domenica 26 marzo 2017

L'inflessibile compagnia dei difensori e la realtà.


La Repubblica Palermo 
25 marzo 2017 - Pag. I
Nuoce più la satira o l'omertà?
Francesco Palazzo
Quando si parla di mafia e di Sicilia, nei film, nelle fiction, nelle parodie, spesso causando le reazioni di chi si sente offeso come siciliano, c’è sempre la nuda e rude cronaca che ci riporta sui nostri passi. Non partiremo da lontano, la lista sarebbe lunga, dalla Piovra al Capo dei Capi, dal videogioco alla pubblicità di una marca di occhiali. Ci soffermiamo sull’ultimo, ma sempre penultimo statene certi, fronte di polemica. Ossia, l’intervista ad un comico che impersonava il nuovo presidente del Palermo sulla Rai a Quelli che il calcio. Dieci minuti di satira godibile con in mezzo qualche battuta, per forza di cose iperbolica, surreale, ma sino a un certo punto, sulle nostre presunte abitudini e sul nostro modo di fare. L’ho ascoltata, collocata nella giusta dimensione, quella della satira, che deve essere provocatoria d’ufficio, e dopo qualche minuto non ci ho pensato più. Come sempre i fatti veri, non la comicità purtroppo, assolvono il compito di farti sentire il peso del piombo nelle ali della nostra quotidianità. Personalmente, trovo più conducente chiedermi non cosa volevano dire quelle poche battute sentite in televisione, che nulla volevano comunicarci se non strapparci una risata. Ma come collocare, rispetto a come ci vede il resto d’Italia e il mondo, il fatto ben più grave che magistratura e forze dell’ordine sembrano finalmente aver dipanato, facendo venir fuori i provvedimenti a poche ore della trasmissione domenicale incriminata. Mi riferisco all’uccisione, in pieno centro, a due passi dal Palazzo di Giustizia più presidiato d’Italia, di uno dei penalisti più noti e capaci del foro palermitano, Enzo Fragalà. Il fatto, come sapete, è avvenuto nel 2010, ma solo adesso sappiamo, ammesso che il tutto sia confermato dai diversi gradi di giudizio, che è stata Cosa nostra a pianificare ed eseguire il mortale agguato. E lo abbiamo appreso perché gli stessi mafiosi, nelle intercettazioni, o qualcuno collaborando con la giustizia ce lo hanno rivelato. Come quasi sempre accade. Ora, i punti di domanda che vorrei porre, rispetto a come ci vedono gli altri, sono i seguenti. Fanno più danno le piovre, i capi dei capi, le parodie, le pubblicità che parlano, più o meno bene, più o meno in maniera centrata, della Sicilia e della criminalità oppure il fatto che si uccide un avvocato prendendolo a bastonate alle otto di sera, davanti a residenti e automobilisti? E ancora. Fa più male alla nostra reputazione la fugace puntura dialettica di un comico, condivisibile o meno, oppure la circostanza che dai mafiosi, dai collaboratori, oltre che dai magistrati e dalle forze dell’ordine che hanno lungamente indagato, e non dai palermitani siano arrivate delle testimonianze utili a risolvere prima un caso che ha rischiato di rimanere per sempre nel buio? A tal proposito scrive Alessandra Ziniti, su queste pagine, il 16 marzo che il delitto è avvenuto «…sotto gli occhi e le orecchie distratte di passanti e automobilisti con nessuna voglia di aiutare gli investigatori…». Queste due domande dobbiamo porcele, non per alimentare la polemica, perderemmo inutilmente tempo. Le risposte servono per interrogarci non su come ci vedono gli altri dopo aver guardato distrattamente due minuti di piccolo schermo, ma per capire cosa siamo nel confronto con i dati di realtà, che sono molto più importanti e veritieri, intanto per noi prima che per gli occhi del mondo, di qualsiasi rappresentazione, verosimile o fuorviante che gli altri fanno di noi. Credo che all’esterno dell’isola non sfuggano a nessuno le tante positività, oltre i lati oscuri, che questa città, questa regione, questa terra esprime. Ma dobbiamo lasciare al suo destino l’atteggiamento di prendercela appena qualcuno dice mezza parola sul nostro conto. Non ci aiuta. Poi un’ultima notazione, se volete un dettaglio. Per stigmatizzare l’operato di Fragalà si utilizzava il termine “sbirro”: lo stesso epiteto rivolto a don Ciotti sui muri di Locri. Ebbene, quante volte ci capita nel linguaggio comune, esterno alla criminalità organizzata, di sentire pronunciare questo epiteto lanciato come sfregio e offesa?

mercoledì 15 marzo 2017

Uomo dato alle fiamme a Palermo: la reazione della città, l'informazione e la politica.

La Repubblica Palermo 
14/3/2017 - Pag. 3
La violenza, quel video e i senza tetto. Tre interrogativi tra fatti e polemiche.

Francesco Palazzo
Tre aspetti, sull’atroce violenza mortale subita dall’uomo che è stato dato alle fiamme, si possono evidenziare. La reazione di Palermo, il ruolo dell’informazione e l’uso politico della vicenda. Cominciamo da Palermo. Anche il contadino, mentre si parlava d’altro, mi ha chiesto. Se si fosse trattato di un omicidio di mafia in pieno centro o di un negozio distrutto dagli uomini del racket, il discorso non sarebbe stato introdotto. Una città che ha assistito quasi muta al fiume di sangue della seconda guerra di mafia è stata scossa come non mai questa volta. Ho persino letto che sì, la mafia ha ammazzato e uccide ma ha una sua finalità nel farlo. Eccidi in pieno giorno in mezzo alla folla, incaprettamenti vari, scioglimenti nell’acido, durante i quali pare si banchettasse mentre si giravano nella pentola liquido e corpi, sono iscritti nell’orizzonte di una tacita comprensione collettiva condivisa. Non c’è dubbio, allora. Al prossimo omicidio interno alle cosche la reazione sarà quella di prima. Si ammazzano tra loro, quando cade un mafioso, quindi non è il caso di fermarsi alla dimensione umana. Andate a vedere, invece, cosa si è scritto in rete nelle ore seguenti l’assassinio consumatosi sotto il porticato dei cappuccini, davanti al muro raffigurante San Francesco. Se uno si fosse trovato catapultato dalla luna, si sarebbe persuaso che in questa città non si era mai visto un fatto di sangue e i suoi abitanti fossero vissuti sino a quel momento nella quiete. Andiamo all’informazione. Parliamo del video molto commentato dai palermitani nei social network. Chi non li frequenta ne ha viste tante a Palermo, una volta pure una testa lasciata in un’auto nei pressi della stazione, che figuriamoci se può farsi traumatizzare da quelle immagini. Uscite dalle telecamere di sicurezza, hanno ripreso gli istanti in cui un uomo versa benzina sulla coperta sotto la quale c’è un altro uomo. Far vedere o no il video? Penso che non ci possano essere dubbi: quel video andava mostrato, stava poi alla libertà degli internauti se cliccarci sopra o rifiutarsi di vederlo. Talvolta si ha l’impressione che chi riceva l’informazione sia ritenuto mediamente, come si diceva dell’elettore medio qualche anno fa, come un bambino piccolo e neppure tanto intelligente. Le notizie, quando si può, devono essere veicolate in maniera diretta. Conoscete qualche filtro informativo che nel settembre del 2001 avrebbe potuto sostituire i due aerei che entravano nelle Twin Towers come dentro forme giganti di burro, evento che ha cambiato le ore della nostra storia contemporanea? Ai lettori, agli spettatori, non devono essere passate minestrine preriscaldate e poltiglie già masticate. A volte una buona informazione deve essere, quando può esprimersi con un’evidenza non mediata, come l’arbitro in campo, che meno si vede meglio è. Una foto, un video, un’immagine, un viso valgono più di mille parole. Chi ha visto l’eccezionale mostra sulle fotografie di Letizia Battaglia ai Cantieri culturali lo sa.Infine, su questa vicenda c’è stata anche una puntata politica. Cosa fa la politica per i senza casa e i senza nulla? Siamo in piena campagna elettorale e ci può stare tutto. Ma non si capisce in questo caso cosa c’entri. La persona che ha trovato la morte in maniera terribile possedeva una casa e dei familiari cui fare riferimento. Aveva deciso di vivere in quel modo perché riteneva evidentemente fosse la cosa migliore da fare. Questa, anche a livello politico, non è una città che si disinteressi dei meno fortunati. In tema di assistenzialismo non siamo secondi a nessuno. Anzi, con i soldi pubblici, spesso si imbandiscono tavolate per troppi.

venerdì 10 marzo 2017

Stazione Nuovo Cinema Paradiso, S.Erasmo e Palazzo della Favara: come non riusciamo a mangiare con quello che abbiamo.


La Repubblica Palermo
9 marzo 2017 - Pag. I
La stazione, il porticciolo, il castello. Così la Sicilia rinuncia alla sua bellezza.

Francesco Palazzo

In queste settimane sono scivolati sotto i nostri occhi tre luoghi che altrove sarebbero motivo di cura e attrazione turistica. Il primo è la stazione di Lascari-Gratteri, immortalata per sempre nel rullino della nostra memoria, visto che lì è stata girata la scena più bella e commovente del film premio Oscar “Nuovo cinema Paradiso”, quella in cui il protagonista va via e abbraccia il suo mentore, Alfredo. È stata demolita per fare spazio ad un fantascientifico doppio binario. A Castellabate, location del film “Benvenuti al Sud”, il luogo dove nella finzione sorgeva l’ufficio postale è diventato meta turistica. Almeno ci avessero regalato l’alta velocità, piangeremmo con un occhio, ammesso e non concesso che le due cose, memoria e sviluppo, non possano stare insieme. Avremmo quantomeno ceduto un luogo così significativo in cambio di un allineamento, in tema di trasporti, all’Italia che va da Salerno al Nord. Il mese scorso a un mio parente che lavora nel Veneto sui treni, in vacanza a Palermo, chiedevo, come un bambino che vuole sapere qualcosa sul paese dei balocchi, che sensazione si prova a viaggiare quotidianamente come schegge. «Bella», mi risponde. Certo, bella, domanda stupida. Un altro sito tornato per qualche ora alla ribalta, ancora non distrutto solo perché il mare e il panorama non li puoi abbattere facilmente, è il porticciolo di Sant’Erasmo, ripulito dagli attivisti grillini, che hanno ritrovato fra i detriti pure la carcassa di un vecchio scooter. Questo balcone sul mare, luogo che a Palermo non ha eguali, è da tempo in mezzo a una querelle tra chi vorrebbe farne una stazione per diportisti e chi intende non modificare la natura dei luoghi. Nel frattempo, facendo spostare la stazione di rifornimento che ostruisce in parte la vista, si potrebbe, utilizzando anche un tratto di strada, realizzare una grande isola pedonale che avrebbe uno sfondo naturalistico formidabile. Nessuno dei candidati a sindaco ha nulla da dire a tal proposito?Del terzo luogo che incrociamo ha scritto Paola Pottino su Repubblica. Parliamo del Castello di Maredolce e del fu parco della Favara. Ha davanti una schiera di negozi, si trova in via Giafar, a trecento metri dalla parrocchia di San Gaetano, a Brancaccio, dove trascorse gli ultimi suoi anni, prima di essere ucciso dalla mafia, don Pino Puglisi. In quel quartiere sono nato e cresciuto, la casa dei miei genitori sorgeva a poche decine di metri dal vicolo che porta al castello. Da quando avevo dieci anni, correvano i primi anni settanta, sento parlare del recupero completo del castello, della sua fruibilità, dei vantaggi economici che potrebbero arrivare al rione dai flussi turistici con il maniero totalmente restaurato, con il rifacimento del parco e del lago che prima l’attorniavano. Sono trascorsi 43 anni. Passando da piazza dei Signori si vede solo un pezzo di castello, a causa della schiera di negozi sempre presenti, i lavori di recupero non sono ancora terminati, il lago e il parco sono storie lontane nel tempo. Scrive Paola Pottino che i visitatori non possono attualmente accedervi per ragioni di sicurezza. Se si fosse fatto in tempo, perché il tempo c’è stato, si poteva inserire il tutto — palazzo, lago e parco — nel percorso arabo-normanno.Ricapitolando, tre storie, tre luoghi. Una stazione di cui rimane traccia solo nel film e nelle foto. Un ex porticciolo malato, dove al momento è possibile ammirare pure un accampamento di roulotte, che rischia di andarsene stritolato fra polemiche e incuria. Un castello, senza più il suo lago, monco del suo parco, privato di visitatori, in una delle tante periferie più o meno abbandonate di questa città che va al voto in primavera. 

sabato 4 marzo 2017

Elezioni Palermo. La distanza tra le discussioni sulle alleanze e gli interessi dei cittadini.

La Repubblica Palermo 
3 marzo 2017
Campagna elettorale a Palermo. Più veleni che programmi chiari per la città. 
Francesco Palazzo

A Palermo le candidature civiche a sindaco guidano la corsa e i partiti vanno al rimorchio. Più confusi che persuasi. Siamo sempre laboratorio come viene annunciato o è soltanto un nuovo vestito su storie vecchie? Vedremo. Intanto si registra un fatto abbastanza evidente. Il centrodestra del 61 a zero, ma anche quello delle vittorie di Cammarata, non esiste più. Il suo elettorato si spalmerà sui tre candidati più accreditati, Orlando, Ferrandelli e Forello. I cinque stelle, pur non facendo accordi con nessuno, drenano voti trasversalmente un po’ da tutte le parti. Gli altri due candidati, provenienti come estrazione dal centrosinistra, hanno dichiarato che il loro riferimento non sono le forze politiche organizzate ma Palermo e che chiunque sposi questo approccio civico è sostanzialmente il benvenuto. Del resto, quello che interessa ai cittadini, quando si tratta di governare una comunità, non sono le alchimie politiche, quelle infuocano una parte molto ristretta del mondo politico, ma se le virtuosità di cui sono piene le campagne elettorali avranno poi un riscontro concreto. Antonio Fraschilla su queste pagine, il 16 febbraio, ci ha mostrato che biografie del vecchio centrodestra, con il conseguente elettorato, si stanno spalmando in maniera trasversale. Del resto, non poteva che accadere così, visto che berlusconiani e destre non hanno per Palermo alcun progetto e nomi da spendere. Si è sempre detto, in casa del centrosinistra palermitano, che per vincere occorreva pescare in altri bacini elettorali. Considerazione ovvia. Questo è quanto sta avvenendo, abbastanza alla luce del sole. La dote più apprezzabile di chi vuole governare è quella di convincere più gente possibile della bontà del proprio percorso. Allora, francamente, non si capisce la fatwa che da diversi ambienti si è calata sull’accordo che Ferrandelli ha fatto con Micciché e Cantiere Popolare.Talvolta il furore quasi religioso prevale sull’analisi della politica, che invece deve essere laica. Per tutti valgono le stesse regole. Si valuteranno le liste, quando si conosceranno nella loro completezza, ed ancora è presto, e i programmi, nel momento in cui passeremo dai titoli allo svolgimento nel dettaglio durante la campagna elettorale. Senza fare del sospetto, perché è una pagina che dovremmo esserci lasciata alle spalle, l’anticamera della verità. E poi, ovviamente, si seguirà il percorso del sindaco eletto e della sua squadra e si esprimeranno giudizi sulle cose fatte in coerenza con quanto promesso prima del voto. Sperando che i programmi non diventino militi ignoti, come accade quasi sempre, dopo la chiusura delle urne. Le carte della politica palermitana, come riflesso anche della fase politica nazionale, dal 2012, anno delle ultime elezioni amministrative nel capoluogo siciliano, si sono molto rimescolate. Occorre prenderne atto e navigare a vista. In realtà, le due candidature che cinque anni fa si affrontarono al ballottaggio, presentano più elementi di somiglianza che di differenza. A prescindere dagli slogan elettorali, che indicherebbero ragionamenti corali (“Facciamo squadra” e “Solo per i palermitani”) si vedono in campo al momento due singolarità. Sia al Golden che al Politeama strapieni abbiamo visto solo i leader parlare. Andando al quaglio, la domanda è la seguente. Cosa devono aspettarsi i cittadini di questa città nel quinquennio 2017-2022? La città sarà più pulita, i marciapiedi saranno riparati, rispunteranno quei bei cuscini blu elettrico sulle panchine del foro italico, i trasporti funzioneranno meglio, le circoscrizioni serviranno a qualcosa oltre che essere un costo, spariranno i posteggiatori abusivi, la Favorita chiuderà, ci sarà una chiusura permanente sull’asse Piazza Croci-Stazione, saranno attenzionate le sacche di povertà, si metterà mano all’illegalità diffusa, le periferie saranno curate, i servizi saranno efficienti e rapidi? E potremmo continuare. La politica, per i cittadini, è tutto questo e tanto altro. È vita quotidiana che l’azione amministrativa, qualsiasi sia la casacca che indossi, deve rendere più semplice e decente utilizzando al meglio le risorse finanziarie pubbliche. Il resto è solo fumo.