martedì 31 luglio 2012

La borghesia sarà mafiosa, ma nei quartieri popolari manco babbiano.

LiveSicilia - Domenica 29 Luglio


Francesco Palazzo

        

Nella metà degli anni Ottanta, dalle parti di Brancaccio, la festa estiva del santo - pare - servì anche a suggellare la pax mafiosa scoppiata nel territorio dopo anni di ammazzatine in ogni angolo del quartiere. La chiamarono guerra di mafia. Era la scalata al potere dei corleonesi. Vero o no che fosse il collegamento tra quella manifestazione religiosa, con spettacoli e giochi di fuoco d'ordinanza, e la situazione meno cruenta dentro Cosa nostra, è un fatto che le processioni, con tutto il corollario di raccolta di fondi casa per casa e negozio per negozio, saldino, sovente, tradizione, credulità popolare, fede genuina, chiesa cattolica e criminalità. Non accade sempre, non accade dappertutto, ma lo si può dire con una certa sicurezza. E' ovvio che in queste manifestazioni venga coinvolta tanta gente che non c'entra nulla con la mafia. Io stesso, per dire, se non fosse stato per il servizio militare, avrei tranquillamente partecipato, nel mio quartiere d'origine, all'evento di devozione popolare citato all'inizio. Allora poco mi occupavo di certe letture dei fatti. Sono cose che ho saputo e intuito dopo. Né si può dire che tutti coloro che fanno parte dei comitati organizzatori difendano o rappresentino interessi mafiosi. Sarebbe stupido e ingiusto affermarlo.
Ma, anche negli ultimi anni, sempre in quel rione, ho avuto modo di verificare che, parallelamente ai festeggiamenti per il santo, anzi talvolta spostate di qualche settimana rispetto ad essi, sembra per attendere che qualcuno lasci le patrie galere e possa assistere a piede libero, si svolgono esibizioni canore di tutto rispetto. I neomelodici napoletani vanno forte pure lì e le dediche dal palco, per gli ospiti dello stato, non mancano. Don Puglisi, dal 1990 al 1993, e prima ancora di lui Rosario Giuè, la cui fondamentale opera di parroco a Brancaccio dal 1985 al 1989 mai si cita quando si parla di quella zona, cercarono, riuscendoci, di porre dei paletti su tale argomento. Per dire che la chiesa, quando non si gira dall'altra parte, può fare molto per evitare che altri si approprino del culto per i propri fini.
Pensavo a questo, tornando ai miei vent'anni, età in cui, come dice Guccini, è tutto ancora intero, riflettendo sulle polemiche relative ai saluti verso i carcerati formulati durante il concerto che alla Kalsa ha fatto da contorno ad una festa religiosa. La constatazione da fare, secondo me, realisticamente, evitando di scandalizzarci davanti all'ovvio, è che il cuore dei quartieri popolari, più o meno periferici, ha nei confronti dell'agire e del pensare mafioso una condivisione molto profonda e di lunga durata. Che quelli delle zone bene (viene da ridere quando qualcuno si esprime in tal modo), non vogliamo ammetterlo, perché ci piace pensare che le nostre quattro fiaccolate in occasione degli anniversari illuminino tutti gli antri oscuri e maleodoranti di questa città e della Sicilia intera, è un discorso. Che, probabilmente, fa da guanciale morbido alle nostre coscienze di benpensanti che vogliono farla facile. Che le cose stiano in un altro modo, e se ne freghino della circostanza che noi preferiamo non vederle, è un dato che non c'è neanche bisogno di dimostrare.
La cartina di tornasole sono gli applausi a scena aperta, lunghi e sentiti, tante standing ovation, indirizzati a chi dai vari palchi snocciola i nomi degli ospiti delle patrie galere. Momentaneamente rapiti alla vista, ma vivi e vegeti nel cuore degli amici e degli amici degli amici. Cosa voglio rappresentare con tutto questo? Che esiste senz'altro la borghesia mafiosa. Che la mafia, dall'unità ad oggi, è soprattutto un fatto di classi dirigenti. Ma è altresì, ognuno stabilisca la percentuale che ritiene più opportuna, un vissuto di popolo. Che condivide, protegge, tramanda e foraggia le mafie sui territori. Solo che spesso siamo propensi a condannare duramente la borghesia, forse al di là dei propri demeriti e collusioni. E troviamo più congeniale, al contrario, emettere un giudizio più clemente sul popolo spicciolo. Ritenendolo, quasi sempre, vittima necessitata e non coprotagonista volontario, quale secondo me è, dei sistemi mafiosi. Forse dovremmo ripensare un po' il tutto e chiederci perché le mafie hanno ancora tanto consenso. E che parte abbiano le moltitudini che vivono nei quartieri popolari nella costruzione e nella fortificazione di esso.

giovedì 19 luglio 2012

Borsellino, un anniversario pieno di buio.

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Perché non andrò alle commemorazioni

Giovedì 19 Luglio

Francesco Palazzo

E' un pessimo anniversario il ventesimo della carneficina di Via D'Amelio. Pure le solite parole, che cerchiamo in genere di cesellare, asciutte e senza fronzoli, per evitare l'umidità appiccicaticcia dell'anticiclone siculo della retorica, non vengono fuori. E' amaro constatare, dopo settemila e trecento giorni, che “la stanza della verità”, come dice Antonio Ingroia, è ancora buia. Come si fa a sostenere il contrario? Ma la cosa è probabilmente ancora più complessa. Il problema è che se si continua ad occultare e a coprire, quando si accenderà la luce, se mai si spingerà quel pulsante, quella stanza potrebbe essere pure vuota, spoglia, deserta. Ma poi, ci chiediamo, è una sola la stanza da illuminare? Temiamo che sia sin troppo semplicistico immaginare un'unica chiave che possa aprire la toppa della stanza degli orrori. O, se volete, della più oscena delle normalità. Perché, insomma, queste complicità tra mafie e politica, abbiamo l'impressione che siano disseminate in vari luoghi, in tante memorie, in molteplici reticenze, in una miriade di occhi che hanno visto e si sono girati da un'altra parte. Di mani che potevano afferrare la presa e invece sono state tenute in tasca.
Per paura, per complicità, per connivenza, per indifferenza. Fate voi. Che importa. Sono un'infinità i file da aprire. E, più passa il tempo, meno sono le probabilità che questi forzieri dell'indicibile contengano qualcosa che possa davvero interessare i tribunali e la storia. Il risultato è che, oggi, se non vogliamo prenderci in giro e consolarci con i pannicelli caldi delle marce e delle fiaccolate, delle idee dei morti che camminano sulle nostre gambe, lo stato, che in questo caso non merita di essere scritto con la l'iniziale maiuscola, si mostra lacerato e diviso di fronte a una delle stazioni più cruente, il periodo stragista dell'inizio degli anni novanta in Sicilia e nel continente, della storia repubblicana. Oggettivamente, se vogliamo andare all'osso della questione, e chi scrive deve sempre cercare di farlo, è un bel regalo ai poteri criminali. Qualsiasi cosa s'intenda con essi. E che certamente non coincidono del tutto con i macellai che fanno il lavoro sporco. Il migliore dei doni, non c'è dubbio alcuno. In effetti, quelle bombe del '92 e del '93, che si credeva avessero lacerato solo Cosa nostra, tanto era suicida un piano di quel tipo, vogliamo dire i motivi non semplicemente militari per cui si arrivò a tanto, hanno messo dentro il corpo delle istituzioni un veleno per il quale ogni antidoto non fa altro che peggiorare il male. Perché è sempre quello sbagliato, visto che la patologia non si riesce neanche a definire con certezza.
Tra ammiccamenti, accordi, trattative, papelli, disattenzioni, ritardi, processi costruiti sul nulla, memorie intermittenti e, forse, non sempre complete e veritiere, collaboratori di giustizia che riscrivono pezzi di storia, procure spaccate, palazzi dei veleni, non si sa più da che parte guardare. Sì, per carità, prima o dopo si arriverà a qualche pronunciamento giudiziario, che traccerà qualche labile solco. Ma difficilmente si perverrà ad una memoria condivisa, certa, univoca. Dove tutti, dal primo all'ultimo cittadino di questa Repubblica, possano orientarsi tra le nebbie delle imposture, vere o presunte, e respirare a pieni polmoni un po' di aria pulita. Dopo vent'anni, se abbiamo l'onesta intellettuale di ammetterlo e non vogliamo nasconderci colpevolmente dietro le nostre fiaccole rassicuranti, questo consegniamo a chi nasceva allora. Alle nuove generazioni. Questo ci rimane tra le mani. Potremmo non dirla questa verità e metterci in coda nella nostra bella marcia. Io quest'anno, per la prima volta, non andrò. Non ne ho voglia.

venerdì 13 luglio 2012

Consiglio comunale di Palermo, non cominciamo bene.

LiveSicilia

Giovedì 12 Luglio 2012

Consiglio, non buona la prima

Francesco Palazzo

    

La nuova legislatura comunale a Palermo, che sembrava essere partita bene per i diversi atti di governo messi in campo dalla giunta nelle prime settimane di vita, è inciampata in una brusca frenata nel primo vero atto politico importante, ossia l'elezione dei vertici di Palazzo delle Aquile. Il clima a Sala delle Lapidi non è stato dei migliori già al secondo giorno di scuola. Il che è un record. In negativo. Sono volate parole grosse, che poco si sposavano con gli abiti nuovi e con i sorrisi dei consiglieri e delle consigliere sfoggiati nella giornata inaugurale. Ora c'è la guerra delle stanze da assegnare ai gruppi, ma è un dettaglio.
Torniamo alla sostanza. Dentro l'IDV c'è chi ci è rimasto parecchio male per il metodo poco democratico con il quale si è arrivati alla scelta del nome da fare votare per la presidenza del Consiglio. A occhio e croce, abbiamo la forte sensazione, che ovviamente i fatti potrebbero smentire a partire da domani, che la folta pattuglia dei dipietristi sia attraversata da qualche maretta e da divisioni. Il Partito Democratico, dal canto suo, non c'è rimasto bene che una vicepresidenza vicaria del consiglio non sia andata alla candidata più votata di quel partito, ma ad una esponente di IDV. Ma il PD ha alzato la voce pure per la vicepresidenza destinata all'opposizione di centrodestra, che si era accordata su un esponente del PDL. Che, invece, è stato impallinato da IDV in aula a favore di un esponente dell'UDC. Non parliamo dell'ira degli ex padroni della città e dell'ascia di guerra dissotterrata dal PDL, che aveva votato, insieme a quasi tutti i cinquanta consiglieri, il neopresidente del consiglio comunale.
E' vero che sia il PDL che il PD sono ridotti ai minimi termini e che le spaccature di Italia dei Valori sono tutte da dimostrare. Ma non ci si aspettava certo che il clima, visto la maggioranza bulgara di cui la nuova amministrazione dispone, fosse subito infuocato, la città venisse relegata in fondo al vicolo e in cima si stagliassero gli appetiti dei partiti e dei singoli. La qual cosa, se si pone in perfetta continuità con quanto vissuto in quel consesso dal 2001 sino a poche settimane addietro, non ci fa ben sperare per il futuro. Perché il rischio adesso è che, sin dall'inizio, saltando la classica e scontata luna di miele, finiscano col prevalere sorde guerre intestine e palesi atti di guerriglia dichiarati e che a pagare siano ancora una volta Palermo e i palermitani. Si dirà che, per quanto importante, si tratta soltanto del primo round e che il match è ancora tutto da giocare. Però, ecco, questo primo scricchiolio è da segnalare con preoccupazione.
Perché, ricordiamocelo, non occorre solo che siano migliori rispetto al passato il sindaco e la sua squadra di governo, ma che si registri pure una netta inversione di tendenza nell'assemblea dei consiglieri. E forse questa legge, che si preoccupa soltanto di elevare il target della carica monocratica, non fa altrettanto, probabilmente, per l'altro corno del governo delle città. Storicamente il più rissoso e il meno produttivo. Oltre quanto detto, cambiando prospettiva, c'è anche da dire qualcosa sulle scelte soggettive compiute dalla più importante assise politica cittadina. Anche in questo caso, nulla avendo da ridire sulle qualità umane e politiche delle persone prescelte, ci è parso che si sia seguita la linea grigia e burocratica della politica politicante. Un po' manuale Cencelli, un po' il corto respiro della mancanza di coraggio.
Quando, probabilmente, anche nella scelta dei nomi occorreva dare un segnale diverso, più dinamico, meno incancrenito. Anche volendo rispettare la differenza dei numeri che incroceranno le armi sullo scacchiere di Sala delle Lapidi. Insomma, per la presidenza e per le due vicepresidenze del Palazzo di Città occorreva una ventata di novità, una folata anagrafica, la possibilità di sentire un nuovo linguaggio nella tolda di comando della casa comune che si staglia sulla Piazza della Vergogna. Non è stato possibile oppure non si è tentato. Vedremo il seguito e avremo senz'altro più fondati elementi per giudicare. Intanto, non buona la prima.

martedì 10 luglio 2012

Il PD in Sicilia non ha finito di sorprenderci.

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8 Luglio 2012

Gli effetti spettacolari del Partito democratico

Francesco Palazzo

    

Ce ne ricorderemo di questo partito. Pensiamo, soprattutto, se ne ricorderanno gli elettori alle elezioni. Le ultime piroette dei democratici sula mozione di sfiducia al presidente della regione lasciano senza fiato e senza parole. E' anche difficile raccontare questa storia. Fatta di riunioni, assemblee, vertici, divisioni, ricongiungimenti, decisioni, marce indietro, accelerazioni. Ora ci attende un'altra direzione regionale. Sentiremo il nuovo verbo. Intanto, c'è già abbastanza carne al fuoco per scrivere un manuale di cosa non fare se non volete condannarvi, senza possibilità di errore, al suicidio politico. Vi siete mai imbattuti in una formazione politica che intende presentare una mozione di sfiducia a una settimana dalle dimissioni, annunciate con largo anticipo, dello sfiduciando? E avete per caso annoverato nella vostra casistica un partito che chiede sia le dimissioni che la data del voto e, avendole ottenute entrambi, si avventura a sbattere lo stesso sul tavolo una mozione di sfiducia? E fa parte del vostro campionario una delegazione parlamentare che riceve un chiaro mandato dal partito di mettere all'ordine del giorno la mozione di sfiducia e decide di fare all'incontrario? Avete mai visto una compagine partitica che intende discutere nello stesso identico giorno le dimissioni, più volte confermate, di un presidente della regione e la mozione che potrebbe mandarlo a casa? Credo che, quest'ultimo, sia un caso più unico che raro nelle democrazie parlamentari. Un evento di portata planetaria, se si fosse realizzato. Altro che particella di dio. E' vero che siamo particolari e speciali, ma tutta questa casistica sa più di operetta che di politica. Ad ogni modo, se sino ad oggi, la risposta agli interrogativi precedenti era no, il partito democratico siciliano, che non ci fa mancare niente, ci ha dato la possibilità di riempire con un deciso sì pure queste caselle. Dopo di che, in questa legislatura regionale che volge al termine, i democratici hanno sfoderato un campionario pressocchè completo di tutto. Ma non m'impiccherei a quest'ultima certezza. Da qui alle elezioni, sia ben chiaro, i bersaniani siculi potrebbero infatti ancora stupirci con altri effetti spettacolari, tali da far impallidire pure le imprese della nazionale agli europei. Sino ad oggi, e siamo, teoricamente, a meno di centoventi giorni dalle elezioni regionali, non hanno minimamente un'idea unitaria della coalizione con la quale si presenteranno alle urne, non dispongono di un programma comune di cose da fare per i siciliani e la Sicilia e sono ben lontani dall'aver individuato il candidato alla presidenza che appoggeranno. Dopo gli ultimi due anni, nei quali hanno impartito ai miscredenti, urbi et orbi, il credo riformista della concretezza che guardava lontano e veniva da ancora più lontano, non c'è male. E, quando spunta qualche autocandidatura, che ormai vanno di moda come le zeppe per le donne, molto eccentricamente, anziché dal popolo e dalla società, la vediamo sorgere dai social network. La cui pratica, come sappiamo, è l'occupazione principale del popolo siciliano. Tutti smanettoni, giorno e notte, perduti a cliccare mi piace, condividi, commenta. Se non ci fosse da piangere, potremmo metterci a ridere. Ma credo che, visto il duro frangente economico e sociale vissuto dagli isolani, ci sia poca voglia di prenderla in burla e farsi una bella risata. In realtà, l'unico sport in cui, sembra, siano impegnati diuturnamente i democratici è quello di decidere chi dall'Assemblea Regionale passerà agli scranni parlamentari romani e chi, da Roma, tornerà all'ovile siciliano di Palazzo dei Normanni. Così continuando, da tutto questo lavorio, solo un vantaggio potrebbero trarne. In una delle prossime assemblee regionali di partito, quelle dove si discute tanto per non decidere niente, visto che dal giorno dopo ciascuno si tiene ben stretto il suo pezzo di PD, potrebbero entrare tutti in una sala. Compresi gli elettori.

mercoledì 4 luglio 2012

Eletti, per vedere pagare e sorridere.

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 04 LUGLIO 2012
Pagina I
Se assessori e consiglieri pagassero il biglietto
Francesco Palazzo


Quando si vuole apportare una piccola modifica nella vita amministrativa di una città, mettendo in discussione prassi consolidate - che a latitudini diverse si chiamano semplicemente malcostumi - ecco che si alzano alcuni, magari tra quelli che hanno usufruito di prebende che assomigliano a pratiche feudali, i quali ci fanno sapere che non è così che si risolvono i problemi di una comunità. Che ben altro occorre per uscire dal tunnel. C’è chi lo afferma apertamente e c'è chi lo bisbiglia, ed è una reazione istintiva di autoconservazione crediamo abbastanza trasversale agli schieramenti politici. Nel caso in questione, ci riferiamo alla proposta avanzata dal segretario provinciale di Italia dei Valori, Pippo Russo, di non fornire più biglietti gratuiti ai consiglieri comunali per l'accesso allo stadio e ai teatri Massimo e Biondo. Ci sembrerebbe un provvedimento di semplice convivenza civile. Se i nostri cinquanta consiglieri neoeletti amano il calcio, la prosa e la lirica, guadagnano abbastanza, e certamente più di tanti che pagano ogni anno centinaia di euro in abbonamenti, per mettere mano ai portafogli e soddisfare le proprie inclinazioni sportive e culturali.Ci rendiamo conto che da noi certi cambiamenti si tingono di aspetti rivoluzionari, mentre altrove ci sono ministri che vanno in bicicletta. Come accade in Danimarca. E non solo. Tutti abbiamo avuto modo di vedere sul web la foto del sindaco di Londra, che non è esattamente un piccolo paesino, recarsi in bicicletta al lavoro di primo cittadino. Così come abbiamo ammirato il sindaco di New York, un'altra città non proprio periferica, che viaggia in metropolitana. Sono piccoli grandi gesti di civiltà che valgono più di mille discorsi. E, qualcosa, ma siamo solo all'inizio, sta già accadendo pure da noi. Infatti, ci sembra che parta con il piede giusto il nuovo assessore alla mobilità nell'annunciare che non saranno più concessi agli inquilini di Palazzo delle Aquile e agli assessori permessi per posteggiare ovunque e scorrazzare nelle corsie riservate ai mezzi pubblici, a quelli di emergenza o ai portatori di handicap (quelli veri, ovviamente, non taroccati).Certamente ricorderete, come si fa a dimenticarle, le feroci polemiche nelle due passate legislature palermitane ogni qual volta si voleva limitare il diritto degli eletti di fare per strada ciò che a un normale cittadino non è permesso. Pure il parcheggio sotto il palazzo di città volevano. La scusa era che per espletare il mandato non potevano perdere tempo nel traffico. Vivevano quasi come un'offesa la sola idea di doversi cercare un posto per la propria auto, come fanno tutti i comuni mortali. Ora la diatriba si riaccende più infuocata di prima. Vedremo se si saprà passare stabilmente dalle parole ai fatti. Se è possibile azzerando, se ve ne fossero ancora, altre piccole sacche di incomprensibile arroganza di chi è mandato nelle istituzioni per servire la città e non per incanalare la propria vita in una dimensione che poco ha di servizio e molto somiglia alla ricerca di benefici vari. Da estendere, perché no, al folto esercito clientelare che pressa. Per il quale, anche il tagliando per un concerto di serie B, è un segno tangibile che il pezzo grosso ti è vicino e che hai fatto dunque bene a votarlo. Insomma, saremmo molto contenti nel vedere i consiglieri comunali acquistare i biglietti per il teatro, scorgerli negli autobus che parlano con le persone, attendendo come tutti alle fermate. O che, se decidono di ricorrere sistematicamente ai mezzi privati non abbiano nessun vantaggio sul resto dei palermitani. Stesso discorso vale per gli assessori e per il sindaco, compatibilmente con i meccanismi di sicurezza di cui taluno dispone. Sono cose che non serviranno, da sole, a salvare Palermo. Ma almeno ci aiuteranno, oltre che a stimolare in altri enti locali e nella stessa amministrazione regionale uno spirito di emulazione, a non scavare di qualche altro centimetro al giorno la fossa del baratro civile sul quale siamo seduti da troppo tempo.