sabato 29 marzo 2008

Musica e Pizzo

CENTONOVE
28 Marzo 2008
PALERMO, CONCERTI CON IL PIZZO
Francesco Palazzo


Ebbene sì, anch’io sono un pagatore di pizzo. Non mi riferisco a quello che, “normalmente”, i posteggiatori abusivi ti chiedono per le vie della città a qualsiasi ora del giorno. E, in prossimità dei locali alla moda, anche della notte. Dove da certi macchinoni vedi uscire mani ben curate che consegnano l’obolo. Su queste vessazioni, dopo anni di esercizio, sono riuscito ad averla vinta. Dove ancora non ho mietuto successi apprezzabili, anzi possiamo parlare di completo fallimento, è in occasione dei concerti palermitani al palasport. Nell’ultimo anno, tra Guccini, Max Pezzali e, quindici giorni fa, Venditti, mi è capitato di recarmi lì almeno tre volte. Ed è stata sempre la stessa storia. Giovanotti aitanti, o adolescenti quasi bambini, coprono i chilometri di marciapiede a destra e a sinistra della struttura. Non c’è verso di sfuggirgli. Si avvicinano e chiedono se vuoi dare un contributo per il caffè (che è un argomento come un altro, equivale a domandare la quota mensile ai commercianti per i poveri carcerati). In questo caso, a differenza dei ristoranti, dei cinema o di altri locali pubblici, la tempistica è diversa. Se in quelle circostanze la convenzione è che si paga dopo, e all’inizio c’è solo il riconoscimento ufficiale dell’uomo col berretto e fischietto, per cui alla fine puoi simulare un’amnesia, un’ubriacatura, o semplicemente ignorare la cosa, per i concerti al palasport i soldi devono essere anche pochi (e qui devi quartiarti), maledetti (per chi li sgancia) e subito. Perché poi, all’uscita, non trovi più nessuno. Questo tipo di pizzo non riesco ancora a sopraffarlo. L’ultima volta, appunto due settimane addietro, pur provando sempre fastidio, avevo già preparato, prima di scendere dall’amata quattro ruote, i due pezzi da cinquanta centesimi in una tasca del jeans dedicata, per l’occasione, solo a questa funzione. In modo da evitare che dal buio serale uscisse fuori inavvertitamente un pezzo da due euro e i caffè diventassero quasi tre. La qual cosa avrebbe fatto ancora più male al mio fegato, pur non avendone bevuto neanche uno. Dunque, confesso, pago e, appena inizia il concerto, non ci penso più. E quel che scrivo appresso non serve a giustificarmi. Nel tragitto che dal posteggiatore mi porta al tempio palermitano della musica moderna, ci rimugino sopra. Allora cerco di puntare i rappresentanti delle forze dell’ordine per comunicare timidamente, sentendomi colpevole e senza alibi per aver sborsato l’euro, che lì fuori è tappezzato di gentili soggetti che pretendono il pagamento forzato. Facendoti capire, platealmente, con sottili doti di comunicatori non verbali, che tu vai, ma la tua auto rimane lì. Più in particolare ho cercato, sinora vanamente, di comprendere che bisogno c’è, invece di presidiare soprattutto il territorio esterno al luogo del concerto ingaggiando la battaglia con i posteggiatori, di militarizzare abbondantemente solo le immediate adiacenze di un posto frequentato, in larga parte, da quaranta-cinquantenni e da ragazzi. I quali, come impellenza irrinunciabile e imperativa, spentesi le voglie rivoluzionarie per grandi e piccoli, possono avere quella di andare in bagno. Se la prostata protesta o se il pargolo fa la cacca. Oppure di mandare messaggini innocui e costosi in continuazione. Tutte attività che difficilmente possono ricadere sotto le attenzioni dell’ordine pubblico. L’ultima volta, un omone in borghese e con un medaglione, forse un ispettore, mi ha consigliato di chiamare i carabinieri, che avrebbero arrestato i rei per pizzo. Addirittura! Aveva un accento napoletano, era simpatico e l’ho presa bene. Nel concerto precedente un altro uomo, questa volta in divisa, è stato almeno più diretto. Chiedendomi retoricamente e con un certo implicito sfottò, visto che il mio accento non è affatto sud tirolese, se vivevo a Palermo. E perché mai non avevo ancora capito, da siculo purosangue, come funzionano le cose a certe latitudini.

sabato 22 marzo 2008

POLITICA SICILIANA BLOCCATA


LA REPUBBLICA PALERMO – SABATO 22 MARZO 2008

Pagina I
L´ISOLA NELLO STAGNO
FRANCESCO PALAZZO



Le considerazioni che seguono si potrebbero fare a urne aperte e a risultati acquisiti. Avremo tempo per dilungarci su di essi. Nel frattempo un dato emerge, ancora una volta, in questa doppia campagna elettorale. Non è legato al momento presente o alle persone proposte oggi dal centrodestra e dal centrosinistra per governare l´Isola o per sbarcare a Roma. Il punto è che in Sicilia le regole dell´alternanza non riescono ad attecchire. Tale problema investe in pieno quella parte, il centrosinistra, che si trova perennemente a sostenere sfide impossibili. Dove il dilemma non è se si sarà sconfitti, ma come si perderà, se meglio o peggio dell´ultima volta. Alla Regione il centrosinistra ci ha provato e ci prova, nelle ultime tre tornate elettorali, compresa anche questa, con personalità molto diverse, come Leoluca Orlando, Rita Borsellino e Anna Finocchiaro. Il centrodestra può avanzare qualsiasi nome e gli va sempre bene, prima ancora che si incrocino le armi della dialettica politica e a prescindere da queste. A livello nazionale, dal 1994, i governi non sono mai riusciti a confermarsi la volta successiva. La Sicilia, tranne qualche aggiustamento, non si è accorta di niente, il centrodestra ha sempre brindato. Nelle regioni a noi vicine c´è stato il ricambio. È accaduto, per citare i casi più eclatanti, in Calabria, in Puglia e in Campania. Dove il centrosinistra è riuscito, oltre che a prevalere nel voto politico del 2006, cedendo soltanto il premio al Senato in Puglia, a imporsi alla guida di quelle Regioni. Parliamo sempre di società meridionali, luoghi dove, a differenza che da noi, la struttura del consenso è evidentemente mobile. Prendiamo la Campania. È amministrata da molto tempo dal centrosinistra. Pensate che, se votassero domani per la Regione, i campani non si ricorderebbero della questione rifiuti votando in massa per il centrodestra? Pare che lo faranno a cominciare dalle politiche.In Sicilia, se prendiamo il voto regionale e politico, tralasciando gli enti locali che meritano un discorso a parte, non c´è mai vera gara. L´abbiamo detto altre volte, pesa molto la debolezza strutturale dei partiti del centrosinistra. Ma detta così è sin troppo banale, bisognerebbe capire perché ciò accade sistematicamente soltanto per una parte. In fondo, tutti i partiti hanno problemi simili. Pure altri argomenti sono deboli, come quelli che si soffermano sull´esiguo reddito pro capite, sul basso tasso di occupazione, sul clientelismo o sulla presenza invasiva della criminalità. Forse che in Calabria, in Campania e in Puglia si è più ricchi, si lavora di più o c´è meno clientelismo? Si può affermare che in quei territori le mafie siano meno presenti?Del resto, è impensabile che, appena passato lo Stretto, i partiti del centrosinistra acquistino doti di acchiappavoti da noi irraggiungibili. A confermare il ragionamento c´è la cronaca politica recente. Le rovinose dimissioni del governo nazionale hanno dato una spinta verso l´alto, probabilmente quella decisiva, al centrodestra. Evento normale. Da noi neanche un´interruzione drammatica della legislatura, dopo le dimissioni del governatore per i noti motivi, riesce a produrre un calo di gradimento per la parte politica che ha subito l´evento. È come se niente fosse accaduto. Insomma, pure in questo aspetto della vita sociale siamo davvero speciali e poco comprensibili. A noi stessi, prima ancora che agli altri. Tale quadro bloccato è quello che genera, come sottoprodotti, le distorsioni che conosciamo e che si duplicano costantemente nelle viscere della vita pubblica regionale. Una società statica politicamente non può che crogiolarsi nei suoi peggiori difetti, i quali non appartengono solo alla maggioranza, ma anche all´opposizione. Che, stando così le cose, finisce per cadere in un fatale circolo vizioso. Solo un continuo ricambio nella gestione della cosa pubblica può fare intravedere le luci della buona amministrazione. Unica via d´uscita per far compiere ai siciliani, non retoricamente, passi in avanti. Ma per raggiungere tale fine è tutta una società, non solo quella partitica, che deve muoversi. Sinora le bocce sembrano ferme. Qualche onda che si muove di tanto in tanto si rivela, quando si contano i voti, solo una fugace e superficiale increspatura. In un mare che circonda l´Isola e che sembra essere sempre più uno stagno.

I VOLI DELLA POLITICA SICILIANA

CENTONOVE
21 3 2008
Pag. 2
SE LA POLITICA VOLA VIA
Francesco Palazzo




Una volta si diceva che il miglior medico per i malati siciliani di una certa gravità era l’aereo. Salirci su, verso traguardi terapeutici più efficaci, significava avere più speranze di guarigione. Non sappiamo se sia ancora così. Certamente questo è un rimedio ancora praticato, molto più che in passato, dalla politica siciliana d’ogni colore. Si prende l’aeroplano e si va nella capitale per capire chi devono essere i candidati alla presidenza della regione. Si passa dal check-in per farsi dettare le liste dei candidati per camera e senato. Ovviamente ciò serve poi, appena scesa la scaletta dell’aeromobile che riporta in “patria”, per dire che “sono stati loro”, “noi non c’entriamo niente”, “io gliel’avevo detto”, “era un errore”. E via scusandosi. Eppure concetti come autonomismo e partito federale sono utilizzati a piene mani, ma solo nei periodi in cui non c’è niente d’importante da decidere. Quando il momento si fa topico, si stacca il biglietto e si torna tra le nuvole verso la città eterna. E’ vero, di tanto in tanto, qualcuno giunge da Roma per portare il nuovo verbo. In questi casi tripudi di bandiere, gazebo, ovazioni e quant’altro si sprecano. Una volta è l’unità quella che conta, la volta successiva è l’andare da soli il nocciolo della questione. Prima si fa passare come vitale la scelta di non entrare in un partito più grande, dopo qualche mese contrordine, avevamo scherzato. Qui va bene l’una e l’altra cosa, il più e il meno, il bianco e il nero. Franza o Spagna, basta che se magna. Certo, questo modo ottocentesco di intendere la politica, grosso modo, varrà pure per le altre realtà regionali. Ma ci vuol poco a capire che in Sicilia, al di là del dato geografico, c’è un qualcosa in più che si aggiunge al quadro. Perché è da decenni che da noi non vengono fuori, dalla società più diffusa e dai partiti, persone in grado di porre qualcosa di particolare, di nuovo, di appena interessante, nell’agenda politica del paese in maniera duratura. In modo che qualcuno, da Roma, possa anche venire per apprendere. E quando in un passato, anche recente, è capitato, non è durato molto. Molto presto il centralismo, i personalismi, le incertezze, il clientelismo più sfrenato, hanno finito per prevalere su tutto, lasciando spesso il deserto. Tuttavia, è meglio comunque provarci, che stare sempre ad aspettare il momento dell’imbarco verso il continente, come gli studenti il suono liberatorio della campanella. Ma oggi non ci si prova più. Gli uomini e le donne siciliani che vivono di partiti e di politica passano, più che in Sicilia, molto del loro tempo nelle aerostazioni. E anche quando ottengono qualche incarico di un certo rilievo a livello nazionale, ciò non accade in forza di elaborazioni politiche originali nate nell’isola, ma in quanto sono riusciti ad attaccarsi a catene di comando che tengono altrove, ben lontano dalla Sicilia, l’anello attaccato al muro che tiene tutto in piedi. Dobbiamo anche rilevare che pure le esperienze che nascono inizialmente fuori dai partiti, sul territorio, finiscano per sciogliersi tra un volo e un altro. O tra una candidatura al senato e una alla camera. Volare, quindi, canterebbe il grande Modugno, come contrassegno e marchio di una politica isolana che solo così riesce a staccarsi da terra, dalla monotonia, dalla mediocrità. Non importa se si faccia parte dello schieramento vincente, o che ci si sbatta per anni la testa sul muro di sconfitte ripetute e sempre più rovinose. E non si tratta di questa o quella legge elettorale che riserva ai partiti, e quindi alle centrali romane, più o meno influenza. No, è un modo d’essere, una disposizione dell’anima. Talvolta un modo, l’unico, per continuare ad esistere. Immaginate solo quanti decolli e atterraggi hanno dovuto sommare coloro i quali si trovano inseriti nei posti giusti nelle liste di camera e senato. Chissà quanti anni di voli occorrano per ottenere un sicuro scranno parlamentare. La cui conquista forse nasconde, più che la voglia di entrare nei luoghi principali del potere, la certezza che per cinque anni si potrà continuare a volare.

venerdì 14 marzo 2008

Sicilia, Partito Democratico: quale rinnovamento nelle liste per Roma?

CENTONOVE
14 MARZO 2007
PAG. 46
LISTE DEL PD, SEMPRE PIU' FUSI E CONFUSI
di
Francesco Palazzo




Scorrendo i cognomi delle liste che il partito democratico ha ufficializzato per Camera e Senato, intendiamo dire le posizioni che prevedono una sicura o probabile elezione, giacché tutto il resto è ornamento, difficilmente si può contestare che si tratta di un’operazione ben lontana da quel modo diverso di fare politica che la neonata formazione aveva promesso di rappresentare in Sicilia. La percentuale degli esponenti dei due partiti che si sono fusi, DS e Margherita, è altissima, diciamo quasi totale. Ovviamente, un partito ha tutto il diritto di mettere in lista chi vuole. E noi non interverremmo se solo, lo stesso partito, non ci avesse nei mesi scorsi martoriato, un giorno sì e uno pure, sulla novità sconvolgente che avrebbe significato per la nostra regione. Dove sta, dunque, tale novità? E’ possibile che quando si lanciano slogan si è super bravi e nel momento in cui si deve quagliare, la musica cambia improvvisamente? Si pensa davvero che mettere un’operatrice di un call center in lista, che serve peraltro a coprire ben altre pratiche spartitorie, significa rinnovarsi o catturare il voto dei disoccupati e dei precari siciliani? Non siamo ingenui, immaginiamo quali umani appetiti, di corrente, di cordata, persino familiari, si scatenino intorno ad uno scranno parlamentare. Succede in tutti i partiti, a maggior ragione in una formazione appena formatasi dalla fusione di due grandi tradizioni politiche. Nel caso specifico, ipotizziamo, le liste avranno dovuto tenere conto delle diverse sensibilità, degli ambiti di provenienza dei singoli gruppi, che ancora, evidentemente, non si sentono un partito unico. E’ accaduto pure con l’elezione dei segretari regionali. In quella regione toccava alla Margherita, in quell’altra ai DS. Per la Sicilia la casella doveva essere occupata dai petali del delicato fiore e non dai rami della possente quercia. E così è stato. Una volta si chiamava centralismo democratico, che almeno aveva dei criteri di orientamento, adesso, che i partiti devono essere leggeri, non si sa come chiamarlo. Dovremmo dotarci di un nuovo vocabolario della politica. Nel frattempo sarebbe il caso che un partito come quello democratico, dopo un primo periodo di comprensibili incertezze seguite alla nascita, si avviasse ad essere qualcosa di meno sfuocato. Tale operazione, nella misura in cui avverrà, non sarà univoca su tutto il territorio nazionale, avendo ogni realtà la sua specificità. In Sicilia, dove spesso e volentieri ci sono da amministrare sconfitte, sarà più difficile che altrove. Nel governare l’abbondanza può essere che i cordoni della borsa si aprano, e riesca ad uscire fuori, o ad entrare dentro, qualche sprazzo di trasformazione sostanziale. Che non vuol dire affatto che la società civile è migliore di quella politica, questa è una banalità. Ma sta a significare che i due mondi, quello di coloro che fanno della politica una professione e quello di quanti fanno principalmente altro, ma vogliono impegnarsi nella gestione della cosa pubblica, riescono in qualche modo a parlare un linguaggio che si riconosca in alcuni fondamenti comuni. Non è proprio questo, in fondo, il compito che dovrebbe intestarsi, forse più in Sicilia che altrove, un partito come quello democratico? Ma fare i conti con una dote di consenso non proprio esaltante, ed è quello che accade da noi, e abbiamo l’impressione che tra regionali e politiche non assisteremo a sostanziali cambiamenti in positivo, significa che i posti sono sempre di meno, le opportunità poche, le certezze rare. Ecco, allora, ed è ciò che è accaduto nella composizione delle liste, che si ha la frenesia di occupare i pochi spazi che contano. Il Partito Democratico siciliano ci proverà la prossima volta a lanciare un concreto messaggio di cambiamento. Stavolta non è andata molto bene. I dirigenti siciliani del partito comprenderanno che, con queste liste, non daranno, a chi ha votato sinora centrodestra, molti motivi per cambiare rotta il 13 e il 14 aprile.

mercoledì 12 marzo 2008

SICILIA, REGIONALI 2008: IL CENTROSINISTRA TORNA SUL VOTO DISGIUNTO

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 12 MARZO 2008

Pagina I
L´ANALISI
L´errore del centrosinistra puntare sul voto disgiunto
FRANCESCO PALAZZO




A ogni elezione regionale, sulla ruota del centrosinistra, c´è un numero fisso che immancabilmente esce. Ha fatto il suo esordio domenica mattina in un incontro del Pd. È il voto disgiunto. Il primo voto per un candidato del centrodestra all´Ars, il secondo per il candidato alla presidenza del centrosinistra. Nelle due elezioni svolte col metodo dell´elezione diretta del presidente, ciò non è servito al centrosinistra per vincere. Nel 2001 Orlando ottenne un 6,4 per cento in più del suo schieramento. Nel 2006 Rita Borsellino totalizzò il 5,53 per cento in più. In entrambe le tornate elettorali vi fu però un piccolo inconveniente. La distanza tra centrodestra e centrosinistra era talmente marcata (nel 2001, 30,2 centrosinistra, 65,2 per cento centrodestra, nel 2006 quest´ultimo 61,6 e centrosinistra 36,1 per cento), che il risultato finale era già scritto in partenza. La richiesta di voto disgiunto ha senso solo quando i due schieramenti sono vicini e non è il caso della nostra regione. Ora, dunque, ci risiamo. E ogni volta è come se implicitamente si comunicasse il seguente ragionamento: guardate che le nostre liste non sono granché, lo sappiamo bene, noi che le facciamo, meglio di voi, non vi chiediamo perciò di votarle ma di riempire di consensi il nostro uomo o la nostra donna in cima alla piramide. Il risultato, viste le condizioni di partenza, non può che essere sempre deludente. Ma l´operazione voto disgiunto serve a tenere artificialmente viva la corsa sino alla fine presso l´elettorato di riferimento. Il centrodestra, dal canto suo, sapendo come stanno realmente le cose, lascia fare. Alla vigilia delle regionali del 2006 si fantasticava intorno a un voto disgiunto a due cifre, che l´apertura delle urne lasciò nel mondo dei sogni. C´è peraltro da rilevare che un invito pressante all´elettorato a esprimersi in maniera sconclusionata, indica un´azione politica basata non sul consenso diffuso, ma solo sulla forza del leader. Una prospettiva che dovrebbe essere molto distante dal centrosinistra. Che inoltre sia anche un tentativo inutile elettoralmente, bastano i numeri citati a dimostrarlo abbondantemente. Ovviamente l´elettore ha il diritto di votare come vuole. Tuttavia, una coalizione che vuole costruire un serio progetto politico dovrebbe invitare alla coerenza delle scelte. Il punto è che questo non può essere fatto perché le liste siciliane del centrosinistra sono, tranne poche individualità, deboli. E qui non c´entra niente il Mezzogiorno che vota centrodestra. Nelle altre regioni del Sud governano maggioranze di centrosinistra che hanno saputo vincere, non in forza del voto disgiunto o indicando salvatori della patria, ma cercando e ottenendo un quadro politico omogeneo. Perché in Sicilia il centrosinistra non riesce a mettere in campo liste forti? Un indizio ci viene dalla provincia di Caltanissetta e riguarda una polemica di questi giorni sulla composizione della lista provinciale del Partito democratico. A un deputato regionale uscente, con molte legislature alle spalle, viene osteggiata la candidatura perché deve fare spazio a uno più giovane. Ci chiediamo: essendoci il voto di preferenza e non i vergognosi elenchi bloccati del porcellum, non si può mettere in lista tutto quello che si ha per aumentare il consenso? Non fa così il centrodestra? Fare questo ragionamento logico viene evidentemente difficile perché, più che aumentare i voti, si tende ad amministrare gelosamente quelli che già si hanno, con la conseguenza di viaggiare elettoralmente sempre a scartamento ridotto. Allora, non rimane altro da fare che innalzare sistematicamente il vacuo totem del voto disgiunto. Una specie di mantra recitato collettivamente, un rimedio in grado forse di liberare la mente dai pensieri. Ma una pistola scarica sul tavolo elettorale e un messaggio sbagliato e fuorviante su quello della politica.

martedì 11 marzo 2008

POLITICHE 2008, IL VOTO SICILIANO

REPUBBLICA PALERMO - SABATO 08 MARZO 2008

Pagina XIV
La partita a scacchi per Camera e Senato

FRANCESCO PALAZZO

Pare che il risultato delle politiche sarà influenzato da ciò che accadrà in Sicilia. Non sappiamo se andrà così. Per farsi un´idea occorre entrare nelle dinamiche elettorali delle due maggiori parti in causa e tenere in considerazione quanto si muoverà al loro esterno. Si dice che Pdl ed MpA rischiano di non raggiungere, a causa dell´Udc, il premio in seggi al Senato, previsto a livello regionale, che la volta scorsa andò al centrodestra. Se guardiamo i numeri del 2006 relativi al Senato, il centrodestra con l´Udc prese il 57,8 per cento, aggiudicandosi 15 senatori. Il centrosinistra, allora Unione, si attestò sul 40,5, prendendo gli undici senatori restanti. L´Udc ottenne il 9,6 per cento. Ammesso che si riconfermi, superando comunque l´8 per cento occorrente a far suo qualche seggio, ciò non procurerebbe al Pdl alcun danno numerico sostanziale. Male che vada, quest´ultimo, dovrebbe attestarsi tra il 48 e il 50 per cento. La legge elettorale assicura, al Senato, il 55 per cento dei seggi a chi, pur non avendo raggiunto dopo il conto dei voti tale percentuale, ottenga il miglior piazzamento. In entrambi i casi il Pdl dovrebbe confermare lo stesso numero di senatori del 2006, considerata anche la parte importante che avrà il Movimento per l´autonomia, apparentato con Berlusconi e compagni. Mentre sarà il Pd, congiunto con Italia dei Valori, a pagare dazio, essendo quel 40,5 per cento di due anni fa, in concreto insuperabile dalle due forze politiche. Veltroniani e dipietristi si dovranno, nella peggiore delle ipotesi, spartire gli undici seggi rimanenti con la Sinistra Arcobaleno e con l´Udc. Oppure, ma è molto difficile che accada, riconfermare gli undici senatori se Udc e Sinistra Arcobaleno non dovessero raggiungere l´8 per cento a testa. In ciascuno dei due casi il premio di maggioranza, a meno di rivolgimenti elettorali, non dovrebbe essere in discussione. Per la Camera il premio di maggioranza si conteggia in ambito nazionale. La coalizione di centrodestra, anche per la corsa verso questo ramo del Parlamento, si presenta mancante dell´Udc, ma sempre forte dell´accordo con il movimento autonomistico, che neutralizzerà, sostituirà o supererà il consenso cuffariano. Anche il raggruppamento Pd-Italia dei Valori, che contende in tutta Italia il premio di maggioranza al Pdl, ha nella Sinistra Arcobaleno un concorrente nel suo stesso campo paragonabile elettoralmente all´Udc. Solo che il Pd non ha un corrispettivo riequilibrante come il partito di Lombardo, non essendo paragonabile Italia dei Valori al movimento autonomista. Nel 2006, nelle due circoscrizioni della Camera prevalse il centrodestra. Con un distacco compreso tra il 12,5 per cento, nella circoscrizione avente come centro Palermo (43,5 centrosinistra, 56 per cento centrodestra), e il 19, verificatosi nella circoscrizione catanese (59,5 centrodestra, 40,5 per cento centrosinistra). Il 13 e 14 aprile prossimi, una parte di questo consenso andrà all´Udc e alla Sinistra Arcobaleno, che al suo interno ospita peraltro il numero più consistente, rispetto alle altre regioni, di ex Ds che non hanno aderito al Partito democratico. È, perciò, ipotizzabile che, mentre i voti che l´Udc sottrarrà al Pdl saranno più che recuperati dall´Mpa, quelli che lasceranno sul terreno i veltroniani a favore della Sinistra Arcobaleno, saranno solo in una piccola parte reindirizzati alla causa di Veltroni dalla lista di Italia dei Valori. Ed è verosimile, quindi, che il Pdl siciliano e gli autonomisti fortificheranno ancora il risultato positivo che Berlusconi si aspetta nel resto del paese. Mentre invece il Pd-Idv siciliano potrebbe costituire per la Camera uno degli anelli più deboli del progetto di Veltroni.

sabato 1 marzo 2008

ELEZIONI SICILIANE 2008: CENTROSINISTRA INCERTO


LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 01 MARZO 2008

Pagina I

CENTROSINISTRA VIA LE INCERTEZZE

FRANCESCO PALAZZO




La campagna elettorale per le regionali vede i due schieramenti affrontare l´evento nei modi che seguono. Nel centrodestra hanno bisticciato per settimane, con strappi, anatemi e candidature che non hanno visto sorgere il sole del giorno dopo. Alla fine si è arrivati al nome forte, quello dell´autonomista Lombardo. Spentasi, o messa sotto il tappeto, la guerra intestina, sono cominciate le grandi manovre. Nel centrodestra si discute sino a un certo punto, poi si comincia a lavorare per il risultato. Molti manifesti già inondano le nostre città. Tra qualche giorno faranno il loro esordio, anche per le elezioni regionali, quelli del Partito delle libertà. Anche da noi i simboli di An e Forza Italia vanno in soffitta. Non sappiamo se per sempre. Il Pdl ancora ci appare una trovata elettorale, non un vero nuovo partito. Sembra però certo che la formidabile macchina del consenso di cui il centrodestra dispone in Sicilia sia stata appena scalfita dai brutti pensieri e dalle male parole. Peraltro riuscirà a trarre nuova linfa dalla bagarre scatenatasi intorno alla mancata candidatura di Miccichè, la cui probabile lista non farà che portare del sangue fresco alla coalizione. Il centrosinistra, nel frattempo, ha ricominciato a questionare su tutta la linea. La causa scatenante dell´ennesima querelle, una dichiarazione della candidata presidente, che invita a votare i due grandi partiti a livello nazionale, il cosiddetto voto utile. Che la Sinistra Arcobaleno non l´avrebbe presa bene, ci voleva poco a prevederlo. Ogni elettore ha diritto a vedersi riconosciuta la dignità del consenso che mette dentro l´urna. La reazione del blocco più a sinistra della compagine pro Finocchiaro è comprensibile. Cominciamo a pensare che al fondo di tutto ci sia un equivoco, che si dovrà diradare. Probabilmente ciò sarà fatto sullo sfondo della Valle dei templi, nel discorso che oggi pomeriggio la Finocchiaro rivolgerà ai siciliani. La senatrice catanese è una delle dirigenti più apprezzate del Partito democratico e della politica italiana. Solo che non si può combattere la difficilissima battaglia siciliana e nello stesso tempo occuparsi della politica nazionale da protagonisti. La candidatura per la Regione deve essere una scelta esclusiva. Non può convivere con una candidatura al Senato, seppure in un´altra regione. Chi perde le elezioni in Sicilia deve poi guidare l´opposizione, per preparare le prossime elezioni. D´altra parte, a meno di non esserci distratti, lo stesso Lombardo, che è addirittura segretario di un movimento politico di un certo peso, non sarà candidato contemporaneamente ad alcunché. Insomma il centrosinistra, a oggi, se consideriamo anche le infinite titubanze e le divisioni sul numero di liste da presentare, non si trova in una situazione ideale, pur essendo partito mentre il centrodestra litigava. Considerata la debolezza che lo contraddistingue in Sicilia, il quadro è preoccupante, tenuto conto che alle elezioni non mancano sei mesi, ma sei settimane. Del resto, la distanza tra le due coalizioni ci viene rivelata da un sondaggio recentissimo della Crespi Ricerche. Che assegna a Lombardo il 58 per cento, alla Finocchiaro il 42. Che non sia solo un sondaggio, ma un responso molto vicino alla realtà precedente, non c´è bisogno di dirlo. Il centrosinistra dunque dovrebbe cercare di cambiare presto marcia. Non può trascorrere la fase decisiva della campagna elettorale tra un summit di riconciliazione e un altro. Altrimenti la partita delle regionali rischia di giocarsi, ancora una volta, a una sola porta. E i siciliani invece hanno diritto a una vera competizione.

CHIESA: IL RUOLO DEI CREDENTI

SETTIMANALE CENTONOVE
29 2 08

LE DUE FACCE DELLA CHIESA


FRANCESCO PALAZZO


La settimana scorsa a Palermo c’è stata una forte polemica, ancora forse non spentasi, su un incontro pubblico sul pizzo organizzato dall’Azione Cattolica di una parrocchia palermitana, poi non più svoltosi per l’indisponibilità dei locali di culto decisa dal parroco. L’avvenimento può servirci, al di là del caso specifico, perché in esso si possano rilevare due atteggiamenti contrapposti dei fedeli. Che denotano due modalità diverse di vivere la chiesa e di sentirsi ecclesia, ossia comunità di credenti. Una prima reazione, di fronte alla disposizione di un parroco, giusta o sbagliata non importa, può essere quella di chi sostiene, come pure ha affermato un gruppo di frequentatori della parrocchia, che il presbitero è la principale autorità della chiesa locale. Quindi, quello che può dire la prima e l’ultima parola su tutto. Nella chiesa cattolica, tranne qualche rarissima eccezione, che come sappiamo conferma la regola, le cose vanno quasi sempre in tal modo. Se ad un parroco non va giù una cosa può anche chiudere il portone della chiesa, come si farebbe, in questo caso legittimamente, con una qualsiasi proprietà privata. Addirittura, si può arrivare a ritenere, ed è una dichiarazione di uno dei relatori del mancato incontro, che il parroco sia il dominus della situazione, il signore, se vogliamo tradurre letteralmente dal latino. Il padrone, se gradiamo utilizzare un termine più moderno e vicino al nostro vocabolario. In questa concezione di chiesa, la comunità di fede non che non ci sia, ma è relegata ai margini quando c’è da prendere una decisione importante. Una parrocchia così concepita non funziona, ad esempio, come la rettoria palermitana di S. Francesco Saverio. Nella quale si sono svolti recentemente due referendum tra i partecipanti alle funzioni liturgiche, su argomenti non proprio secondari, quali il celibato dei preti e le unioni di fatto, i famosi e ormai sepolti DICO. Un altro atteggiamento, molto differente, nei confronti del clero lo traiamo sempre dal mancato dibattito sul pizzo, e corrisponde a quello degli organizzatori dello stesso, che non sono stati zitti e hanno deciso, si può discutere se a ragione o a torto nel caso in questione, non è questo il punto, di informare la stampa dell’accaduto. Diciamo che tale gruppo di persone si è posto su un piano paritario, circolare, comunitario, rispetto all’autorità presbiterale. Ecclesiale, potremmo ben dire, pur non essendo esperti di sagrestie e teologie varie. Da laici, più teorici che praticanti, e quindi in qualche modo peccatori, se dovessimo scegliere quale tipo di comunità è più vicina alla fede che dice di professare, non avremmo dubbi. Ci pare più vicina al vangelo una comunità dove si dibatte tra pari, senza dominus o autorità, nella quale qualche volta pure si litiga e possono volare persino i piatti. Senza evitare i conflitti che fisiologicamente sorgono nelle chiese parrocchiali, oppure vivendoli nel pettegolezzo continuo, dove solo le apparenze rimangono intatte e si lascia un uomo solo al comando. Solo dominus e neanche, se vogliamo allargarci col latino, primus inter pares, primo tra pari, che almeno identifica una persona sì egemone, ma in un gruppo di altre che sono sostanzialmente al suo stesso livello decisionale. Capite bene che qui il problema non sono più i singoli parroci, uomini che, pensiamo, ce la mettano tutta per portare avanti al meglio il loro incarico. Qui tutta la problematica investe in pieno i fedeli, non genericamente i credenti, ma soprattutto i praticanti assidui. Uomini e donne che dovrebbero sentirsi protagonisti delle comunità di fede, facendo pesare sino in fondo, anche arrivando al contrasto pubblico, i loro punti di vista. Magari non la chiameranno e non la chiameremo democrazia, ma dovrebbe essere qualcosa che molto le si avvicina. Cristiani adulti, quindi, occorrono nelle nostre chiese. Non solo meri ascoltatori di prediche domenicali e consumatori, più o meno convinti, di sacramenti.