domenica 17 settembre 2023

Parole e retorica a parte, dell'antimafia di Puglisi, a 30 anni dall'omicidio, cosa è rimasto nelle parrocchie? Poco o nulla.

             Città Nuove Corleone - 17 settembre 2023

          A 30 anni dall'omicidio, l'operato di don Puglisi è rimasto senza eredi nelle parrocchie?

 Francesco Palazzo

   https://www.cittanuove-corleone.net/2023/09/a-30-anni-dallomicidio-loperato-di-don.html?m=1&fbclid=IwAR3gfGjkS4OooVRbyROgXFJlPmednpcWI5r1Y1onVEqI6kVAPxT1bdb6QlM


                       


Il trentesimo anniversario dell’omicidio per mano mafiosa di Don Pino Puglisi ci consegna la possibilità di avanzare alcune riflessioni. Sullo sfondo una domanda che non possiamo eludere e alla quale non si può non rispondere. Cosa è cambiato nelle parrocchie della chiesa palermitana e siciliana dopo quel colpo alla nuca che il 15 settembre 2023 raggiunse il parroco di San Gaetano a Brancaccio mentre si apprestava a inserire la chiave nel portone per risalire a casa nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno? Per rispondere al quesito che, converrete, non è di poco momento, partiamo da altri contesti. Abbiamo appena celebrato il trentaduesimo anniversario dell’omicidio per mano mafiosa di Libero Grassi. Che si oppose in solitudine al racket delle estorsioni e per questo fu ucciso. Fu ammazzato perché non voleva pagare il pizzo ma principalmente per la ragione che era il solo a non volersi piegare a questa aggressione economica. Se fossero stati in tanti a non volerlo fare sarebbe stato inutile per la mafia programmare ed eseguire l’omicidio. Prova ne è che nei trentadue anni a seguire ci sono stati e ci sono tanti casi di imprenditori e commercianti che come lui non hanno voluto pagare denunciando, sono rimasti a Palermo a gestire le loro imprese e hanno visto assicurare alla giustizia i mafiosi. Non sono stati e non sono tantissimi ma non possiamo affermare che l’esempio eroico di Libero Grassi sia rimasto senza seguito. Spostiamoci nel campo della magistratura. Tanti sono stati purtroppo i magistrati che hanno lasciato il loro sangue in terra siciliana e non soltanto per contrapporsi alla criminalità mafiosa. Possiamo però dire che non sono rimasti senza eredi in tutta la magistratura italiana. Tanti loro colleghi della stessa generazione o di generazioni successive hanno raccolto pubblicamente il testimone e continuano a seguire quella strada. Anche in questo caso rendendo fortunatamente inutili o meno probabili gli eventuali progetti di eliminazione dei singoli. Sino a quando erano pochissime le toghe che si opponevano a Cosa nostra e alle altre mafie, era più semplice per gli uomini del disonore puntarle come obiettivi. Se parliamo del giornalismo, anche in questo settore professionale le mafie hanno eliminato diverse persone che le combattevano dalle colonne dei giornali. Non erano molte e anche in questo caso non è stato complicato per le mafie metterle nel mirino. Ma è fuor di dubbio che dopo di loro sono nati tanti giornalisti che si sono ispirati e si ispirano a loro non nel chiuso delle loro stanze ma pubblicamente da tanti giornali cartacei, online e con pubblicazioni. Se riflettiamo un attimo su quanto accaduto in politica, riferendoci agli omicidi di Piersanti Matterella e Pio La Torre, negli ultimi 40 anni c’è stato sicuramente un ceto politico e partitico che, certo non all’unanimità, ma nella stragrande maggioranza ha raccolto pubblicamente il lascito dei due uomini politici. Quanto ci sia di forma e di sostanza in certa antimafia oramai diffusa nei partiti e nelle istituzioni se ne potrebbe discutere. Ma indubbiamente siamo in un’altra era rispetto al 1980. Tornando a Puglisi e provando a chiudere il ragionamento, va detto che sicuramente anche lui viene eliminato perché in nessun’altra parrocchia palermitana allora avveniva quello che lui stava realizzando a San Gaetano.  Dove però negli anni immediatamente precedenti c’era stata un’esperienza simile con Rosario Giuè parroco di San Gaetano a Brancaccio. Ma dopo Puglisi cosa è accaduto? Ci sono stati dei parroci con parrocchie al seguito che hanno iniziato e continuato pubblicamente e quotidianamente sulla scia di don Pino per quanto riguarda la contrapposizione a Cosa nostra? Onestamente a me pare di no.  Parliamo ovviamente di pastorali parrocchiali, che magari avrebbero dovuto e dovrebbero essere incoraggiate da una pastorale diocesana specifica.  Che non c'è mai stata. I singoli, parroci e fedeli, avranno sicuramente coltivato e coltivano personalmente una forte dimensione antimafia. Ne siamo certi. Non è questo il punto. Ma qua si parla di cosa fatto alla luce del sole nei territori delle parrocchie come comunità parrocchiali. Puglisi non viene ucciso perché genericamente nei dialoghi interpersonali parlava di mafia, oppure perché partecipava a convegni in cui si discuteva di mafia, o perché coltivava personalmente nel privato una sua dimensione antimafia. Non viene neppure ucciso per la verità perché lavorava con i bambini e i ragazzi. Sì, faceva pure questo. Ma diventa pericoloso per la mafia nella misura in cui lavora quotidianamente nel territorio con gli adulti con i quali sperimenta e vive una posizione adulta verso la politica e di accusa palese, puntuale e diretta verso gli uomini di Cosa nostra. Ho l’impressione che nella chiesa palermitana dal 15 settembre 1993, dunque negli ultimi 30 anni, non parliamo perciò di un periodo breve, pur beatificando Puglisi, si sia un po’ tornati nei territori parrocchiali all’ombra dei campanili. Magari mi sbaglio e in tal senso sarei contento di leggere analisi diverse. Ma se le cose stessero così occorrerebbe chiedersi perché è accaduto e come si può rimediare. Mi chiedo, ad esempio, se ai parroci che proprio nel nome di Puglisi vengono mandati in tante parrocchie proprio il 15 settembre, siano state date indicazioni specifiche per mettersi sulla strada di 3P. Alla fine non possiamo che affrontare il seguente quesito. Se Don Puglisi tornasse oggi nella Chiesa di San Gaetano a Brancaccio sarebbe ancora, belle parole e retorica a parte, concretamente e quotidianamente solo nella sua lotta a Cosa nostra dentro la chiesa palermitana?

venerdì 25 agosto 2023

Palermo: la violenza a due passi dal mare e la città.

                                                       La Repubblica Palermo – 20 agosto 2023

Dopo la violenza di gruppo a Palermo: l’abitudine della città alle brutture

Francesco Palazzo



Il gravissimo fatto di cronaca, una ragazza che viene fatta oggetto di violenza sessuale a Palermo, i cui contorni ovviamente devono essere definiti e chiariti dalla giustizia, ci rimanda l'immagine di una comunità in cui in fondo ci si può abituare a non vedere.

La ragazza ha detto, da quanto viene fuori dalle indagini, di aver chiesto aiuto, ma di non essere stata notata dagli altri. I motivi di questa indifferenza possono essere tanti. Troppi, in una società massificata che vive oramai più sui social che nelle concrete dinamiche individuali. A tal proposito, con riferimento a come viene considerata la donna, può essere molto istruttivo farsi un giro sui protagonismi imperanti in alcuni social.

Per considerare nella sua complessità la cosa, è possibile che in una comunità in cui molte cose non sono al loro posto o non dovrebbero più esserlo, anche una circostanza come questa di una ragazza che chiede aiuto, possa essere catalogata, prima che la brutalità avvenga in un luogo fuori dalla vista, come un'altra cosa normale che non è al suo posto. La cronaca ci dice che il fatto avviene nei pressi di un cantiere che non dovrebbe stare più lì, visto che sono trascorsi dieci anni, da quanto leggiamo, dalla sua apertura. Oramai l'insenatura di questo luogo è diventata pure parcheggio. Dove personalmente più volte ho lasciato l'auto. È un luogo dove transito spesso durante la mia attività sportiva.Tra le lamiere prospicienti il marciapiede vedi pure diversi posteggiatori abusivi all'opera. Che in tutta la città non dovrebbero stare nelle loro postazioni ma a cui tanti cittadini e cittadine pagano regolarmente il pizzo. Pure la mafia, per la verità, dopo secoli di presenza non dovrebbe più starci. Ma sta al proprio posto perché tollerata e foraggiata a vari livelli, sia popolari che borghesi.

Ti rendi conto in perfetta buona fede che tante cose, che non stanno nel posto giusto o non dovrebbero più starci, possono diventare tanto normali da non "vederle" più. Così come si può non accorgersi di una ragazza che chiede sostegno. In mezzo ci può stare dunque anche il non "vedere" quotidiano, perché oramai è una postura cui hai fatto l'abitudine. Sino al punto da non registrare un fatto grave che si sta consumando sotto i tuoi occhi.

Siamo stati di recente in una bellissima capitale europea, Riga, pienissima di liberty (circa 800 palazzi uno più bello dell'altro) stile del quale ci riempiamo la bocca avendolo in molti casi fatto fuori, una città dove ogni cosa è al proprio posto. Semplicemente. Quando ogni anno torniamo dalle vacanze abbiamo qualche giorno di difficoltà, poi ci riabituiamo a tutto. Ogni cosa presa da sola non è la fine del mondo. Ma insieme tutti i pezzi dissonanti formano un quadro in cui abbiamo trovato la nostra dimensione, che tuttavia non è giustificabile.

Che so, percorrendo il sottopasso verso la Cala mi aspetto di trovare un incolonnamento dovuto alla tante auto lasciate malamente in sosta per prendere qualcosa da mangiare. Stessa cosa, in questo caso per lo shopping, vediamo in via Sciuti, in via Terrasanta, in via Ausonia, in via Belgio. Solo alcuni esempi di cose, in questo caso automobili, che non sono al loro posto. Ci abituiamo. Consideriamo normalità anche quelli che una volta erano i birilli colorati ai margini del prato del Roro italico e che da tempo sono non più presentabili. Ci abituiamo pure allo scheletro di quella che doveva essere la piazzola di legno con annessa passerella che doveva sorgere sul mare nella costa sud o di levante, mai messa in funzione e più volte devastata dagli incendi. Consideriamo fisiologiche le auto e le attività commerciali che impediscono di vedere il porticciolo di Sant'Erasmo. Cose che non sono al loro posto o che non dovrebbero più starci. Si potrebbe anche dire del fogliame che abitualmente ricopre il lungo tratto di marciapiedi che unisce la Statua al Politeama. Lo calpesto quasi ogni giorno nella lunga vasca Stadio - Porticciolo di Sant'Erasmo e ritorno. Ti abitui pure a quelle foglie che non dovrebbero stare lì.

Ma non è normale questa assuefazione. È bella Palermo e tante persone lavorano per renderla sempre più attraente. Ma non può essere normale che in molti quartieri per aprire un negozio o acquistare una casa occorra chiedere il permesso al mammasantissima di turno. Che non dovrebbe stare lì e in nessun altro posto. Ecco. Se in questa città, insieme alle tante cose belle e positive che si fanno, facessimo stare al proprio posto quello che deve starci, togliendo da tanti contesti ciò che non deve o non deve più esserci, forse, dico forse, potremmo porre sempre più le condizioni per ascoltare bene e "vedere" subito ciò che è dissonante e quindi urgente da affrontare. Anche il grido o il pianto sommesso di una ragazza che chiede aiuto.

https://palermo.repubblica.it/commenti/2023/08/20/news/violenza_palermo_ragazza_branco-411755890/

sabato 8 aprile 2023

La retorica della bellezza non salverà il mondo.

 La Repubblica Palermo – 4 aprile 2023

Palermo, non basta la bellezza a colmare le distanze tra i bambini del centro e quelli di periferia

Francesco Palazzo


Sono nato a Brancaccio nel 1964 e quaranta e più anni fa, in pieno Novecento e guerra fredda ancora in corso, c'è stato un periodo in cui alcuni ragazzi promuovemmo l'installazione di diversi murales per le vie del quartiere. Così come sempre negli anni Ottanta del Novecento si lottava, coinvolgendo anche le scuole, per il recupero di spazi abbandonati e la riconversione di altri verso la bellezza. Allo stesso modo, ne ricordo una in particolare con i palloncini, c'erano manifestazioni con i bambini delle scuole contro la mafia. Si pensava, come oggi, quindi siamo ancora a 40 anni fa, che la creazione di colori, il recupero di spazi e strutture e la sensibilizzazione contro i mafiosi fossero i punti mancanti di un mosaico che potessero completare il disegno e farci uguali o simili ai coetanei di altre parti più progredite e servite della città. Che dopo diversi decenni si debba ritenere che ancora questa sia la strada maestra ci dice molto. Se siamo ancora a quel punto significa che i divari di alcune zone della città rispetto ad altre non sono stati colmati e dunque forse occorrerebbe, con realismo e onestà intellettuale, ritenere che non può essere questo il sentiero maestro. Ciò che occorre affinché tutti i bambini partano dalle stesse condizioni non può essere costruito da associazioni e volontari o dalla carità, ma deve essere garantito dalle pubbliche istituzioni come base di partenza uguale per tutti. Altrimenti si rischia di rivestire di retorica e di retorica infiocchettare rimedi che a nulla rimediano. La bellezza messa a coprire ciò che non funziona non salverà il mondo ma rimanderà sempre a dopo lo scioglimento dei nodi cruciali. Quelli per cui, oggi come e più di 40 anni fa, le differenze di partenza tra un bambino e una bambina che nascono e crescono allo Sperone o in via Libertà sono uguali o forse risultano peggiorate rispetto ad allora. E se così è, dobbiamo riconoscerlo e lottare affinché tra 40 anni non sia più così. Oppure si devono applicare gli stessi rimedi di 40 anni fa, quando i fatti e i numeri che sono davanti a noi ci dicono che non spostano nulla o poco o forse peggiorano la situazione, visto che rispetto ai primi anni Ottanta del Novecento le disparità in termini di condizioni di partenza tra un quartiere periferico e uno centrale sono le stesse oppure peggiorate? E che siano peggiorate ce lo dicono le analisi dei flussi elettorali. Cioè il comportamento ai seggi dei genitori dei bambini e delle bambine di Palermo. Nel quadrilatero che possiamo chiamare della Ztl il voto è più libero. Più ci allontaniamo da questa zona, più il consenso rimane legato all'assistenzialismo. Insomma, il cerchio si chiude e non lo si può riaprire e modificare con i pannicelli caldi. Per carità. Che si continui con i murales, le corse, le manifestazioni di vario tipo. Sicuramente salveranno le giornate o daranno colore a qualche facciata. Purché si riconosca che un'altra è la realtà e che non può essere la soluzione mettere la più bella carta da parati che c'è sopra un muro cadente.

https://palermo.repubblica.it/commenti/2023/04/04/news/palermo_non_basta_la_bellezza_a_colmare_le_distanze_tra_i_bambini_del_centro_e_quelli_di_periferia-394828156/?fbclid=IwAR1L4JM1S8ynfgcwaE4ihTodpvLJohgt1usW9075kQ-19anj4QbHHXzTPbM 

lunedì 20 marzo 2023

Una domanda a Papa Francesco. Cosa significa che i mafiosi sono scomunicati?

LA REPUBBLICA PALERMO - 16 MARZO 2023 

SCOMUNICA AI MAFIOSI, COME PASSARE NELLE PARROCCHIE DALLE PAROLE AI FATTI

Francesco Palazzo


In occasione del decennale dalla sua elezione, papa Francesco è tornato a parlare di mafia. Facendo anche il nome di don Puglisi, ha confermato la scomunica per i mafiosi. Siamo nell'anno del trentesimo anniversario dell'omicidio mafioso di don Pino, a cinque anni dalla visita a Palermo di Francesco nei luoghi di 3P e a trent'anni dal monito contro i mafiosi, che era in realtà una scomunica al cubo, di Giovanni Paolo II sotto il Tempio della Concordia. Ci si può dunque chiedere - i tempi sono abbastanza maturi, direi che si viaggia con molto ritardo - cosa esattamente, quotidianamente, vuole significare tale scomunica dal punto di vista sacramentale e pastorale. Dire che la mafia e i mafiosi sono scomunicati in linea di principio può essere appagante per la Chiesa, per il risvolto massmediatico che ogni volta ha tale sentenza pronunciata urbi et orbi. Ma tutto va portato a terra. Dal punto di vista dei sacramenti, a parte casi specifici e isolati, si vietano matrimoni, funerali, estreme unzioni, accostamenti all'eucaristia? Magari ci siamo distratti ma non ci pare. Del resto, se un intendimento non diventa un fatto giuridico, non esiste. Quando la Chiesa vuole, ad esempio con i divorziati risposati civilmente o conviventi, trova il modus operandi. Pertanto, oggi può ricevere l'eucaristia un mafioso conclamato e condannato a ripetizione e in via definitiva, ma non una persona divorziata e risposata civilmente o convivente. Qualche anno fa era stato interdetto in qualche diocesi ai mafiosi il ruolo del padrinato legato ai battesimi e alle cresime. Ora in alcuni contesti diocesani questo ruolo è stato sospeso per tutti. Anche se scrutiamo l'ambito pastorale, per tanti aspetti più importante di quello strettamente ritualistico, si registra poco seguito a questa roboante, e ripetuta sino alla noia, scomunica. Visto che la stringente pastorale di don Puglisi di fatto è stata abbandonata nelle parrocchie, sopravvive nelle cattedrali tra le pieghe di omelie vibranti e certamente negli intendimenti impliciti di qualche parroco. Sia chiaro, fare antimafia oltre le parole, cosa nella quale siamo diventati tutti bravi, non è semplice. Applicarla come ha fatto don Puglisi, che proprio per questo è stato ucciso da mafiosi credenti, è tutta un'altra storia. Della quale però dal 15 settembre 1993, cioè da quella sera di fine estate che pose fine alla vita di un presbitero sul marciapiede di un quartiere di periferia, sono state scritte, al di là dei proclami, poche pagine. Per utilizzare, modificato, il passaggio più conosciuto dei quattro vangeli, il verbo non si è fatto carne. Domenica mattina, durante un passaggio veloce in cattedrale, a Palermo, ho sostato come sempre qualche minuto davanti al posto dove riposa don Pino. Il punto, riflettevo, è se ci si vuole fermare all'aspetto meramente devozionale, magari richiamando in astratto la vita di don Puglisi come esempio. Oppure se si vuole passare, e dopo trent'anni da quel colpo alla nuca sarebbe pure ora, ai fatti. Ossia a una pastorale incarnata nelle parrocchie, non nell'alto dei cieli, che ripercorra le orme del prete di Brancaccio. Il suo metodo. Che era fatto di conoscenza del territorio, azioni su di esso, rapporti con quanti volevano concretamente promuovere cittadinanza libera dalla mafia chiedendo servizi, interazioni adulte con la politica senza chiedere finanziamenti ma sviluppo e contrasto diretto non alla mafia in generale ma alla cosca locale. Non è la prima volta che scrivo queste cose. Ma dalle diocesi siciliane non sembra di scorgere risposte fattive e operative in tal senso. Soltanto buoni propositi. Perciò stavolta, visto che per ultimo, qualche giorno addietro, è stato proprio lui a parlare nuovamente di scomunica ai mafiosi, chiediamo direttamente all'ottimo, e apprezzatissimo in questi dieci anni di pontificato, papa Francesco. Magari lui ci risponderà e ci farà capire qual è la strada che la Chiesa, dopo aver messo agli atti la scomunica alle mafie, vuole percorrere nelle parrocchie dei quartieri, dal Sud al Nord del nostro Paese, giorno dopo giorno. Altrimenti non ci resterà che attendere la prossima volta in cui la Chiesa cattolica ci dirà che i mafiosi sono scomunicati. 


https://palermo.repubblica.it/commenti/2023/03/16/news/scomunica_ai_mafiosi_come_passare_nelle_parrocchie_dalle_parole_ai_fatti-392298381/?fbclid=IwAR0FZ__TVxB3Lj7Y0oPeTqNZ5rT_sGIhtG-a-7NZ46nqBFF7KbT-E7o2Yo8 

 

lunedì 23 gennaio 2023

Le minoranze antimafia e l'ideologia che assolve il popolo non borghese connivente.


          La Repubblica Palermo

        21 gennaio 2023

Non solo borghesia: il consenso alla mafia è ancora ampio e trasversale

          Francesco Palazzo


In questi giorni da tanti versanti si torna a parlare di borghesia mafiosa. Va detto che il concetto di borghesia nel ventunesimo secolo non è facile da coniugare come si poteva con più facilità fare nei decenni scorsi. Quando bastava dire, durante le ideologie imperanti, soprattutto a sinistra, la sola parola borghesia per lasciare intendere qualcosa già da sola non proprio potabile. Ci sono ancora strascichi di quelle ideologie, che beninteso avevano dentro molti aspetti positivi? Non possiamo escluderlo. Nel nostro caso ci si riferisce a soggetti della borghesia, posizionati nei più svariati luoghi, che aiutano Cosa nostra. I fatti del passato e del presente sono evidenti. Dunque la riflessione su tali individualità, perché sempre di singole persone si tratta, che possiamo senz'altro collocare nell'ambito della borghesia che va a braccetto con le mafie, dobbiamo farla. Solo che spesso, per non dire sempre, magari riverniciando pure in questo caso frammenti di ideologismi novecenteschi, si ritiene di dover assolvere o non colpevolizzare più di tanto il popolo non classificabile nell'album della borghesia. Arrivati a questo punto, a me il ragionamento pare ogni volta abbastanza zoppo, per non dire per nulla conducente. Perché, se non si vuole guardare la realtà con un solo occhio, cosa che in genere non porta a grandi traguardi di analisi, soprattutto quando si parla di lotta alla mafia, occorre aprire pure l'altro. E ammettere che nella cultura popolare, ammesso e non concesso che tra popolo e borghesia ci sia una netta cesura, si annidino ampi spazi di consenso quotidiano, voluto e ragionato, verso la criminalità mafiosa. Diciamolo chiaramente. Tra il detto e il non detto, tra l'implicito e l'esplicito, c'è questo problema. La borghesia colpevole, e il popolo senza colpe, visto che si troverebbe sostanzialmente a subire quello che è il più grande luogo comune che nel Mezzogiorno giustifica tutto. Ossia la presunta assenza dello Stato. Che invece è presente in tutto lo Stivale, certo con le carenze che conosciamo, ma pure con tanta autorevolezza. Da Nord a Sud. A meno che non si vogliano ancora ingrossare le acque del vittimismo piagnone. Se così è, bisognerebbe porsi una domanda e darsi una risposta. Messo agli atti che le consorterie criminali organizzate hanno succursali pure nel Centro-Nord, perché le mafie hanno allignato nella parte meridionale del Paese e continuano a essere presenti in tutto il Sud? Tutta colpa della borghesia mafiosa? Se questa è la sola risposta, dovremmo forse fare uno sforzo di analisi. Ammettendo che l'appoggio alle mafie è trasversale nella società. E che non esistono aiuti di serie A, quelli di alcuni individui della borghesia, e accondiscendenze di serie B, cioè quelle provenienti dalle fasce popolari. Siccome questo doppio binario, che potremmo plasticamente chiamare alta velocità e asino e carretto, non ha nessun assioma su cui basarsi, e dunque non esiste, ci tocca ammettere che il quadro è diverso e abbastanza complesso. A meno che non ci siano coloro che hanno capito tutto delle mafie e su come combatterle. Allora saremmo a posto. Ma a posto non siamo. Perché se le mafie vivono con noi spalmate su tre secoli sinora, Ottocento, Novecento e Duemila, e magari toccheranno il quarto, vuol dire che magari nel capirle e combatterle abbiamo ampi margini di miglioramento. Se andiamo nei quartieri di Palermo, tale parte non irrilevante, anzi gigantesca purtroppo, di problema la possiamo misurare ancora oggi in maniera abbastanza semplice e diretta. A meno che non ci facciamo condizionare da qualche applauso e da manifestazioni in cui sono più i giornalisti che i presenti. Quando parliamo di antimafia militante, di popolo o borghese che sia, ma tale differenza non esiste, dobbiamo ammettere che ci riferiamo a una piccola minoranza. Sicuramente c'è rispetto a prima una maggiore sensibilità, ma non più di questo. E siccome peraltro le fasce popolari sono più numerose della borghesia in senso stretto, magari il consenso maggioritario, e non meno dannoso di quello borghese, verso le mafie, non soltanto quella siciliana, rischiamo di trovarlo, e io ritengo che sia proprio così, tra il popolo.  



domenica 8 gennaio 2023

Noi e Biagio Conte. Contemplazione del cielo o azione nella città?

 

La Repubblica Palermo – 6 gennaio 2023

Biagio Conte e la vocazione di essere santi "quotidiani"

Francesco Palazzo





Sono passato ieri pomeriggio, come tanti palermitani e non, dal posto dove Biagio Conte sta percorrendo un passaggio della vita. Mi sono fermato fuori dalla casetta, a una decina di metri, non sono andato avanti, mi sembrava di disturbare. Ero stato nella sede della missione di Via Decollati nel 2004. Stavo scrivendo per questo giornale una serie di puntate sul volontariato e una era dedicata proprio a quanto lui stava facendo. Il pezzo di allora partiva con Birillo, Speranza e Carità, le tre mascotte canine che allora gironzolavano e facevano a modo loro una parte di lavoro. Ne ho parlato proprio ieri con don Pino Vitrano, il prete da sempre vicino a Conte. Mi ha chiarito la storia di Birillo che era stato maltrattato e accolto in missione. Biagio Conte mi chiamò al cellulare qualche anno fa dalla postazione dello sciopero della fame che allora ebbe come sfondo il luogo dove hanno ucciso Puglisi. Aveva dopo tanti anni letto quel pezzo e si era commosso, mi disse, nel ricordo dei cani. Anche ieri il sito di Via Decollati era come vent'anni fa. Perfetto e nello stesso tempo un cantiere aperto. Ieri Riccardo Rossi, il giornalista che dal 2018 ha scelto di vivere nella traiettoria del frate laico insieme alla moglie, mi diceva che in questi ultimi giorni stanno accadendo tante cose straordinarie. L'ho conosciuto, Riccardo, in cima alla grande scalinata delle Poste Centrali, in occasione di un altro sciopero della fame di Biagio. Un particolare colpisce da quando si è appreso delle condizioni di salute della persona che iniziò la sua avventura sotto i portici della stazione centrale di Palermo. Ripetono in tanti, come una cantilena, soprattutto nei social, che ci vorrebbe un miracolo. Come se il passaggio più critico nell’esistenza di ciascuno di noi, non fosse un fatto della vita. E come se, soprattutto, tutta la santità si fosse trasferita a Palermo in un solo uomo, che deve "per forza" esserci. Ma il miracolo è già avvenuto e se continuerà a ripetersi dipenderà da ciascuno di noi. Perché il messaggio che Biagio Conte ci comunica con la sua vita è quello, per me, che tutti possiamo diventare "santi". Ma forse è questo l'aspetto più complicato da recepire e soprattutto da vivere nella quotidianità. Come si può essere "santi" normali, feriali, non eroici, né legati per forza a una fede, a Palermo ogni giorno? Sarebbe interessante, partendo da Conte, riflettere su tale aspetto che la sua vicenda umana, secondo il mio parere, ci rimanda. Il pezzo che scrissi tanti anni fa finiva con una citazione di don Puglisi. Dovrebbe pensarci lo Stato ma intanto ci siamo noi, chiosava don Pino. Potremmo ripeterlo pure adesso. E ce lo dice Biagio, a prescindere dal suo stato attuale. Che dovremmo lasciargli vivere senza molte pressioni. Ce lo comunica da tempo. Lui e tutti quelli, purtroppo non molti, che gli somigliano. Allora, il punto non è attendersi chissà quale miracolo ultraterreno. Ma capire che, tutti, tutti, il miracolo lo possiamo fare se lavoriamo con la stessa costanza, tenacia, lucidità sul pezzo che è sotto gli occhi di ciascuno di noi. Come ha fatto e fa Biagio. Come hanno fatto, per citare solo alcuni nomi, Puglisi, Impastato, Falcone, Mattarella, del quale oggi ricordiamo il quarantatreesimo anniversario di un omicidio che ancora presenta molti, troppi, punti da chiarire. Se questa città, la Sicilia, fossero non dico piene, ma piene almeno a metà di persone che si prendessero cura di qualcosa, da qualsiasi postazione, quotidianamente, scriveremmo un’altra storia per un altro Mezzogiorno. Che non dovrebbe temere più ciò che viene da fuori. Cosa che talvolta rappresenta un alibi. Perché troverebbe al proprio interno le energie per risorgere. Sarebbe un portentoso programma di ripresa che scenderebbe alla radice dei vari, tanti, problemi con i quali dibattiamo ogni giorno. Biagio Conte, e gli altri come lui, il miracolo quindi lo hanno fatto. Ora noi possiamo guardare e contemplare passivamente, indicando la luna o metterci fattivamente nel loro percorso, impastandoci le mani di terra.

 https://www.facebook.com/222390084445166/posts/9299686320048785/


https://palermo.repubblica.it/commenti/2023/01/06/news/biagio_conte_missione_speranza_e_carita_palermo-382346033/