SETTIMANALE CENTONOVE
29 2 08
LE DUE FACCE DELLA CHIESA
FRANCESCO PALAZZO
La settimana scorsa a Palermo c’è stata una forte polemica, ancora forse non spentasi, su un incontro pubblico sul pizzo organizzato dall’Azione Cattolica di una parrocchia palermitana, poi non più svoltosi per l’indisponibilità dei locali di culto decisa dal parroco. L’avvenimento può servirci, al di là del caso specifico, perché in esso si possano rilevare due atteggiamenti contrapposti dei fedeli. Che denotano due modalità diverse di vivere la chiesa e di sentirsi ecclesia, ossia comunità di credenti. Una prima reazione, di fronte alla disposizione di un parroco, giusta o sbagliata non importa, può essere quella di chi sostiene, come pure ha affermato un gruppo di frequentatori della parrocchia, che il presbitero è la principale autorità della chiesa locale. Quindi, quello che può dire la prima e l’ultima parola su tutto. Nella chiesa cattolica, tranne qualche rarissima eccezione, che come sappiamo conferma la regola, le cose vanno quasi sempre in tal modo. Se ad un parroco non va giù una cosa può anche chiudere il portone della chiesa, come si farebbe, in questo caso legittimamente, con una qualsiasi proprietà privata. Addirittura, si può arrivare a ritenere, ed è una dichiarazione di uno dei relatori del mancato incontro, che il parroco sia il dominus della situazione, il signore, se vogliamo tradurre letteralmente dal latino. Il padrone, se gradiamo utilizzare un termine più moderno e vicino al nostro vocabolario. In questa concezione di chiesa, la comunità di fede non che non ci sia, ma è relegata ai margini quando c’è da prendere una decisione importante. Una parrocchia così concepita non funziona, ad esempio, come la rettoria palermitana di S. Francesco Saverio. Nella quale si sono svolti recentemente due referendum tra i partecipanti alle funzioni liturgiche, su argomenti non proprio secondari, quali il celibato dei preti e le unioni di fatto, i famosi e ormai sepolti DICO. Un altro atteggiamento, molto differente, nei confronti del clero lo traiamo sempre dal mancato dibattito sul pizzo, e corrisponde a quello degli organizzatori dello stesso, che non sono stati zitti e hanno deciso, si può discutere se a ragione o a torto nel caso in questione, non è questo il punto, di informare la stampa dell’accaduto. Diciamo che tale gruppo di persone si è posto su un piano paritario, circolare, comunitario, rispetto all’autorità presbiterale. Ecclesiale, potremmo ben dire, pur non essendo esperti di sagrestie e teologie varie. Da laici, più teorici che praticanti, e quindi in qualche modo peccatori, se dovessimo scegliere quale tipo di comunità è più vicina alla fede che dice di professare, non avremmo dubbi. Ci pare più vicina al vangelo una comunità dove si dibatte tra pari, senza dominus o autorità, nella quale qualche volta pure si litiga e possono volare persino i piatti. Senza evitare i conflitti che fisiologicamente sorgono nelle chiese parrocchiali, oppure vivendoli nel pettegolezzo continuo, dove solo le apparenze rimangono intatte e si lascia un uomo solo al comando. Solo dominus e neanche, se vogliamo allargarci col latino, primus inter pares, primo tra pari, che almeno identifica una persona sì egemone, ma in un gruppo di altre che sono sostanzialmente al suo stesso livello decisionale. Capite bene che qui il problema non sono più i singoli parroci, uomini che, pensiamo, ce la mettano tutta per portare avanti al meglio il loro incarico. Qui tutta la problematica investe in pieno i fedeli, non genericamente i credenti, ma soprattutto i praticanti assidui. Uomini e donne che dovrebbero sentirsi protagonisti delle comunità di fede, facendo pesare sino in fondo, anche arrivando al contrasto pubblico, i loro punti di vista. Magari non la chiameranno e non la chiameremo democrazia, ma dovrebbe essere qualcosa che molto le si avvicina. Cristiani adulti, quindi, occorrono nelle nostre chiese. Non solo meri ascoltatori di prediche domenicali e consumatori, più o meno convinti, di sacramenti.
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