mercoledì 8 dicembre 2021

Palermo, quartieri di edilizia popolare: le carenze di analisi sul passato e la carità a vuoto di oggi.

 


Creare enclave di edilizia popolare allo Sperone, allo ZEN, a Brancaccio, a Passo di Rigano, e l'elenco potrebbe proseguire, con altre zone di Palermo o considerando altre città siciliane. Questa la prima, sbagliata, mossa. Quella di mettere dentro territori, già con una loro storia o creati ex novo, tutto il disagio possibile. È come fare due più due. Con pessimi risultati e macerie assicurati nel medio e lungo periodo. Con intere generazioni consegnate alla devianza e alcuni territori, si pensi allo Sperone dentro la costa sud, del tutto snaturati rispetto alla loro vocazione naturale. Tanto poi si attivano la carità, le agenzie del volontariato, le parrocchie, le scuole. Ogni tanto la visita di qualche ministro, sottosegretario, segretario di partito, premier.  I quali impartiscono benedizioni con diremo, faremo, provvederemo. Quando la misura è colma si può anche organizzare una bella marcia piena di buone intenzioni. E cosi il cerchio più o meno si chiude lasciando le cose come sono. E non per cattiva volontà degli attori in campo. Ma in quanto occorrerebbe partire innanzitutto da un'analisi onesta delle incresciose scelte politiche, urbanistiche, abitative, sociali, fatte in passato. Se mancano le corrette e precise considerazioni di partenza, la palestra, il giardinetto, la piazzetta, la panchina, il pacco di pasta, il reddito di cittadinanza, il tram che benedice qualche periferia, magari accompagnato pure un bel centro commerciale, le scuole che tentano di svuotare il mare con il secchiello, servono soltanto a mettere qualche pezza caritativa, stile ottocento, in tele ormai irrimediabilmente consunte, squarciate, disintegrate. Se invece si parte da una corretta ricostruzione degli errori compiuti si può innanzitutto chiedere scusa e giurare che mai più si faranno cose simili. Il secondo passo dovrebbe essere quello di svuotare tali contesti. Intanto intervenendo sui più giovani. Bene dunque sta facendo, penso vada affermato con chiarezza, la magistratura a togliere i bambini e le bambine alle famiglie per consentire loro un presente e un futuro diversi. Ci si chiede. Questi interventi testimoniano e mettono la firma sotto fallimenti derivanti da colpevoli scelte politiche, abitative e urbanistiche, che del resto non potevano fornire che questi risultati? Certo. Se così è perché non prenderne atto onestamente invece di continuare ad alimentare il fuoco tenendo in piedi determinate situazioni? Magari sperando, invano, perché così è e la realtà effettuale ce lo mostra, di ottenere chissà quale miracolo dopo l'applicazione di pietosi rammendi. Che sicuramente placano le nostre coscienze. Ma che non modificano sostanzialmente nulla. Nello stesso tempo va pensata e attuata, oltre che per i più piccoli, una diversa collocazione, caso per caso, dei nuclei familiari. Evitando ovviamente di creare altrove enclave dello stesso tipo. In modo che i bambini possano trovare ambienti familiari e non strutture di clan, che li facciano crescere come hanno diritto. Ci vuole più tempo a mettere in campo questa operazione? Certo. Ma del resto sono trascorsi diversi decenni senza che si facesse nulla di strutturale. Non perdiamo dunque altro tempo.

sabato 6 novembre 2021

Sicilia: l'assistenzialismo, i giovani che vanno via e la calcolatrice

 


Oltre 5.600 laureati venticinquenni nel 2018 hanno abbandonato la Sicilia per andare a lavorare altrove. Che si aggiungono ai 200 mila già formati che, dal 2002 al 2017, hanno deciso di fare i bagagli. Ipotizzando che anche nel quadriennio 2019/2022 si confermi la fuga di 5 e 600 laureati l’anno che vanno via, ma è facile immaginare che il numero aumenti e che l’età si abbassi, visto che tantissimi vanno via dopo la triennale, dunque molto prima dei 25 anni, avremo nel ventennio 2002/2022 un totale di 228.000 giovani laureati scappati dalla nostra regione. Considerato che una famiglia per crescere e sostenere negli studi un figlio fino ai 25 anni, spende circa 165mila euro, abbiamo un totale di 37 miliardi e 620 milioni. Ma non è tutto. Nei venti anni considerati i professionisti andati via vanno ovviamente a guadagnare e conseguentemente a spendere i loro stipendi medio alti altrove. Se poi aggiungiamo che nei primi anni le famiglie continuano a foraggiare i figli sin quando non trovano un lavoro stabile, la somma netta che questa regione sborsa nei venti anni considerati raggiungerà una cifra iperbolica difficile da quantificare. Un immenso patrimonio di liquidità e cervelli che regaliamo ad altri contesti regionali. Ai quali le famiglie trasferiscono anche consistente liquidità indotta dalle frequenti visite nelle regioni del nord per andare a trovare i pargoli. Possiamo raddoppiare per difetto i 37 miliardi di prima? Arriviamo a 75 miliardi. Questo il costo, tenendoci bassi, della fuga di cervelli dalla Sicilia in venti anni. Con un impoverimento complessivo e una riduzione di popolazione residente molto seria e certificata dall’ISTAT. Non solo. Se riflettiamo un attimo cosa questo può significare in termini di mancato ricambio generazionale nel pubblico e nel privato, quello che perdiamo raggiunge una cifra lunare (100 miliardi in 20 anni?) che ci condanna a essere un popolo sempre più vecchio, più povero e più bisognoso di assistenza a fondo perduto. Quest’ultima è plasticamente rappresentata dai più di 700 mila soggetti che nel 2021 hanno fatto ricorso al reddito di cittadinanza con un importo di circa 1,7 miliardi. Tanto che la revisione della misura prevista nella finanziaria da parte del governo centrale, causa preoccupazioni. Ma se noi proiettassimo nei venti anni di sopra 1,7 miliardi, avremo la cifra di 34 miliardi, che non creano occupazione e quindi sviluppo, anzi assuefazione. A fronte di una perdita di quasi il triplo che invece si metterebbe nel conto dello sviluppo e della permanenza tra di noi di energie fresche e acculturate. Che non soltanto farebbero rimanere qua i 100 miliardi che realisticamente ipotizziamo, ma creerebbero, con le generazioni future che continuerebbero a restare, un moltiplicatore di ricchezza inarrestabile. Un immenso piano di ripresa e resilienza. Ora il punto di domanda è abbastanza semplice. Lo è da sempre per la verità. Dobbiamo continuare a drogare un’intera economia con soldi regalati che non creano sviluppo, anzi solo dipendenza, o deve essere trovato il coraggio di cambiare finalmente strada? Sia chiaro, i giovani scolarizzati al massimo grado vanno via senza nemmeno protestare. Ormai per loro è fisiologico. Mentre coloro che ancora chiedono, a conclusione delle misure di assistenza teoricamente temporanee, ed è già accaduto parecchie volte con gli esiti che sappiamo, una strada per trovare un posto al sole, sono sempre presenti e rumorosi e troveranno una soluzione come l’hanno trovata quelli di prima. Con un’ulteriore perdita secca in termini di inserimento non di giovani con titolo di studio adeguato, ma di soggetti che cercano di concludere, dal loro punto di vista, nella maniera più brillante, i loro percorsi assistenzialistici. Basterebbe una semplice calcolatrice per capire che non ci conviene, che con l’assistenza a fondo perduto, che è cosa molto diversa dal sostenere chi veramente non ce la fa, non andiamo, e non siamo mai andati, da nessuna parte. Ma forse la calcolatrice la sappiamo utilizzare bene tutti. Se è così, dobbiamo allora ammettere, senza troppi giri di parole, che ci piace molto, evidentemente, proseguire su questa via.    


sabato 9 ottobre 2021

Palermo: la ruota che gira e i due piani da non confondere


 Nel recente passato la Formula 1della Red Bull, nel presente la ruota panoramica dell'Aperol. In futuro potrà essere un altro evento di questo tipo a provocare discussioni e distinguo che francamente potrebbero essere indirizzati altrove.  Non per fare del benaltrismo, ma perché intanto questo tipo di circostanze, assolutamente circoscritte nel tempo e nello spazio, ci lasciano un guadagno d'immagine a costo zero che nessuna, seppur costosissima, campagna promozionale potrebbe eguagliare. Una qualsiasi bancarella impiantata per settimane tra le Piazze Ruggero Settimo e Castelnuovo, non consegna nulla in tal senso e sarebbe perciò sempre da evitare. Il sensazionale richiamo pubblicitario di questi appuntamenti non risolve le lacune della città? Ma perché, non concedendo le autorizzazioni a brand importanti i guasti del capoluogo si sanano magicamente? Per nulla. Dobbiamo farcene una ragione ed essere in grado di tenere distinti e distanti due aspetti. Il primo si riferisce all'attrattivita turistica del capoluogo. Le ruote, le Formule uno e quant'altro potrebbe esserci proposto, non servono ai palermitani ma a chi ci guarda da fuori e può decidere di scegliere il nostro territorio come meta di svago. L'altro giorno in aereo il giovane che era seduto davanti a noi, riferendo a un suo coetaneo dei suoi giorni a Palermo, stava infatti rientrando a Bologna, riferiva, testuali parole, di una città da dieci e lode. Stessa opinione ci ha trasferito la responsabile di un negozio d'antiquariato che è stata di recente sul suolo palermitano. I turisti guardano determinate cose, non possono e non vogliono interessarsi a ciò che non funziona e del resto è quello che facciamo noi quando ci troviamo fuori dalla nostra terra. Tutto il resto, ossia la quotidianità, invece ci riguarda come feriali fruitori della nostra comunità, che è poi un insieme di luoghi. Il tempo per le polemiche, e gli aspri confronti se è il caso, e delle eventuali proposte a chi amministra, lo dobbiamo riservare a quest'altra faccia della medaglia. Rispetto alla quale le grandi campagne pubblicitarie non spostano per i residenti di una virgola il tanto, perché è tanto, che non gira come dovuto sotto Monte Pellegrino. Per dire. Tra alcuni mesi si andrà al voto per eleggere chi amministrerà Palermo dal 2022 al 2027. A voi pare che il dibattito abbia raggiunto, o possa toccare nell'immediato tempo che abbiamo davanti, il livello che sarebbe opportuno per una metropoli che presenta per chi ci abita, non per il flusso turistico, tante e annose difficoltà e parecchie, troppe, potenzialità inespresse? Si naviga a vista, spostando le umorali ed egoistiche pedine della politica politicante. Senza trovare il tempo per fare altro. Palermo, quella che appartiene a chi dovrà continuare a viverci, non per alcuni giorni di relax, ma per sempre, e quella che è appartenuta ai tanti giovani con istruzione superiore che sono già andati via, rimane fuori dai radar. Non è la ruota impiantata per qualche giorno il problema. Ma le piccole ruoticine, invisibili ma fondamentali, che fanno parte del motore di questa città. Le quali devono ricominciare a girare bene e funzionare ogni  giorno. Soprattutto per i palermitani. Facciamoci allora un bel giro sulla ruota. Sperando che presto ce ne possa essere una in pianta stabile come in molte altre città. Ma non perdiamo la consapevolezza che la capitale della Sicilia ha da risolvere altrove i suoi mille quotidiani dilemmi.

mercoledì 29 settembre 2021

Porticciolo di Sant'Erasmo, fateci guardare il mare e non gli stigghiolari e le auto parcheggiate

                                               Repubblica Palermo – 29 settembre 2021

Restituiamo a tutti la visuale del porticciolo di Sant’Erasmo

Francesco Palazzo


 Quando si valorizza e si recupera un sito occorre non dimenticare l’ultimo colpo di pennello. Che, almeno nel caso in questione, è pure il più semplice da apporre. Mi riferisco al porticciolo di Sant’Erasmo. Un luogo che si stava perdendo e che invece è stato in maniera sapiente e lodevole ricondotto ad una fruizione intelligente, moderna, ancorché conservativa. Sono state pure eliminati i due fastidiosi, per la vista, distributori di carburanti. Solo che passando con l’auto dalla strada o semplicemente volendo osservare lo specchio di mare dall’altra parte della piazza, che per inciso andrebbe tutta liberata, non si vedono che auto parcheggiate e posti di ristoro mobili. Insomma, viene tolto alla vista il punto più bello del porticciolo, quello che tocca più da vicino la città e permetterebbe un punto di osservazione incantevole. In fondo si tratta di una cinquantina di metri, forse meno, che potrebbero essere interdetti a tutti da un banalissimo divieto di sosta. Che ovviamente dovrebbe essere fatto rispettare. Cosa che a Palermo come sappiamo poche volte accade. Perché se è vero che nessuno parcheggia in Via Libertà, è pacifico che nei dintorni e in tanti altri luoghi centrali e periferici del capoluogo i divieti di sosta non vietano nulla. Tuttavia, con altri siti si è riusciti a Palermo ad inibire il parcheggio. Ricorderete cos’era la via che costeggia Palazzo dei Normanni e conduce a Corso Vittorio Emanuele. Il regno delle auto e del parcheggio abusivo. Adesso è deserta. Segno che quando si vuole, si può. Con quella che viene definita pomposamente, ma alle parole sarebbe meglio far seguire o precedere i fatti, la costa sud, che un tempo non molto lontano era un lungo stupendo tratto di mare, si è voluto, e dunque potuto, poco. Ma con il porticciolo di Sant’Erasmo si è agito in maniera diversa. E dunque basta, basterebbe, un non trascendentale, ma deciso, magari accompagnato da un sistema di videocamere, divieto assoluto di sosta sul fronte mare. Anche considerando che nei dintorni c’è dove lasciare i mezzi o stazionare per vendere cibo e bevande senza oscurare il punto più interessante, dove il mare s’infila nella città, del porticciolo. Ripetiamo, sono poche decine di metri, più o meno dal punto in cui sorgeva l’ultimo distributore di carburante fatto sloggiare, al punto dove stazionava lo scheletro di una seconda stazione di servizio. Ho segnalato più di una volta durante incontri pubblici la cosa, alla presenza di qualche esponente di giunta e di rappresentanti del consiglio di circoscrizione. Ma sinora nulla. La misura si può attuare rapidamente ed è pure, vista l’esposizione del luogo, facile il controllo. Ce la possiamo fare.

 

martedì 14 settembre 2021

Perchè la chiesa non riconosce, applicandola in tutte le parrocchie, la militanza antimafia di Don Pino Puglisi?

 

La Repubblica Palermo – 14 settembre 2021

Il poco che resta della lezione del beato Puglisi. Cosa resta nelle parrocchie della pastorale anti cosche del beato Pino Puglisi.

Francesco Palazzo

 Siamo a 28 anni dall’omicidio per mano mafiosa di don Puglisi. A otto dalla beatificazione sul prato del Foro Italico. A tre dalla visita di Papa Francesco nei luoghi di Puglisi. Domenica abbiamo letto su queste colonne l’intervento, condivisibile, di don Corrado Lorefice, ottimo arcivescovo della diocesi di Palermo. L’illegalità, il clientelismo, sono da sconfiggere. Così come sono da promuovere la solidarietà, la corresponsabilità, la cittadinanza attiva. Ha ragione don Corrado. Queste cose ce le ripetiamo da tempo. Così come è giusto, e non possiamo che controfirmare con don Lorefice, che i parroci lavorino con il territorio, accanto alle persone, senza cercare postazioni privilegiate all’ombra dei poteri. Il punto è, come emerge da diverse indagini e come sappiamo bene, che gli uomini delle cosche, messi alle corde quanto vogliamo, impoveriti, assottigliati numericamente, sono sempre dei punti di riferimento nella vita di tanti quartieri. Dal pizzo quasi cercato per mettersi a posto, dall’autorizzazione per qualsiasi attività, all’appoggio culturale che la mafia riceve, alle attività criminose che in tante parti di Sicilia sono poste in essere alla luce del sole, al consenso che le mafie incassano, soprattutto quando non sparano, negli ambienti sia popolari che borghesi. Allora, parlando di chiesa, di comunità cristiane parrocchiali, di preti alla loro guida, la domanda è sempre la stessa. Qual è la pastorale concreta, quotidiana, feriale della diocesi? Dalla risposta a questa domanda, ed eventualmente dai silenzi e dai ritardi, possiamo misurare cosa ne è dell’eredità di don Pino. Ora, a me pare, che nei decenni, quasi tre, che ci distanziano dall’eliminazione di 3P, avvenuta il 15 settembre del 1993, in una calda serata palermitana di fine estate, non molto sia avvenuto nella vita delle parrocchie. Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, pare di intravedere un riflusso rispetto a quella che fu l’attività di Puglisi. Vado spesso, perché ci sono nato e ho ancora legami familiari, nella zona di Brancaccio. E non mi pare di notare, posso ovviamente sbagliarmi, attività delle diverse presenze parrocchiali che abbiano seguito e migliorato l’esperienza di Pino Puglisi. Ma non dobbiamo soltanto fermarci al luogo dove il sacerdote visse gli ultimi anni. La questione riguarda tutta la diocesi e l’intera chiesa siciliana. La pastorale antimafia di 3P, magari non si vuole chiamarla così ma questa era e per questo è morto, riguardava diversi ambiti. Conoscenza del territorio, azioni su di esso, legami con un’importante e laica realtà associativa del territorio, il Comitato Intercondominiale Hazon, parole nette dal pulpito contro i mafiosi in carne e ossa e non contro la mafia in generale, rapporti adulti con le istituzioni, che venivano martellate, basta guardare l’agenda degli impegni di don Pino, per chiedere servizi sul territorio piuttosto che facili finanziamenti per progetti che lasciano spesso il tempo che trovano. Ricordo, ero capogruppo di Insieme per Palermo, un’audizione di don Pino durante una seduta del consiglio di quartiere, dove lui venne con un gruppo di persone. Parole chiare, sobrie, nette. Non per la sua parrocchia, ma per il quartiere. Ora, il punto è chiedersi che fine abbia fatto tutto questo. Se nelle parrocchie, su impulso della diocesi, si è proseguito e potenziato il metodo di Puglisi. O se i parroci, e le comunità parrocchiali che le guidano, fanno come meglio gli viene. Portare una persona come Puglisi sugli altari equivale a prendersi una bella responsabilità. Che va declinata e tradotta dalla chiesa palermitana (e siciliana) con un cronoprogramma chiaro e semplice, con progetti strutturati e azioni da attuare in tutte le parrocchie. Altrimenti c’è il rischio che don Pino sia un beato irraggiungibile e solo contemplabile dalla chiesa. Francamente, quel colpo di pistola alla tempia contro un grande uomo meritava e merita da parte dei cattolici risposte molto diverse, non più rimandabili, fatte di concretezze quotidiane nei territori parrocchiali. Dire che la mafia è antievangelica, dopo il sacrificio di Puglisi, non può più bastare.

 

 


giovedì 18 marzo 2021

La non benedizione delle coppie di fatto e la (non) coerenza con l'amore insegnato da Cristo nei vangeli. Una domanda ai vescovi siciliani.

 La Repubblica Palermo – 18 marzo 2021

Ma il rinnovamento della Chiesa passa anche per la disobbedienza

di Francesco Palazzo


Non so se i rappresentanti della Chiesa cattolica benedicano ancora le case o le automobili. Certamente le opere pubbliche e qualsiasi inaugurazione. Si arrivarono a consacrare pure le armi che andavano a combattere nei teatri di guerra. Per venire all’oggi, la Santa Sede comunica che non si può procedere alla benedizione delle unioni omosessuali. E ciò vale per tutte le convivenze fuori dal matrimonio. Non parliamo di articoli di fede, ma di una prassi che dentro la Chiesa presenta tra i parroci qualche posizione diversa. Non ci si limita a non benedire. Ma si parla di accompagnamento degli omosessuali, ai quali si propongono cammini di crescita nella fede e aiuti per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nelle loro vite. Come se fossero mancanti in qualcosa di fondamentale, tanto da essere guidati. E non si benedice perché non ci si trova davanti a qualcosa di «oggettivamente ordinato a ricevere ed esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella creazione». Non so se ci si rende conto della gravità di tale passaggio. Anche se si scrive che si rispettano le persone, pur eccependo contrarietà rispetto allo stato in cui si trovano. Ma le persone si onorano integralmente nel loro essere portatrici di umanità. Del resto, proprio l’amore senza altri ornamenti connota il Cristo impresso nel Nuovo Testamento. Mancando questa dimensione si perde la parte fondamentale del suo lascito. Senza il quale resta ben poco. Non è che manchino le eccezioni. Una l’abbiamo registrata nel 2016, la ricordava ieri Repubblica. Don Cosimo Scordato, nella rettoria palermitana di San Francesco Saverio, all’Albergheria, presentò due donne che si sarebbero sposate civilmente dopo qualche giorno, chiedendo ai fedeli di «accoglierle nella comunità e di pregare per la loro vita insieme». Una scelta «che guarda al futuro», disse don Cosimo. Sin troppo ottimista, se dopo cinque anni la testa della Chiesa cattolica su certi temi è rivolta sempre al passato remoto. Una posizione che nell’era di Francesco, e in quella di suoi apprezzati epigoni messi a capo di diverse diocesi, si deve coniugare in termini diversi. Il problema non è essere cattolici o non avere la libertà di vivere come si vuole, a prescindere da ciò che pensano i cattolici. Ma la disumanità di simili deliberazioni. Nel 2021, non nel periodo della Controriforma. Si benedicono matrimoni di persone che possono pure essere mille miglia distanti dal Vangelo: basti pensare a quante nozze di individui implicati in vicende mafiose si sono consacrate in pompa magna (a proposito, ancora accade?) davanti agli altari delle chiese cattoliche. Non si tratta di stravolgere chissà cosa. Il gesto di don Scordato non tolse nulla a nessuno, ma aggiunse a quelle più battute, ma non per questo più vere, una dimensione dell’amore che non esclude e che non prevede percorsi di "depurazione". Ama e fa’ ciò che vuoi, diceva Sant’Agostino, che non è un signor nessuno come chi scrive, ma uno dei Padri della Chiesa. E se è vero che la misura dell’amore è amare senza misura, come sosteneva sempre Agostino, sarebbe interessante sapere cosa ne pensano su tale questione non una sparuta minoranza di sacerdoti, la stragrande maggioranza stanno allineati e coperti, ma gli arcivescovi siciliani. Parlare di rinnovamento è bello, ma può essere sin troppo facile se si muovono solo le parole. Viverlo, essendo a capo di diocesi, facendo camminare pure i fatti, lo è ancora di più. E allora la domanda alla Conferenza episcopale siciliana, o a qualche singolo vescovo che volesse rispondere, è la seguente. Possono essere presentate alle comunità dei fedeli nelle parrocchie, accogliendole con ogni benedizione nei loro percorsi d’amore e senza ulteriori distinguo, come è successo all’Albergheria, delle persone che hanno deciso di vivere dimensioni di coppia non finalizzate al matrimonio canonico?

 

mercoledì 3 marzo 2021

Sud: tra illegalità, insicurezza e politiche di sviluppo. Una partita da giocare sino in fondo.

 La Repubblica Palermo – 3 marzo 2021

Le mafie (forse) sono indebolite ma continuano a pesare sul sud

Francesco Palazzo


L’argomento di confronto è venuto fuori dal dibattito parlamentare che ha accompagnato il voto di fiducia ottenuto dal governo. I quesiti sono due. Nel Mezzogiorno, sono intanto essenziali legalità e sicurezza per far attecchire qualsiasi prospettiva di sviluppo? Oppure alla fine basta irrobustirci le gambe con opportuni interventi per scacciare automaticamente l’illegalità e l’insicurezza determinate innanzitutto da Cosa nostra, Ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita, Stidda e altri aggregati di questo tipo presenti in molti casi dall’unità d’Italia? Se dovessimo ritenere che bastano puntuali azioni politiche per eliminare il carico di violenza territoriale e di pervasività economica delle mafie, dovremmo ammettere che sinora ci siamo sbagliati e che dobbiamo soltanto riuscire a trovare quelle più idonee. Ma è davvero così? Possibile che in 160 anni dall’unità del paese, che festeggiamo giusto quest’anno, sia dipeso soltanto da ciò? Certo, si può dire che le mafie non hanno prevalso, che abbiamo vinto noi la partita e arrivederci. In ogni caso molti margini di manovra sono disponibili e non è possibile servirci a vita della presenza delle mafie per starcene con le mani in mano utilizzandole come un portentoso alibi. Tuttavia, non possiamo archiviare sistemi criminali di lunga durata ricorrendo esclusivamente all’ottimismo della volontà e facendo appello alle nostre parti migliori, che non sono poche. Ha fatto dunque bene il presidente del consiglio, Mario Draghi, una personalità di grande valore cui abbiamo affidato la guida del paese, a mettere insieme i due aspetti. Necessita di interventi che aiutino il sud, senza però trascurare che la base sulla quale devono crescere deve essere sempre più legale e sicura. Dovremmo aver compreso da tempo un fatto. Se il mezzogiorno non scalerà posizioni di ricchezza e progressiva vivibilità, agganciandosi alla parte più progredita del paese, tutta l’Italia non potrà avere uno sviluppo complessivo adeguato alle sue potenzialità. Ciò dipenderà certamente dai meridionali in primo luogo. Che devono smetterla di piangersi addosso cercando una giustificazione dietro l’altra. Altrimenti i nostri giovani, stanchi di questo atteggiamento, continueranno ad andarsene. Deve essere comunque chiaro che tutte le misure del recovery plan soprattutto nel Mezzogiorno dovranno trovare più immediata e conducente efficacia, evitando la dannosa scorciatoia dell’assistenzialismo. Del resto, i fondi sono disponibili di fatto proprio perché c’è una parte di paese non in buona salute. Ma è molto difficile che condizioni di definitivo progresso possano essere raggiunte se continuiamo a tenerci sul groppone, magari raccontandoci che siamo in procinto di organizzarne i funerali, delle organizzazioni criminali. Le quali ogni giorno non ci fanno vivere pienamente in un vero sistema democratico sociale, politico ed economico. Non possiamo trascorrere i prossimi 160 anni raccontandoci che le mafie stanno per esalare l’ultimo respiro, tenendole nel frattempo vive, magari un po’ malandate, accanto a noi. Perché ciò alla fine sarà una pesante ipoteca che graverà sempre sul sud. Sperando che un giorno, che sembra molto lontano adesso, ma dipenderà da ciascuno di noi, nessun governo dovrà porsi il problema se istituire o meno il ministero per il sud. Significherà che l’Italia, nella sostanza e non soltanto nella forma, sarà finalmente una e unita. E che metà del paese avrà trovato la forza per emergere definitivamente, anche sottraendosi al giogo delle organizzazioni criminali. Le quali però, nel frattempo, hanno seguito il ragionamento che faceva Leonardo Sciascia riferendosi alla linea della palma che si sposta verso nord. Piuttosto che passare a miglior vita, sono andate ad impiantarsi, certo non con la stessa incisività che le caratterizza al sud, pure nelle regioni distanti dal mezzogiorno.

 

mercoledì 10 febbraio 2021

Palermo, Costa Sud, tra mare e agricoltura, cosa succede quando si fanno perdere le vocazioni territoriali.

 


La Repubblica Palermo – 9 febbraio 2021

La scelta tra assistenzialismo e sviluppo vista dalla costa sud di Palermo

Francesco Palazzo

Assistenzialismo o sviluppo? Non dovrebbero esserci dubbi sull’alternativa. Il primo ci consegna cittadini non interessati a costruire prospettive di miglioramento. Il secondo responsabilizza alla costruzione del bene comune e all’avanzamento economico personale e collettivo. Ma le cose vanno di fatto al contrario di come sarebbe logico attendersi. E se non cambiamo, al sud, prospettiva, non ci salverà nessun fondo europeo in arrivo. Perché quei soldi scivoleranno nel nulla come i tanti che li hanno anticipati. Se non sai dove andare nessun vento è favorevole, ci dice più o meno il filosofo. Ci pensavo l’altra domenica mettendo insieme due fatti ormai consolidati riguardanti la cosiddetta costa sud. La quale, per carità, presenta il fiore all’occhiello del porto di Sant’Erasmo e progetti ancora in itinere. Anzi, a proposito del porticciolo. Visto che abbiamo liberato uno spazio interessante non sarebbe il caso di far vedere il mare anche a chi transita con le auto e non ha tempo e voglia di fermarsi? Abbiamo tolto lo scheletro di quanto rimaneva di una stazione di servizio e un’altra è stata fatta sloggiare. Ma guardando il sito ci si aspetterebbe di vedere il mare, invece ci sono soltanto auto parcheggiate. Non si può mettere un semplice divieto di sosta, facendolo magari rispettare? Guardando inoltre accanto non si possono non notare i bei birilli colorati che erano stati messi come barriera per impedire alle auto l’accesso al prato del Foro Italico e che adesso sono, da tanto tempo, o rotti, o mancanti o non ripresi negli originari colori. Ma quello che notavo con stupore, visto che sembra normale, lo abbiamo visto molto più in là, risalendo la costa sud. Un canale in cemento armato che immette direttamente nel mare un qualcosa d’indefinibile ma che presenta un odore nauseabondo e un colore davvero inquietante quando si mischia con l’acqua marina. Possibile che nel 2021 si verifichi ciò? Se accadesse a Mondello si chiamerebbero i caschi blu dell’ONU. Quanti altri scarichi simili ci sono lungo la costa? Tutt’intorno nel tratto di spiaggia, difficile chiamarla così, rifiuti d’ogni tipo. E poi una montagnetta accanto, una superfetazione di quelli che nel tempo sono stati chiamati affettuosamente mammelloni e che sono il risultato di quanto creato dai materiali di risulta nei decenni addietro scaricati impunemente lungo la costa. Che dal mare ai giardini poteva avere uno sviluppo molto diverso, già intravisto nei decenni seguenti il dopoguerra. Ma si è preferito fare altro. E i risultati nefasti, come quando fai due più due e non ti puoi sbagliare, non sono mancati. Perché l’altra notizia, non è la prima né sarà l’ultima che ci viene da tale contesto, è che in un posto a pochi passi dalla costa sud è stato rinvenuto un cospicuo carico di droga nascosto, così riportano le cronache, da un adolescente. Perché la scelta che si è fatta negli anni settanta non è stata quella di salvaguardare e promuovere l’economia che il mare e l’agricoltura potevano garantire in questa ampia zona di Palermo. Ma si è preferito, in maniera miope, inserire nel luogo un vasto sistema di edilizia popolare. Che nel tempo ha creato tutte le storture che tali luoghi presentano. Tanto poi gli diamo il tram, il centro commerciale e il reddito di cittadinanza e così tutto si risolve. In realtà non si è risolto proprio un bel nulla. Anzi si sono generate piazze di spaccio quasi inespugnabili e perdita di memoria storica e di sviluppo naturale dei luoghi.

 

martedì 5 gennaio 2021

Reddito di cittadinanza e mezzogiorno: i numeri raccontano la solita storia.

 La Repubblica Palermo – 05 01 2021

Se il reddito di cittadinanza ci condanna alla povertà come destino

 Francesco Palazzo


Secondo i dati più recenti, il reddito di cittadinanza è stato erogato sinora dall’inizio a 1.294.030 famiglie. La Lombardia, il Piemonte, l’Emilia Romagna e il Veneto insieme hanno totalizzato 250.001 nuclei familiari. Meno della sola Campania che si è fermata, si fa per dire, a 265.826. E quasi quanto tutta la Sicilia, che in questa particolare classifica raggiunge il secondo posto, dietro la Campania, con 234.691 beneficiari familiari. La Calabria, che ne conta 87.789, fa di più di Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta messe insieme. I confronti e gli incroci potrebbero proseguire. Il reddito di cittadinanza è a trazione meridionale. Nulla che non si sapesse sin dall’inizio. Dobbiamo tuttavia essere contenti di tale conferma? Ovviamente no, anche se pare ci siano posizioni, per carità rispettabili, che gongolano di fronte a un simile affresco. Va ricordato che tale misura intende contrastare come finalità principale la povertà. La stessa cosa faceva nella passata legislatura il Reddito di Inclusione, ma con meno stanziamenti, anche se allora si misero molti miliardi direttamente sul lavoro, che è sempre la strada maestra. Secondo l’ISTAT l’incidenza della povertà assoluta in Italia è del 5,8% al nord e dell’8,6 al sud. Se passiamo, sempre attraverso la stessa recente fonte ISTAT (riferimento anno 2019, pubblicazione giugno 2020), alla incidenza della povertà relativa, il divario, già serio, s’impenna alla grande. Andando dal 6,8 per cento del nord, al 21,1 del mezzogiorno (media italiana 11,4). Possiamo proporre alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi che studiano e si specializzano una frontiera di questo tipo, ossia una mera gestione di questo ampio, non fisiologico, spaccato di povertà strutturale e di lungo periodo, non spostando di un millimetro tutto il resto? No. E del resto lo capiscono bene da soli. Se ne vanno. Per sempre e senza tanti rimpianti. E magari, quando saremo in pensione, andremo noi a trovare loro. La domanda che dobbiamo porci è la seguente. Vogliamo che il sud sia gestito cercando di mettere panni caldi sulla povertà, che certamente va sostenuta, oppure riusciamo a capire, noi prima di altri, senza lamentarci, che non è più ammissibile tale divario tra il nord e il sud del paese? Se l’opzione preferita è la prima che abbiamo detto, siamo più o meno sulla strada giusta dal 1861. Come si può dire, gestiamo la decrescita che genera desertificazione di cervelli e lasciamo agli altri il banco. Se è la seconda strada che vogliamo percorrere, dobbiamo cambiare completamente registro. A cominciare da questo drammatico periodo che viviamo. Sbracciamoci, dunque, senza piangerci addosso, come troppo spesso facciamo, non appena le condizioni dell’emergenza sanitaria lo consentiranno. Ce la faremo oppure ci contenteremo delle morbide brioches, dei "picciuli manzi", soldi calmi, facili, come un tempo venivano chiamati, evitando il pane duro dell’impegno e della responsabilità? Dipende da noi meridionali e non da altri. Se questo ancora non è chiaro, stiamo perdendo tempo. Ma secondo voi, dal punto di vista dell’autodeterminazione, se il Ponte sullo Stretto avesse dovuto unire la Lombardia e l’Emilia Romagna, non sarebbe già pronto da decenni? Quest’anno spegneremo le 160 candeline dell’Unità d’Italia e le 75 della nostra Storia Repubblicana, lo ricordava nel messaggio di fine anno il Presidente della Repubblica. Qualsiasi misura di contrasto alla povertà ha sempre presentato, mutatis mutandis, le differenze sopra descritte da una parte all’altra dello stivale. È storia antica. Sino a quando tali provvedimenti costituiranno la politica principale per gestire metà di un paese che è tra i più ricchi al mondo grazie soltanto ad alcune aree geografiche, e quindi sino al momento in cui anche il mezzogiorno non produrrà lo stesso livello di prosperità, non staremo impiegando bene le nostre esistenze.