sabato 31 maggio 2008

Incendi in Sicilia: piromani, emergenza, Stato. Il vocabolario dell'incapacità.


LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 31 MAGGIO 2008

Pagina XV
SICILIA IN FIAMME NON È EMERGENZA
FRANCESCO PALAZZO

Lo scorso anno la fine della stagione degli incendi, che termina solo perché all´estate fortunatamente e regolarmente segue l´autunno, ebbe un momento preciso. Notammo che la quinta vittima del rogo sviluppatosi ad agosto nell´agriturismo di Patti, la signora Barberina Maffolini, era passata senza scuoterci sotto i nostri occhi distratti. Solo poche righe ben nascoste nei quotidiani. Eravamo a settembre e l´allarme fiamme già scemava. Nei giorni scorsi la solita ondata di scirocco, che sorprende i siciliani sempre disarmati e meravigliati come se quel vento afoso cancellasse ogni volta anche la memoria, ha fatto tornare il tema d´attualità. E puntualmente, i servizi televisivi e le pagine dei giornali, che c´informano sulle ultime devastazioni, risultano stranamente sovrapponibili a quelli che ci raccontavano le reazioni alla penultima ondata incendiaria. Ogni anno la stessa tiritera. Non si tratta, in questo caso, di un difetto del mondo dell´informazione. È il copione a essere sempre identico. E contiene tre capitoli: piromani, emergenza, Stato. Ogni volta gli esperti sentono l´esigenza di comunicarci la certissima matrice dolosa delle combustioni, dovute a folli o sin troppo lucidi piromani. Vorremmo rassicurare i conoscitori della materia. Quella dei piromani è ormai una certezza di fede. Dall´adolescenza non crediamo più al mito dell´autocombustione che fa fuori scientificamente pezzi consistenti di verde pubblico e di fauna pregiata. Perciò non ci ripetano più il ritornello. Vorremmo capire piuttosto, visto che si parla tanto di sicurezza, nove volte su dieci a sproposito, come possono la forza pubblica, la Regione, le province, i comuni affrontare seriamente, e neutralizzare, questi gentili nostri simili che mostrano uno spiccato interesse a che tutto vada in fumo. Il secondo capitolo del copione è la parola «emergenza». Ma come si fa a parlare di emergenza nei confronti di eventi che si ripetono sempre uguali a se stessi, talvolta colpendo le stesse zone? Eliminiamo, per favore, il concetto «emergenza incendi» e sostituiamolo con «attesi incendi». Così staremo meglio un po´ tutti e nessuno avvertirà la sgradevole sensazione di sentirsi preso in giro. Il terzo capitolo, il tormentone più gettonato perché toglie a tutti le castagne dal fuoco, in questo caso benigno, perché ci fa gustare un frutto delizioso, è quello dell´assenza dello Stato che non investe nel settore. Lo Stato che non c´è. Quante volte i siciliani hanno sentito ripetere questa litania, da destra, da sinistra, dal centro, da sopra e da sotto? Quando la classe dirigente regionale non sa risolvere un problema, una volta per negligenza, un´altra per incapacità, spesso per tutte e due le cose messe assieme, e ciò, converrete, è accaduto quasi sistematicamente in Sicilia, ecco che si alza il totem deresponsabilizzante dello Stato assente. Anche questa storia è ormai tempo che raggiunga gli archivi della memoria. Perché il problema è proprio il contrario. In Sicilia lo Stato, oggi come ieri, ha incanalato una valanga infinita di risorse economiche, che negli ultimi tempi sono anche giunte dall´Europa. Il punto è cosa se n´è fatto di quel denaro. Se ha creato sviluppo e sicurezza, quella vera, o se ha foraggiato clientele e potentati vari. Temiamo che la casella da sbarrare sia la seconda. Ai prossimi incendi, quindi, nel momento in cui, parlando con i mezzi di comunicazione, si sentirà di non potere fare a meno di pronunciare la parola «Stato», si faccia una breve pausa di riflessione. Un lungo respiro, se il fumo lo permette, e poi ci si dica cosa hanno fatto, non cosa devono fare con i fondi che già hanno a disposizione e con le iniziative politiche sul territorio che talvolta sono a costo zero, le amministrazioni comunali, provinciali e regionale. Che sono, sino a prova contraria, postazioni istituzionali di primo livello dello Stato italiano.

venerdì 30 maggio 2008

PALERMO, ACCOLTELLAMENTO OMOSESSUALE: NON UNA STORIA DI PERIFERIA

CENTONOVE
30 Maggio 2008
L'ANALISI
SIAMO TUTTI RESPONSABILI
Francesco Palazzo


La vicenda dell’accoltellamento familiare del giovane omosessuale palermitano potrebbe essere letta, com’è, di fatto, avvenuto nel classico modo. Ci troviamo in un quartiere periferico, Brancaccio, anche se la via dove si è verificata l’aggressione, a volere essere precisi, non ricade in quel rione. Ma tutto fa brodo e concorre a dipingere, presso la pubblica opinione, il quadretto del quartiere difficile dove è quasi normale che accada un fatto del genere. Possiamo vederla legittimamente così e archiviare l’evento nel settore “vite impossibili in sobborghi abbandonati”. Oppure si può provare a darne una lettura meno conformistica e, forse, più realistica, andando oltre il mero e certamente grave fatto di cronaca. Allora dovremmo cominciare dicendo che l’omosessualità non è accettata un po’ ovunque. Sia nei quartieri definiti come marginali, sia in quelli contrassegnati dai marchi della centralità geografica, della floridezza economica e della, presunta, apertura culturale e mentale. Sarà capitato anche a voi, come si cantava nell’omonimo film, di sentire, in ambienti diversi, che certo comprendono anche quelli popolari, ma che sovente coincidono con spaccati di vita borghesi, i risolini, le battute, le derisioni, l’avversione, quando la discussione tocca l’argomento dell’omosessualità maschile. Nel corso di conversazioni informali, anche durante incontri più che formali, possiamo vedere il professionista, l’alto dirigente, il medico, l’avvocato o il parlamentare, l’intellettuale impegnato e l’elenco, come sapete, potrebbe essere lungo, districarsi tra un’occhiata complice e un’implicita o esplicita dichiarazione di sarcastico ribrezzo. Il macho con giacca e cravatta, che abita ovunque, che può votare qualsiasi partito e che assume anche le sembianze dello studente universitario vestito come detta la moda e come possono i danarosi genitori o quelle dell’impiegato di fatica del grande magazzino, non accetta, molto semplicemente, che possa esserci un diverso orientamento sessuale. E allora, in determinati momenti, sente l’esigenza dell’espressione scherzosa, che sembra innocua nella forma, ma è corrosiva e violenta nella sostanza. A maggior ragione se viene pronunciata da persone che, per cultura e posizione sociale, sanno bene quanto le discriminazioni si nutrano di tali modalità relazionali e comunicative. Oltre la battuta si avverte l’urgenza di sbandierare la propria spiccata ed esagerata eterosessualità, peraltro molto spesso più raccontata, narrata nei palcoscenici ufficiali, che veramente vissuta. Insomma, dei machi più teorici che pratici, che intendono la sessualità solo in un unico senso. Ma che, in un numero di casi sempre maggiore, come ci dicono le statistiche, non riescono serenamente a vivere la loro dimensione affettiva con il sesso femminile. Detto tutto ciò, va chiarito che la responsabilità penale è sempre personale. E, pertanto, ogni padre che aggredisce e ferisce il figlio che dichiara la propria omosessualità, come accaduto a Palermo, ne risponde ovviamente di fronte alla legge. Tuttavia, lo sfondo dove collocare quanto avvenuto nel capoluogo, che si voglia ammetterlo o no, è ben più ampio di un quartiere di periferia. Ci rimanda a come siamo in quanto uomini, termine in questo caso non inteso nel senso di genere umano, ma nell’accezione di maschio. Non è da trascurare, infatti, che in questo, come in tanti casi, la mamma ha accettato la dimensione sessuale del figlio e abbia cercato di proteggerlo. Non è una regola, perché può verificarsi qualche eccezione. Ma le donne generalmente, al contrario di noi maschi, semianalfabeti in quanto a sentimenti e corporeità, generando la vita, ne conoscono bene la profonda complessità e ne custodiscono ogni espressione. Non ritenendone nessuna estranea alla libera e integrale realizzazione della persona.

mercoledì 28 maggio 2008

Amministrative 2008 in Sicilia: forti uniti, deboli divisi

LA REPUBBLICA PALERMO – MARTEDÌ 27 MAGGIO 2008

Pagina IX
SICILIA ALLE AMMINISTRATIVE CENTROSINISTRA ANCORA DIVISO
FRANCESCO PALAZZO


Il centrodestra vittorioso alle regionali, pur tra i «tormenti» delle tante espressioni che lo costituiscono, è arrivato a una sintesi eleggendo il presidente dell´Ars e componendo il governo della Regione. Due magistrati e nessuna donna al suo interno. Due segnali abbastanza chiari: da una parte si avverte un forte controllo di legalità amministrativa, che evidentemente la politica da sola non è in grado di garantire, dall´altra si evidenzia un´incapacità di valorizzare le competenze dell´universo femminile. Vedremo alla prova dei fatti il nuovo esecutivo. Il centrosinistra, che all´Ars è rappresentato dal solo Pd, adeguandosi alla linea decisa a livello nazionale, si prepara a formare un governo ombra. Può essere una buona idea. Nel prossimo futuro ne misureremo i tempi d´attuazione, che almeno potevano coincidere con quelli già abbastanza lenti della maggioranza, e le modalità d´azione. Anche se il centrosinistra, comprensivo delle parti rimaste fuori dal parlamento siciliano, non ha dato buona prova di sé nell´imminenza della prossima tornata elettorale. In vista delle amministrative di giugno, infatti, i più forti restano insieme e i più deboli si separano. Nel centrodestra si è ripetuto il solito schema. Sulle candidature alle presidenze delle otto Province in cui si voterà, e sulle nomination a sindaco nei tre comuni capoluogo le cui amministrazioni saranno rinnovate (Catania, Messina e Siracusa), Pdl, Mpa e Udc hanno sì litigato, trovando tuttavia alla fine un percorso condiviso e unitario sui nomi da presentare. Il tempo di sistemare tutte le pedine e poi, nelle piazze più importanti, in questo caso le otto province e i tre comuni capoluogo, il piatto di una maggioranza corazzata e coesa è stato servito regolarmente. Distratti come siamo stati dalle turbolenze interne al centrodestra, registratesi all´Ars e a Palazzo D´Orleans, c´è forse sfuggito questo dato politico abbastanza rilevante. Il centrosinistra, che pure avrebbe dovuto velocemente meditare sull´umiliante sconfitta alle regionali, approntando una reazione adeguata sul piano politico-elettorale, si è fatto trovare spiazzato. Più di un mese non è bastato al Partito democratico, a Rifondazione, ai Verdi, ai Comunisti Italiani, alla Sinistra democratica, ai vari partitini e alle espressioni politiche esterne, per trovare un sentiero comune in sei province su otto e in due dei tre importanti comuni prima citati. A parte Palermo e Siracusa, nelle sei province rimanenti e in due comuni di forte peso, il centrosinistra andrà frammentato in due, tre, quattro pezzi. Basta vedere le candidature a presidente nelle sei province. Ad Agrigento si presentano tre nomi. A Trapani troviamo pure tre candidati. Che a Enna salgono a quattro. A Caltanissetta si torna a tre, a Catania ci si divide in due. Così come a Messina. Stesso scenario di lacerazione se consideriamo i candidati a sindaco in due comuni come Catania e Messina. Manco in Emilia Romagna o in Toscana, dove i consensi per il centrosinistra viaggiano su alti numeri, si arriva a tanto. I risultati elettorali, quando i forti rimangono uniti e i deboli si dividono, non ci vuole una fatica sovrumana a rappresentarseli in anticipo. I perdenti, ancora una volta, sono sin troppo annunciati. Non che l´unità garantisca la vittoria, ma perlomeno è una condizione necessaria per provarci. Ma a tale situazione pare che nessuno voglia mettere un punto. Come notava Pippo Russo in un recente editoriale pubblicato da questo giornale, ci sarà sempre tempo per costruire nuovi soggetti politici e altre storie. L´importante è rimanere attaccati, tenacemente e orgogliosamente, ai banchi dell´opposizione.

sabato 17 maggio 2008

Niscemi, Sicilia, Italia: adolescenza oltre la fiction

REPUBBLICA PALERMO - SABATO 17 MAGGIO 2008

Pagina XII
La fiction casalinga degli adolescenti siciliani
FRANCESCO PALAZZO



Dall´omicidio di Niscemi ci tornano tre nomi. Quelli di tre ragazzi dei quali, essendo minorenni, vengono taciuti i dati anagrafici completi. E la foto di una ragazza, Lorena. Di cui viene divulgato pure il cognome. Quasi che la morte, pure quella più orribile, togliesse, una volta per tutte, i veli della discrezione e della protezione. Sono le regole del gioco. Del resto, come si dice in Sicilia, «quannu cc´è lu mortu bisogna pinsari a lu vivu». Atteniamoci, anche noi, a questa cinica massima e pensiamo ai vivi, dei quali conosciamo, appunto, solo i nomi. Ma non direttamente, bisogna farlo per vie traverse, parlando degli altri, di quelli che ora gridano, «via i mostri da noi». Se guardiamo bene, coloro che in un certo giorno potremmo trovarci luttuosamente a identificare come altro da noi, non sono che la risultante dei tanti tasselli della nostra quotidianità. Non è solo una storia siciliana, come è stato detto, riguarda ugualmente tante comunità italiane, molto più centrali economicamente e grandi geograficamente. Il mosaico dei pezzi sparsi, alla fine, si compone nel modo seguente. Gli adolescenti crescono in due mondi paralleli. Quello interno alla famiglia, dove emerge una piccolissima percentuale di ciò che essi sono, sia in termini di linguaggio che di comportamento. Dentro le mura domestiche ai grandi appare tutto sotto controllo, ma solo perché essi probabilmente vogliono credere che così sia. Basta aprire un diario segreto, ascoltare una telefonata da dietro la porta, «sentire» le risposte mute e sorde ai rimproveri, per rendersi conto che gran parte della loro vita, i ragazzi e le ragazze, non la mettono in scena sul palcoscenico familiare. Lì trovano solo il covo sicuro dove tornare, un pasto caldo, la roba stirata, la prima comunione fatta perché così fan tutti, i compleanni, le feste con i parenti e tanto altro che si sopporta. Una specie di fiction infinita. Che viene spezzata, le cui puntate momentaneamente s´interrompono, quando si varca l´uscio per entrare nell´altro mondo. Fatto di scuola, cinema, pizzeria, discoteca, motori e raduni oceanici, il sabato pomeriggio, al centro. In questi luoghi, per i nostri ragazzi, comincia il mondo reale. Cambiano subito il linguaggio. Il casalingo e timido «mi annoia», diventa subito «non me ne frega un c.». Ma accade anche il contrario. Tante volte capita che i professori, nei riguardi di figli o figlie ritenuti apatici perché assenti in casa, formulino giudizi eccellenti per ciò che riguarda il loro profitto e il loro stile relazionale. Non è vero, quindi, che fuori ci sia solo negatività, perversione, bruttezza. C´è chi, sempre in un ambito separato dalla famiglia, riesce a giocarsi al meglio, lontano da quello che ritiene l´oppressivo guinzaglio genitoriale, tutto il positivo che ha dentro. C´è chi, invece, si caccia in labirinti, dove alimenta, purtroppo a volte sino alla tragedia, tutti i lati oscuri della propria mente. Il compito dei grandi, che siano in famiglia, a scuola, in chiesa, nel mondo del volontariato o dove volete voi, è quello di capire che il mostriciattolo si nutre di questa divaricazione che gli adolescenti vivono tra il dentro e il fuori. La capacità dei grandi, ed è un compito presumiamo molto arduo, dovrebbe consistere non nell´abbattere completamente il muro, perché esso serve in una certa misura all´adolescente, ma nell´ammettere che esiste, trasformandolo in qualcosa di meno separante, escludente. Non adattando tutto alla fiction casalinga, che forse piace tanto agli adulti, ma facendo entrare parte di quell´universo esterno, in cui i figli vivono veramente se stessi, dentro il focolaio domestico. Perché se si mantiene la cortina di ferro non resta poi che chiedersi, atterriti: «Come mai i nostri figli sono stati capaci di questo?». Di spegnere, cioè, nel modo più terribile, una ragazza. Che ha capito, senza poter più tornare alla vita, che nel mondo di fuori non c´erano solo sogni e amore, ma anche la crudeltà di alcuni coetanei. I quali sono rimasti intrappolati, forse per sempre, oltre il muro della fiction.

martedì 13 maggio 2008

Nè con la mafia, nè con lo Stato. Uno slogan alla luce del sole.


LA REPUBBLICA PALERMO - MARTEDÌ 13 MAGGIO 2008

Pagina XV
Uno striscione fuori luogo al corteo per Impastato
FRANCESCO PALAZZO


Al corteo del 9 maggio per il trentennale dell´omicidio di Peppino Impastato, nella strada da Terrasini a Cinisi, spiccava tra gli altri un mastodontico striscione di un centro sociale su cui c´era incredibilmente scritto: «Né con la mafia, né con lo Stato». Frase che ricorda quella tragica degli anni Settanta, «Né con lo Stato, né con le Br». Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti, oggi nessuno si sognerebbe più di portare in piazza un simile pensiero. Ora, ci rendiamo conto che la questione principale sarebbe quella di capire perché dei ragazzi e delle ragazze pensino e innalzino alla pubblica visione una convinzione di questo tipo. Ma non ci facciamo illusioni, se provassimo a chiedere, difficilmente otterremmo risposte appena comprensibili a un´intelligenza media. Forse non lo sanno neanche loro il senso di quella frase. Suona bene, e siccome corrisponde a una certa visione manichea della politica che professano, ecco che il messaggio è pronto per ricordare una vittima di mafia come Impastato. Che trenta anni addietro versò il suo giovane sangue proprio per stare dalla parte dello Stato e della legalità. Ma a pensarci meglio, non è questo l´aspetto della vicenda che più preoccupa. Aspettando davanti la Casa Memoria di Cinisi, dove sino a qualche anno fa abitava Felicia, la mamma di Peppino, abbiamo visto arrivare migliaia di persone. Tra le quali c´erano parlamentari, sindaci, esponenti di associazioni, sindacalisti, scout e tantissime altri soggetti, da soli o in piccoli gruppi. Tutta gente che tra Stato e mafia sa ovviamente da che parte stare. Non c´è neanche bisogno di sottolinearlo. Come mai nessuno tra le migliaia di presenti, da Terrasini a Cinisi, cioè in un percorso abbastanza lungo, ha avuto la prontezza, o se volete il coraggio, di convincere quel gruppo di giovani che quel messaggio proprio non poteva trovare spazio? È vero che in una manifestazione pubblica ognuno deve essere libero di esprimersi come meglio crede, senza coercizioni e censure particolari. Ma c´è un limite a tutto. Sul perché a quello striscione è stato permesso di percorrere vari chilometri senza problemi, si possono avanzare due ipotesi. La prima, tanto banale quanto inverosimile, è che il messaggio impresso in quel lungo pezzo di stoffa non sia stato proprio visto dai partecipanti al corteo. L´altra ipotesi è che quasi tutti abbiano visto lo striscione e abbiano letto bene e capito perfettamente lo slogan che conteneva. Ma abbiano preferito, chissà per quali motivi, ognuno avrà avuto il suo, sicuramente con faccia sdegnata, di voltarsi dall´altra parte e di non intervenire. Tanto da permettere a coloro che propagandavano allegramente l´equidistanza tra mafia e Stato di arrivare alla porta dei Cento Passi.

sabato 10 maggio 2008

Quanto conta a Roma la Sicilia dei ministri?


LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 10 MAGGIO 2008

Pagina XIII
Sicilia, tanti ministri poco peso politico
FRANCESCO PALAZZO


Molti osservatori hanno commentato favorevolmente la nomina nel governo Berlusconi dei ministri siciliani, oltre che la presidenza del Senato andata a un palermitano. Al quadro si aggiungono alcuni incarichi minori ma di peso all´interno dell´esecutivo, sempre riguardanti esponenti politici siciliani. Se ci fermiamo ai numeri, e all´importanza delle cariche, a prima vista appare evidente che rispetto al centrosinistra appena spodestato prima dalle proprie incapacità e poi dagli elettori, i parlamentari isolani siano stati trattati molto meglio. E ciò è valso pure per le liste della Camera. I nomi imposti da fuori regione in posizioni sicure sono stati molti nel Partito democratico, tanto da creare profondi malumori. Mentre nel Popolo delle libertà solo i leader nazionali hanno guidato, per fare da traino, le liste. Se però ci ragioniamo un po´ sopra potremmo vedere la situazione in maniera sensibilmente diversa da come appare. Per due ordini di motivi. Il primo riguarda la scelta delle persone, il secondo il peso politico generale che oggi la Sicilia rappresenta a Roma. La compagine siciliana che sta occupando posti di assoluto rilievo a Roma non è il frutto diretto della politica espressa nella nostra regione dagli esponenti politici prescelti. Si tratta di scelte effettuate esclusivamente nella capitale, che s´inseriscono in quello che molti hanno già battezzato come il governo del presidente Berlusconi. Il quale ha voluto, com´è giusto che sia in una repubblica che è ancora parlamentare nella forma, ma presidenzialista nella sostanza, tutta gente molto vicina al suo modo di pensare e vivere la politica. Vedremo come questi nostri conterranei sapranno espletare le loro funzioni. Sul peso politico generale della Sicilia dentro la cornice appena uscita dalle urne, le considerazioni devono essere svolte su due realtà: l´Udc di Cuffaro e il Movimento per l´autonomia. I quali, detto per inciso, nella nuova Assemblea regionale costituiscono, con ventisei deputati, una minoranza non in grado di fare la voce grossa. Torniamo al quadro politico nazionale. Per quanto riguarda l´Unione dei democratici cristiani, la buona percentuale conseguita nell´isola dalla forza elettorale cuffariana, in conseguenza del distacco di Casini da Berlusconi, conta ben poco in parlamento. Se le due coalizioni maggiori, come sperava l´Udc, fossero giunte quasi appaiate al traguardo, l´Udc poteva essere il famoso ago della bilancia. In tal caso il consenso siciliano dell´Udc sarebbe balzato in primo piano. Ma le cose sono andate diversamente. Stesso ragionamento si può fare per il movimento autonomista. Che, al contrario dell´Udc, si è imparentato con il Pdl, prendendo probabilmente più di quanto ha dato in termini di voti. Se prendiamo il Senato, possiamo vedere che i due seggi ottenuti dall´Mpa in Sicilia sono stati possibili solo grazie all´alleanza di Lombardo con Berlusconi. Infatti, lo sbarramento dell´8 per cento regionale previsto dalla legge elettorale, non sarebbe stato raggiunto dagli autonomisti se fossero andati da soli. Si sono infatti fermati al 7,86 per cento. A prescindere dai numeri, è pacifico che l´esecutivo nazionale sia a trazione leghista. L´Mpa non ha ottenuto, peraltro, il ministro che chiedeva. Ciò avrebbe segnato un punto a favore della Sicilia, più della nomina dei ministri siciliani targati Pdl. È vero che il presidente della Regione siede nel Consiglio dei ministri in certe occasioni. Non può però sfuggire che è ben diverso dall´avere un ministro autonomista in pianta stabile che parli a tutto il Paese. Insomma, nella forma la Sicilia adesso conta molto più di prima nel mondo politico italiano. Ma nella sostanza, che è poi l´unica che conta in politica, non sembra che i nuovi equilibri abbiano messo al centro la nostra regione. Forse nei due anni scarsi del governo Prodi c´erano meno lustrini e più attenzione, magari solo potenziale e comunque incompiuta vista l´interruzione molto prematura della legislatura, nei confronti dell´Isola.

venerdì 9 maggio 2008

Il tranquillo mercato siciliano dell'insicurezza

CENTONOVE
9 MAGGIO 2008
LA SICUREZZA? PASSA ANCHE DAI POSTEGGIATORI ABUSIVI
di Francesco Palazzo



Altrove, pure nella lontana Londra oltre che a Roma, si vincono le elezioni agitando, spesso strumentalmente, il tema della sicurezza dei cittadini. Al nord la Lega ha spopolato sulla questione alle recenti politiche. Le maggioranze, locali o nazionali, diventano minoranze anche perché ad esse vengono addebitate, a torto o a ragione, le paure percepite, vissute o indotte. In Sicilia la stessa parte politica continua a prendere il banco del potere nonostante la profonda insicurezza, molto concreta e palpabile, che caratterizza la nostra regione. Da noi l’ambito della sicurezza dovrebbe farla da padrone, vista la presenza invasiva della criminalità organizzata e l’esistenza di un tessuto sociale fortemente permeato d’illegalità, fenomeni che non stanno in cielo, ma che incidono giornalmente e direttamente sulla vita dei cittadini. Ma l’insicurezza non crea problemi alla stragrande maggioranza degli abitanti dell’isola. O, quantomeno, non al punto da incidere sui gusti dell’elettorato attivo e sulle proposte politiche di quello passivo. Dalle nostre parti, coloro che eleggono e quanti si propongono nelle gare elettorali, senza volere generalizzare ma pensando di cogliere un orientamento abbastanza ampio, è come se agissero nel posto più quieto del mondo. Si è come creata una sorta di assuefazione all’insicurezza. Che molti popolosi quartieri delle città siciliane siano ancora sostanzialmente sotto il controllo delle cosche, che impongono pizzi e sovrintendono ai normali flussi della vita, non è un fatto che mina la tranquillità della maggioranza dei siciliani. E ciò succede ora, che di morti per le strade ve ne sono di meno, ma si verificava pure nella prima metà degli anni ottanta del secolo scorso, quando invece il sangue scorreva a fiumi a causa della seconda guerra di mafia. I flussi elettorali in Sicilia, in quel periodo lontano come in questo vicino, andavano e vanno sempre in una direzione. Anche per quanto riguarda l’altro aspetto dell’insicurezza, quello meno legato all’azione dei mafiosi, si assiste al perpetuarsi dello stesso meccanismo. Due soli esempi. Palermo è invasa dai posteggiatori abusivi, che controllano tutte le zone dal loro punto di vista più lucrose. Prendete un ristorante tra i più in vista del capoluogo, frequentato dall’alta borghesia palermitana. Il parcheggio adiacente è ogni sera invaso da auto costosissime, da cui vengono fuori pezzi consistenti di classe dirigente del capoluogo. Pensate che percepiscano come un attentato alla loro serenità l’imposizione di sganciare il pizzo al parcheggiatore abusivo? Per niente, pagano, sorridono e s’intrattengono amabilmente col “professionista” con cappellino e fischietto. E’ un modo come un altro di fare dell’insicurezza uno stile di vita tacitamente condiviso, da non far pesare sulla bilancia delle scelte politiche. Tale esempio si potrebbe unire a quello che riguarda un’altra classe sociale, ben lontana dalla precedente, quella dei lavoratori in nero, spaccato molto ampio del mondo lavorativo regionale. Anche in tal caso, l’insicurezza dei lavoratori senza diritti è metabolizzata come un fatto quasi normale. Non sarebbe razionale attendersi che lo strumento primario per reagire dovrebbe essere quello del voto? Invece niente, nessuna ribellione è depositata dentro le urne. Anche da parte di coloro che un lavoro non riescono a trovarlo neanche in nero. A ben pensarci, quelli descritti, e la lista potrebbe essere molto lunga, sono spaccati di vita sociale ben più gravi, perché quotidiani e strutturali, dello stupro compiuto dallo straniero o del nervosismo dei lavavetri ai semafori. Possiamo ben dire che nell’isola si è creato nel tempo una sorta di mercato regionale dell’insicurezza. All’interno del quale ciascuno, evidentemente, riesce a ricavare quel tanto di personalissima, egoistica e clientelare sicurezza. La quale, lungi dal mettere in discussione il sistema, lo rafforza sempre più. Insomma, anche in questo fondamentale ambito della vita associata la nostra “specialità” si conferma ancora una volta.