martedì 26 novembre 2019

Una materia scolastica che insegni sentimenti e corporeità.


La Repubblica – Palermo – 26 novembre 2019
Non bastano i convegni, insegniamo ai ragazzi l’educazione ai sentimenti
Francesco Palazzo
Sabato Repubblica Palermo raccontava di una donna che ha subito violenza in un rapporto di coppia e che vive nella paura. Nello stesso giorno abbiamo appreso di un’altra donna, incinta, ritrovata uccisa a Partinico. Ieri abbiamo celebrato la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Onu nel 1999. Il 25 novembre del 1960 tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal, furono uccise nella Repubblica Dominicana. Inutile girarci intorno, si tratta di un’emergenza umanitaria. Anche se è difficile definire emergenza ciò che avviene con terribile e precisa cadenza. E non soltanto per gli omicidi o le barbare aggressioni che sfondano il muro della cronaca. Dobbiamo andare più in profondo e ammettere che un’altissima percentuale di donne è sottoposta giornalmente, in famiglia, al lavoro, nella società in generale, a circostanze molto pesanti. Che fanno da muto substrato sul quale poi si ergono le più efferate azioni violente. Che sono soltanto la punta di un vastissimo iceberg. La parte sommersa vede le donne affrontare sottomissioni, molestie, aggressioni fisiche, psicologiche e ricatti sessuali veri e propri. Cosa fare per provare a fermare la cadenza di un femminicidio ogni tre giorni? Sabato Michela Marzano, nella parte nazionale di Repubblica, rifletteva sui tre momenti che interessano tale violenza. Punire i rei, proteggere le vittime, prevenire i delitti. Il primo ambito può ritenersi più o meno coperto da magistratura e forze dell’ordine. Il secondo c’è, anche se spesso in crisi per via dei finanziamenti che scarseggiano. Il terzo possiamo ben dire che rappresenta il vero punto lacunoso. Perché non rivolgerci alle scuole? Sin dalle elementari dovrebbe essere introdotto un vero e proprio corso, avente carattere di stabilità, che potrebbe chiamarsi Educazione ai sentimenti e alla corporeità. Organizzare convegni lascia poco ai discenti. Ci vorrebbe, pur sapendo che ci troviamo di fronte a un fenomeno che viene da lontano e che si sradicherà molto lentamente, proprio un insegnamento specifico. Che parli di emozioni e di corpi, facendone capire l’inviolabilità, la sacralità. Con valutazioni, come avviene per le altre materie, almeno nella scuola media e alle superiori. Chissà, considerata l’autonomia scolastica, se non possa partire proprio dalla Sicilia, che nella casistica di donne uccise quest’anno ha raggiunto il primo posto in Italia, un’innovazione didattica di questo tipo. Dobbiamo essere consapevoli che se non si agisce sull’aspetto preventivo sin dalla più tenera età, insegnando ai bambini cosa non va nemmeno pensato e alle bambine a saper riconoscere i più deboli segnali di non rispetto, sarà molto complicato sgretolare questa enorme montagna di dolore che cresce sempre più. Costruita ogni giorno, va detto per capire la vastità del problema, non da esseri con le facce da mostri. Sarebbe facile liberarcene. Ma da uomini che si palesano apparentemente in società come normali e invece dentro sono soltanto spaventosi.


sabato 2 novembre 2019

Suore e gravidanze, i fanti più chiusi dei santi.

La Repubblica Palermo – 2 novembre 2019
Quei laici bigotti che condannano le suore mamme
Francesco Palazzo




Che novità viene a rappresentarci la circostanza che due donne sono incinte? Capita in ogni famiglia. In questi casi ci si felicita e si porgono i migliori auguri alle future mamme e a coloro che verranno al mondo, conclusa, si spera bene, la gestazione. Tranne che non accada a una suora. In Sicilia gli ultimi due casi. Nel Messinese e nel Ragusano. Ovviamente i social network si sono scatenati. I commenti, molto al di sotto della cintura e del minimo sindacale di decenza, si moltiplicano. Si viene messi alla berlina, con espressioni irripetibili e disumane, solo per il fatto che capita di vivere la cosa più naturale che possa accadere: diventare madre. Anzitutto possiamo notare che a vivere la dimensione sessuale come una colpa e un tabù non sono soltanto gli ambiti strettamente clericali ma pure ampi, laicissimi e moderni strati di popolazione che vivono fuori dalle sagrestie. Poi non si capisce il motivo dell’inconciliabilità tra fede consacrata e amore per un’altra persona e per i figli, anche se da questo punto di vista, e sul diaconato alle donne, buone notizie arrivano dal Sinodo Panamazzonico. Inoltre, ci si può domandare perché quando un prete o un frate vanno via per motivi sentimentali si dice che ha prevalso l’amore. Le donne, invece, sono schiacciate sotto vagonate di violenza verbale, che è come quella fisica. Altro aspetto da rilevare è che si tende a sottolineare in simili occasioni, cosa che non si fa quando sono coinvolti uomini, sacerdoti o religiosi, la bontà delle realtà ecclesiali in cui hanno svolto il loro ministero: «Però era una brava ragazza...». Come se i frutti dell’amore che crescono dentro un grembo sporcassero il terreno circostante. Ma per quale motivo una donna in gravidanza dovrebbe pregiudicare il buon nome di qualcosa o inquietare una comunità, quasi si trattasse di pedofilia o di reati gravi e disonorevoli? Viene fuori un modello culturale, ancora dominante, che vede la donna in una situazione di grave e persistente minorità. Sia tra i santi che tra i fanti.