La Repubblica Palermo
28 aprile 2017
Il vescovo mancato tra silenzi e veleni
Francesco Palazzo
A questo punto, come diceva il famoso giornalista, la domanda sorge spontanea. Cosa sta succedendo nella chiesa palermitana? Non si sono ancora spente le fiamme di quello che questo giornale ha chiamato lo “scisma” di Romagnolo, ossia la vicenda che ruota attorno al parroco, o ex, Alessandro Minutella. Ne ho già scritto su questo giornale. Sinteticamente posso ricordare che la doppia disposizione, che sanziona un sacerdote per le sue idee e dispone sulla liceità di ascoltare un veggente, mi è sembrata discutibile nel metodo. Così come, non me ne vogliano i cattolici, ho trovato triste la partecipatissima veglia di preghiera per l’unità della chiesa palermitana in cattedrale. Formalmente per l’unità, sostanzialmente contro un parroco. Che può avere torto quanto volete, cari cattolici, e con lui tanti altri che non si allineano al magistero di Francesco, ma al quale deve essere consentito di esprimersi. Perché non è con i divieti e gli spostamenti che le idee buone entrano in circolo, ma per il solo fatto che sono buone, come ritengo siano quelle del pontefice e dell’arcivescovo che ha scelto per Palermo. Mi sono chiesto, dopo la veglia, quale altro parroco avrebbe avuto l’ardire di alzare il dito mostrandosi pubblicamente in disaccordo. Su questa vicenda di Romagnolo, che si è svolta tutta sul proscenio (dichiarazioni, filmati su YouTube, interviste ai fedeli e veglia sovradimensionata rispetto al problema che doveva affrontare), abbiamo registrato un fiume di posizioni sui social network da parte dei cattolici. Invece, dopo la notizia della possibile, quasi certa, rinuncia del vescovo ausiliario, abbiamo preso atto del totale silenzio, o quasi, fatto di imbarazzo ma anche di fastidio, del popolo dei fedeli che prima aveva a profusione sentenziato su don Minutella. Perché ciò è accaduto? Si ha come l’impressione che la vicenda di un semplice parroco, sul quale sono volate espressioni molto sopra le righe, sia servita ai credenti per non parlare delle più gravi ambasce della chiesa palermitana, che adesso portano alla rinuncia alla carica di vescovo, con firma papale già apposta, di don Giovanni Salonia. Che giustifica tale gesto, molto insolito, per non dire unico, con parole durissime. Si parla di “sentimenti negativi” che avrebbe suscitato nella diocesi la sua nomina e della decisione di non volere il proprio ministero a Palermo “inquinato”. Insomma, possiamo parlare, apertis verbis, di veleni che scorrono nelle vene della chiesa panormita, guida delle chiese di Sicilia. Che hanno trovato, al contrario di quanto accaduto con lo “scisma” di Romagnolo, modo di spargersi nel silenzio ma andando ben presto al bersaglio. Tanto che oggi parliamo non delle dimissioni di un sacerdote ma della rinuncia di un vescovo. Al quale vorremmo dire, poiché in questa città di veleni che hanno avuto il sopravvento ne abbiamo visti tanti, di ripensarci, di non lasciarsi travolgere dallo scoraggiamento. Chi scrive non lo conosce, ha saputo del suo spessore umano e teologico, e ritiene che possa essere utile alla chiesa palermitana, e di riflesso alla società di questa città, il suo apporto. Nello stesso tempo, non si può non chiedere, a quanti invece nel clero non sono spargitori di veleni, di prendere pubblicamente posizione. Affinché anche questa vicenda sia resa intellegibile così come lo è stata quella del prete della chiesa di periferia. E se proprio si vuole dimostrare unità, ora sì che ci vorrebbe, si ripeta quella veglia, questa volta per qualcosa e non contro qualcuno, e si facciano parlare tutte le membra della diocesi. Infine, a chi è stato chiamato a guidare questa comunità di fede, che però mette in moto dinamiche che interessano, come si vede, anche i fanti, oltre che i santi, e che lo sta facendo con intenzioni buone e sguardo limpido, ci sentiamo di rivolgere un appello. Ci dica cosa sta accadendo, Don Lorefice, visto che la chiesa si muove nello spazio pubblico. E, se ritiene opportuno farlo, difenda le ragioni, sicuramente ottime, che l’hanno portato a individuare il frate cappuccino come suo vicario. Una chiesa che mostri, ma chiaramente, senza silenzi eccessivi, il suo volto problematico può essere una buona compagna di viaggio anche per chi percorre altre strade.