Oltre 5.600 laureati venticinquenni nel 2018 hanno abbandonato la Sicilia per andare a lavorare altrove. Che si aggiungono ai 200 mila già formati che, dal 2002 al 2017, hanno deciso di fare i bagagli. Ipotizzando che anche nel quadriennio 2019/2022 si confermi la fuga di 5 e 600 laureati l’anno che vanno via, ma è facile immaginare che il numero aumenti e che l’età si abbassi, visto che tantissimi vanno via dopo la triennale, dunque molto prima dei 25 anni, avremo nel ventennio 2002/2022 un totale di 228.000 giovani laureati scappati dalla nostra regione. Considerato che una famiglia per crescere e sostenere negli studi un figlio fino ai 25 anni, spende circa 165mila euro, abbiamo un totale di 37 miliardi e 620 milioni. Ma non è tutto. Nei venti anni considerati i professionisti andati via vanno ovviamente a guadagnare e conseguentemente a spendere i loro stipendi medio alti altrove. Se poi aggiungiamo che nei primi anni le famiglie continuano a foraggiare i figli sin quando non trovano un lavoro stabile, la somma netta che questa regione sborsa nei venti anni considerati raggiungerà una cifra iperbolica difficile da quantificare. Un immenso patrimonio di liquidità e cervelli che regaliamo ad altri contesti regionali. Ai quali le famiglie trasferiscono anche consistente liquidità indotta dalle frequenti visite nelle regioni del nord per andare a trovare i pargoli. Possiamo raddoppiare per difetto i 37 miliardi di prima? Arriviamo a 75 miliardi. Questo il costo, tenendoci bassi, della fuga di cervelli dalla Sicilia in venti anni. Con un impoverimento complessivo e una riduzione di popolazione residente molto seria e certificata dall’ISTAT. Non solo. Se riflettiamo un attimo cosa questo può significare in termini di mancato ricambio generazionale nel pubblico e nel privato, quello che perdiamo raggiunge una cifra lunare (100 miliardi in 20 anni?) che ci condanna a essere un popolo sempre più vecchio, più povero e più bisognoso di assistenza a fondo perduto. Quest’ultima è plasticamente rappresentata dai più di 700 mila soggetti che nel 2021 hanno fatto ricorso al reddito di cittadinanza con un importo di circa 1,7 miliardi. Tanto che la revisione della misura prevista nella finanziaria da parte del governo centrale, causa preoccupazioni. Ma se noi proiettassimo nei venti anni di sopra 1,7 miliardi, avremo la cifra di 34 miliardi, che non creano occupazione e quindi sviluppo, anzi assuefazione. A fronte di una perdita di quasi il triplo che invece si metterebbe nel conto dello sviluppo e della permanenza tra di noi di energie fresche e acculturate. Che non soltanto farebbero rimanere qua i 100 miliardi che realisticamente ipotizziamo, ma creerebbero, con le generazioni future che continuerebbero a restare, un moltiplicatore di ricchezza inarrestabile. Un immenso piano di ripresa e resilienza. Ora il punto di domanda è abbastanza semplice. Lo è da sempre per la verità. Dobbiamo continuare a drogare un’intera economia con soldi regalati che non creano sviluppo, anzi solo dipendenza, o deve essere trovato il coraggio di cambiare finalmente strada? Sia chiaro, i giovani scolarizzati al massimo grado vanno via senza nemmeno protestare. Ormai per loro è fisiologico. Mentre coloro che ancora chiedono, a conclusione delle misure di assistenza teoricamente temporanee, ed è già accaduto parecchie volte con gli esiti che sappiamo, una strada per trovare un posto al sole, sono sempre presenti e rumorosi e troveranno una soluzione come l’hanno trovata quelli di prima. Con un’ulteriore perdita secca in termini di inserimento non di giovani con titolo di studio adeguato, ma di soggetti che cercano di concludere, dal loro punto di vista, nella maniera più brillante, i loro percorsi assistenzialistici. Basterebbe una semplice calcolatrice per capire che non ci conviene, che con l’assistenza a fondo perduto, che è cosa molto diversa dal sostenere chi veramente non ce la fa, non andiamo, e non siamo mai andati, da nessuna parte. Ma forse la calcolatrice la sappiamo utilizzare bene tutti. Se è così, dobbiamo allora ammettere, senza troppi giri di parole, che ci piace molto, evidentemente, proseguire su questa via.
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