lunedì 28 maggio 2012

PD siciliano: i lupi che non riuscirono a mangiarsi il Lupo.


Francesco Palazzo

Forse la sintesi di un delegato della provincia che usciva dall'Assemblea Regionale de PD, svoltasi ieri, può dire bene quello che è successo. “Eravamo venuti per bastonare e siamo stati bastonatì”. E non si riferiva tanto alla lite vera e propria, quasi sfiorata all'inizio della discussione, per il voto che si voleva vietare a due deputati regionali. Ma proprio al fatto che molti delegati erano venuti convinti di votare la sfiducia a Lupo, e invece se ne sono andati abbastanza delusi. Il segretario, entrato nell'assise come un vaso di coccio tra vasi di ferro, ne esce molto rafforzato. Insomma, l'ex cislino l'ha svangata. Sarà pure un compromesso al ribasso, ma in un partito allo sbando, è probabilmente l'esponente che riesce ad avere un minimo di lucidità in più di tutta la truppa. Sì, ci sarà l'ufficio politico che lo coadiuverà, ma è appena un dettaglio concesso a chi già aveva evidentemente tirato i remi in barca sin dalla mattina. Giuseppe Lupo ha evitato, da un lato, la votazione della mozione contro, che a quanto pare alla fine aveva pochi numeri a favore (“Quattro amici al bar”, secondo Crisafulli), dall'altro il commissariamento di Roma. Che, peraltro, a sentire l'uomo mandato da Bersani a Palermo, è stato prospettato senza molta convinzione, sperando di tenersi fuori dalla palude siciliana. Il risultato alla fine è che ne esce fuori un partito “malato e spaccato, sfasciato in tutta la Sicilia”, come afferma più d'uno. I democratici si proiettano adesso verso le elezioni regionali, ma ci arrivano davvero in condizioni disperate e confuse. “Neanche Foderà ci può”, sentenzia un delegato catanese, ricordando un grande luminare che aveva fama di risolvere anche i casi impossibili. L'impressione, in effetti, è che il PD, si è impegnato sino allo spasimo a sfaldare il centrodestra alla regione, ma levando, uno dopo l'altro, i pilastri che tenevano in piedi quella granitica struttura di potere, si è dimenticato di uscirne un attimo prima che tutto gli cascasse rovinosamente addosso. A livello nazionale è accaduto qualcosa di diverso. Lì il PD ha contribuito a mandare a casa Berlusconi, ma a perderci è stato soltanto il PDL, mentre i democratici sono stati l'unico partito a tenere nella recente tornata amministrativa. Allo stato dell'arte, quindi, il partito siciliano rischia di essere nuovamente, soprattutto se si proietta il ragionamento sulle politiche del prossimo anno, il punto debole della catena, il luogo che, ancora una volta, potrebbe portare meno consensi alla causa del centrosinistra, più o meno allargato. Intanto, c'è la montagna delle regionali. Si ripete il copione palermitano. Quello che doveva essere il vincitore annunziato della tornata elettorale, a 150 giorni dalle urne, non sa cosa fare e, soprattutto, con chi. Tanto che uno degli intervenuti alla direzione regionale si chiede “se il PD è la soluzione dei problemi della Sicilia, o se, oggi, è esso stesso il problema”. C'è ancora in circolo, e non potrebbe essere altrimenti, tutta l'adrenalina della campagna elettorale appena conclusasi. Soprattutto il risultato palermitano condiziona gran parte delle reazioni. La botta è stata forte. Non soltanto per la bassa percentuale, ma per i tanti che non ce l'hanno fatta a strappare il biglietto per Sala delle Lapidi. In un partito senza orientamento, i destini dei singoli contano più di quelli dell'insieme. Ora alcuni sodalizi si sfalderanno e molti cercheranno di trovare altri posizionamenti. E anche di questo si è avvantaggiato Giuseppe Lupo. Ma lo stato di malessere di questo partito in Sicilia, è solo in parte spiegabile con quello che è accaduto nel capoluogo e in altri centri più o meno piccoli dell'isola. Nell'ultima domenica di maggio la sensazione è quella di un partito sfiduciato, composto da tante squadre che seguono ognuna il proprio capitano, che però cambia idea da un momento all'altro. Lasciando disorientate le retrovie. Che seguono la linea, ma sempre con maggiore sofferenza e stupore. Insomma, questa legislatura regionale finisce come era iniziata per il PD. Era diventato un partito di lotta e di governo. Ora non ci sono più né l'una né l'altro. I bersaniani mollano la sponda del governo regionale e non vedono l'altra riva. “Siamo rimasti con il cerino acceso in mano”, sentenzia un onorevole dell'ARS. Ma, soprattutto, i democratici siciliani sembrano ormai all'opposizione di se stessi. E non è una buona notizia per la Sicilia che va alle urne.

venerdì 25 maggio 2012

Orlando e il PD, chi si nasconde perde.


CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 20 del 25 maggio 2012 - Pag. 2
Vince chi ci mette la faccia
Francesco Palazzo

I palermitani si sono convinti che Orlando lo sa fare e ciò è bastato a premiare l'esperienza rispetto a un nuovo che è rimasto impalpabile ai più. La carta d'identità è solo un aspetto dell'essere giovani, quello più formale, poi viene la sostanza. E questa non si è capita o non è stata spiegata bene. Ma forse è più corretto dire che Orlando è l'unico big che ha avuto il coraggio di metterci la faccia. Non l'hanno fatto i leader del PD, si sono guardati bene dal provarci i nomi grossi del PDL. Hanno avuto paura di rompersi l'osso del collo e si sono rifugiati dietro le parole d'ordine nuovo e giovane. Quando, invece, con i tempi che corrono, le persone hanno bisogno di fiducia e di sicurezza. E lo slogan, “Lo sa fare”, ha fatto subito presa nei quartieri popolari e nella città borghese. I partiti che più hanno preso la scoppola, travolti dal ciclone orlandiano, sono stati soprattutto due, il PDL e il PD. Se per gli ex berlusconiani ciò era ampiamente preventivabile, i democratici dovevano al contrario essere il primo partito che sarebbe dovuto passare all'incasso dopo due legislature disastrose del centrodestra nel capoluogo. Invece sono stati i più puniti dall'elettorato, più del PDL, a cui comunque bisogna sommare la percentuale di Grande Sud. Il fatto è che mentre i dirigenti regionali del partito di Bersani si pavoneggiavano nell'avere neutralizzato il centrodestra alla regione, ma ciò è accaduto due anni addietro, non si sono accorti che lo scenario è oggi completamente cambiato. E hanno continuato a ragionare con lo schema vecchio. Perciò, per il giovane candidato su cui avevano puntato a Palermo, Ferrandelli, sono stati fatti venire a comiziare tutti i pezzi da novanta nazionali. E mentre riempivano teatri e cinema, non si accorgevano che le urne si svuotavano e la gente già guardava da un'altra parte. Sino alla vigilia del primo turno erano convinti che avrebbero sbancato, lanciando in aria percentuali a loro favore che non stavano nelle cose che scorrevano sotto gli occhi di tutti. Ora, a livello cittadino e regionale la resa dei conti si sta facendo più serrata e cruenta. E non è una buona notizia, perché la Sicilia rischia di arrivare alle imminenti elezioni regionali con quello che doveva essere il più grande partito riformista alla canna del gas. Detto questo, sul dato elettorale bisogna stare attenti. Palermo non si è convertita in una comunità che ha abbandonato del tutto il centrodestra. Tra tutti gli elettori che hanno espresso un voto per le liste al primo turno, più del 62% ha scelto partiti riconducibili al centrodestra, il resto, neanche il 38%, ha promosso liste o raggruppamenti politici che si possono riferire al centrosinistra. La consistenza numerica schiacciante determinatasi in consiglio comunale, potrebbe distogliere da questo stato di cose. Ma sia il sindaco eletto, sia i consiglieri che lo affiancheranno a Sala delle Lapidi, dovranno porsi il problema di convincere della bontà delle loro azioni la maggioranza dei palermitani che non ha votato per loro. Cominciando a dare risposte, speriamo efficaci e durature, ai molteplici e gravosi problemi che sono sul tappeto. E' chiaro che la politica fatta con le parole e assai più semplice di quella che poi deve sfociare in azioni concrete e tangibili. Dal verbo delle campagne elettorali, spesso messo nel cassetto non appena chiuse le urne, alla realizzazioni vere e proprie, ce ne corre. Le tante cose promesse devono ora farsi azione di governo che si confronta con i pochi soldi che ci sono a disposizione. Pare che, con l'annuncio di tanti piccoli interventi da fare subito a costo zero, si stia partendo col piede giusto. Ma ancora siamo all'alba. I palermitani giudicheranno su ciò che vedranno cambiare. Non sono disposti a firmare ancora cambiali in bianco. Difficilmente, dunque, concederanno al nuovo inquilino di Palazzo delle Aquile una luna di miele molto lunga. Il tempo del viaggio di nozze e dei dovuti festeggiamenti e poi il gioco si farà presto duro. Se si comincerà a vivacchiare se ne accorgeranno subito. Hanno creduto che Orlando lo sa fare ancora e bene. A lui e alla sua squadra, adesso, l'onere della prova.

venerdì 18 maggio 2012

La leggenda metropolitana dei candidati del centrodestra che fanno votare Orlando.


CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
18 Maggio 2012 - N. 19 - Pag. 11
Palermo? Resta al centrodestra.
Francesco Palazzo


In attesa degli esiti del ballottaggio, e soprattutto per il dopo, può essere utile riflettere meglio sui numeri usciti fuori dalle urne palermitane. Ponendoci due domande. La prima sul voto alle liste, la seconda sui consensi racimolati dai candidati alla poltrona di primo cittadino. Prima domanda? Si è trasformata la quinta città d'Italia, improvvisamente, in una roccaforte del centrosinistra? Basta che due esponenti del centrosinistra vadano al ballottaggio affinché avvenga tale mutazione genetica? Se ci fermiamo alle opinioni, possiamo dire ciò che vogliamo. Se guardiamo i numeri, gli unici che in politica non mentono, il cerchio si stringe. Consideriamo il dato più politico, ossia il voto alle liste. I palermitani che hanno espresso un segno per una lista sono stati 276.354. Ebbene, di questi 171.627 hanno premiato liste riferibili al centrodestra e 104.727 hanno scelto simboli che possiamo racchiudere nel perimetro del centrosinistra. Se vogliamo parlare di percentuali, il centrodestra è al 62,10 per cento e il centrosinistra non arriva quindi al 38 per cento. Non ci crederete, ma è lo stesso risultato, spiccicato, del 2007, cioè delle precedenti elezioni palermitane. Quando la galassia del centrosinistra arrivò al 37,8 per cento. E, si badi bene, questa volta abbiamo messo nel mazzo pure il voto dei grillini, che difficilmente può essere tutto ascrivibile al centrosinistra. Perciò, se aggiungiamo questo pezzo non secondario di ragionamento, vediamo come il centrosinistra, come voti attribuiti alle liste, che costituisce il dato più strutturale, di lunga durata, del corpo elettorale, ha fatto ancora peggio del 2007. Cioè di quando Cammarata vinse al primo turno. Secondo quesito. E' vero che il ballottaggio tutto interno alla coalizione di centrosinistra ha avuto la benedizione ai seggi da parte dell'elettorato delle liste del centrodestra? Si dirà, e tantissimi lo hanno detto, purtroppo senza guardare i numeri, che il blocco di elettori affezionati al centrodestra ha applicato a piene mani il voto disgiunto. Un colpo alla lista del mio cuore e un altro al candidato sindaco che più mi attizza. In questo caso, visto che è l'unico ad avere riportato un segno più rispetto ai partiti che lo sostenevano, questo modo di fare avrebbe favorito Leoluca Orlando. Che, subito è stato sentenziato, è stato portato, come si dice a Palermo, da tanti candidati al consiglio comunale di centrodestra. Ma se si guardano, anche solo distrattamente, i numeri, questo assunto, diventato subito verità rivelata, è semplicemente una leggenda metropolitana. Vediamo perché. A fronte dei 356.412 votanti, ben il 29,16 per cento, ossia 103.915 elettori, hanno preferito votare solo la lista non esprimendo alcuna simpatia per nessuno dei candidati a sindaco. Chi sono costoro? Qualche indizio l'abbiamo. Considerato che i candidati a sindaco Orlando, Nuti e Priulla hanno avuto un'altissima coerenza tra voti di lista e voti a se stessi, e che il candidato Ferrandelli ha avuto anch'egli una certa fedeltà da parte delle proprie liste, anche se con una sensibile erosione di 12.676 voti, è ai sostenitori del centrodestra che dobbiamo guardare per capire chi sono coloro che non hanno espresso alcuna preferenza per il sindaco. Quanti sono? Facendo una semplice addizione arriviamo alla somma di 104.636. Inutile che stia a spiegarvi quanto questi elettori del centrodestra che non hanno digerito alcun sindaco loro amico, somiglino molto ai 103.915 che hanno espresso, complessivamente, solo il voto per le liste. A questo punto, miracoli della tecnica, basta fare una semplice sottrazione per capire quanto è questa grande eredità che gli elettori del centrodestra hanno regalato al centrosinistra, nel caso specifico a Leoluca Orlando. Ebbene, la sottrazione, come voi già vi aspettavate, fa 721. Ecco a quanto ammonta il portentoso trasferimento di voti dal centrodestra al centrosinistra. Più che additarli come autori di possibili oscuri inciuci, io, questi elettori, li andrei a prendere ad uno a uno e li premierei per il coraggio. E però, rimane un problema. Chi ha votato Orlando, quasi portandolo alla vittoria a prima botta? Sono per caso elettori venuti nottetempo da Catania, Messina o Trapani? No, sono palermitani e palermitane purosangue. L'ex sindaco ha avuto 105.286 voti. Voto più, voto meno, di questi, 41.442 sono quelli che gli sono pervenuti dalle due liste che lo sostenevano, 12.676, sono i voti delle liste di Ferrandelli che non lo hanno votato. E siamo già a 54.118. La differenza tra i 105.286 consensi dell'ex sindaco e i 54.118 appena citati, cioè 51.168 schede, non si può sbagliare, sono i voti andati solo a Orlando, senza alcun altro segno nelle schede. Allora, possiamo dire, numeri alla mano, che la differenza in città tra centrodestra e centrosinistra, come voti ai partiti, rimane uguale a quella già conosciuta. Che solo una piccolissima percentuale di elettori del centrodestra, 721 per la precisione, ha optato per il cosiddetto voto disgiunto a favore di Orlando. Tutti i voti che il sindaco della primavera è riuscito a strappare provengono direttamente o da ex elettori del centrodestra che non si vedono più in nessun partito di quella coalizione, o da nuovi elettori del centrosinistra che non si vedono ancora rappresentati da nessun partito di quello schieramento. Oppure, come io credo, è un elettorato volatile che questa volta è andato verso Orlando e la prossima potrebbe andare altrove. In definitiva, possiamo dire che Palermo non si è spostata dal centrodestra al centrosinistra. C'è stata una massiccia percentuale di elettori di centrodestra (quasi 105.000) che non si è riconosciuta in nessuno dei sindaci che le proprie liste proponevano, ma non per questo ne ha votato un altro di un diverso schieramento, se non gli eroici 721. E ci sono stati più di cinquantamila elettori che hanno puntato direttamente sul candidato Orlando e che difficilmente si sarebbero orientati su Ferrandelli, qualora fosse stato il candidato unico. Questo serve a smentire l'altra leggenda metropolitana. E cioè che senza Orlando il centrosinistra avrebbe vinto al primo turno. Anzi, va detto che presentandosi a due punte il centrosinistra ha raccolto il massimo possibile sulla piazza di Palermo.

venerdì 11 maggio 2012

Elezioni a Palermo: tanti errori politici e zero dimissioni.


Francesco Palazzo

Quando si perde con numeri così evidenti e persino imbarazzanti, come prima cosa si ammette subito la sconfitta. Poi si discute del resto. Non l’ha fatto il competitor di Orlando, parlando addirittura di referendum/ballottaggio tra monarchia e democrazia (a tal proposito, basta compulsare qualche libro di storia per sapere che a Palermo vinse la monarchia). Si sono guardati bene dal farlo quelli del Partito Democratico. O quello che ne rimane. Sia in termini numerici che politici. Sino alla vigilia erano convintissimi, i maggiorenti del PD, di avere il vento in poppa. Bastava solo attendere la messe di voti che si sarebbero raccolte nelle urne. Quando tutti i sondaggi, più o meno di parte, e l’umore della città, che conta molto più dei sondaggi, davano Orlando in forte ascesa. Ma dove vivono, verrebbe da chiedersi. Può un partito, o quel che ne rimane, farsi travolgere da una mera operazione elettoralistica, temeraria quanto improbabile, e perdere, a tal punto, il bandolo del ragionamento? Certo, adesso la resa dei conti si farà più dura. Se all’indomani delle primarie al segretario Lupo, che pure aveva ottenuto un risultato più che dignitoso, era stata indicata la porta, da oggi dietro l’ufficio dimissioni del PD dovrebbe esserci la coda. Ma ancora nessuno si è presentato. A proposito di primarie. Di cosa erano rappresentative? Non certo del PD, visto che una buona metà dei suoi elettori ha votato Orlando. Né, ancor meno, dell’intero centrosinistra. Sono state soltanto un assalto alla Bastiglia. Una battaglia, vinta sul filo di lana, e spacciata per chissà cosa. Il voto di domenica e lunedì ha spazzato via tutto come un foglio di carta stropicciato e ingiallito. Quanto tempo è passato dai gazebo? Poco più di due mesi e oggi sembrano un’eternità. Un’altra era politica. Sia chiaro. La Sicilia, o Palermo, non sono mai state laboratorio di nulla. Ogni accadimento elettorale e politico regionale presenta risvolti che sono molto più locali di quanto si è portati a credere. Però, se c’è un dato di novità, in questi ultimi anni, non è affatto il cambio di maggioranza all’ARS, che è stato venduto come la quintessenza dell’abilità strategica, e invece è l’eterno levati tu che mi ci metto io, ma proprio questo voto di Palermo. Che non è il risultato del lavorio del ceto politico, che impasta la farina della politica come meglio crede, ma la volontà del popolo che va al voto. Quello di cui il PD ha avuto evidentemente paura a livello regionale, e probabilmente a ragione, visti i risultati del capoluogo, rimandando sine die l’appuntamento con i seggi, che ora gli viene imposto dal maturarsi di altri eventi. Nel capoluogo si scioglie il centrodestra. Non è una sorpresa. Che le tre candidature su cui si è spalmato il quadro politico che aveva vinto a Palermo nel 2007 erano una più debole dell’altra, era risaputo sin dalla vigilia. Ora se le danno di santa ragione. Ma nessuno che rimetta il mandato. Tuttavia, il vero risultato inatteso, se proprio vogliamo essere obiettivi, è il responso che il corpo elettorale, a fronte della gioiosa e baldanzosa macchina da guerra che si era mossa, ha tributato a Fabrizio Ferrandelli. Neanche il 18 per cento e più di dodicimila voti in meno rispetto alle liste che lo sostenevano. Non solo questa candidatura non ha sfondato nell’elettorato meno interessato alla politica, ma non è riuscita neanche a convincere una bella fetta di votanti delle stesse liste che la sostenevano. E c’è dell’altro in questo risultato. I vendoliani di Sinistra e Liberà, praticando un incomprensibile suicidio politico, non presentandosi con il proprio simbolo, anche in questo caso ancora niente dimissioni, sono sostanzialmente scomparsi da Palermo. Adesso c’è l’autocritica di Vendola, ma giunge quando i buoi sono scappati. Subito dopo il voto si è detto che Orlando avrebbe inciuciato prendendo i voti del centrodestra. Ma in una città che per dieci anni è stata la roccaforte del berlusconismo, e che in parte ancora lo è se andiamo a vedere bene le percentuali complessive delle liste, il consenso per vincere non poteva che venire dai palermitani che non vedono più nel centrodestra un punto di riferimento. Mica i voti si potevano importare da Bologna o da Perugia. Si dovrebbe anche dire dell’indecenza di uno spoglio che ha tempi, non diciamo europei, ma neanche mediorientali. Ma sparare sulla croce rossa non è elegante. Poi pare che adesso bisogna abbassare i toni.





venerdì 4 maggio 2012

Grillo e l'antimafia a comando.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
N. 17 del 4 maggio 2012 - Pag. 2
Grillo e i professionisti dell'antimafia
Francesco Palazzo
Qualcuno è arrivato anche a dire simpaticamente che sarebbe meglio espellere Grillo dalla società civile. La stessa sorte che toccò venticinque anni addietro a Leonardo Sciascia per aver scritto dei professionisti dell'antimafia. Di cui oggi, fu un profeta il grandissimo scrittore di Racalmuto, veramente è strapiena la Sicilia. Che uno si chiede come mai la mafia esiste ancora nella nostra regione con tutti questi antimafiosi in giro e in servizio permanente effettivo. Perché che siano sempre in servizio non c'è dubbio alcuno. Appena tu sgarri una parola ti sfregiano a vita. Le azioni magari le perdonano e sono pure disposti, in nome della realpolitik, a non vedere e non sentire se si tratta di giocarsi il potere. Ma con le parole, diamine, con loro bisogna stare attenti. Il comico genovese ha preso una grossa bufala? Se ne può discutere quanto volete. Ma il punto è che tutta la canea che si è mossa intorno alle quattro parole di Grillo, che poi lo stesso ha spiegato rendendole meno acuminate e forse non così strampalate, ha un solo e unico movente. Scippare qualche voto a un movimento che pare farà sfraceli alle prossime amministrative e ancor di più alle politiche. Tutto qui. Né più, né meno. Inutile giraci intorno. Perché, capite, migliaia di persone che si radunano nel capoluogo siciliano, all'aperto, quando quasi tutti i leader dei maggiori partiti che vengono da fuori li mandano in qualche teatro o nei cinemini, perché gli ascoltatori nelle pubbliche piazze scomparirebbero, non sono roba di poco conto. Non so se riesco a spiegarmi. Se non si fosse parlato di mafia e antimafia il giorno dopo l'esibizione del comico genovese, si sarebbe dovuto discutere di questo. Solo qualcuno l'ha fatto. Per tutti gli altri, meglio buttare la palla dell'antimafia ferita e offesa nella curva dei tifosi e chiuderla lì. Funziona sempre e poi in campagna elettorale può venirci pure qualche voto. Non c'è motivo di lasciarsi sfuggire l'occasione. Dice, ma l'indomani era il trentesimo anniversario di Pio La Torre, ucciso dalla mafia. Recentemente sono usciti dei testi sull'argomento. Due in particolare. Il titolo del primo è: Chi ha ucciso Pio La Torre.  Il secondo: Perché è stato ucciso Pio La Torre? Già. Chi e perché ha ucciso La Torre? Dopo sei lustri non siamo in grado di dare una risposta condivisa e di sbrogliare la matassa politica e criminale che portò all'omicidio del leader comunista. Non tanto amato, a cominciare dal suo partito, da vivo e diventato un eroe da morto. E' capitato a tanti. Eppure, con tutti questi antimafiosi che ne sanno sempre una più di te e che fanno la tac e la risonanza magnetica ad una frase, non riusciamo a capire ancora tante cose nostre dell'ultimo trentennio di storia criminale dell'isola. Perché è stato ucciso Mattarella? Per quale motivo sono saltati in aria i due giudici nel 1992. E tutti gli altri delitti eccellenti? Mafia, coppole storte, tritolo e kalashinikov? Ormai sappiamo che è troppo poco metterla in tale modo. C'è molto altro. E a quest'altro, pur beandoci di saperne tanto, come siciliani massimi esperti mondiali di mafia, non riusciamo a fare che una sbiadita fotografia. Ma si potrebbe pure partire da più lontano per tracciare la parabola dell'ignoto. Perché no. Da Portella della Ginestra, ad esempio, visto che è si è appena celebrato il primo maggio. E però, pur ignorando tanto, non appena qualcuno da fuori esprime una mezza idea, sbagliata, giusta, figuriamoci, se ne sentono tante in questa terra sul tema, si alza il tiro al bersaglio a palle incatenate. Scagli la prima pietra chi non prova ogni volta una simile istintiva reazione. A mia? E come si permise? Faccia ammenda immediatamente il reprobo e si alzi il cartellino rosso della squalifica a vita. Grillo, sa che le dico? Chieda scusa a prescindere e ci capisca. La chiuda così. Le conviene. Qui, in Sicilia, di mafia e antimafia possiamo parlarne solo noi. Facciamo un sacco di improbabili ipotesi, più o meno come la sua, e non ci capiamo un granchè. Ma lo facciamo, da quasi due secoli, troppo bene.