sabato 28 marzo 2009

Palermo: dagli zingari un esempio per riflettere

CENTONOVE
27 3 2009
Pag. 47
A LEZIONE DAI NOMADI
Francesco Palazzo

Quanti genitori palermitani, sapendo che un loro figlio si è reso protagonista di un atto violento, si presenterebbero alle forze dell’ordine consegnando il colpevole? Certo non molti, visto che ormai i pargoli sono difesi da tutto, a scuola come nella vita. E non solo quando hanno ragione, ma soprattutto quando hanno torto spacciato. Nel rispetto del vecchio adagio siciliano, “difenni u tuo o tortu o rittu”, per i continentali “difendi sempre ciò che ti appartiene, nel torto e nella ragione”. Detto nobilitato patriotticamente dagli inglesi con la frase “right or wrong it’s my country”, giusto o sbagliato è il mio paese, I nomadi palermitani, che vivono a due passi dallo stadio, hanno seguito un ragionamento diverso. Sia dalla cultura siciliana che da quella anglosassone. Alcune settimane addietro, tre giovani minorenni di quella comunità hanno aggredito e derubato una ragazza e un ragazzo palermitani alla fermata dell’autobus, nei pressi dello stadio delle palme. Attendevano il mezzo pubblico per tornarsene a casa dopo una rilassante oretta di corsa. Dopo che la notizia è diventata di dominio pubblico, con grande evidenza su diversi mezzi d’informazione, invece di girare le spalle dall’altra parte, due rappresentanti dei gruppi, cattolico e musulmano, e già tale integrazione meriterebbe un discorso a parte, hanno indagato e individuato i responsabili. Consegnando loro, accompagnati dai genitori, e la refurtiva, un giubbotto, un paio di scarpe, un cellulare e un orologio, alla polizia. Intanto, due notazioni a pelle. Se fosse accaduto il contrario, cioè se due minorenni palermitani si fossero resi protagonisti di un simile fatto, la cosa sarebbe finita sui giornali con questa rilevanza? Forse due righe tra le brevi. E poi. Siamo sicuri che dei genitori siculi, una volta venuti a conoscenza del misfatto, si sarebbero presentati alle forze dell’ordine con i colpevoli in lacrime e la refurtiva? Oppure avrebbero protetto omertosamente i rampolli, per evitare la vergogna e non macchiare il futuro dei figli? Difficile ritenere che sarebbe andata diversamente. Ogni giorno leggiamo di reati commessi da giovani siciliani. Mai registriamo questo comportamento collaborativo delle famiglie. Se si viene colti sul fatto, si paga mettendo in mezzo i migliori avvocati. Se si può sfuggire alla legge, lo si fa senza problema alcuno. Detto ciò, c’è poi da svolgere una riflessione più larga. Difendere il tuo, nel senso della tua famiglia, della tua comunità cittadina, regionale o nazionale, è un meccanismo che probabilmente sorge spontaneo, almeno quando il sangue è ancora caldo. E ciò vale anche per coloro che fanno parte di una maggioranza connotata dalle stesse radici culturali, storiche e sociali, i quali, dunque, giocano in casa. A maggior ragione, quindi, questi meccanismi di protezione sono ancora più forti nelle etnie che vivono in luoghi molto distanti da quelli di provenienza. Proprio perché largamente minoritarie rispetto al resto della popolazione locale e indubitabilmente isolate, culturalmente e socialmente. Invece, in questo caso, si è avuta una smentita. E proprio dalla parte da cui meno c’era da attenderselo. Di fronte a così gravi reati, pare, infatti, che non ci siano state solo la rapina e l’aggressione, ma che si siano consumati pure un palpeggiamento e un ricatto sessuale nei confronti della giovane palermitana, che possono comportare conseguenze giudiziarie pesantissime per i tre giovani nomadi, una sparuta minoranza non fa quello che poteva apparire più naturale in terra di mafia. Non solo le due famiglie dei tre ragazzi non hanno coperto i propri nuclei familiari. E già questo sarebbe troppo anche per noi. Ma non c’è stata neppure la tutela di un’intera etnia, residente in un paese straniero spesso ostile verso i nomadi. Il gruppo in questione ha assunto, quanto accaduto, non come un fatto privato riguardante, in fondo, le due famiglie interessate dalla vicenda. Ma come una circostanza verso la quale collettivamente provare vergogna, sentirsi feriti e chiedere scusa pubblicamente. C’è materiale in abbondanza per riflettere.

mercoledì 25 marzo 2009

Film sulla mafia: forma e sostanza


LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 25 MARZO 2009

Pagina XVII
Troppe critiche ai film sulla lotta alla mafia

Spesso per gli esperti o i familiari delle vittime il prodotto artistico non corrisponde alle attese. Ma per il grande pubblico il messaggio è quasi sempre efficace
Francesco Palazzo


La storia siciliana recente si è arricchita nel tempo di una particolare casistica, ormai talmente nutrita che potrebbe uscirne fuori qualche densa pubblicazione. Mi riferisco all´impallinamento sistematico dei registi che provano a portare sugli schermi, cinematografici o televisivi, vicende di mafia e antimafia. È ovvio che per quanti hanno conosciuto da vicino le storie - i familiari delle vittime, gli esperti che sanno pure le virgole della storia di Cosa nostra - difficilmente un prodotto artistico può corrispondere alle attese. Ci saranno sempre dei particolari, più o meno evidenti, che scontenteranno. Così come è naturale che non tutte le ricostruzioni siano qualitativamente di buon livello. Ma non è questo il punto, tutto può e deve essere sottoposto al vaglio critico. Bisogna però rendersi conto di quale prodotto artistico ci si trova davanti e quali sono le sue necessarie coordinate. Intanto c´è il bisogno di divulgare e far comprendere contenuti sconosciuti ai più e conosciuti solo da pochissimi. Non è un´operazione semplice. In quest´ottica, a esempio, ciò che può apparire essenziale a un familiare o a uno studioso, non lo è ai fini di una comunicazione generalista. Che deve raggiungere tutti e svolgersi secondo schemi che non possono essere quelli di un saggio storico o di un ragionamento tra esperti. In secondo luogo, si deve tenere presente che ogni ricostruzione portata sul grande o piccolo schermo è sempre una libera interpretazione. All´interno della quale elementi veri si mischiano a invenzioni oppure a esagerazioni di determinate circostanze che magari, quando i fatti si verificarono, si svolsero in maniera leggermente o profondamente diversa. Del resto, se provassimo ad andare, per fare un esempio, a Brancaccio e chiedessimo di padre Puglisi a quanti l´hanno conosciuto, otterremmo un insieme di impressioni davvero molto diverse le une dalle altre. Qual è il vero Puglisi? Ognuno ne metterà in rilievo un tratto. La stessa cosa, perché meravigliarsene, hanno fatto e faranno i registi, gli sceneggiatori, gli attori che hanno voluto e che vorranno rappresentare la storia di don Pino. C´è anche da considerare un terzo aspetto, ossia l´esigenza di brevità. Raccontare fedelmente diversi decenni di storia o complesse biografie, lo si può fare solo nei libri. E anche in questo caso, lo sappiamo bene, ci vogliono più volumi, diversi autori e tanto tempo affinché si abbia una ricostruzione che tende alla completezza. Tutte queste cose ho pensato dopo aver visto "La siciliana ribelle", il film liberamente ispirato alla storia di Rita Atria che il regista Marco Amenta ha portato nelle sale. Le ho pensate dopo, perché prima mi ero invece avvicinato alla visione del film negativamente condizionato dalle polemiche che hanno accompagnato l´opera cinematografica. Man mano che scorrevano le immagini e i dialoghi, cercavo conferma alle impressioni non positive e ai pregiudizi che avevo. Tuttavia, devo dire che alla fine si assiste a una narrazione senza fronzoli e senza retorica. Un racconto abbastanza asciutto. Che, a mio modo di vedere, anche se non sono un profondo conoscitore della vita di Rita Atria, e quindi corrispondo allo spettatore medio, cui sono dirette in primo luogo tali opere, veicola bene l´immagine e l´impegno di una ragazza coraggiosa che ha voluto lottare la mafia staccandosi dalla propria famiglia di sangue. Con, ben rappresentate, tutte le sofferenze e i drammi, vedi la vicenda di Peppino Impastato, che una tale scelta comporta. Questo è il messaggio che doveva passare. Penso che il film sia riuscito a comunicare quanto necessario per far capire quanto è assurda la vita dei mafiosi e quanto può essere dirompente il volto pulito di una ragazza che decide di rompere, per sempre, la catena della violenza. Ritengo che il grande pubblico, più attento alla sostanza delle cose e che sa di guardare un´interpretazione personale, come lo è qualsiasi opera artistica, sia sempre in grado di afferrare il nocciolo delle storie, andando oltre i dettagli e non perdendo di vista l´orizzonte complessivo.

lunedì 9 marzo 2009

Palermo: se non si sa rinunciare ai pass


LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 08 MARZO 2009

Pagina XVII
Il centrosinistra alla prova dei pass
Francesco Palazzo



Ricorderete il film di Moretti in cui il protagonista grida a uno dei due ospiti televisivi di dire qualcosa di sinistra. In alternativa, almeno qualcosa. Ebbene, guardando qualche giorno addietro un titolo del nostro giornale, "Pd e Idv rifiutano il pass per i vip", avevo frettolosamente concluso che sulla questione permessi automobilistici al Comune di Palermo, qualcuno finalmente stesse dicendo qualcosa. E pure di sinistra. O di centrosinistra. Oppure, se lo schema vi sembra ormai sepolto, una semplice frase di civiltà sostanziale. Un buon motivo per iniziare come si deve la giornata. Tra macchine già in terza fila davanti alle scuole, dove i genitori sentono il bisogno di fermare il mondo per accompagnare i propri pargoli, e sull´uscio dei bar più rinomati del centro. Perché prendere il caffè senza, contemporaneamente, osservare il proprio bolide, non è proprio cosa che si può chiedere a un palermitano. In questo quadro, quel titolo letto di sfuggita senza guardare il contenuto, era dunque motivo di una piccola soddisfazione. Ecco, pensavo, alcuni del Palazzo che si rendono conto che è ora di finirla con la visione di una città che sopravvive ragionando per categorie o tribù. Niente di eccezionale, intendiamoci. Tuttavia, in tempo di vacche magre, soprattutto a sinistra, o centrosinistra se non si vuole esagerare, ci si deve accontentare. Leggendo l´articolo però mi sono reso conto che le cose stavano diversamente. I consiglieri comunali del Pd e Italia dei Valori, rifiutano sì i pass messi a disposizione dall´amministrazione. Ma non perché, come mi illudevo, intendano vivere la vita e le difficoltà dei comuni cittadini. Il problema è un altro. Prima di prendere i cartoncini, invocano un regolamento sulla materia. Il quale, statene certi, impegnerà in estenuanti dibattiti e sedute fiume un consiglio comunale per tanti versi, e per tante e impellenti questioni di massima importanza, inconcludente. Addirittura c´è chi, sempre nel centrosinistra, dichiara che deve consultarsi con il proprio gruppo prima di decidere se ritirare i pass. Come se stessimo parlando di testamento biologico o di modifiche costituzionali. Di tematiche, insomma, che presuppongono il massimo della concertazione e della condivisione politica. Chiediamo. Ci vuole proprio tanto per rinunciare completamente, senza condizione alcuna, a questi benedetti pass? Non è su simili argomenti, molto sentiti dalle persone che non hanno alcun beneficio, ossia quasi tutti, che si dovrebbe cominciare a impostare un tentativo per tornare a competere con il centrodestra alle prossime, forse non lontane, elezioni amministrative? Avanzo una proposta per i nostri consiglieri d´opposizione. Invece di reclamare regolamenti o attendere riunioni di gruppi consiliari, prendano questi pass e li restituiscano all´amministrazione durante una conferenza stampa. Poi vadano, sempre con telecamere e giornalisti appresso, agli sportelli dell´Amat, facciano tutti insieme la coda, e si paghino di tasca loro, tanto se lo possono permettere, un bell´abbonamento per tutte le linee. Salgano e scendano dagli autobus durante i loro spostamenti istituzionali, al centro come in periferia. Parlino con le persone, spieghino la loro trasparente scelta di civiltà e si risintonizzino con le diverse anime della città. Sarebbe un comportamento più fruttuoso e comprensibile di mille assemblee e di tanti inutili regolamenti. I quali ultimi, spesso, servono soltanto a cambiare la forma dei soprusi, confermando la sostanza delle cose.

giovedì 5 marzo 2009

Restituzione soldi all'ARS


LA REPUBBLICA PALERMO - GIOVEDÌ 05 MARZO 2009

Pagina I
La storia
Sprechi dell´Ars a colpi di "gettone"
FRANCESCO PALAZZO




Chi rinuncerebbe a 7.386,22 euro già depositati, comodi comodi, nel proprio conto? Non molti. Lo vuole fare Roberto Tagliavia, funzionario del gruppo parlamentare Pd all´Assemblea regionale. Palazzo dei Normanni gli ha accreditato la somma. Che corrisponde, sostiene Tagliavia, alla sua presenza alle riunioni del comitato per la valutazione degli eventi celebrativi il 60° anniversario dell´Assemblea, caduto nel 2007. Il punto è che la partecipazione al comitato doveva essere a titolo gratuito: come venne spiegato - rammenta Tagliavia - durante la seconda e terza riunione. Era previsto, sottolinea, solo un rimborso spese per quei soggetti che provenivano da fuori città. Siccome per lui, lavorando all´Ars, l´unico sforzo era di prendere l´ascensore, gli appariva scontato che la sua partecipazione fosse da considerare a titolo gratuito. Finite le celebrazioni, cominciò a giungergli voce che ci sarebbero stati compensi per il lavoro svolto. Confessa che una prima sollecitazione degli uffici per avere i suoi dati, gli sembrò un caso d´inerzia burocratica, ossia una mera verifica per capire chi avesse diritto al rimborso spese. Ma, un bel giorno, la richiesta di codice fiscale e coordinate bancarie si fece più stringente. Sino al punto in cui si trovò a compilare un modulo dove scrivere la cifra da chiedere. Perché chiedere, si domandò. Se l´Ars, cambiando opinione, aveva deciso di retribuire la consulenza, doveva stabilire essa stessa la quantità dovuta. A quel punto c´erano due alternative: o rinunziare, strappando il modulo di richiesta, oppure andare a vedere come sarebbe finita. Rimaneva un solo dilemma. Che cifra inserire? Gli fecero sapere che la richiesta doveva essere di diecimila euro. Nel frattempo, dopo le ultime elezioni del 2008, fu deciso che nessuna iniziativa programmata per il 60° anniversario dell´Ars,non ancora realizzata, poteva accedere a finanziamento. A quel punto, vista la stretta in corso, riteneva impossibile qualsiasi pagamento per quella consulenza, che del resto a lui non interessava proprio. Passato il 2008 Tagliavia pensava che quella strana vicenda fosse stata archiviata per sempre. Non è così. A gennaio l´ufficio amministrativo gli ha chiesto nuovamente il codice fiscale per completare la pratica. La procedura di pagamento era nella sua fase finale. Infatti, nell´estratto conto arrivato a metà febbraio, la cifra di diecimila euro, tolte le detrazioni, già era già sul conto, aumentando la sua disponibilità economica di euro 7.386,22, quale compenso per «lavoro occasionale». Sin qui la storia vissuta e raccontata da Roberto Tagliavia. È bene aggiungere che gli uffici liquidatori e chi ha preventivamente autorizzato la spesa, hanno certamente agito sulla base di pezze d´appoggio ineccepibili. Resta da capire perché ai componenti della commissione, durante i lavori e per ben due volte, era stata specificata la totale volontarietà del loro incarico. Se si trattò di un´informazione inesatta o se si verificò, e perché, un cambiamento in corso d´opera. Poiché, comunque, Tagliavia è rimasto nell´ottica della pura gratuità, si è chiesto, in un primo momento in privato, come utilizzare quei soldi. All´inizio l´unica cosa saggia gli era sembrata quella di tacere, tenere la retribuzione e spenderla per rafforzare la politica virtuosa che vorrebbe si realizzasse in Sicilia. Tuttavia, guardandosi intorno, e non vedendo come tradurre in un´iniziativa di qualche utilità questa piccola-grande cifra, ha deciso di donare pubblicamente il suo compenso. O sostenendo un caso d´indigenza, uno dei tantissimi, particolarmente evidente. Oppure, meglio ancora, contribuendo a far emergere una risorsa umana siciliana capace e preparata. Una tra le tante. Schiacciate da malgoverni, negligenze e sprechi d´ogni tipo.