LA REPUBBLICA PALERMO GIOVEDÌ, 26 APRILE 2007
Pagina XV
La corsa al voto disgiunto flop dei partiti dell´Unione
FRANCESCO PALAZZO
La corsa al voto disgiunto flop dei partiti dell´Unione
FRANCESCO PALAZZO
In vista delle amministrative palermitane il centrosinistra ci riprova con il voto disgiunto, invitando apertamente gli elettori e le elettrici a praticare questa modalità di espressione del proprio consenso. In sé la cosa è tecnicamente corretta, la legge elettorale consente di esprimere due voti diversi, uno per il Consiglio comunale e uno per il sindaco, è perciò comprensibile che si usi questo strumento di persuasione insieme a tanti altri. Resta da comprendere che senso ha politicamente tale pratica e prima ancora bisogna capire da dove nasce l´esigenza di portare il corpo elettorale a esprimere un consenso di questo tipo. È chiaro a tutti, e lo confermano a ripetizione i sondaggi di questi ultimi giorni, che la coalizione di centrodestra a Palermo viaggia mediamente con un vantaggio di almeno diciotto punti sullo schieramento di centrosinistra. È ormai un dato di lunga durata, che, solo per rimanere agli eventi elettorali più conosciuti, ha fatto perdere l´Unione nelle amministrative catanesi e alle regionali del 2001 e del 2006. La malattia è quindi stata già diagnosticata da tempo. I partiti che contendono il campo al centrodestra in Sicilia sono molto deboli. Fatta la diagnosi bisognerebbe approntare una cura che risolva alla radice la patologia strutturale e non episodica. Diciamo subito che non è semplice nella nostra regione invertire il senso di tale situazione, tuttavia qualche timido e parziale ragionamento si può fare. Su due versanti. Intanto occorrerebbe registrare, certo non sotto elezioni, la capacità dei partiti dell´Unione di essere radicati sul territorio di una città come Palermo. Se ciò è più semplice nel centro borghese del capoluogo, diviene un compito di lunga lena nei quartieri periferici, dove spesso, certo non in tutti i luoghi, assistiamo a un´assenza delle strutture di base, quelle che una volta si chiamavano sezioni. Alcuni partiti del centrosinistra nei luoghi non centrali della città si vedono soltanto quando è ora di raccogliere il consenso: il quale, viste le premesse, non potrà certo essere confortante e infatti non lo è quasi mai. Cominciata questa operazione, ci rendiamo conto per niente facile, si potrebbero affrontare le varie tornate elettorali cercando di mettere in campo il meglio che si ha e non facendo liste che garantiscono gli uscenti e qualche probabile entrante. In assenza di questi due momenti è fisiologico che la coalizione di centrodestra, più abituata a raccogliere il voto porta a porta, risulti sempre lontana e irraggiungibile. Allora, così stando le cose, ci si rifugia nel voto disgiunto, che pur legittimo per chi volesse esercitarlo, non ci pare il trionfo della politica per coloro che esplicitamente lo chiedono. In una città come Palermo significa, infatti, accettare senza combattere la sconfitta politica, prepararsi, bene che vada, a essere minoranza nel Consiglio comunale e cercare di governare una città complessa solo con le armi, certo importanti, della giunta che si formerà in caso di riuscita dell´operazione voto disgiunto. Diciamo pure, peraltro, che la prassi non è per niente semplice. Prendere una decina di punti in più del proprio schieramento, tanti grosso modo ce ne vorrebbero per vincere a Palermo per il candidato a sindaco dell´Unione, può sembrare un gioco da ragazzi. Ma solo a urne ancora chiuse. Perché poi, in tal senso abbiamo già una nutrita casistica, tale vantaggio in più del candidato del centrosinistra rispetto alla sua coalizione rischia di non colmare il divario. È accaduto, solo per ricordare l´ultima vicenda elettorale, nelle regionali dello scorso anno, quando pareva che Rita Borsellino fosse in grado di prendere parecchi punti ricorrendo al voto disgiunto. Ciò che poi rimane in mano è molto poco. Si perdono le elezioni sul fronte del Consiglio e su quello del governo e si ricomincia un altro giro. Perdendo altri cinque anni senza assumere l´iniziativa politica e poi presentandosi regolarmente alla successiva scadenza elettorale con una ancora più anemica forza elettorale e con un candidato alla carica più alta che invita, immemore di quanto già accaduto nelle votazioni precedenti, a votare in maniera strabica. A questo punto è chiaro a tutti che il leader può servire, come valore aggiunto, per cementare e valorizzare una forza elettorale e politica che già c´è. Non può essere utilizzato da solo come testa d´ariete per sfondare il muro del centrodestra: perché appunto è molto difficile che l´assalto vada a buon fine.