mercoledì 21 marzo 2007

Sos da Brancaccio "Apriamo il parco Maredolce"

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ, 21 MARZO 2007

Pagina I
LA CITTÀ
Progetti faraonici, lavori fermi. Appello agli amministratori

Sos dal quartiere Brancaccio "Apriamo il parco Maredolce"
FRANCESCO PALAZZO
Già trent´anni addietro si parlava a Brancaccio, periferia di Palermo, del rifacimento del Parco di Maredolce o della Favara, realizzato dai normanni. Il parco attualmente esiste solo come ricordo storico e come modo di dire, visto che nessun documento pubblico esecutivo e contemporaneo lo definisce tale. Di progetti sulla carta ve ne sono, anche faraonici, ma sinora solo chiacchiere. E, nei decenni, parlando parlando, si sono consolidate e stabilizzate le costruzioni, un tempo abusive adesso chissà, che impediscono ai passanti la visuale sul Castello della Favara, gioiello arabo-normanno che sorge proprio dentro il parco che fu. All´interno del castello hanno vissuto sino a quaranta famiglie. Con situazioni paradossali, ossia con abitazioni registrate pure al catasto. Quando si possono fare le cose in regola, non ha senso in Sicilia vietarsi il piacere tutto pirandelliano della correttezza formale. L´area dell´ex parco è grosso modo misurabile in 11 ettari, sette dei quali definitivamente espropriati nel 1989. Sul territorio ricade la chiesa di San Ciro, che ammiriamo in tutta la sua decadenza quando stiamo per imboccare la Palermo-Catania. Oggetto, la chiesa, tanto tempo addietro, di un tentativo di recupero e adesso completamente abbandonata. Vicino alla chiesa sorgono due significativi archi romanici, oggi ricettacolo di rifiuti vari. Se, entrando in autostrada, si guarda invece a sinistra, sempre nell´area di Maredolce, scorgiamo ancora svettante, anche se vandalizzata, la villa che appartenne a un esponente di Cosa nostra, adesso collaboratore di giustizia. Scrutando meglio, vicino alla villa, possiamo vedere anche un deposito di giostre, dopo che è stata in extremis scongiurata la creazione di una sorta di luna park dentro al territorio del parco. Il terreno e il castello sono sotto la giurisdizione della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Palermo, dunque sono di proprietà della Regione. Si possono visitare solo nei giorni feriali, previa autorizzazione della soprintendenza stessa. Adesso c´è un appello partito dal Giornale dei Quartieri "Maredolce", operante da anni nella seconda circoscrizione, il quale è riuscito a sensibilizzare i cittadini sfusi e associati (per informazioni giornalemaredolcevirgilio.it). La proposta è semplice. In attesa dell´attuazione dei progetti stratosferici, tipo quelli che prevedono anche il ripristino del preesistente lago Maredolce, si chiede più ragionevolmente di ripulire i sei o sette ettari di parco già di proprietà demaniale e aprire giornalmente e normalmente, senza autorizzazioni particolari, il castello e il vastissimo terreno al pubblico. Coinvolgendo saperi e capacità operative locali già disponibili. «Come si è fatto – afferma Carmelo Prestipino, direttore del giornale Maredolce – con lo Spasimo o il Teatro Garibaldi, utilizzati man mano che si andavano recuperando». Al contrario, sinora lo stile è quello che possiamo definire "Teatro Massimo", chiuso per venti anni a causa di lavori che in tutto il resto del mondo si eseguono continuando a svolgere le consuete attività artistiche. Per il Castello della Favara e per il non ancora parco Maredolce, un giorno magari si realizzerà tutto il meglio possibile. Future generazioni potranno passeggiare in riva al lago, farsi lunghe escursioni in canoa e vedere scivolare le papere sulle acque placide. Ma intanto ci sono i cittadini contemporanei di Brancaccio, che chiedono normalità e non straordinarietà, proprio quella di cui domenica parlava Nino Alongi nel suo editoriale. Il candidato del centrosinistra, Leoluca Orlando, ha partecipato nei giorni scorsi a un incontro con i cittadini proprio nello spazio vicino al castello, sposando la tesi dell´apertura immediata. Probabilmente andranno lì anche gli altri candidati a sindaco. Nel frattempo una regola di governo per i prossimi amministratori cittadini possiamo definirla con nettezza. Nell´attesa dei rivolgimenti sensazionali postdatati, si può utilizzare adesso e al meglio quello che si ha davanti agli occhi. E non è poco. Sia in centro, sia, come vediamo, in periferia.

venerdì 16 marzo 2007

DICO, l´arcivescovo ascolti i fedeli

LA REPUBBLICA - GIOVEDÌ, 15 MARZO 2007
Pagina I
L´INTERVENTO

Unioni civili l´arcivescovo ascolti i fedeli
FRANCESCO PALAZZO

Il sì alle unioni civili che non siano etichettabili come matrimonio da parte dei fedeli di due parrocchie, è un altro colpo che batte le chiesa palermitana e va accolto, così come avvenuto per l´interessamento dei vescovi sul ticket per i farmaci, con l´attenzione che merita. Questa volta il messaggio non giunge esclusivamente dai vertici gerarchici, cosa in sé già importante, ma da quella che con un linguaggio politico potremmo definire la «base», ossia il popolo dei cattolici praticanti. Addirittura nella rettoria di San Francesco Saverio all´Albergheria si è proceduto a una specie di referendum consultivo tra i fedeli che frequentano quella comunità. Su quasi quattrocento schede consegnate, circa trecento sono tornate indietro con un parere favorevole. Che non è una negazione del matrimonio tradizionale, ma un serio tentativo di accogliere anche il molto altro che vive al di fuori di esso. Chissà cosa accadrebbe se a un´intera diocesi fosse concessa la possibilità di esprimersi serenamente su temi così importanti. Le unioni civili, ma anche l´eutanasia, la fecondazione assistita, la comunione ai divorziati e tutto ciò che attiene alla sfera relazionale che riguarda la sessualità: argomento, come sappiamo, molto frequentato nei documenti dei vertici religiosi romani. Accadrà? Non c´illudiamo. Tuttavia, sarebbe questo un naturale sviluppo dell´intervento dell´arcivescovo di Palermo teso a far tornare sui suoi passi il governo regionale sulla questione del ticket. Diciamo questo perché, così come il governo della Regione non è stato sordo ai richiami vescovili, allo stesso modo il nuovo arcivescovo di Palermo non dovrebbe rimanere impassibile di fronte a questa matura presa di posizione sulle unioni civili da parte delle due parrocchie palermitane. Altrimenti si spezzerebbe un filo logico iniziato con l´intervento dei vescovi della settimana scorsa. E il ragionamento è il seguente. È corretto richiamare altri ai loro doveri verso i più indigenti: questo, insieme a tanti altri, è uno dei compiti peculiari della chiesa. Ma se il monito ai governanti rimane solo un fatto esterno, senza che si abbia la capacità di riformarsi all´interno, allora ecco che il percorso appena intrapreso dai vescovi siciliani si spezza subito, perde di significato, rimane un gesto poco comprensibile, ancorché significativo. Per i laici che non frequentano le sacrestie queste non sono questioni interne alla chiesa, così come vorrebbero coloro che con la sciabola intendono mettere da una parte il trono e dall´altra l´altare. Le comunità religiose, a qualsiasi confessione appartengano, fanno parte della società in cui operano, la influenzano e ne sono influenzate. E ciò avviene sempre, anche a prescindere delle nostre opinioni che intravedono spaccature nel tessuto sociale, dove invece gli studiosi c´informano che tutti gli strati che interagiscono nella società sono gli uni con gli altri legati a rete, senza che ci siano, nella sostanza, e talvolta anche nella forma, forti ed evidenti soluzioni di continuità. Saprà il nuovo arcivescovo essere pubblicamente conseguente e accogliere, con la stessa forte motivazione etica e spirituale con la quale si è speso per gli indigenti, la richiesta di confronto aperto su temi per tutti importanti che gli proviene dal suo popolo? Siamo certi che, a fronte di due comunità parrocchiali che espressamente si confrontano e dicono come la pensano, tante altre vorrebbero farlo. E non è per dire sì alla regolamentazione legislativa delle unioni civili, ma anche per esprimere delle forti perplessità o dei palesi rifiuti. Se dalla diocesi di Palermo partisse un confronto alla luce del sole tra i cattolici a partire da questa tematica, incoraggiato e sostenuto dagli ambienti curiali, per tutti noi sarebbe un fatto d´enorme rilievo. Ci rifletta il nuovo primate di Sicilia Paolo Romeo. Metterebbe a segno, dopo qualche mese dal suo insediamento, e successivamente alla sua presa di posizione sulla beatificazione di padre Puglisi, indicato non come santino ma esempio da seguire, e all´intervento sui ticket, un terzo tassello che farebbe capire meglio a tutti noi verso dove sta indirizzando il suo episcopato nel capoluogo.

mercoledì 14 marzo 2007

Pino Puglisi esempio e non santino

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO, 03 MARZO 2007
Pagina XV

La svolta del nuovo vescovo Puglisi esempio e non santino
FRANCESCO PALAZZO

Il nuovo arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, ha affrontato di petto e con una certa sostanziale discontinuità un argomento molto visitato dal suo predecessore Salvatore De Giorgi. Parliamo del processo canonico che dovrebbe portare alla beatificazione di Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Il suo sacrificio è stato l´altro giorno ricordato nientemeno che dal palco di Sanremo. Segno che una biografia può lo stesso essere veicolata con forza e coinvolgimento, come hanno fatto molto bene Ficarra e Picone durante una puntata del festival della canzone italiana, senza che vi sia il bollo ufficiale della beatificazione e il conseguente nome immortalato sui calendari. Questo mostra di averlo capito il nuovo arcivescovo quando dice che la Chiesa palermitana è più interessata a veicolare e far conoscere l´esempio di Puglisi che a innalzarlo agli onori degli altari. Una presa di posizione da accogliere certamente con favore. È un primo segno di un episcopato che evidentemente vorrà badare più alla sostanza di ciò che veramente si è che alla forma di ciò che virtualmente si diventa col bollo di santità della Santa sede. Del resto la svolta fa tesoro dei timori dei più avvertiti conoscitori della vita e delle opere del parroco di Brancaccio. Ciò che infatti non si capiva era questa incomprensibile fretta di fare della figura di don Pino un santino buono per tutti, senza peraltro preoccuparsi dell´effettiva continuazione della sua eredità. In quel di Brancaccio e, più in generale, nella diocesi palermitana e nella Chiesa siciliana. Bisognerà adesso capire come il nuovo arcivescovo vorrà passare dalle più che condivisibili parole ai fatti. Per il momento la concretezza fattuale ci dice che Puglisi non è, se non in maniera molto fumosa e impalpabile, un riferimento di vita ecclesiale e di scelte pastorali per le comunità cristiane. Diciamocelo francamente, molta acqua è passata dall´omelia del settembre 1982 su Sagunto-Palermo espugnata che Salvatore Pappalardo pronunciò in occasione dell´eccidio di Dalla Chiesa. Così come pare si sia molto lontani dall´anatema contro gli "uomini d´onore" che Giovanni Paolo II lanciò ai piedi del Tempio della Concordia, nel maggio del 1993.
È probabile che ambedue le circostanze siano state sopravvalutate. Ma siccome nel mondo imperante della comunicazione si vive anche di messaggi, e la mafia ha antenne molto competenti per coglierli, non c´è dubbio che la Chiesa in quei frangenti si pose come un macigno sulla strada di Cosa nostra. Che, difatti, rispose a Pappalardo disertando la messa per i detenuti all´Ucciardone, nell´aprile del 1983, e reagì più violentemente, nel luglio del 1993, al grido del Papa con gli attentati ai simboli romani della cristianità.
L´opera fu poi completata con l´uccisione di Puglisi, nel 1993, e con l´eliminazione, nel 1994, del sacerdote campano Beppe Diana. Da allora, a parte la continua richiesta di santificazione, la Chiesa palermitana, certamente senza volerlo in maniera consapevole, sembra essere rientrata nei ranghi. Dall´omicidio di Puglisi sono quasi trascorsi quattordici anni, e non si è trovato il tempo per predisporre e attuare una specifica pastorale quotidiana nelle parrocchie, nei gruppi cattolici, nelle confraternite. Su come farla basterebbe guardare proprio l´esempio di Pino Puglisi. Ed è probabilmente quello che intende fare il nuovo presule. A nessuno può sfuggire il peso e l´importanza che avrebbe un´azione attenta, informata e continua della comunità cattolica dell´Isola contro il potere mafioso. Certo, ci vuole coraggio, lo stesso che ebbe Puglisi. Non è un percorso semplice, e il fatto che non sia battuto da gran parte degli esponenti della politica siciliana sta a dimostrare quanto non ci si possa più limitare a enunciazioni formali a favore della legalità oppure a omelie infuocate, ma che si debba osare qualcos´altro. Il nuovo arcivescovo è uomo d´esperienza e non ha bisogno dei nostri consigli. Tuttavia, se proprio vuole uscire dal ruolo di Alice nel paese delle meraviglie che lui stesso onestamente si è attribuito in questa prima fase palermitana, potrebbe farsi una passeggiata a Brancaccio e dintorni per vedere con i suoi occhi e valutare attentamente cosa ne è oggi dell´eredità sociale e pastorale di Puglisi. Potrebbe forse misurare, ma è solo un´ipotesi, quanto sia grande il baratro che si può creare tra la beatificazione implorata a Roma e l´azione quotidiana praticata a Palermo.



Professione volontariato in Sicilia

La Repubblica Palermo - VENERDÌ, 05 GENNAIO 2007
Pagina I
L´ANALISI
Professione volontariato
FRANCESCO PALAZZO


È stato recentemente diffuso dall´Istat il rapporto sul volontariato in Italia (www.istat.it/istituzioni). È la quinta relazione sulle organizzazioni iscritte, a tutto il 2003, nei registri delle regioni e delle province autonome. Dopo le analisi generali c´è una sezione composta di tavole statistiche che forniscono dati regionali e per singola provincia. La Sicilia ha il più basso numero di volontari ogni diecimila abitanti (41,6). Il Trentino è in cima con 933,4. Il Mezzogiorno tocca il 74,5 (la media italiana è il doppio), molto meno del Nord-Ovest (154,3), del Nord-Est (239,2) e del Centro (158,9). Le associazioni siciliane rilevate sono 642. Nel Sud veniamo abbondantemente superati dalla regione a noi più paragonabile, cioè la Campania, che presenta 964 associazioni. La partita insulare va anche peggio, la Sardegna con 1.068 associazioni è una regione dove tutti i parametri sono altissimi. La realtà geografica dove c´è un fortissimo radicamento associativo è sempre il nord (Lombardia 3.499, Emilia Romagna 2.180, Toscana 2.144, Veneto 2.018). Vi sono delle costanti che toccano tutto il volontariato italiano. Il numero di volontari per organizzazione è in calo. In Sicilia si va dai 62 del 1997, ai 44 del 1999, passando per i 36 del 2001 per arrivare ai 32 del 2003. C´è una prevalenza, quindi, di piccole dimensioni. I settori più gettonati sono la sanità e l´assistenza sociale, seguono, molto distaccati, la ricreazione, la cultura e la protezione civile. Nettamente prevalenti i volontari puri rispetto ai dipendenti a tempo pieno o parziale. In ogni caso l´impegno è sistematico e non episodico. Prevalgono le associazioni specializzate in un solo campo d´attività. L´età che va dai 30 ai 54 anni riguarda poco più del 40 per cento dei volontari, sino ai 29 anni troviamo quasi il 23 per cento, dai 55 ai 64 rintracciamo un dato superiore di poco al 23 per cento, mentre il 13,5 per cento sono i soggetti oltre la soglia dei 64 anni. Scendendo nello specifico siciliano focalizziamo un indicatore significativo, ossia il numero di organizzazioni per diecimila abitanti. Enna si situa al primo posto con 1,9, Agrigento al secondo con 1,4 e Siracusa al terzo con 1,6. Caltanissetta è ultima con 0,9. Il valore medio siciliano è di 1,3 (il più basso in Italia insieme a quello di Puglia e Lazio), raggiunto da Palermo e Catania e sfiorato da Trapani e Ragusa (1,2 a testa). Trapani tocca l´1,0. I volontari siciliani recensiti sono 20.824. In Italia, gli uomini (449.715) fanno più volontariato delle donne (376.240), in Sicilia la mela di genere si spacca quasi a metà. Prevalgono i volontari con il diploma, seguono quelli che hanno un titolo di studio inferiore e poi i laureati. In Sicilia si registrano 11.316 diplomati, 6.385 possessori di titolo di studio inferiore e 3.123 laureati. Nel territorio siciliano, come nelle altre regioni, è più facile fare volontariato se si è occupati, al secondo posto al Nord ci stanno coloro che si sono già ritirati dal lavoro, nel Mezzogiorno invece questi ultimi sono superati da coloro che non hanno ancora un´occupazione. Nella nostra regione si rivolgono alle strutture di volontariato 144.264 persone. La fascia più gettonata riguarda i malati e i traumatizzati (45 per cento), seguono, molto distanziati, anziani autosufficienti, minori, immigrati, poi tutto il resto, anche se 12.032 sono utenti senza disagi particolari. Si tratta di una rilevazione alla quale sfugge, soprattutto al Sud, un certo numero di associazioni non presenti nei registri. Sembra che al Nord i numeri sono molto più alti anche (ma non solo) perché le pubbliche amministrazioni destinano al volontariato una fetta consistente di risorse, per cui tantissimi sono spinti a iscriversi. In tema di finanziamenti pubblici va segnalato, tuttavia, un fatto stranoto. Nelle regioni meridionali il volontariato foraggiato dal pubblico è spesso un parcheggio per i disoccupati, che sperano così di entrare negli organici delle pubbliche amministrazioni. A Milano o a Firenze la gestione dei volontari non incide molto sui costi complessivi, che invece sono destinati al funzionamento delle strutture e alla realizzazione dei progetti. Nel Mezzogiorno molte risorse vanno via per il pagamento di coloro che prestano servizio nelle associazioni. Senza contare poi le modalità incredibili, opache e clientelari che, a esempio in Sicilia, presiedono all´assegnazione dei finanziamenti pubblici nel settore. Tornando alla rilevazione Istat, gli esperti dicono che, a fronte di 642 associazioni censite, il numero reale in Sicilia arriva quasi a mille. Dando per buona tale stima sommaria, una rilevazione che copre più del 60 per cento dell´esistente e che posiziona comunque la Sicilia come fanalino di coda per ciò che concerne importanti indicatori, pure se raffrontata soltanto alle altre regioni meridionali o all´altra regione insulare, disegna una mappa abbastanza rappresentativa. Un lavoro di questo tipo dovrebbe essere conosciuto e studiato dal mondo del volontariato siciliano, anche per integrarlo dei dati mancanti. Le passioni e le motivazioni sono importanti, ma di tanto in tanto confrontarsi con i numeri non può fare che bene, per capire cosa si è (e non cosa si pensa di essere) e dove si vuole andare. Non solo con il cuore, ma anche, e soprattutto, con la testa.

Primarie a Palermo: sconfitto il partito degli astensionisti

LA REPUBBLICA PALERMO - MARTEDÌ, 06 FEBBRAIO 2007
Pagina I
IL PUNTO
Sconfitto il partito degli astensionisti
FRANCESCO PALAZZO

Alla fine nelle primarie palermitane - che hanno visto il trionfo dell´ex sindaco Leoluca Orlando - è stato sconfitto l´avversario che più si temeva, cioè l´astensionismo. Partiti e candidati guardavano infatti con timore alla montagna dei 22.299 votanti che si presentarono sotto i gazebo nel dicembre 2005 per votare in massa Rita Borsellino. Non si è arrivati in cima e non siamo certo ai 35 mila elettori delle primarie genovesi. Ma l´afflusso definitivo dei quasi ventimila votanti dimostra che il popolo dell´Unione si è affezionato allo strumento e lo sa usare bene. Anche quando, come in questo caso, i partiti arrivano trafelati all´ultimo momento a diffondere una campagna di sensibilizzazione al voto. Che l´elettorato del centrosinistra sia ormai più che consapevole dell´importanza di questa forma di partecipazione e va dritto al seggio sapendo cosa vuole, è dimostrato dall´esiguo numero di schede nulle e bianche. Nessuna protesta o disinteresse dentro l´urna, solo voglia di scegliere. Anche al di là delle indicazioni dei partiti. Ciò che infatti emerge è la forza dei candidati di trascinare consenso. Quanto hanno pesato i Democratici di sinistra nei quasi quattromila voti raccolti da Alessandra Siragusa? Probabilmente poco. Ma anche gli stessi Leoluca Orlando e Giusto Catania hanno un po´ fatto tutto da soli.
Il dato interessante di questa tornata interna è - se saranno confermati i primi dati, anzi le prime impressioni - un marcato ricambio di votanti. In periferia, dove il corpo elettorale è aumentato di quasi novecento unità, i presidenti di seggio giuravano di aver visto molte persone nuove. Calano molto invece, quasi quattromila unità, gli elettori e le elettrici del centro borghese, il cosiddetto ceto medio riflessivo. Ma anche in questo caso, quelli che si sono presentati, in larga parte, sempre secondo i componenti dei vari seggi, sembra che non siano gli stessi che già erano accorsi in massa per Prodi e la Borsellino. È un fenomeno, quello delle primarie, che andrebbe studiato nel lungo periodo e ancora non si è fatta molto esperienza per potere trarre conclusioni certe. Sarebbe a tal proposito utile analizzare le schede delle tre tornate che finora ci sono state a Palermo. Ma, come sappiamo, le scatole con dentro le schede con i riferimenti anagrafici dei votanti alle primarie nazionali e regionali del 2005, risultano ancora chiuse e ben sigillate. Faranno la stessa fine le ventimila presenze della prima domenica di febbraio? Dal punto di vista organizzativo c´è una forte criticità. Ventisei gazebo per una città come Palermo sono pochi, basti pensare che a Genova, con un numero di abitanti leggermente al di sotto rispetto al capoluogo siciliano, i luoghi dove si poteva votare erano ben settantadue. Garantire la partecipazione vuol dire anche dare la possibilità di esercitarla a tutti nello stesso modo. Chi scrive ha dovuto accompagnare i genitori al gazebo assegnato che si trovava ad alcuni chilometri, non è una distanza facilmente colmabile da tutti, soprattutto dagli anziani. Un successo ha avuto la rilevazione sui quesiti programmatici promossa da Demosfera, un laboratorio palermitano di sperimentazione politica. Sono state raccolte più di settemila schede. È stata un´iniziativa pensata ed attuata nelle ultime settimane, ed anche in questo caso si sono dovuti affrontare problemi organizzativi, non in tutti i gazebo infatti sono giunte le schede per votare. Sarebbe importante che i partiti registrassero il successo di questo esperimento e lo inserissero, non solo in Sicilia, in pianta stabile nel palinsesto delle primarie. È chiaro, però, che un po´ tutto il sistema primarie andrebbe regolamentato con più precisione, rendendolo un percorso politico e non esclusivamente il giorno della verità al quale poi non segue niente, neanche una cartolina di ringraziamento ai partecipanti. Detto tutto ciò, la Palermo del centrosinistra ha scelto. Orlando ha vinto senza discussioni e senza ombre, dimostrando di avere ancora un forte diffuso radicamento, in centro e in periferia. All´apertura delle urne si poteva vedere la platea trasversale dei suoi sostenitori che sorrideva soddisfatta. Sembravano gli stessi sorrisi di quanti erano felici dell´affermazione di Rita Borsellino su Ferdinando Latteri. Poi sappiamo come sono andate le elezioni regionali e come la contentezza si è trasformata in delusione e riflusso. Anche alle amministrative palermitane di maggio si ripeterà tale percorso per l´Unione? In una città l´elezione primaria non costruisce o sostituisce la politica e non trasforma le liste dei candidati per il consiglio comunale e le circoscrizioni da deboli in forti. A partire da oggi vedremo dunque se il centrosinistra a Palermo sarà in grado di lavorare come una vera coalizione sul fronte politico e su quello elettorale.

Il rito elettorale del codice antimafia

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ, 14 FEBBRAIO 2007
Pagina I
L´ANALISI
Il rito elettorale del codice antimafia

FRANCESCO PALAZZO

In vista di ogni tornata elettorale c´è una tappa obbligata nella quale soffermarsi, una sorta di stazione di transito dove la coscienza politica scende un attimo per «rinfrescarsi» se non le idee almeno l´anima, per poi ripartire come se nulla fosse. Le amministrative di primavera si prestano bene a quello che già si preannuncia come il solito coro trasversale allo schieramento politico. E siccome è un dovere quasi istituzionale, ascoltiamo l´ennesimo appello - ieri lo ha lanciato il senatore Carlo Vizzini di Forza Italia - sul codice etico di autoregolamentazione che i partiti dovrebbero darsi. Per evitare che nelle liste dei candidati finiscano personaggi che hanno legami con il potere mafioso o siano, come più spesso accade negli ultimi anni, direttamente espressione delle cosche. Sappiamo che il problema più da vicino riguarda le regioni meridionali, ma fermiamoci alla nostra regione. Ricordando intanto che a quasi un anno dall´inizio della nuova legislatura l´Assemblea regionale non ha avuto il tempo e la voglia di istituire la commissione regionale Antimafia. Si dice che per com´era strutturata e quello che è stata capace di fare non servisse a niente. E siccome il nulla è amico del niente, ecco che i partiti del centrosinistra, invece di farne una battaglia parlamentare e sociale, ne chiedono addirittura la soppressione. Così siamo tutti più contenti. Il centrodestra siciliano, dopo qualche dichiarazione d´obbligo, ha finito per non parlarne più e la cosa sembra per il momento archiviata. Diciamo che la strada gli è venuta in discesa. In tale contesto parlare in Sicilia di una procedura di autoregolamentazione antimafia per le elezioni prossime appare veramente un´esagerazione. Entrando poi nel merito della questione, non si capisce bene cosa dovrebbe esserci scritto in questo benedetto codice per mutare il corso delle cose. Scartiamo l´ipotesi più immediata, cioè quella di non candidare soggetti sorpresi armi in pugno a commettere omicidi o persone colte mentre incassano il pizzo dai commercianti e dagli imprenditori. Per queste fattispecie di reati c´è già il codice penale. Forse ai partiti potrebbe bastare che una persona, a cui è stato notificato un avviso di garanzia per mafia, possa fermarsi un giro? Certamente no, in questo caso i garantisti imbraccerebbero la scimitarra della civiltà del diritto e si opporrebbero al codice. Allora si può prendere, così, per puro dileggio dialettico, in considerazione l´opportunità di non mettere in lista gente che è stata rinviata a giudizio per mafia, cioè soggetti la cui posizione è comunque già passata a un primo giudizio della magistratura. Ma come si fa, pensiamo noi, a ragionare intorno a un simile scenario e poi difendere durante i comizi proprio gli stessi politici sotto processo? Anche questa opzione non è molto percorribile. Restano i condannati per mafia. Qui forse potrebbe essere più semplice. Vediamo, però, che essi vengono regolarmente candidati ed eletti. E notiamo anche che si ritiene ammissibile frequentare riunioni politiche pubbliche con i suddetti condannati ad arringare i possibili elettori. È accaduto a Palermo alle ultime elezioni politiche. Non è un reato, ma se un parlamentare non ritiene di disertare autonomamente luoghi del genere o se ci va e si astiene dal denunciare pubblicamente l´ingombrante presenza, quale codice potrà mai prescrivergli di fare il contrario? Del resto, anche le stesse sentenze definitive, passate cioè dalla Cassazione, si prestano a interpretazioni le più benevoli per chi fa finta di non capire e sentire. Quale codice politico potrà mai essere più cogente di una sentenza della massima Corte? I lettori, a questo punto, potranno rimproverarci di aver fatto solo riferimento a questioni giudiziarie. A nostra parziale giustificazione possiamo dire che i partiti, gli uomini e le donne che li compongono, se ne infischiano di inutili codici politici scritti sulla sabbia. Altrimenti la storia della Sicilia, che dall´Unità a oggi ha visto frequentemente la commistione del potere istituzionale con quello mafioso, potrebbe bastare più di qualsiasi norma. E se non bastasse la storia, forse il sangue versato per le strade della nostra regione potrebbe segnare un utile punto di riferimento. Ma se dopo tutto ciò si possono ancora, nel 2007, rivendicare e far passare per buone frequentazioni più che ambigue e accettabili fatti politicamente gravissimi e più che concreti, quale codice può modificare l´esistente? Allora è meglio non perdere tempo ulteriore, ognuno candidi chi vuole, perché questo poi è quello che avviene. Lo sappiamo e lo vediamo. Sarà il corpo elettorale poi a decidere. Se la maggioranza dei siciliani e delle siciliane un giorno deciderà di votare chi si oppone veramente alla mafia, vorrà dire che la politica e la società saranno riusciti a cambiare qualcosa. Senza codici di carta approntati qualche minuto prima che si aprano i seggi e poi cestinati. E soprattutto senza ipocrisie.