domenica 29 maggio 2016

Amat: non pagare e sorridere.


La Repubblica Palermo 
28 maggio 2016
La guerra perduta ai portoghesi sul bus
FRANCESCO PALAZZO

Negli ultimi tempi mi è capitato di vedere diverse volte la stessa scena. Nei bus Amat si tende ad affrontare i portoghesi, o meglio, per non offendere un popolo civilissimo, i palermitani incivili, in maniera più dialogante. Chi non ha obliterato viene invitato a sanare la “dimenticanza”. Chi è senza biglietto viene sollecitato a scendere alla fermata successiva. In quest’ultimo caso il soggetto si limiterà a inforcare la corsa seguente, arrivando indenne da sanzioni al traguardo. Ciò può avere due motivazioni. In primo luogo, le multe evidentemente difficilmente vengono pagate. Inoltre, proprio per porle in essere non è raro che gli addetti siano oggetto di pesanti aggressioni fisiche. Cosa non accettabile per chi si limita a fare solo il proprio dovere. Serve questo approccio morbido a sensibilizzare i cittadini al pagamento del biglietto? Può essere. Potrebbe determinare la circostanza che infilare il tagliando nell’obliteratrice si trasformi per i più resistenti, che in tal modo potrebbero aumentare, e già sono tantissimi, in un gesto del tutto facoltativo? Molto probabile anche questo. Nel frattempo, chi deve imbarcarsi e chiede all’autista se può acquistare da lui il biglietto, 9,9 volte su dieci riceve un no come risposta. Tutto ciò può far desistere dalle buone intenzioni quei pochi che il biglietto continuano a farlo senza pressioni di sorta. Se non rischio nulla, potrebbero cominciare a pensare gli stakanovisti del rispetto delle regole, mi conviene tenermi il biglietto intonso in mano oppure salire senza neppure quello. Un rimedio più conducente ci sarebbe. Lo aveva messo nero su bianco la stessa Amat. E’ durato, come le tante grida manzoniane, tipiche dei posti dove i precetti si annunciano e si moltiplicano per l’inchiostro dei giornali, da Natale a Santo Stefano. Obbligava all’ingresso esclusivamente dalla bussola anteriore. Si potrebbe ripristinare e obbligare l’autista, come avviene normalmente in altre città italiane ed europee, a verificare il possesso e la regolarità dei titoli di viaggio. Nessun privato potrebbe stare più di qualche mese sul mercato se si permettesse la licenza poetica di avere un altissimo numero di non paganti, di non controllare gli utenti a tappeto e di non far pagare dazio una volta verificata la scorrettezza dei viaggiatori. Chi si reca al Falcone - Borsellino o torna in città dall’aeroporto con il pullman, può verificare quanto un privato, se vuole garantire gli stipendi ai propri addetti e fare utili, deve legittimamente, per prima cosa, anche se usufruisce di un ristoro pubblico, pretendere da tutti il pagamento di un corrispettivo per il servizio, in questo caso sempre puntuale e con ottimi mezzi, che fornisce. Questo va detto perché spesso, quando si parla di privatizzazioni, si grida al lupo al lupo. Ma ai cittadini interessa avere servizi che non costino un occhio della testa come contribuenti, che siano efficienti, pagando il giusto.Un’altra cosa va rilevata. Durante la querelle sulle zone a traffico limitato, che ha avuto una nuova puntata scritta dal CGA, c’è stata la conferma che l’introito andrebbe anche a finanziare l’Amat. Ma si finanzia in sovrappiù una realtà che si fa pagare sempre, senza se e senza ma, la prestazione che rende. Altrimenti dire servizio pubblico è solo un modo per sventolarci sotto il naso una vetusta bandiera ideologica da socialismo reale. Che, in soldoni, vuol dire soltanto che occorre pagare diverse volte. Prima come contribuenti, poi come viaggiatori paganti, poi ancora per riempire i buchi che un’azienda dovrebbe cominciare a colmare da sola. Facendo intanto non fuggire, in larga parte, l’incasso dovuto dagli utenti. Insomma, veda l’azienda come fare. Ma si deve trovare un modo, perché altrove, non sulla luna, ci riescono, per riscuotere, senza che nessuno sfugga, quanto dovuto dai passeggeri. Non bisogna neppure guardare lontano. Ciò che si fa, bene, sulle quattro linee del tram, con introiti non trascurabili da quel che leggiamo, deve potersi fare anche sugli autobus.

lunedì 16 maggio 2016

Ecumenismo a Palermo: forma e sostanza.

La Repubblica Palermo
15 maggio 2016
Cosa ci insegnano i Valdesi
Francesco Palazzo

La visita ufficiale dell’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, presso il luogo di culto dei Valdesi e Metodisti, avvenuta domenica 8 maggio, come ricordato su queste pagine da Augusto Cavadi, segna certamente un punto importante nel dialogo tra credenti nello stesso dio. Vedere un porporato predicare dal pulpito della chiesa valdese faceva un certo effetto. Non sappiamo chi ha fatto il primo passo, ma il nuovo arcivescovo di Palermo non ha fatto certo valere la forza dei numeri ed è andato lui. La piccola comunità valdese e metodista ha svolto negli ultimi decenni un ruolo culturale di rilievo a Palermo. Basti pensare alle centinaia di incontri, di tutti i tipi, con persone orientate nei più diversi modi, che si sono svolti nell’auditorium che si trova alle spalle del luogo di culto, dietro il Teatro Garibaldi. Tale apertura non vi è stata nei luoghi di pertinenza della diocesi di Palermo. Basta ricordare che la Scuola di Formazione etico- politica Giovanni Falcone venne, di fatto, allontanata da ambienti cattolici per avere invitato l’ex abate Franzoni, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, poi sospeso a divinis. Sull’avvicinamento cattolici- valdesi vorremmo sottolineare un aspetto critico e individuare un futuro. La comunità cattolica palermitana, a parte qualche sparuta presenza, si è tenuta sostanzialmente lontana da questo importantissimo evento. La piccola chiesa valdese era piena un po’ più del solito, ma erano quasi tutti fedeli protestanti. Per il resto giornalisti e cineoperatori. Nello spiazzo antistante la chiesa, che è rimasto vuoto, ipotizzando un accesso cospicuo, era stato data la possibilità di ascoltare attraverso un altoparlante. Che ha parlato al vento. Ciò per dire che il limite di queste iniziative è che sono gestite dai vertici, senza che la base sia sulla stessa linea. Quasi tutti i cattolici praticanti palermitani neppure sanno dove sorgono i luoghi di culto valdesi e metodisti. Eppure, passarci ogni tanto (la funzione domenicale è alle 11) non farebbe male al fedele cattolico. Così come, per gli adepti delle altre confessioni religiose esistenti a Palermo, potrebbe costituire motivo di formazione e di vero avvicinamento intrufolarsi ogni tanto in cattedrale o in altre chiese parrocchiali durante i riti cattolici. In tal modo si potrebbero creare percorsi condivisi e allargati. Ma è chiaro, detto ciò, che questi primi passi (Lorefice è andato anche presso gli anglicani di Via Roma, di fronte l’Hotel delle Palme), vanno tenuti nella giusta e importante considerazione. E, anzi, siccome questa contaminazione può senz’altro costituire un modo per scambiarsi buone pratiche, utili non solo alla città di dio, ma anche a quella degli uomini, e qui veniamo al futuro, chissà se ci saranno dei frutti più maturi. Per esempio pastorali comuni sul come affrontare in maniera sistematica la criminalità organizzata, o riflessioni congiunte sulla morale sessuale e familiare. Su quest’ultimo argomento, il mercoledì successivo all’incontro tra Valdesi e Cattolici, un vescovo importante di una rilevante diocesi siciliana, quella di Monreale, esprimeva, nel giorno dell’approvazione definitiva della legge sulle unioni civili, la posizione più dura della chiesa cattolica. Definendo da “fascismo strisciante”, parole che neppure la più acerrima delle opposizioni politiche ha pronunciato, il voto di fiducia chiesto dal governo su tale norma. Niente di più distante dal modo di operare dei Valdesi e Metodisti, che preferiscono parlare di famiglie, tutte con la stessa dignità, e offrono alle coppie omoaffettive la possibilità di essere benedette in chiesa. Insomma, non bastano i riti, per quanto storici. Occorre mettersi al lavoro, magari coinvolgendo tutte le comunità di fede e non soltanto le punte più avanzate.