sabato 29 aprile 2017

La chiesa di Palermo, tra un rumoroso "scisma" improbabile e i veleni silenziosi della grande rinuncia.

La Repubblica Palermo 
28 aprile 2017

Il vescovo mancato tra silenzi e veleni
Francesco Palazzo
A questo punto, come diceva il famoso giornalista, la domanda sorge spontanea. Cosa sta succedendo nella chiesa palermitana? Non si sono ancora spente le fiamme di quello che questo giornale ha chiamato lo “scisma” di Romagnolo, ossia la vicenda che ruota attorno al parroco, o ex, Alessandro Minutella. Ne ho già scritto su questo giornale. Sinteticamente posso ricordare che la doppia disposizione, che sanziona un sacerdote per le sue idee e dispone sulla liceità di ascoltare un veggente, mi è sembrata discutibile nel metodo. Così come, non me ne vogliano i cattolici, ho trovato triste la partecipatissima veglia di preghiera per l’unità della chiesa palermitana in cattedrale. Formalmente per l’unità, sostanzialmente contro un parroco. Che può avere torto quanto volete, cari cattolici, e con lui tanti altri che non si allineano al magistero di Francesco, ma al quale deve essere consentito di esprimersi. Perché non è con i divieti e gli spostamenti che le idee buone entrano in circolo, ma per il solo fatto che sono buone, come ritengo siano quelle del pontefice e dell’arcivescovo che ha scelto per Palermo. Mi sono chiesto, dopo la veglia, quale altro parroco avrebbe avuto l’ardire di alzare il dito mostrandosi pubblicamente in disaccordo. Su questa vicenda di Romagnolo, che si è svolta tutta sul proscenio (dichiarazioni, filmati su YouTube, interviste ai fedeli e veglia sovradimensionata rispetto al problema che doveva affrontare), abbiamo registrato un fiume di posizioni sui social network da parte dei cattolici. Invece, dopo la notizia della possibile, quasi certa, rinuncia del vescovo ausiliario, abbiamo preso atto del totale silenzio, o quasi, fatto di imbarazzo ma anche di fastidio, del popolo dei fedeli che prima aveva a profusione sentenziato su don Minutella. Perché ciò è accaduto? Si ha come l’impressione che la vicenda di un semplice parroco, sul quale sono volate espressioni molto sopra le righe, sia servita ai credenti per non parlare delle più gravi ambasce della chiesa palermitana, che adesso portano alla rinuncia alla carica di vescovo, con firma papale già apposta, di don Giovanni Salonia. Che giustifica tale gesto, molto insolito, per non dire unico, con parole durissime. Si parla di “sentimenti negativi” che avrebbe suscitato nella diocesi la sua nomina e della decisione di non volere il proprio ministero a Palermo “inquinato”. Insomma, possiamo parlare, apertis verbis, di veleni che scorrono nelle vene della chiesa panormita, guida delle chiese di Sicilia. Che hanno trovato, al contrario di quanto accaduto con lo “scisma” di Romagnolo, modo di spargersi nel silenzio ma andando ben presto al bersaglio. Tanto che oggi parliamo non delle dimissioni di un sacerdote ma della rinuncia di un vescovo. Al quale vorremmo dire, poiché in questa città di veleni che hanno avuto il sopravvento ne abbiamo visti tanti, di ripensarci, di non lasciarsi travolgere dallo scoraggiamento. Chi scrive non lo conosce, ha saputo del suo spessore umano e teologico, e ritiene che possa essere utile alla chiesa palermitana, e di riflesso alla società di questa città, il suo apporto. Nello stesso tempo, non si può non chiedere, a quanti invece nel clero non sono spargitori di veleni, di prendere pubblicamente posizione. Affinché anche questa vicenda sia resa intellegibile così come lo è stata quella del prete della chiesa di periferia. E se proprio si vuole dimostrare unità, ora sì che ci vorrebbe, si ripeta quella veglia, questa volta per qualcosa e non contro qualcuno, e si facciano parlare tutte le membra della diocesi. Infine, a chi è stato chiamato a guidare questa comunità di fede, che però mette in moto dinamiche che interessano, come si vede, anche i fanti, oltre che i santi, e che lo sta facendo con intenzioni buone e sguardo limpido, ci sentiamo di rivolgere un appello. Ci dica cosa sta accadendo, Don Lorefice, visto che la chiesa si muove nello spazio pubblico. E, se ritiene opportuno farlo, difenda le ragioni, sicuramente ottime, che l’hanno portato a individuare il frate cappuccino come suo vicario. Una chiesa che mostri, ma chiaramente, senza silenzi eccessivi, il suo volto problematico può essere una buona compagna di viaggio anche per chi percorre altre strade.

mercoledì 26 aprile 2017

Il Parco della Favorita e le scelte della politica.

Repubblica Palermo
26 aprile 2017 - Pag. IX

Un sovrintendente per la Favorita da vivere
Francesco Palazzo
La prima notizia è che ai palermitani piace passeggiare in un grande parco. Come ai trentini, ai veneti e ai fiorentini. La seconda è che, molto probabilmente, i trentini, i veneti e i fiorentini già lo farebbero da generazioni se avessero a disposizione un gioiello come il parco della Favorita. La terza notizia è che invece ai palermitani ciò è consentito una tantum, come a quei bambini che improvvisamente vengono portati alle giostre. Dopo la contentezza unanime per la partecipazione ai primi tre appuntamenti, che certamente troverà conferma nelle prossime due domeniche del 7 e 21 maggio, rimane appesa una domanda. Vorremmo capire, e solo chi amministra la città e soprattutto coloro che si candidano a guidarla possono dircelo, cosa si vuole fare di un simile patrimonio. Diciamo concretamente, subito, abbassando i decibel delle promesse a lunga scadenza. Si intende riservarlo normalmente ad auto, motori, camion e ogni tanto aprire il luna park abbastanza scontato del divertimento e dell’orgoglio, oppure c’è un progetto? In questi cinque anni si era partiti con grandi propositi e si è atterrati a poche settimane dal voto con alcune mezze domeniche che lasceranno, più o meno, le cose come prima. È ovvio che certi provvedimenti, vale per la Zona a traffico limitato come per la Favorita, andrebbero presi a inizio legislatura e valutati man mano che esplicano i loro effetti. Non possiamo che augurarci che il vincitore delle elezioni di giugno passi, sulla Favorita, dalle parole ai fatti mettendo in campo, senza por tempo in mezzo, azioni che durino.L’idea di riempire il parco di contenuti, come si sta facendo in queste domeniche primaverili, è la strada giusta. Tra l’altro, ed è una formula vincente da non disperdere, sono virtuosamente al lavoro privati ed enti pubblici. Ma occorre una pianificazione che trasformi lo straordinario di pochi giorni in ordinario perenne. Alle nostre latitudini col vestito della festa siamo tutti bravi, ci blocchiamo quando dobbiamo passare alla quotidianità. Ma le città che funzionano bene raggiungono alti livelli nella ferialità. Il luogo potrebbe ospitare benissimo, visto che da noi c’è un’eterna estate-primavera, di tutto. È chiaro che ci sono problemi da affrontare. Primo fra tutti, quello dei collegamenti con la borgata marinara di Mondello. Che intanto, se vogliamo metterla dal punto di vista della convenienza, non potrebbe che agevolarsi commercialmente di un parco meta costante di visitatori. Si potrebbero immaginare navette continue tra la Favorita e Mondello, luogo anch’esso, fatti salvi i diritti dei residenti, che dovrebbe essere il più possibile preservato dalla presenza dei tubi di scappamento. Le strade alternative non sono poche: almeno quattro, compresa una comodissima autostrada. Il tutto andrebbe affrontato in un clima di dialogo a partire dal primo giorno della prossima amministrazione. Che non dovrà avere l’ansia da prestazione. Questo fatto di contare quanti vanno al parco, in una situazione di normalità, non dovrebbe interessare più nessuno. I palermitani, e i turisti, perché un parco aperto e pieno di contenuti, con un continuo collegamento con Mondello, sarebbe molto appetibile per i flussi turistici, avrebbero una nuova opportunità di vivere la città. Non penso che ogni giorno ad Hyde Park, uno dei nove parchi reali di Londra, o nei tanti giardini di Parigi facciano la conta dei presenti per vedere se conviene tenerli aperti. Questa è una logica molto provinciale. Della quale dobbiamo liberarci se vogliamo avvicinarci agli standard delle città europee. Aveva convinto molto lo slogan che il parco della Favorita doveva diventare, in termini di biglietto da visita, ciò che è stato, e che è, grazie all’abile direzione di Francesco Giambrone, il Teatro Massimo. Allora si potrebbe, per dare un seguito concreto allo slogan, nominare la stessa figura di vertice che gestisce il teatro, ossia un sovrintendente del parco della Favorita, che individui un gruppo di lavoro permanente. Al fine di rendere fruibile sempre, tirandolo fuori dalla dimensione del “vorrei ma non posso” dove giace, questo tesoro. Che non può ancora per molto tempo rimanere chiuso in cassaforte.

giovedì 6 aprile 2017

La chiesa di Palermo, l'autonomia di giudizio dei fedeli e il dissenso nell'era di Papa Bergoglio.

La Repubblica Palermo 
5 aprile 2017 - Pag. I
Ma l'innovazione accetta il dissenso
Francesco Palazzo

Che il rinnovamento di papa Francesco sia un fatto vero, lo dimostrano le opposizioni al suo operato che da Roma si riflettono sulle periferie d’Italia e del mondo. Chi guarda, come me, la Chiesa da fuori, non può non essere dalla sua parte apprezzando le sue scelte. Anche quella che vede don Corrado Lorefice, dal dicembre 2015, guida della diocesi palermitana e della Chiesa siciliana.Ero in piazza Pretoria quando il nuovo vescovo, nel discorso rivolto alla città, citava non la Bibbia ma l’articolo 3 della Costituzione. Quello dell’uguaglianza formale e sostanziale davanti alla legge di tutti i cittadini. È trascorso quasi un anno e mezzo, e, pur apprezzando il profilo del nuovo arcivescovo su aspetti ancora da approfondire con gesti e norme più chiari, ci troviamo improvvisamente a fare i conti con quello che è, vista l’importanza che dalla plancia di comando della diocesi attribuiscono alla questione, il duplice atto più importante partito dalla cattedra di San Mamiliano. Ossia i due decreti aventi per oggetto la venuta in città di un veggente e la rimozione di un prete da una parrocchia. Nel leggere i provvedimenti si ha come una sensazione di straniamento, seppure comprendendo le ragioni che hanno portato a formularli. Per quanto riguarda il veggente, si dispone che i presbiteri non partecipino a iniziative di questo tipo se non approvate dal vescovo, e che i parroci prescrivano agli stessi fedeli di non parteciparvi. Non riconoscendo, se l’interpretazione del doppio ammonimento non è troppo fuorviante, e sono pronto a ridiscuterne se convinto del contrario, sia ai prelati che ai fedeli, i quali ultimi non sono legati da nessun vincolo di obbedienza al proprio vescovo, un’autonoma capacità di discernimento. Ciò nel 2017, non nel 1950, quando con i nostri smartphone possiamo vedere tutto in pochi secondi e formarci autonomi giudizi. Chi scrive ritiene non conducenti nelle questioni di fede gli apporti di veggenti e roba varia. Ma qua discutiamo di altro. Della libertà di accedere liberamente a certe pratiche, senza essere interdetti, e della ancora più fondamentale opzione di potere sbagliare come persone dotate di intelletto. Perché, se per caso si ritenesse il cosiddetto popolo di Dio non in grado di padroneggiare tali aspetti della spiritualità, tanto da avere bisogno di autorizzazioni, ci si dovrebbe domandare che tipo di Chiesa abbiamo davanti.Questo aspetto è legato anche al secondo provvedimento. La vicenda è nota. Si rimuove un parroco perché indurrebbe presso i fedeli, evidentemente ritenuti non in grado di intendere e volere, e qua siamo al punto di prima, credulità a buon mercato. Ma lo si mette in discussione, soprattutto, perché sostiene posizioni in aperto contrasto con quella che è la linea inaugurata dal pontefice. Su quest’ultimo aspetto si possono porre due punti di domanda. E’ lecito all’interno della Chiesa avere posizioni differenti? Seguendo i canoni misericordiosi dell’attuale successore di Pietro, dobbiamo rispondere di sì. E lo facciamo per una questione non di merito, che lasciamo ai teologi, ma di metodo. Quando a una chiesa conservatrice del passato si opponevano gli innovatori che adesso hanno trovato il loro momento, speriamo non passeggero, sotto il magistero di Francesco, sovente si riducevano al silenzio e all’obbedienza. Non andava bene prima tale modo di fare e, se dobbiamo difendere i principi sempre, non va bene, a maggior ragione, adesso. L’altro punto di domanda riguarda la diocesi e il contributo che può dare alla vita delle comunità civili. Ma proprio la chiesa del palermitano ha in questo momento come primo problema quello dei veggenti e delle opzioni scismatiche, o presunte tali? Era così necessario spendere i due primi atti d’importanza primaria per le questioni evidenziate? O veniva prima molto altro? Aiuta la chiesa, nel rapporto con la società palermitana, questa spaccatura che adesso sta polarizzando le posizioni? Speriamo che i cattolici di questa diocesi, che non sono soltanto gerarchia ecclesiastica, ma essenzialmente popolo, sappiamo darsi e darci qualche risposta.