La Repubblica Palermo
27 aprile 2016 - Pag. I
Perché l'antimafia segna il passo
Francesco Palazzo
È da rifondare l’antimafia? Se Cosa nostra ci fa compagnia da tre secoli, possiamo dire, parafrasando l’astronauta,«Houston, abbiamo un problema». Come si affronta? Innanzitutto, con spirito laico. Ha ripreso vigore la polemica sul libro di Fiandaca e Lupo, “La mafia non ha vinto”. Gli autori mettono in discussione l’esistenza di una trattativa Stato-mafia. La querelle nasce dal fatto che i due sono stati invitati a corsi per magistrati. Molti testi che si schierano per l’esistenza della trattativa sono stati pubblicati. Fiandaca e Lupo forniscono due punti di vista che ci servono. Poi, occorre non ritenere l’antimafia un blocco monolitico, di fronte al quale trovare la chiave per risolvere il problema. Dovremmo tornare a riflettere sulle antimafie. Concretamente, senza perdersi nei labirinti delle parole. Del resto, se dovessimo non chiamarla più antimafia, ma in altro modo, si risolverebbe forse l’intreccio problematico? Vediamo, dunque, di mostrare alcuni tornanti di questa antimafia che mostra la corda. Cominciamo da quella fatta di emotività. Risposta comprensibile, che spesso nulla lascia sul campo e casistica ampia. Citiamo la polemica sugli occhiali con una frase di Impastato come messaggio pubblicitario, che alla fine portò al ritiro dello spot, e la fiction “Il capo dei capi”. Due messaggi diversi, su un eroe e su un mafioso. Entrambi non sono andati giù a un’antimafia che si ferma all’irritazione. E’ un atteggiamento seriale, che si ripeterà. Dicono gli studiosi che l’emotività contro la mafia non serve. Il secondo lato debole di questa crisi, ha la stessa sindrome. Ci riferiamo alla politica, sia quando si esprime con norme (di solito approvate reattivamente dopo gravi fatti di mafia), sia nella sua vita quotidiana (per i partiti la mafia esiste quando arrestano un loro esponente o i tribunali parlano). Non c’è visione di lungo periodo. Anzi, quando il vento del sangue si placa, si torna indietro. Vedi la modifica alla legge sui collaboratori di giustizia, che ha reso problematica la loro gestione. Erano troppi, adesso sono pochi e l’emergenza è finita. Mentre il parlamento non si pronuncia sul concorso esterno in associazione mafiosa. Spesso la politica ascolta più i Porta a Porta che i servitori dello Stato. Difficile dimenticare il trattamento riservato al prefetto Giuseppe Caruso sui beni confiscati. Un terzo atteggiamento è quello di affidare alla magistratura e alle forze dell’ordine la lotta alla mafia. Un altro sintomo di un’antimafia che ansima è il versante degli affari. Tenendo ferme le garanzie per i singoli, a molti non pare infondata l’ipotesi che talvolta, dietro ai proclami sulla legalità, si possano annidare interessi personali. Un altro aspetto si riferisce all’azione amministrativa. Talvolta si sbarra la strada a valutazioni sulle cose concrete - le uniche che interessano che si facciano, bene, ai contribuenti - innalzando il verbo dell’antimafia. Sciascia, al di là dei casi specifici citati allora, individuava i professionisti dell’antimafia. Il grande scrittore fu insignito, dall’antimafia emotiva, era il 1987, della medaglia di quaquaraquà e posto ai margini della società civile. E chiudiamo con la società civile, la sesta antimafia che segna il passo. Quella delle realtà che campano di finanziamenti pubblici. Qui basta ricordare don Puglisi. Contro la mafia stragista innalzò il vessillo della gratuità, lontana dai soldi pubblici e dalle segreterie dei notabili. Lo abbiamo già scritto. Solo beni e servizi alle associazioni. Se si hanno buone idee, cammineranno lo stesso. Come vediamo da questi pochi spunti, non si tratta di malattie recenti. Occorrono dunque delle cure non episodiche. E l’antimafia virtuosa? Non manca, ma ha il piombo sulle ali messo da quella che non funziona e che spesso crea più icone inamovibili che buone pratiche condivise. Ma c’è. Può avere il volto di Santi Palazzolo, l’imprenditore di Cinisi che ha denunciato un’estorsione. Intervenendo alla Leopola sicula ci pone una domanda. «E’ più antimafia fare le marce o alzarsi alle quattro del mattino, indossare gli indumenti da pasticciere, e dare ogni giorno lavoro onesto a cinquanta persone?». Tale interrogativo ci indica quanto un’antimafia non parolaia debba per forza passare dall’imperativo categorico di creare, ed è compito soprattutto della politica, ma non soltanto, le precondizioni di lavoro vero e non assistito.