CENTONOVE
27 3 2009
Pag. 47
A LEZIONE DAI NOMADI
Francesco Palazzo
Quanti genitori palermitani, sapendo che un loro figlio si è reso protagonista di un atto violento, si presenterebbero alle forze dell’ordine consegnando il colpevole? Certo non molti, visto che ormai i pargoli sono difesi da tutto, a scuola come nella vita. E non solo quando hanno ragione, ma soprattutto quando hanno torto spacciato. Nel rispetto del vecchio adagio siciliano, “difenni u tuo o tortu o rittu”, per i continentali “difendi sempre ciò che ti appartiene, nel torto e nella ragione”. Detto nobilitato patriotticamente dagli inglesi con la frase “right or wrong it’s my country”, giusto o sbagliato è il mio paese, I nomadi palermitani, che vivono a due passi dallo stadio, hanno seguito un ragionamento diverso. Sia dalla cultura siciliana che da quella anglosassone. Alcune settimane addietro, tre giovani minorenni di quella comunità hanno aggredito e derubato una ragazza e un ragazzo palermitani alla fermata dell’autobus, nei pressi dello stadio delle palme. Attendevano il mezzo pubblico per tornarsene a casa dopo una rilassante oretta di corsa. Dopo che la notizia è diventata di dominio pubblico, con grande evidenza su diversi mezzi d’informazione, invece di girare le spalle dall’altra parte, due rappresentanti dei gruppi, cattolico e musulmano, e già tale integrazione meriterebbe un discorso a parte, hanno indagato e individuato i responsabili. Consegnando loro, accompagnati dai genitori, e la refurtiva, un giubbotto, un paio di scarpe, un cellulare e un orologio, alla polizia. Intanto, due notazioni a pelle. Se fosse accaduto il contrario, cioè se due minorenni palermitani si fossero resi protagonisti di un simile fatto, la cosa sarebbe finita sui giornali con questa rilevanza? Forse due righe tra le brevi. E poi. Siamo sicuri che dei genitori siculi, una volta venuti a conoscenza del misfatto, si sarebbero presentati alle forze dell’ordine con i colpevoli in lacrime e la refurtiva? Oppure avrebbero protetto omertosamente i rampolli, per evitare la vergogna e non macchiare il futuro dei figli? Difficile ritenere che sarebbe andata diversamente. Ogni giorno leggiamo di reati commessi da giovani siciliani. Mai registriamo questo comportamento collaborativo delle famiglie. Se si viene colti sul fatto, si paga mettendo in mezzo i migliori avvocati. Se si può sfuggire alla legge, lo si fa senza problema alcuno. Detto ciò, c’è poi da svolgere una riflessione più larga. Difendere il tuo, nel senso della tua famiglia, della tua comunità cittadina, regionale o nazionale, è un meccanismo che probabilmente sorge spontaneo, almeno quando il sangue è ancora caldo. E ciò vale anche per coloro che fanno parte di una maggioranza connotata dalle stesse radici culturali, storiche e sociali, i quali, dunque, giocano in casa. A maggior ragione, quindi, questi meccanismi di protezione sono ancora più forti nelle etnie che vivono in luoghi molto distanti da quelli di provenienza. Proprio perché largamente minoritarie rispetto al resto della popolazione locale e indubitabilmente isolate, culturalmente e socialmente. Invece, in questo caso, si è avuta una smentita. E proprio dalla parte da cui meno c’era da attenderselo. Di fronte a così gravi reati, pare, infatti, che non ci siano state solo la rapina e l’aggressione, ma che si siano consumati pure un palpeggiamento e un ricatto sessuale nei confronti della giovane palermitana, che possono comportare conseguenze giudiziarie pesantissime per i tre giovani nomadi, una sparuta minoranza non fa quello che poteva apparire più naturale in terra di mafia. Non solo le due famiglie dei tre ragazzi non hanno coperto i propri nuclei familiari. E già questo sarebbe troppo anche per noi. Ma non c’è stata neppure la tutela di un’intera etnia, residente in un paese straniero spesso ostile verso i nomadi. Il gruppo in questione ha assunto, quanto accaduto, non come un fatto privato riguardante, in fondo, le due famiglie interessate dalla vicenda. Ma come una circostanza verso la quale collettivamente provare vergogna, sentirsi feriti e chiedere scusa pubblicamente. C’è materiale in abbondanza per riflettere.