La Repubblica Palermo
28/10/2015 - Pag. I
Le sfide che lo attendono
Francesco Palazzo
La nomina della guida ecclesiale della più importante diocesi della
Sicilia riveste un carattere di prima importanza pure per gli aspetti, sociali,
culturali e politici che riguardano anche coloro che con la chiesa cattolica
hanno poco a che fare. Piaccia o no, infatti, la curia arcivescovile
palermitana, essendo la sede più importante della Sicilia in ambito cattolico,
incrocia spesso tanti aspetti della vita civile e non soltanto del territorio
in cui ha giurisdizione. Sulla nomina dell’ispicese Corrado Lorefice, e su ciò
che lo attende, si può fare più di una riflessione. Innanzitutto è giovane, 53
anni, (ma non è un record, il cardinale Pappalardo fu nominato nel 1970 a 52
anni), quindi ha molto tempo davanti a se per lasciare il segno e per
modificare alle radici la diocesi palermitana. E’ un parroco, e questa è una
novità assoluta dovuta al nuovo corso di papa Francesco, che direttamente
diventa generale, ossia s’insedia in una sede cardinalizia. Non è palermitano.
E questa è ormai una prassi. Per rintracciare l’ultimo arcivescovo del
capoluogo nato a Palermo, (mentre troviamo una sfilza di napoletani anche
risalendo molto indietro nel tempo), dobbiamo fare un salto indietro di
centoquarantaquattro anni quando, nel 1871, e sino al 1904, il palermitano Michelangelo
Celesia salì sulla cattedra di San Mamiliano. Insomma, da quasi un secolo e
mezzo la comunità cristiana palermitana non riesce a esprimere un vescovo che
riesca a prendere la guida della diocesi. Non c’erano parroci a Palermo che
potevano ambire alla stessa nomina che è caduta sul prete della parrocchia
modicana? Forse sì. Se si fosse seguita questa strada, senza nulla togliere
all’alto profilo, umano e pastorale, di cui è accreditato il novello vescovo,
si poteva segnare un altro dato in controtendenza e valorizzare qualche
esperienza che va avanti da decenni a Palermo e viene molto apprezzata da laici
e cattolici. Ammesso che non ci sia religiosità nella laicità e profonda
laicità nell’essere cattolici o credenti di qualche professione religiosa. Ma
cosa attende il nuovo vescovo? O meglio, cosa può aspettarsi da lui il mondo
che guarda ai fatti ecclesiali dall’esterno? Vogliamo segnalare tre aspetti. Il
primo. Innanzitutto occorre stabilire un nuovo rapporto con la città, in tutte
le sue articolazioni. Bisogna risalire al cardinale Pappalardo, che andò via
dalla sede cardinalizia quasi vent’anni addietro, per trovare la Missione
Palermo con l’accattivante slogan “Palermo salva Palermo”. Le ultime due
esperienze cardinalizie non si sono contraddistinte in questo senso. E’ vero,
c’è stata la beatificazione di don Pino Puglisi, nel cui nome ogni anno in
cattedrale s’inaugura l’anno pastorale. Ma la figura del prete ucciso a
Brancaccio dalla mafia, che ha cercato un costante rapporto con i territori dove
è stato mandato, è rimasta un punto di riferimento senza nessuna azione
strutturale. E proprio quest’aspetto, definire una volte per tutte una
pastorale antimafia organica, che non lasci più spazio ai tiepidi e agli
indifferenti nelle parrocchie della diocesi, è uno dei compiti più importanti
che attendono Lorefice, ed è il secondo tema che vogliamo segnalare. Se ogni
parrocchia mettesse in campo segni chiari, precisi, quotidiani contro la
criminalità organizzata, sarebbe un bel colpo per i mafiosi che credono che in
fondo dentro la chiesa ci si sta ognuno a suo modo. Anche da criminali
patentati. Infine, terzo aspetto, occorre ristabilire un nuovo rapporto con la
politica rappresentata nelle sedi istituzionali. Un rapporto che non sia
ricerca di finanziamenti da un lato e rampogne generiche nelle omelie
dall’altro. Semplici da fare quanto facili da dimenticare. Un rapporto adulto
della chiesa nei confronti della politica significa capacità di analisi,
studio, esempio, denunce precise. Mettendo in campo iniziative che durino.
Dimostrando che con la gratuità e la povertà di mezzi si può fare molto dove la
politica non riesce pur spendendo spesso ingenti fondi.