mercoledì 20 settembre 2017

Brancaccio e don Puglisi. Una storia e un quartiere da conoscere evitando leggende metropolitane, imprecisioni e luoghi comuni.

La Repubblica Palermo
20 settembre 2017*

La retorica su Don Puglisi

Francesco Palazzo

L’antimafia dei riti e quella della concretezza, quella dei cambiamenti veri e l’altra a portata di telecamera, quella illuminata per l’occasione e quell’altra feriale che non conosce luce. Voi vi chiederete, a proposito di luce, come erano a ventiquattro anni dalla sua scomparsa le strade dove Don Pino Puglisi esercitò il suo mandato di presbitero sino a trovare una pistola che puntava alla sua nuca il 15 settembre 1993. Cioè le vie adiacenti la chiesa di San Gaetano, quelle vicine la statua bianca del santo. Le cui dita spezzate, mi è stato detto recentemente, sarebbero state rotte, ovviamente è solo una leggenda metropolitana, perché indicavano la casa dei boss. Ci vuole poco, del resto, a inventarsi, immaginarsi, storie. Lo stesso cardinale che ha presieduto la veglia in ricordo di Don Puglisi la sera del 15 a Piazzale Anita Garibaldi, presidente della CEI, la conferenza episcopale italiana, non l’ultimo arrivato, ha esordito chiedendo agli intervenuti e allo stesso arcivescovo, asciutti di risposte, se per caso Brancaccio non provenisse dalla parola branco. Capito che non era così ha affermato che comunque da branco, dopo Puglisi, quella che aveva davanti era diventata una comunità. Bastava interrogare per pochi secondi wikipedia per sapere che il quartiere prende il nome dal governatore di Monreale, il napoletano Antonio Brancaccio, che nel 1747 fece erigere la chiesa oggi conosciuta come San Gaetano. Ma tutto deve tenersi nell’immaginario collettivo. Del resto, cosa può pensare uno che viene catapultato sul luogo dove Puglisi trovò la morte per mano mafiosa se le testimonianze offerte durante la veglia non sono quelle dei tanti giovani laureati del quartiere, dei professionisti, medici, ingegneri, musicisti, professori, anche universitari, dei tanti onesti lavoratori originari del rione e tuttora residenti o di un gruppo artistico che produce musical e che si è esibito in tutta Italia, formato da 150 abitanti di Brancaccio. Lo schema che viene proiettato, a quasi 25 anni da quel colpo alla nuca che fece fuori un grande prete, ma altri ve n’erano stati prima, ad esempio Rosario Giuè, ma questo non viene detto al presidente della CEI, è classico. Quello di gente senza futuro che ha bisogno della mano caritatevole del volontariato per rialzare pietosamente in qualche modo la testa. Quello di un quartiere dove don Pino levava i bambini e gli adolescenti dalla strada per portarli a scuola. Omettendo di dire che i ragazzi e le ragazze originari del quartiere che Puglisi trova al suo insediamento a Brancaccio, andavano regolarmente a scuola e tantissimi hanno conseguito lauree e diplomi, con un tasso probabilmente non dissimile a quello della parte residenziale della città. E che, invece, Don Pino i problemi li incontrò, oltre che con la mafia ovviamente, soprattutto con un’enclave di centinaia di famiglie indigenti che all’inizio degli anni ottanta vennero paracadutate nel quartiere da una politica miope. Ebbene, quel problema a Brancaccio è ancora presente e in questi ultimi decenni si è aggravato. Si è parlato molto dei tremila volumi che don Puglisi aveva, ma occorre anche dire che i giovani di Brancaccio gliene fecero trovare altrettanti nel salone della chiesa, sistemati a formare un’attiva biblioteca formalmente costituita che aveva il nome di Claudio Domino, il bambino ucciso dalla mafia a metà degli anni ottanta. Ma vi ho lasciato con una domanda senza risposta. Come erano le strade di don Puglisi la sera del 15 settembre? Erano al buio. Pesto. Al buio la Via Brancaccio, la Via Conte Federico, la Via S. Ciro, la Via Hazon, la Via Panzera, la Via Giafar. Strade che fanno da corona alla parrocchia dove 3P visse i suoi ultimi tre anni di vita e di sacerdozio. Magari un giorno sconfiggeremo la mafia. Ma lo faremo solo e soltanto se ci sapremo raccontare le storie nella giusta maniera e se sapremo curare bene questi territori. Altrimenti rischiamo di essere, per usare le parole del cardinale, un banco che brancola nel buio. E la stessa chiesa di Palermo, che ancora afferma che don Pino non era un prete antimafia, lo era eccome, e che ad oggi non ha mai messo in campo una pastorale specifica contro le cosche, rischia anch’essa di girare nel vuoto della retorica.

*versione integrale, due piccole parti segnate in grassetto sono saltate per motivi di spazio.

domenica 10 settembre 2017

Centrosinistra in Sicilia: marciare divisi per colpire se stessi.

La Repubblica Palermo 
8 settembre 2017

Il centrosinistra incomprensibile per il suo popolo
Francesco Palazzo
La domanda è semplice, temiamo che non ci sarà la risposta, ma la facciamo lo stesso. Ma nel centrosinistra ci pensano agli elettori quando si dividono come stanno facendo in Sicilia? Sia chiaro, i matrimoni si fanno in due. Da nessuna delle due parti, quella vicina al Pd e l’altra facente riferimento alla galassia che si fa chiamare sinistra, c’è stata la volontà vera, al di là delle parole, di andare all’altare. Constatiamo che certi ragionamenti interessano soltanto il ceto politico e quelli che vivono di politica. Una piccola minoranza. Per tutti gli altri, coincidenti con quasi tutto il corpo elettorale, tali circoli viziosi della politica non rappresentano nulla. L’altra mattina vedo un anziano e un giovane discutere di regionali. Passo loro accanto, visto che sto entrando in acqua e sostano sulla battigia, e mi fermo ad ascoltare. Non ne sanno molto. Mi chiedono delle forze in campo. C’è Grillo, poi c’è Berlusconi, sintetizzo. Sin qui chiaro, per loro. E per me. Nel momento in cui provo a spiegare il terzo maggiore attore in campo, leggo negli occhi dei miei interlocutori marini, che poi capisco essere vicini al centrosinistra, un palese disorientamento. Che, posso ipotizzare, si tradurrà in astensionismo o in voto comunque dato di malavoglia, senza coinvolgere più di tanto le persone vicine. Possiamo supporre, visto che parliamo di gente avvertita e navigata, che i protagonisti di questo mosaico infranto, abili come pochi a spaccare in quattro il capello della politica, sappiano di provocare questo stato di cose. Ma allora perché lo fanno? Per carità, le motivazioni le sappiamo. Le abbiamo lette quella fascia di persone che si abbevera giorno e notte alla rete e alla carta stampata. Ma le persone normali, cari Pd e formazioni che state più a sinistra, ammesso che queste configurazioni novecentesche abbiano ancora senso, pensate che vengano appresso alle alchimie, alle correnti, a quelli che non vogliono gli alfaniani, agli altri che chiedono discontinuità, a quelli ancora che a sinistra spaccano ulteriormente la mela?Non pensate che alle persone “normali“, i siciliani e le siciliane che vogliono votarvi e quelli che potrebbero farlo, con i mille problemi che hanno, gli rendereste la vita meno complessa se foste in grado di risolvere le vostre divisioni e fornire loro una possibilità di scelta semplice e comprensibile? Già con questa legge elettorale scelgono ben poco, visto che all’Ars sarà praticamente impossibile mandare una maggioranza al seguito del presidente vincente e considerato che la stessa norma elettorale rende facoltativo presentare prima del voto le squadre di governo. Ricordate l’Italicum? Dava agli elettori la possibilità di scegliere. Ma siccome l’obiettivo costante è quello di far permanere il corpo elettorale in una condizione di minorità, ecco che si forniscono strumenti che fanno contare chi deposita la scheda nell’urna quanto il due di coppe quando la briscola è a denari. In aggiunta a questo, il centrosinistra isolano, che ha appena eletto, unito, il sindaco della quinta città d’Italia, dopo qualche giorno inizia a complicarsi inutilmente la vita. Complicandola agli elettori. Sia chiaro, cari centri e sinistri, i vostri elettori non si aspettano nulla. Sanno che procederete divisi sino alla fine, andando magari a perdere malamente. I padri e le madri di famiglia, che vivono quotidianamente la concretezza, sanno che divisi si perde. Se potessero, quindi, vorrebbero magari dirvi, e forse lo faranno alle urne, che questa è strada che non spunta.

sabato 2 settembre 2017

Il centrosinistra siciliano, ovvero, quando si può sbagliare tutto perché non farlo?

La Repubblica Palermo
31 agosto 2017
Pag. I
E se i gazebo fossero una chance per il centrosinistra? 
Francesco Palazzo

Al punto in cui si è, le primarie sarebbero l’unica via d’uscita dal pantano in cui si è cacciato il centrosinistra dopo la vicenda della candidatura proposta al presidente del Senato. Che poteva essere gestita, dai proponenti, molto meglio. Se metti in campo un’idea del genere, prima devi assicurarti che ci sia il sì. Altrimenti si prende subito una via difficilmente percorribile. Quale è quella che il centrosinistra infatti si trova davanti. Ma ormai è una fase passata. C’è chi potrebbe dire che non c’è più il tempo per i gazebo. Non so se è così. E comunque, invece di spendere il tempo a dividersi, si potrebbe più utilmente impiegare per un appuntamento unitario. Le elezioni sono il 5 novembre e le liste devono essere presentate il 6 ottobre. Le primarie si possono benissimo celebrare il 24 settembre, ma anche la prima domenica di ottobre, giorno 1. Questa soluzione porterebbe diversi vantaggi. Il presidente della Regione sarebbe, come ha detto più volte, sino a ieri, della partita. Del resto, non si capisce perché il primo presidente di centrosinistra eletto dal corpo elettorale, è bene ricordarlo a chi se lo fosse dimenticato, e non per manovre di palazzo, non debba passare almeno dalle primarie. Si aggiunga che le formazioni politiche a sinistra del PD, messe davanti ai gazebo, non potrebbero dire no a cuor leggero. In quanto, ma non solo per questo, le primarie renderebbero molto più marginale l’accordo con gli alfaniani, cosa a quanto pare invisa alla sinistra. Che però ha vinto a Palermo e governa a Roma con Alfano. Misteri, non della fede ma della politica. Inoltre, tutti i candidati, anche i meno noti, avrebbero la possibilità di farsi conoscere, insieme ai relativi programmi, in tutta la Sicilia. Insomma, invece di continuare con questa pratica francamente autolesionista, che nessuno capisce tranne i pochi addetti ai lavori, si parlerebbe alla Sicilia e della Sicilia, praticamente una vera campagna elettorale che comincerebbe subito. Le liste, se si condivide lo schema di coalizione che promuoverebbe le primarie, si potrebbero preparare nel frattempo comunque. Si attenderebbe soltanto, a un mese e mezzo dal voto, tanto mancherebbe al 24 settembre, o a un mese abbondante nel caso del 1° ottobre, colui che uscirebbe vincente dai gazebo per guidarle.È vero che qualcuno potrebbe storcere il muso sulle primarie. Ma è anche lampante che se quelli che sono alla sinistra del Pd andranno da soli, peraltro con una candidatura significativa come quella preannunciata di Claudio Fava, questa coalizione, con i grillini in campo da tempo e un centrodestra unito, si candida molto verosimilmente ad arrivare terza. Credo che veda bene chi afferma che non si sta lavorando al modello Palermo ma a quello delle elezioni romane. Perché non è difficile prevedere che il Pd e lo schieramento a esso legato, in queste condizioni, potrebbero andare sotto di brutto come è già accaduto nella capitale.Insomma, i gazebo potrebbero essere l’unico modo per il centrosinistra per tornare al centro di questo passaggio politico siciliano. Che proietterà una lunga ombra sulle politiche. In tal modo, peraltro, la Sicilia, quel laboratorio di cui si parla esagerando non poco, tornerebbe ad essere non più, in questo frangente, a trazione romana, come giustamente sottolineava Pietro Perconti su queste pagine. Se davvero si vuole lavorare al modello Palermo, del quale magari si sopravvaluta leggermente la portata elettorale oltre i confini del capoluogo, questa probabilmente è l’unica chance per tenerlo in piedi e rafforzarlo.