mercoledì 23 ottobre 2019

Giovani alla guida: le belle prediche e i cattivi esempi degli adulti.


La Repubblica Palermo – 23 ottobre 2019
I rischi dei giovani alla guida e il cattivo esempio degli adulti
Francesco Palazzo


Si parla molto, anche a causa di tragedie che purtroppo si ripetono con triste frequenza, del modo di guidare dei giovani e di ciò che dovrebbero dir loro i grandi per indurli a comportamenti più prudenti. Ma da quali pulpiti dovrebbero giungere tali saggi ammonimenti? Prendiamo Palermo. Molto lungo e articolato l’elenco di cattive pratiche. Anche quelle ritenute più innocue nella loro pur dannosa inciviltà. Ogni mattina, ad esempio, non capisco il motivo di una teoria di seconde file davanti ad una scuola, visto che a poche decine di metri c’è un ampio parcheggio a quell'ora gratuito. I pargoli registrano oggi e imiteranno domani. Siamo in zona residenziale. Con bar dove le montagne di lamiera che si creano fuori, affinché si celebri il rito della colazione palermitana, sono da guinness dei primati. E se lo fai notare, il tipo col macchinone ti dice di farti gli affari tuoi e ti manda a quel paese. Si sente forse rafforzato dal fatto che vede lì auto istituzionali in divieto di sosta quasi a muta “garanzia” della correttezza del suo incivile comportamento. In questi casi, peraltro, accade una cosa strana. Quando timidamente ti fermi per dire a qualcuno che in terza fila, oltre che fermare il traffico fa rischiare qualcuno, visto che si trova vicino a una curva, senti subito il clacson di quelli dietro, che stanno minuti e minuti fermi per il parcheggio creativo, ma non tollerano che tu ti fermi un secondo per far notare a qualcuno la cosa. Come a giustificarlo. Loro evidentemente fanno lo stesso e corrono in soccorso del collega. Così come è fisiologico non arrestarsi sulle strisce pedonali. L’altra mattina ho detto a un cinquantenne, assiso su uno scooter d’ordinanza, se non lo vedeva il passaggio pedonale, considerato che ero posizionato esattamente sopra, al centro della strada, e che mi stava prendendo in pieno passandomi davanti a qualche centimetro, quasi fossi trasparente. Come reazione animalesca, con tutto il rispetto per gli amici animali che sono in realtà dei signori, mi prende a male parole con possibilità di passare, se non mi fossi allontanato, a vie di fatto. D’altra parte tanti attraversano dappertutto tranne che sulle strisce. È pure facile imbattersi in ecologici ultramaggiorenni i quali, essendo in bici, ritengono corretto infilarsi in tutti i sensi vietati. Mettendo in pericolo la loro vita e la tua tranquillità. Non parliamo poi dei motoroni guidati da diversamente giovani che, in città o in autostrada, raggiungono velocità stratosferiche. Viale Regione Siciliana è un mondo a parte. Se vai a settanta, soglia non superabile, ti becchi improperi da tanti adulti che scambiano quel tratto di strada, sul quale spicca per assenza la segnaletica orizzontale, per un autodromo. Per finire questo, limitato, catalogo, non possiamo omettere una consuetudine quasi criminale. Parliamo del fiume di auto che si forma sul bordo dell’autostrada nei pressi dell’aeroporto “Falcone e Borsellino”. Te li ritrovi, questi automuniti, davanti all'improvviso. Non so cosa se ne fanno dei tre euro che risparmiano non pagando il ticket del parcheggio, pur avendo spesso auto dai cinquantamila euro in su. A parte il fatto che dentro l’aeroporto è consentita la sosta gratuita per 15 minuti, i nostri simpatici guidatori avrebbero la possibilità di uscire a Marina di Cinisi sulla strada per l’aerostazione e lì attendere l’ora x. Per carità di patria stendiamo un velo pietoso sugli attempati che armeggiano sui cellulari mentre guidano e sui senza casco. Insomma, quando pensiamo alle imprudenze dei giovani alla guida, riflettiamo seriamente sui nostri comportamenti quotidiani sulle due o quattro ruote. I buoni esempi valgono più delle prediche. E, alla lunga, visto che i piccoli ci guardano e ci copiano, possono salvare giovanissime vite.


giovedì 17 ottobre 2019

Mandiamo al voto i sedicenni e pure quei maggiorenni che se ne stanno a casa.


La Repubblica Palermo – 17 ottobre 2019
Mandare al voto i sedicenni farebbe bene alla democrazia
Francesco Palazzo

Sulla proposta di estendere a chi ha compiuto sedici anni il diritto di presentarsi alle urne, moltissimi elettori maturi hanno aperto, anzi tanti sembra che proprio vogliano scriverli, i trattati di pedagogia. Volete, del resto, che in una nazione colma di ottimi allenatori della nazionale, non vi siano pure milioni di soggetti con straordinarie teorie educative da propinare al mondo intero? Senza por tempo in mezzo e con estremo sprezzo del pericolo (mentre quelli che mancano, come qui scriveva Stefania Auci, sono semmai i buoni esempi), ci si è subito attrezzati per alzare muri tra i ragazzi e le ragazze che hanno sedici anni e i seggi. Motivazione? Non hanno le basi per capire e scegliere. E qua ci pare che molti mettano in rilievo le proprie carte d’identità formative. Perché almeno i sedicenni a scuola ci vanno. E qualcosa, più o meno, se noi adulti siamo bravi (ma lo siamo?) a fare emergere il loro spirito critico e la curiosità ad approfondire, la imparano. Al contrario, dobbiamo ammetterlo, c’è molta ignoranza — ad esempio non toccano un libro o un giornale da prima che cadesse il muro di Berlino — tra chi ha superato i quaranta. Insomma, forse sarebbe meglio non usare questa argomentazione. Sia chiaro, capire la politica non è semplice, social a parte, è ovvio. Perché, ad esempio su Facebook, e sempre nel mondo di quelli che hanno qualche capello bianco, si vede e si legge di tutto. Molti potrebbero pure non pranzare e cenare, considerata la voracità di fake news che possiedono. E pure quando, sempre gli adulti, pensano di capirne qualcosa, quasi mai che discutano di politiche specifiche. Parlano solo di persone: quella mi piace, quell’altra meno. Dimenticando che la politica è composta al 90 per cento da come spendi i soldi pubblici e solo in minima parte coincide con quanto dichiarano i rappresentanti di istituzioni e partiti. Ma anche l’istruzione elevata non è, parliamo sempre dei grandi, garanzia di buona comprensione dei numeri delle politiche e di conseguente voto coerente. Per dire, in una regione come la nostra, malata di assistenzialismo, molti elettori colti seguitano a votare, mistero della fede, per coloro che quelle misure assistenzialistiche continuano, per carità in maniera legittima, a proporre. Allora, piuttosto che sostituirci ai sedicenni, decidendo dai precari pulpiti dell’età vegliarda ciò che possono fare sull'argomento specifico, vediamo direttamente cosa ne pensano chiamandoli all'elettorato attivo. E, perché no, almeno nei comuni, dai sedici e sino alla soglia dei diciotto, a quello passivo, preparando sul campo nuova classe dirigente. Sicuramente ciò comporterebbe un innalzamento di attenzione verso le cose della politica e accrescerebbe il bagaglio conoscitivo di tutto il Paese, a patto che pure gli adulti ricomincino, ammesso che l’abbiano mai fatto, a studiare. In Sicilia c’è una grande questione: i giovani se ne vanno pieni di sapere o per andare a conquistarlo altrove insieme al lavoro. Invece di far decidere solo ai padri, che per inciso gli stanno consegnando un debito pubblico enorme, o ai nonni, che magari sono andati in pensione a 50 anni lasciando un bel buco da riempire ai nipoti, quali possano essere le politiche più adatte per arginare tale esodo, facciamo che anche quelli che si preparano ad andarsene possano votare per questa o quella parte politica che propongano strumenti, più o meno adeguati, per fermare tale emorragia. Poi, sul diritto di voto in generale, sarebbe meglio non avanzare impedimenti a nessuno. Anzi, proprio per stimolare crescita culturale in campo politico e partecipazione, il passaggio alle urne dovrebbe essere obbligatorio. Tanto c’è persino, oltre le scelte di annullare il voto o lasciare la scheda bianca, la possibilità di rifiutarla non entrando nel numero dei votanti. Piena libertà d’espressione, ma un cittadino non può starsene sul divano il giorno in cui si vota. Estendere ai sedicenni il diritto di voto favorirebbe nel Paese un dibattito e un avvicinamento verso quella che rimane la pratica più importante nei sistemi democratici.

mercoledì 2 ottobre 2019

Palermo: distinguere tra l'inchino giusto di giornata e i cambiamenti strutturali, quando ci sono, dei quartieri.


La Repubblica Palermo – 2 ottobre 2019

Se un inchino non basta a raccontare i quartieri

Francesco Palazzo

Nel giorno della ricorrenza di Padre Pio, 23 settembre, abbiamo registrato la virtuosa fermata del fercolo, con la statua del santo, davanti alla stazione dei carabinieri allo ZEN. Sabato l’operazione antidroga al Borgo Vecchio, con i bambini e i ragazzini coinvolti nello spaccio e in qualità di vedette sul territorio. Situazione della quale ci ha parlato ieri Salvo Palazzolo su Repubblica Palermo, con un reportage da leggere se a qualcuno fosse sfuggito. Ieri un’altra operazione di polizia sempre sul fronte stupefacenti. Che sembrano tornati ad essere, dicono investigatori e magistrati, la fonte di più immediato guadagno e di esponenziale approvvigionamento, visti i lauti introiti, per le cosche. Questo intanto ci dice che la mafia, magari azzoppata, costituisce ancora per tante famiglie un riferimento costante e quotidiano. Non soltanto da un punto di vista culturale, ma proprio come possibilità di conduzione delle vite familiari. La domanda seguente non ci pare perciò fuori posto. Cosa è prevalente, tra racket, droga, omertà, da un lato, e voglia di riscatto dall’altro, nei quartieri di Palermo, anche quelli vicinissimi al salotto della città, come il Borgo o Ballarò? La risposta è abbastanza complessa e nessuno ha il diritto di tagliare con l’accetta questa o quella comunità rionale. Una cosa è certa, però. Si dovrebbe stare abbastanza lontani, mille miglia distanti, dalle grida di giubilo per una statua che fa l’inchino giusto in mezzo ad altri sbagliati, ma non meno sentiti, sotto certi balconi in altre processioni. Ma subito, al mutare di una virgola, osserviamo rivendicazioni inneggianti a cambiamenti di prospettiva e di vita, piene di retorica. Che non ci serve, se non per i cinque minuti che occorrono a gonfiarsi il petto. Così come si dovrebbe tenere a distanza la reazione di sostanziale silenzio per la "fisiologica" (evidentemente ritenuta tale) e devastante situazione di un quartiere, Borgo Vecchio appunto. Che però non è l’eccezione a Palermo, ma purtroppo una fotocopia di altri contesti dove ti attendono guardie per segnalare presenze scomode o non conosciute e perciò potenzialmente pericolose. Sia chiaro, non possiamo disconoscere o sottovalutare quanto di buono c’è in tutti i quartieri o quanto si sta facendo per promuoverli. Penso a Danisinni e alla stessa zona di Ballarò. Ma, ecco, occorre prudenza, senso della realtà e capacità di saper riconoscere i cambiamenti strutturali dalle evidenze contingenti e fuggevoli, che sono come le singole rondini, non fanno primavera. Mentre molta parte di Palermo, in periferia come al centro (basta vedere gli inchini che fa molta borghesia palermitana agli estorsori parcheggiatori sotto casa), è ancora impegnata con l’inverno di dinamiche sempre uguali a se stesse. Troppi inchini e genuflessioni ci sono ancora verso la cultura e le dimensioni militare, criminale ed economica di Cosa nostra per potere afferrare un filo più benigno ed avvolgere il tutto come un pacco regalo con il primo foglio che capita.