilità. Informazioni potrebbero fornirci i tanti sacerdoti, religiosi e religiose, più di dieci, che hanno trovato a Brancaccio la vocazione. Non sarebbero parchi di notizie Paolo Greco, fondatore del Nuovo Cinema Brancaccio e del cinema Lubitsch, Piera Sciacca, animatrice dell’associazione bambini in Braille e alcuni giovani imprenditori, come Massimo Palazzo. Ma potremmo citare ingegneri, uomini e donne di legge, scrittori, altri giornalisti. Anche diversi medici, tra cui Pippo Sicari, guida dell’associazione “Quelli della rosa gialla”, che ha portato dal rione in giro per l’Italia tanti musical. Si tratta di una minima selezione di originari o residenti nel quartiere. Come l’agronoma contrattista al Cnr Caterina Catalano. O Angelo Muratore, geologo, pilota e istruttore di volo. La lista potrebbe essere molto lunga. Ci vorrebbe, più che un articolo, un libro. Dovremmo aggiungere una sterminata sequenza di giovani laureati, laureandi, diplomati, diplomandi e i tanti ragazze e ragazzi, bambini e bambine che regolarmente frequentano le scuole di ogni ordine e grado pur essendo nati, miracolo, a Brancaccio e dintorni. Non stiamo segnalando nessun prodigio. Anzi bisognerebbe addizionare tanta gente che vive una vita normale, in famiglia, nella società e dal punto di vista culturale. E don Puglisi? E la mafia? L’opera di 3P era diretta, come dimostra la collaborazione con il Comitato Intercondominiale Hazon, a una zona del quartiere che da residenziale era diventata invivibile per il trasferimento in massa, senza servizi, di centinaia di famiglie del centro storico. Lì c’erano, e ci sono, situazioni di disagio scolastico. Stessa operazione miope si è creata a Ciaculli, borgo prima legato con un solo nome a Brancaccio e, con numeri ancora più grandi, si è messa in atto nel vicino rione dello Sperone. Ma i residenti di Brancaccio sono sempre andati tra i banchi e continuano a farlo. Don Pino, al suo arrivo a San Gaetano, trova una biblioteca con tremila volumi, intestata a Claudio Domino. Messa su dai giovani del quartiere. La mafia c’era, forte, e continua a esserci. Lo abbiamo visto ieri, lo vediamo oggi. Ma dobbiamo leggere sempre i quadri sociali nella loro complessità. In modo da venir fuori da situazioni critiche utilizzando le moltissime persone colte, oneste e perbene, professionisti, impiegati, casalinghe, studenti, che già sono in un determinato luogo. Se non si fa questa operazione, qualsiasi intervento, e ciò vale pure per le altre zone di Palermo, periferiche e centrali, dura e vale il tempo di una discussione. Ossia non molto.


domenica 7 luglio 2019

La piccola biblioteca dietro l'albero Falcone come esempio da seguire.


La Repubblica Palermo – 7 luglio 2019
Il portiere bibliotecario dell’albero Falcone
Francesco Palazzo

Il custode del palazzo ha attrezzato una libreria nella sua guardiola, con l’aiuto dei condomini
Sorge a ridosso dell’albero della memoria contro la mafia per eccellenza a Palermo. Quello che si trova pure nella guida Michelin. Quello davanti al palazzo in cui abitavano il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo. Il promotore di questa insolita quanto apprezzabile iniziativa, è colui che più conosce per gli altri 364 giorni, 23 maggio a parte, giorno in cui tutti facciamo l’esercizio talvolta retorico del ricordo, la vita quotidiana del ficus magnolioide di Via Notarbartolo 23. Ma accanto ad esso, cioè accanto all’albero diventato simbolo, sullo sfondo, è sorta un’esperienza allo stesso modo unica, almeno per chi scrive. Si tratta della biblioteca- portineria, alla quale ho fatto veramente caso l’ennesima volta che ci sono passato accanto dovendomi recare in uno studio medico. Non ero mai entrato prima dentro quella portineria, dove pur tante volte è passato Giovanni Falcone. Il rito della commemorazione prevede lo stazionamento dalle 17 e 30 alle 17 e 58 di ogni 23 maggio sulla strada. E, dunque, la "conoscenza" di quello spazio si ferma sull'uscio. Dentro, però, se ti capita di sbirciare, trovi tanti volumi dei più disparati argomenti. Il portiere, allegro e disponibile, mi dice che i testi sono per la maggior parte suoi, ma contribuiscono pure volentieri i condomini. Che quei testi leggo e che quei testi si scambiano. C’è di tutto a circondare, nel vero senso della parola, la sua guardiola. Ci sono gli otto volumi dell’enciclopedia universale Curcio, dei compact disc sulle leggi d’Italia, le fiabe di Grimm, una raccolta delle banconote d’Italia e una giraffa. In primo piano un libro sull’Albero Falcone e uno sul giudice, scritto dalla sorella Maria e altre opere che riguardano studi sulla mafia e sull’antimafia. Poi le Riserve Marine della Sicilia, l’Etna e analisi sulle imprese. Un’altra scommessa libraria in zona è la seconda sede delle librerie Paoline, anche questa a ridosso del posto esterno di guardia, ormai in disuso, sul marciapiede e del nostro albero, dove ogni anno confluiscono migliaia di ragazzi da tutta Italia. Che però non conoscono la biblioteca messa su da un portiere letterato. Una piccola libreria di condominio nella quale troviamo pure " I Disarmati", di Luca Rossi, la storia della Sicilia dopo il vespro e quella dei paladini di Francia. Un messaggio nella bottiglia, che può servirci, in fondo c’è. L’abbiamo scoperto da tempo ma lo pratichiamo non in maniera costante. La mafia si lotta studiando, si può sconfiggere scommettendo e investendo su cultura e formazione, non sulle paure. Dopo l’ultima operazione di polizia, che ha messo fuori gioco l’ennesima cosca mafiosa che aveva alzato la testa e illuminato, ancora, una non irrilevante parte di città che non si ribella, il questore di Palermo in un’intervista ha espresso il seguente pensiero. La repressione sì, ma per dire stop definitivamente a Cosa nostra ci vuole il popolo. Tutto. Magari che si convinca a impiegare, aggiungiamo noi, parte del proprio tempo anche nella conoscenza, che poi fatalmente non può che divenire azione virtuosa e coraggiosa. Non una tantum per un corteo, perché lì il movimento è facile e di breve momento, ma nella vita di tutti i giorni. Ecco qual è forse il monito che troviamo all'ombra, nelle retrovie, spentasi l’emotività annuale che si consuma in un solo pomeriggio, dell’albero più conosciuto d’Italia.

martedì 2 luglio 2019

La paura del governo e la protesta come unico orizzonte del riformismo debole.


La Repubblica Palermo
2 luglio2019
Lo spauracchio riformista
Francesco Palazzo

Bisognerebbe capire perché, non dico tutti ma quasi, coloro che andranno oggi in piazza a Palermo sui fatti di Lampedusa, hanno mitragliato un governo, quello guidato da Renzi, che sull’immigrazione ha assunto posizioni più a sinistra di Papa Francesco. Mi chiedevo la stessa cosa, pensando ai diritti civili, l’altro giorno al Pride palermitano. Nella stragrande maggioranza composto da persone che hanno indicato come il nemico pubblico numero uno colui che con le unioni civili ha fatto come nessuno mai in Italia nella storia repubblicana. E questo è ciò che riguarda il modo come viene trattato dall’esterno, anche al di là dei risultati su tematiche importanti, il maggiore partito riformista italiano. Ma c’è pure la battaglia interna. Limitandoci alla Sicilia, prendiamo atto che a fronte di un segretario regionale che sta promuovendo diverse azioni politiche, l’ultima sulla Sea Watch, c’è nel partito chi non perde giorno e occasione per sparare sul proprio quartiere generale. In generale, ci si scorda che la realtà si può cambiare con le politiche che poni in essere, soprattutto, se non esclusivamente, quando governi i processi. Altrimenti si fa testimonianza in piazza. E forse molti che hanno paura quando si governa, con tutte le contraddizioni e le asperità che ciò comporta, vogliono fare solo questo. Senza spostare un solo granello di sabbia elettorale a proprio favore. Ma non si può stare sullo scenario politico italiano, con la forza che ci vuole, se azzoppi in 20 anni tre governi riformisti. Pure con gli esecutivi Prodi 1 e 2, prima si fecero cadere e poi si andò tra le strade impauriti. Il centrosinistra dovrebbe superare questa fase adolescenziale. Magari mettendosi in mano, capendolo, qualche buon libro di storia italiana contemporanea. Ma temo che non lo farà. Nemmeno gli esempi e la memoria di chi va via lo smuovono. La scomparsa di Simona Mafai, ad esempio, fa venire meno un punto di riferimento, attuale, non situato nel passato, della vita politica di ciò che possiamo definire, con termine ormai forse poco significante, la sinistra palermitana. Che, dal punto di vista partitico identifica le formazioni che sono state il punto di riferimento degli ultimi anni dell’ex senatrice, pur da non iscritta. Solo che quei partiti, il PD e ciò che c’è alla sua sinistra in Sicilia, non costituiscono più da tempo una sintesi politica e umana. «Mi manca molto quella comunità», mi diceva a Villa Niscemi, durante il funerale, un consigliere comunale dei tempi in cui, negli anni ottanta, la fondatrice di Mezzocielo era capogruppo dei comunisti a Sala delle Lapidi. Il centrosinistra palermitano, ancor più quello siciliano, sfilacciato e in continua guerra fratricida, non ha, nel momento in cui altri si organizzano, nessun progetto per l’isola e il suo capoluogo. Ecco, mentre vanno via delle figure importanti, quella che rimane è la plastica assenza di una comunità politica che viene da un passato solido ma che non ha un presente. La lezione di Simona Mafai è quella di un coraggioso e moderno riformismo che guarda alle tante ragioni di un percorso comune tra simili, agganciato a saldissime radici non nostalgiche ma con ancoraggi nell’oggi. L’ultima sua significativa esperienza è il movimento Prendiamo la parola. Promosso da donne con diverse iniziative, l’ultima per le recenti europee. Dovrebbe riprendere parola il centrosinistra, a cominciare dalla Sicilia, e provare ad essere nuovamente una comunità riformista. A maggior ragione in un momento di risorgente bipolarismo. Ma non sembra vi siano i presupposti affinché ciò possa accadere nel tempo presente e nel futuro più vicino. Ciascuno sta nel proprio fortino a difendere quel poco, in certi casi quasi nulla, che rimane. Ma la vita non smette mai di sorprenderci e dunque vedremo.