giovedì 29 ottobre 2015

Città,antimafia e politica.Tre sfide per il nuovo arcivescovo di Palermo.

La Repubblica Palermo
28/10/2015 - Pag. I
Le sfide che lo attendono
Francesco Palazzo

La nomina della guida ecclesiale della più importante diocesi della Sicilia riveste un carattere di prima importanza pure per gli aspetti, sociali, culturali e politici che riguardano anche coloro che con la chiesa cattolica hanno poco a che fare. Piaccia o no, infatti, la curia arcivescovile palermitana, essendo la sede più importante della Sicilia in ambito cattolico, incrocia spesso tanti aspetti della vita civile e non soltanto del territorio in cui ha giurisdizione. Sulla nomina dell’ispicese Corrado Lorefice, e su ciò che lo attende, si può fare più di una riflessione. Innanzitutto è giovane, 53 anni, (ma non è un record, il cardinale Pappalardo fu nominato nel 1970 a 52 anni), quindi ha molto tempo davanti a se per lasciare il segno e per modificare alle radici la diocesi palermitana. E’ un parroco, e questa è una novità assoluta dovuta al nuovo corso di papa Francesco, che direttamente diventa generale, ossia s’insedia in una sede cardinalizia. Non è palermitano. E questa è ormai una prassi. Per rintracciare l’ultimo arcivescovo del capoluogo nato a Palermo, (mentre troviamo una sfilza di napoletani anche risalendo molto indietro nel tempo), dobbiamo fare un salto indietro di centoquarantaquattro anni quando, nel 1871, e sino al 1904, il palermitano Michelangelo Celesia salì sulla cattedra di San Mamiliano. Insomma, da quasi un secolo e mezzo la comunità cristiana palermitana non riesce a esprimere un vescovo che riesca a prendere la guida della diocesi. Non c’erano parroci a Palermo che potevano ambire alla stessa nomina che è caduta sul prete della parrocchia modicana? Forse sì. Se si fosse seguita questa strada, senza nulla togliere all’alto profilo, umano e pastorale, di cui è accreditato il novello vescovo, si poteva segnare un altro dato in controtendenza e valorizzare qualche esperienza che va avanti da decenni a Palermo e viene molto apprezzata da laici e cattolici. Ammesso che non ci sia religiosità nella laicità e profonda laicità nell’essere cattolici o credenti di qualche professione religiosa. Ma cosa attende il nuovo vescovo? O meglio, cosa può aspettarsi da lui il mondo che guarda ai fatti ecclesiali dall’esterno? Vogliamo segnalare tre aspetti. Il primo. Innanzitutto occorre stabilire un nuovo rapporto con la città, in tutte le sue articolazioni. Bisogna risalire al cardinale Pappalardo, che andò via dalla sede cardinalizia quasi vent’anni addietro, per trovare la Missione Palermo con l’accattivante slogan “Palermo salva Palermo”. Le ultime due esperienze cardinalizie non si sono contraddistinte in questo senso. E’ vero, c’è stata la beatificazione di don Pino Puglisi, nel cui nome ogni anno in cattedrale s’inaugura l’anno pastorale. Ma la figura del prete ucciso a Brancaccio dalla mafia, che ha cercato un costante rapporto con i territori dove è stato mandato, è rimasta un punto di riferimento senza nessuna azione strutturale. E proprio quest’aspetto, definire una volte per tutte una pastorale antimafia organica, che non lasci più spazio ai tiepidi e agli indifferenti nelle parrocchie della diocesi, è uno dei compiti più importanti che attendono Lorefice, ed è il secondo tema che vogliamo segnalare. Se ogni parrocchia mettesse in campo segni chiari, precisi, quotidiani contro la criminalità organizzata, sarebbe un bel colpo per i mafiosi che credono che in fondo dentro la chiesa ci si sta ognuno a suo modo. Anche da criminali patentati. Infine, terzo aspetto, occorre ristabilire un nuovo rapporto con la politica rappresentata nelle sedi istituzionali. Un rapporto che non sia ricerca di finanziamenti da un lato e rampogne generiche nelle omelie dall’altro. Semplici da fare quanto facili da dimenticare. Un rapporto adulto della chiesa nei confronti della politica significa capacità di analisi, studio, esempio, denunce precise. Mettendo in campo iniziative che durino. Dimostrando che con la gratuità e la povertà di mezzi si può fare molto dove la politica non riesce pur spendendo spesso ingenti fondi.

giovedì 22 ottobre 2015

L'avventura di un viaggio in Sicilia

La Repubblica Palermo

21/10/2015 - Pag. I

Un tranquillo weekend di ritardi e disagi sulle strade siciliane

FRANCESCO PALAZZO

Un bel sabato mattina pieno di sole una coppia di palermitani decide di recarsi a Catania. Si vuole sperimentare il treno veloce, quello messo su in fretta e furia, per ovviare, in parte, alla chiusura dell'autostrada causata dal cedimento del viadotto Himera. Veloce consultazione del sito di Trenitalia, il primo convoglio parte alle 13 e 38 e arriva alle 16 e 25. Due ore e quarantasette, si può fare. Il treno precedente parte alle ore 10 e 05, ma è quello ancien regime , ci impiega quasi cinque ore. Nel sito non è specificato nulla, sembra che la corsa non nasconda alcun problema. Sembra. Si esce da casa alle ore 11 e 30, si prende il 101, si scende in Via Roma, il tempo c'è e si fanno due passi senza fretta. Arrivati alle 12 e 20 nell'atrio della stazione, diamo uno sguardo ai treni in partenza e accanto al nostro e a quello per Agrigento leggiamo " servizio bus". Che vuol dire? Ci avviciniamo alla biglietteria e un'impiegata ci informa che, a causa del deragliamento di un treno nei pressi di Caltanissetta la linea è interrotta, avremmo dovuto prendere un pullman sino a Caltanissetta Xirbi per poi imbarcarci sul treno sino a Catania. Prendiamo atto, potevano scriverlo sul sito dove invece, se vuoi acquistare il biglietto elettronico, c'è scritto che si tratta di un regionale veloce. Sì, ma quanto tempo occorre per fare tutta l'operazione? Non si può sapere, ci viene risposto in biglietteria, dipende dal traffico che incontra il pullman. Sì, ma un tempo ipotetico? Niente pronostici, pare che qualche giorno prima ci sono volute anche dieci ore. Come non detto, si opta per il classico torpedone che almeno non prevede trasbordi e in tre ore e mezza, compreso il pittoresco giro turistico sulle Madonie, ti scarica a Catania. Solo che il prossimo parte alle 14 e 30. Vabbè, a questo punto non c'è possibilità di scelta. A Catania si arriva alle 18, considerato che siamo usciti da casa alle 11 e 30, se eravamo all'EXPO potevamo completare la coda per visitare l'ambitissimo stand del Giappone. Ma non è finita qui. Poiché avevamo pagato fatto anche il biglietto di ritorno, domenica alle 18 e 30 ci presentiamo alla fermata di Piazza Alcalà, nei pressi della caratteristica pescheria catanese e a due passi dal Duomo. Arriva il mezzo e scopriamo che c'è solo un posto libero. Il secondo, vicino all'autista, abbastanza scomodo, si libera perché una ragazza scende all'aeroporto di Fontanarossa. Ma la sorpresa maggiore ce l'hanno una decina di utenti che vorrebbero salire alla fermata dell'aeroporto. L'autista scende e informa che non ci sono più posti. Pare che in aggiunta a quest'ultima corsa ce ne sarà una straordinaria alle 20 e 30, che depositerà i malcapitati, che avevano previsto di arrivare alle dieci, nel capoluogo siciliano verso mezzanotte. La società di trasporti rilascia evidentemente tagliandi in overbooking, cioè in numero maggiore di quanti passeggeri può contenere un pullman pieno come un uovo. Chiediamo all'autista se è la prima volta che capita. Non è la prima volta. Sui tornanti delle Madonie, che da Tremonzelli s'inerpicano sino a Polizzi Generosa per poi ridiscendere verso l'autostrada, il posto vicino all'autista, l'unico che ho trovato disponibile, non è il massimo. Vengo sballottolato da una parte all'altra anche con la cintura di sicurezza ben stretta. Arrivati a Palermo, che ve lo dico a fare, abbiamo ancora a confrontarci con i mezzi di trasporto. Un autista dell'AMAT c'informa che la nostra linea, il 101, la domenica dimezza il numero degli autobus su strada, e che dopo le 20 il numero si dimezza a sua volta. Qui ci voleva una mente matematica tendente all'infinito per stabilire quanto avremmo dovuto aspettare. Ma siamo stanchi e non ce la sentiamo di arrivare ai massimi sistemi. Perciò prendiamo il primo autobus che copre quasi lo stesso tragitto del 101. Ah, Catania era bella e piena di sole. Palermo è bella, la Sicilia è bellissima. Ma amministratori e amministrati, non vale per tutti ma per quasi tutti, non sono all'altezza di cotanto splendore.

mercoledì 14 ottobre 2015

Palermo: la politica dei cinque minuti pagati a peso d'oro.

Repubblica Palermo
13/10/2015 - Pag. I
La politica lontana dei gettoni d'oro
Francesco Palazzo

Centocinquantasei euro per cinque minuti per i consiglieri comunali più pagati d’Italia. Fanno trentuno euro e venti centesimi al minuto, cinquantadue centesimi al secondo. Al mese arriviamo all’iperbolica cifra di 1 milione trecentonovantaduemila settecentosessantotto euro. All’anno siamo a quasi sedici volte di quanto prende a stagione l’attaccante di punta del Palermo. Sono queste le quote d’ingaggio per gli abitanti di Palazzo delle Aquile affinché una loro, seppur fuggevole, presenza in commissione sia pagata per intero.  In nessuna attività lavorativa, pubblica o privata, è permesso un simile stato di cose. Ce li vedete un banconista di un bar, una commessa, un operatore di un call center, un operaio edile, un impiegato di banca, e non proseguiamo l’elenco perché sarebbe interminabile, che si assentano giornalmente dopo pochi minuti per poi pretendere l’intero ammontare delle giornate lavorative? Sarebbero licenziati, a ragione e con fondati motivi riconosciuti dalla legge, nel giro di niente. Quando si parla, a volte qualunquisticamente, ma spesso con fondati motivi, della distanza che c’è tra la politica e la vita normale delle persone, s’intende esattamente questo baratro, questa incolmabile distanza tra gli abitanti delle assemblee elettive e i normali cittadini. Come si può pretendere dai componenti di una comunità il rispetto delle regole se poi alle latitudini istituzionali valgono prassi, incredibilmente consentite dalla legge, che fanno a pugni con qualsiasi concetto di produttività? Senza contare che vi sono casi in cui l’elezione a uno scranno comunale coincide, ancora più assurdamente, con il miracoloso materializzarsi di un posto di lavoro super retribuito, dove il lauto stipendio viene posto a carico delle amministrazioni pubbliche, ossia grava sulle tasche di tutti noi. Ci troviamo, così, a pagare due volte una politica la cui efficienza, in molti casi, è tutta da dimostrare. Oltre il danno, la beffa. Non solo paghiamo i cinque minuti a peso di diamante, ma dobbiamo pure farci carico di attività lavorative che devono essere rimborsate alle aziende di appartenenza dei sin troppo fortunati eletti dal popolo. E’ difficile, così stando le cose, non dare fiato alle trombe del disinteresse dei componenti di una comunità verso ciò che appartiene a tutti. Perché, potrebbe dire un palermitano, io che mi sudo sino alla fine il mio magro stipendio, dovrei interessarmi del benessere collettivo se c’è chi guadagna più di centro cinquanta euro per cinque minuti di “lavoro”? Volete dargli torto? Ma è proprio impossibile immaginare che un consigliere comunale di una città come Palermo abbia soltanto un mensile (bastano due mila euro? Sono molto di più di quanto prende un insegnante a fine carriera, il quale non se ne può uscire allegramente dalla classe dopo cinque minuti piantando in asso lezione e alunni) per tutta l’attività che pone in essere sia in aula che nelle commissioni in cui è impegnato? Credo che sia più che possibile e chi può dovrebbe porre in essere delle modifiche normative, in modo che non vi sia quest’oceano di differenze tra chi vive di politica e i comuni mortali. E’ possibile che se faccio il consigliere comunale di una grande città possa prendere solo quanto mi spetta senza che la mia azienda, che magari mi assume miracolosamente un minuto dopo la mia elezione, abbia un solo centesimo? I costi della politica sono davvero un buco nero. Dentro il quale è possibile trovare una buona parte di quello che occorre per sanare i conti.  Basta puntare lo sguardo sulle più di cinquemila società partecipate in mano agli enti locali. Secondo la Corte dei Conti pesano in Italia per 26 miliardi. Realtà che talvolta paghiamo due volte, nel loro normale funzionamento e quando, in crisi, devono essere rimboccate dal pubblico con ulteriori finanziamenti. Ma questo è un tema più complesso. Nell’immediato ci si potrebbe accontentare di superare la filosofia dei “cinque minuti”, ricostruendo un rapporto di parità tra la politica del palazzo e la vita di tutti gli altri. Che giornalmente scorre su altri binari. 

sabato 3 ottobre 2015

Il sud decolla o sprofonda?

La Repubblica Palermo 
02/10/2015 - Pag. 1
Se del sud si parla soltanto nei titoli
Francesco Palazzo

Il titolo della festa nazionale dell’unità sul mezzogiorno, Il sud decolla, era accattivante e in controtendenza. E’ del maggio scorso la rilevazione annuale dell’Istat che, registrando l’aumento dello 0,3 per cento del PIL nel primo trimestre 2015, mostra un paese che sta riemergendo dalla crisi. Ma tutto ciò riguarda il centro nord. Perché il mezzogiorno va giù decisamente con una perdita di mezzo milione di occupati da quando la crisi ha esordito. Al nord, in particolare, il tasso di occupazione è del 64,3 per cento, al sud si arresta al 41,8. Anche rispetto al centro (60,9 per cento di occupati) rimane un baratro. Ma non solo questo. Scrive l’Istat che “le aree del mezzogiorno si caratterizzano per una consolidata condizione di svantaggio legata alle condizioni di salute, alla carenza di servizi, al disagio economico, alle significative disuguaglianze sociali e alla scarsa integrazione degli stranieri residenti”. I dati sono abbastanza chiari: il reddito è più basso del 18 per cento rispetto alla media nazionale (nelle aree con più difficoltà si arriva al 30). Minore reddito significa minori consumi. Infatti, gli abitanti del sud tirano fuori dalle tasche il 70 per cento della media riguardante il centro e il nord. Peraltro, il 28 per cento viene speso in beni alimentari (al centro-nord il 13). Più un sud che decolla, sembra un sud che sprofonda e che da, casomai, qualche segno non decisivo di vitalità. Nel secondo trimestre 2015 si è registrato un incremento nei dati occupazionali del sud, ma si rimane ancora molto distanti dall’area più progredita del paese. Inoltre sono aumentate le vendite sui mercati esteri. Ma ciò non sposta di molto il problema se il segretario nazionale di un sindacato (UIL), a inizio settembre, si mostrava preoccupato per il divario crescente tra nord e sud. Preoccupazione confermata dall’Istat sempre a inizio settembre, visto che, pur con un PIL raddoppiato rispetto a pochi mesi addietro (0,6 per cento), aumentano le differenze territoriali sulla disoccupazione. Perché se al nord la disoccupazione in effetti scende (0,3 per cento), al sud la situazione rimane stabile. Così le differenze aumentano: al nord 7,9 per cento di disoccupati, 10,7 al centro e 20,2 nel mezzogiorno. Mettiamoci pure gli ultimissimi dati ISTAT di questi giorni, con la Sicilia, (22,3 per cento), seconda sola alla Calabria (25,2) per tasso di disoccupazione e con Palermo prima città (dati Svimez) in quanto a fuga verso il nord. Da una festa nazionale sul sud non poteva mancare una lettura attenta di questi dati da parte di esperti. Invece non è accaduto. Assente pure un’analisi approfondita di quello che è lo stato delle mafie che infestano questa parte molto ampia dell’Italia. Nessun confronto tra esperti del settore e magistrati che si occupano della lotta alle mafie. Dicevamo, comunque, che il titolo era accattivante perché ci si aspettava che si mettessero in luce le attività imprenditoriali che nel sud vanno bene, e certamente ve ne sono, e che possono essere prese a modello. Ma anche questo aspetto non è stato trattato. Dal punto di vista politico è mancato del tutto un confronto tra i vari presidenti di regione e tra i sindaci, almeno, delle città capoluogo delle realtà regionali del mezzogiorno.  Insomma, ci si poteva aspettare molto di più, visto che la questione meridionale è ancora sotto gli occhi di tutti e condiziona i numeri di tutto il paese quando deve confrontarsi con gli altri stati dell’Unione Europea. Non basta, allora, il simpatico logo della festa (una lambretta con un’Italia capovolta, la Sicilia e il mezzogiorno che cambiano latitudini e un nord che va sotto), per mutare le cose. Che, invece, vanno capite sino in fondo per fare in modo che questa parte dell’Italia continui a non essere più la palla al piede di tutta la realtà nazionale. Da questo punto di vista sarebbe stato, ad esempio, interessante uno zoom sulle classi dirigenti del sud. Che è sempre stato il vero nodo della questione mezzogiorno. Ma non abbiamo trovato neppure questo. Sarà per la prossima volta.