giovedì 24 settembre 2009

Le minoranze e gli azzeramenti progressivi

LA REPUBBLICA PALERMO – GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2009
Pagina XV
Cosa viene dopo l´azzeramento
Francesco Palazzo

Il nuovo orizzonte della politica siciliana si chiama azzeramento. Ci si può chiedere che efficacia avranno le azioni nei rami delle amministrazioni, che vantaggi ne trarranno i cittadini, se si cambiano i vertici degli assessorati come le camicie. Ciò che, tuttavia, appare più dannoso è che la girandola nelle squadre di governo va di pari passo con l´azzeramento delle maggioranze uscite dalle urne. Come se il voto fosse solo un incidente di percorso. Celebrato il quale, iniziano i veri giochi, che poco hanno a che vedere con la gestione delle pubbliche istituzioni. Si azzera alla Regione, poi al comune di Palermo, quindi ripercussioni alla provincia. In seguito vedremo i contraccolpi negli altri enti locali, nelle società partecipate e in tutti gli enti di sottogoverno. Chi di azzeramento ha colpito, mettendo fuori intere famiglie politiche, di azzeramento sarà infilzato in altri luoghi. Quello che colpisce, e rende normale tale mortificazione del voto popolare, è che pure l´opposizione accetta tale modo di agire. Prendete il governo regionale e la (non) maggioranza che lo sostiene. Si è arrivati a questa situazione dopo che pure dal Partito Democratico erano partiti forti segnali. Se si voleva l´inizio di una stagione dai toni collaborativi dai banchi della minoranza, all´ARS rappresentata solo dal PD, si doveva procedere con la demolizione del primo esecutivo Lombardo e con la denuncia della coalizione che lo aveva sostenuto in campagna elettorale. Invito raccolto. Ed ecco che abbiamo una configurazione parlamentare confusa, dove l´approvazione di ogni singolo provvedimento è sottoposta alle più svariate prese di posizione dei singoli parlamentari. E non è finita qui. Dal gruppo parlamentare dei democratici, che ormai procede staccato dal partito, si torna a domandare, per iniziare una fase ancora più virtuosa, un nuovo rivolgimento del quadro politico regionale. In pratica, si chiede di abbandonare lo schema di centrodestra e fare qualcos´altro. Così, senza passare nuovamente dalle urne. C´è da rimanere più che perplessi di fronte a tale sorprendente uscita. Soprattutto se avviene durante una campagna elettorale per le primarie, non priva di colpi sotto la cintura, che vede fronteggiarsi quattro candidati per la corsa verso la segreteria regionale del PD. Ma poi, quale sarebbe la risultante politica della strategia degli azzeramenti progressivi? E inoltre, dopo il secondo passaggio di bianchetto sulla politica regionale, ammesso che davvero si arrivi a tanto, ne verrà chiesto un altro, e poi un altro ancora? E quanti azzeramenti occorrono, in una legislatura, per raggiungere la perfezione assoluta? Abbiamo, in definitiva, l´impressione che tutti questi scossoni interni al centrodestra siciliano, che ormai fa insieme da maggioranza e opposizione a se stesso, lungi dal giovare alle ragioni delle minoranze, ne attenuano sempre più la visibilità e la progettualità.

venerdì 18 settembre 2009

Padre Puglisi, la verità anche per lui

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
del 18 9 2009
Pag. 55
In memoria di Puglisi
Francesco Palazzo

Le circostanze che portarono all’eliminazione del giudice Borsellino, nel luglio del 1992, e alla strategia stragista di Cosa nostra in continente, nel 1993, sembrano oggi mettere in primo piano, sebbene molto sia ancora da chiarire e approfondire, la mafia di Brancaccio. Non è fuori luogo ricordarlo in questa settimana, in cui si è ricordato il sedicesimo anniversario della morte per mano mafiosa di Don Pino Puglisi. Egli, intendendo fare al meglio solo il prete, venne verosimilmente a scontrarsi non con una semplice cosca mafiosa. Questo già avveniva in altre parrocchie di Palermo. Nella stessa comunità cristiana di S.Gaetano, dove Puglisi spese i suoi ultimi tre anni di vita, vi era stato in precedenza, dal 1985 al 1989 un altro parroco, Rosario Giuè, che aveva, davvero per la prima volta in quel territorio, portato e costruito un sentire antimafioso, sia dentro il tempio che fuori. Solo che ai tempi di Puglisi, e oggi è possibile inquadrare meglio il tutto, lo scontro tra quanti volevano portare a Brancaccio un impegno cristiano, sociale e antimafioso e i cosiddetti uomini d’onore, non riguardava soltanto aspetti legati a pur importanti questioni locali. La rete della violenza mafiosa, che cade sull’inerme sacerdote la sera del 15 settembre 1993, mentre si apprestava a mettere le chiavi sull’uscio di casa dopo una giornata di duro lavoro, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, era stata il larga parte tessuta in un contesto molto più ampio. Che, da Brancaccio, attraversava tutta la Sicilia e aveva uno dei suoi punti di protezione, e anche qui speriamo presto di saperne di più, in qualche centrale di potere vestita esternamente di legalità, ma dentro pronta a trattare, coprire, suggerire. Puglisi, certo inconsapevole dello scacchiere immenso entro cui la sua azione si muoveva, restò schiacciato in questa enorme tenaglia criminale che non ci pensò due volte ad abbattere un rappresentante della chiesa. Non era la prima volta che accadeva e non sarebbe stata l’ultima. Ricordiamo che nel marzo dell’anno seguente cadrà, a Casal di Principe, Beppe Diana. Ma era la prima volta che un rappresentante del clero veniva eliminato all’interno di un disegno che trovava il pretesto omicidiario in un determinato quartiere periferico, ma che rispondeva a logiche molto più complesse e ingarbugliate. Certo, la cosca di Brancaccio, in quel momento nella stanza dei bottoni dell’ala più sanguinaria del potere mafioso, aveva qualche problema nel far passare l’omicidio come normale amministrazione. E’ noto a tutti il fatto che venne utilizzata un’arma che in genere i tiratori scelti del gruppo di fuoco disdegnavano per le esecuzioni, in modo che la morte di Puglisi potesse passare come il tragico epilogo di un tentativo di rapina. E’ forse meno noto che, per incoraggiare tale quadro investigativo, qualche tempo dopo, in una delle vie adiacenti Piazza Anita Garibaldi, dove cadde Puglisi, fu fatto trovare in un’auto il corpo senza vita di un anonimo delinquente di borgata. In modo da fornire a tutti la certezza che la mafia aveva fatto giustizia. Il fatto non balzò all’attenzione dell’opinione pubblica perché gli uomini delle cosche non riuscirono, all’inizio pare fosse questo il loro intendimento, a lasciare quel cadavere nella stessa piazza, dalla sera dell’omicidio costantemente presidiata. Ed era forse un tentativo messo in atto, non tanto e non solo per giustificarsi con la chiesa, ma per impedire che il tassello dell’omicidio Puglisi venisse posto nel giusto spazio. Ossia dentro quel piano di attacco frontale a certi uomini, compreso Puglisi, che difendevano, da postazioni diverse, lo Stato e la democrazia con la schiena dritta, mentre altri cercavano di porre in essere giochi oscuri. Messa così, la verità, tutta, su quegli anni, se mai si arriverà a conoscerla per intero, sarebbe un omaggio anche al prete Pino Puglisi. Morto, a prima vista, a Brancaccio e solo per Brancaccio. Ma anche e soprattutto per custodire, a mani nude, solo con l’ausilio della sua fede e della sua operosa speranza, in una battaglia molto più grande del suo esile corpo, il futuro di questo paese.

sabato 5 settembre 2009

Partito Democratico, liti e (non) politica

CENTONOVE
Settimanale di politica, cultura, economia
N. 33 del 4 9 2009 - Pag. 10
Quando volano i piatti
Francesco Palazzo

Nel Partito Democratico siciliano, ci vuol poco a capirlo, settembre e ottobre saranno due mesi caldissimi. Se i candidati alla segreteria regionale se le mandano a dire con un certo fair play, dalle retrovie dei rispettivi simpatizzanti siamo già ai patti che volano. Non so se avete presente le liti che scoppiano nel parentado. Improvvisamente esplode la fiammata e non ci si capisce più niente. Il motivo scatenante è quasi sempre banale. E’ solo un pretesto affinché vengano fuori mesi o anni di dispetti compiuti, e sopportati, mostrando falsi sorrisi tra i denti. Inaspettatamente, basta solo un momento, ecco che la frittata è fatta. E allora, come dice una nota barzelletta, quando è guerra, è guerra per tutti. Non voglio prenderla troppo alla larga. Del resto, il fatto è ormai noto. Almeno nei circuiti ristretti di quanti vivono di pane e politica. Niente che possa minimamente interessare i cittadini elettori, o che si apprestano a esserlo, o che se la stanno pensando, del maggiore partito di opposizione. Se non fosse per il fatto che da un partito così dilaniato uno potrebbe, e con mille ragioni, più che avvicinarsi, fuggire a gambe levate. Quanto accaduto una decina di giorni addietro, lungi dall’essere una circostanza minore, come qualcuno potrebbe subito pensare, da derubricare nel settore “ scaramucce per la scalata al potere”, ci rassegna lo stato di salute, in periferia, di un partito alla vigilia delle primarie nazionali e regionali. La cronologia è, grosso modo, la seguente. Il segretario nazionale dei democratici, Franceschini, sbarca a Palermo per far visita a due dei cinque eritrei sopravvissuti all’ennesima tragedia del mare. Com’è prassi, a quanto pare consolidata, ancorché del tutto corretta e comprensibile, non avvisa il segretario cittadino del luogo in cui si reca, ma una serie di dirigenti aderenti alla sua mozione congressuale. Alle rimostranze della parte che si sente legittimamente esclusa, la quale appoggia a livello nazionale Bersani, e in Sicilia Lumia, che nella nostra regione si oppone, tra gli altri, al franceschiniano Lupo, ecco che parte la contesa verbale. O meglio, emerge la lotta senza tregua che già scorre, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, in tutto il Pd. Isole, ovviamente, incluse. Le parole volano come pietre. Da chi liquida bruscamente qualche esponente della classe dirigente democratica palermitana, a chi, in sua difesa, mobilita il popolo telematico con gruppi specifici, ad esempio su facebook. E anche nel social network si registrano frasi taglienti. Tutto il resto è un contorno di prese di posizione, frasi smozzicate, mezze parole, con cui ognuna delle parti in campo pianta bandierine per circoscrivere il proprio territorio e scavare trincee per una battaglia, da combattere con ogni mezzo, che si fa sempre più dura e senza quartiere. Poi il silenzio. Abbiamo il fondato sospetto che questa sia solo la prima puntata e che la contesa continui lontano dai taccuini. Chissà come arriveranno al 25 ottobre, data fissata per le primarie. Se continuano di questo passo, almeno in Sicilia, si presenteranno alla conta interna un po’ malconci e, forse, anche non in tanti oltre il corposo zoccolo duro che in genere accorre a questi appuntamenti. Si ha l’impressione che questo partito ancora in fasce, alla faccia del nome, democratico, stia diventando sempre più una formazione di notabili e non una forza politica fondata sugli iscritti e sui circoli. Niente di diverso dagli altri partiti che troviamo nell’arena della politica siciliana e nazionale. Insomma, anche all’ombra dei gazebo la politica non si nobilita e non si rinnova affatto, almeno nelle forme esteriori. Quelli che contano, anche nel PD, pure in Sicilia, sono soltanto poche persone. Sempre attente a scrutarsi, sospettose del minimo movimento, pronte a fare quadrato per difendere il proprio pezzo di partito, col torto o con la ragione. Che percorsi nuovi potranno mai proporre, specialmente in una regione che avrebbe bisogno come l’ossigeno di un’alternanza allo schieramento di centrodestra, che fa da maggioranza e opposizione insieme, sono in molti a chiederselo. Ma ancora non riescono a trovare la risposta.

mercoledì 2 settembre 2009

Stagione stragista e movimento antimafia

LA REPUBBLICA PALERMO – MERCOLEDÌ 02 SETTEMBRE 2009
Pagina I
L'antimafia intermittente
Francesco Palazzo

Dopo le manifestazioni in via D´Amelio, un amico mi chiedeva com´è diventata Palermo. La domanda era motivata dalla scarsa presenza di palermitani. Aveva udito accenti non siciliani e visto poche facce conosciute. Una constatazione che merita qualche approfondimento. Insieme con un altro aspetto, molto più cupo, che ha tenuto banco sino a qualche settimana addietro. Adesso è calato nuovamente il silenzio. Sino al prossimo 19 luglio. La lotta alla mafia è così. Come un albero di Natale, è programmata per accendersi e spegnersi con tempi regolati da un timer invisibile. Il movimento antimafia dell´ultima generazione, nato all´indomani dell´uccisione del prefetto Dalla Chiesa, ha toccato il suo apice negli anni seguenti gli eventi drammatici del ´92-93. Una parte della società siciliana si era svegliata generando un´antimafia non episodica e interclassista. Non più legata, come in passato, a determinate categorie sociali, ai partiti e ai sindacati che le rappresentavano. La lotta alla mafia si era laicizzata, mettendo in comunicazione strati di borghesia e ceti popolari. Il tutto era filtrato dal mondo associativo, attraverso coordinamenti ufficiali o di fatto. Tutto ciò, negli ultimi anni, è svanito. Le realtà prima coinvolte sono tornate a svolgere, ove non scomparse, le proprie attività in solitudine. È una storia che si ripete. Come se un tornado, a cadenze regolari, ogni venti o trent´anni, si abbattesse inesorabilmente sull´antimafia. Ed è lo stesso meccanismo che porta, diciassette anni dopo una stagione stragista che ha visto cadere due magistrati simbolo, a una specie di gioco dell´oca. Anche dal punto di vista investigativo si torna alla casella iniziale. Come se Capaci e via D´Amelio fossero episodi del 2009 e non del 1992, e più di tre lustri fossero acqua fresca. Adesso, caschi il mondo, dobbiamo capire se ci fu trattativa tra mafia e pezzi dello Stato. Alcuni, tra chi allora aveva importanti incarichi, da un po´ di tempo cominciano a ricordare, ad andare dai magistrati, a rilasciare dichiarazioni pubbliche. Tanto che viene da dire: scusate, sino a oggi dove siete stati? Se certi pezzi di verità sono così importanti adesso, non vi pare che lo fossero, a maggior ragione, pure nell´immediatezza dei fatti? Da questa prospettiva sorprende sapere che la commissione Antimafia, che davamo per dispersa, ha deciso di avviare, sul possibile patto tra Stato e mafia, un´inchiesta sulle stragi del ´92-93. Intento nobilissimo. Non è, però, un po´ tardi? E le precedenti commissioni Antimafia, come mai si sono risparmiate tale fatica? Anche la magistratura pare stia riprendendo spunti d´indagine e ascoltando persone che forse andavano sentite prima. Le istituzioni di un Paese possono dirsi davvero democratiche se permangono, per un periodo così lungo, ombre inquietanti su fatti tanto gravi e destabilizzanti? Se vi fu un accordo tra le cosche e apparati istituzionali, sarebbe certamente una vergogna per lo Stato. Ma non è allo stesso modo disdicevole che passi quasi un ventennio senza che si sia raggiunto un punto fermo - giudiziario, politico e sociale - sulla questione? Anzi, che si debba ripartire quasi da capo?Per riagganciarci alla domanda d´esordio sull´assenza dei palermitani alle recenti manifestazioni, e annodare i due ragionamenti avanzati, un ultimo interrogativo. L´esistenza di un movimento antimafia strutturato, non ondivago, dialogante, vera e propria lobby coesa di pressione, di studio e d´impegno concreto, non sarebbe stata una montagna invalicabile per i ritardi, i silenzi, le smemoratezze di questi lunghissimi diciassette anni?