PALERMO TODAY
9 MARZO 2024
Promuoviamo tutta la mobilità dolce senza guerre di religione
Francesco Palazzo
Il blog di Francesco Palazzo
PALERMO TODAY
9 MARZO 2024
Promuoviamo tutta la mobilità dolce senza guerre di religione
Francesco Palazzo
Palermo Today - 28 febbraio 2024
Francesco Palazzo
Questi nella foto fatta da chi scrive al Barbera, in occasione della pesante ultima sconfitta casalinga del Palermo, sono i pochissimi tifosi della Ternana arrivato sotto Monte Pellegrino a sostenere i propri colori. Guardati a vista da quattro addetti alla sicurezza. Altri sette addetti sono dall'altra parte affinché non vengano in contatto, pure divisi da un'inferriata altissima e resistente, con i tifosi rosanero della curva sud. E altri addetti sono da una parte e dall'altra dell'inferriata che delimita il contatto con la gradinata. Storia di ogni partita e di ogni stadio, sia chiaro.
Ma quando i supporter dell'altra squadra sono pochissimi come in questo caso, la cosa colpisce molto di più. Anche perché nel frattempo le squadre che entrano in campo ci danno ogni volta una bella ed edificante immagine di sport. Sono accompagnati da bambini e bambine con addosso le maglie delle due squadre. I giocatori del Palermo entrano mano nella mano con i piccoli che indossano i colori avversari. La squadra che gioca fuori casa fa al contrario. E non finisce qua. Prima di ogni incontro gli altoparlanti lanciano le bellissime parole della canzone di Sergio Endrigo, Io che amo solo te, che è un potente e bellissimo inno all'amore. Poi i tanti appelli al rispetto, alla nonviolenza, il no al razzismo che oramai almeno a parole toccano tutti gli stadi. Le premesse per vedere una cosa civile ci sarebbero dunque tutte. Invece no.
Ma è possibile che nel 2024, non si possa consentire a cinquanta persone, a causa del modo non pacifico di stare in uno stadio in fondo di pochi, di vedere una partita dove vogliono senza essere rinchiusi dentro la triste gabbia dei leoni? Non sarebbe bello, al di là del risultato, festeggiare insieme ai pochi o molti abitanti di un'altra città un evento sportivo? Utopia? Non so come chiamarla. Ma so che nome dare a quello che invece accade. Tristezza e poca aderenza ai nobili principi che ciascuna attività sportiva dovrebbe far vivere.
https://www.palermotoday.it/social/segnalazioni/barbera-tifosi-avversari-sempre-in-gabbia.html
PalermoToday - 11 Febbraio 2024
PALERMO TODAY
14 Gennaio 2024
Francesco Palazzo
Magari chi è preposto al controllo del territorio potrebbe dire ai vivaci, simpatici e costanti praticanti in questo luogo di trovare un altro posto per fare skateboard. Non soltanto per il motivo che i passanti rischiano di farsi molto male e sono costretti di fatto a passare al largo. Ma soprattutto perché parliamo della piazza centrale di Palermo: siamo davanti al Teatro Politeama, uno dei simboli principali della città.
Uno spazio che non merita di essere monopolizzato e imbruttito con l'improponibile attrezzatura per il salto che vedete in foto. Non penso che ciò verrebbe tollerato davanti al Teatro Massimo. Il Politeama non è certo, tutt'altro, di minore importanza.
ps (non so se la cosa continuerà o se l'armatura verrà ricollocata, ma il giorno successivo alla pubblicazione della mia foto con le mie considerazioni il Comune mi ha mandato una foto che rappresenta la rimozione di quanto collocato davanti il Teatro Politeama).
PALERMO
TODAY – 3 DICEMBRE 2023
Diecimila in piazza
contro il Ponte? Allora almeno 5 milioni tra siciliani e calabresi lo
vogliono.
Francesco Palazzo
Il 2 dicembre c'è stata una manifestazione "No
ponte sullo Stretto" che ha puntato a coinvolgere sia la Sicilia che la
Calabria. L'affluenza è stata di circa10 mila persone, come riportano gli
organi d'informazione. In streaming ho seguito gran parte, anzi quasi tutti,
gli interventi di diverse sigle e associazioni. Ovviamente, opinioni
rispettabilissime e abbastanza chiare. Con un sottofondo comune. La Sicilia e
la Calabria hanno bisogno di tanto altro prima di poter parlare di ponte. Cioè
non ci si oppone spesso al manufatto ma a ciò che sarebbe necessario fare
prima.
L'argomento non è nuovo, al contrario abbastanza
datato, come sa bene chi segue anche soltanto da lontano la vicenda ponte. Ed è
un argomento che a me non ha mai convinto. Per tante ragioni. Non ultima il
fatto che un'opera pubblica che sarebbe unica al mondo potrebbe, io direi potrà
sicuramente, accelerare quanto sinora manca o è carente nelle due regioni in
termini di infrastrutture trasportistiche. Perché è chiaro che solo di quelle
dobbiamo parlare. Altrimenti, se mettiamo di mezzo l'universo mondo, il
ragionamento si fa troppo complicato e abbastanza fuorviante. Un'altra
obiezione sono i costi. Il ponte costerà? Certo ha un suo costo molto rilevante
di diversi miliardi di euro. Un'opera simile non può costare certo quattro
spiccioli. Ma quanto è costato mi sono sempre chiesto, quando ci si riferisce
in questi termini monetari a questa opera, tutto l'assistenzialismo a fondo
perduto e senza futuro che ha toccato e in parte ancora lambisce le due regioni
interessate e il mezzogiorno tutto? Forse l'equivalente di una ventina di ponti
sullo stretto? Non so. Ma potrei non essere molto lontano dal vero. Il terzo
aspetto che viene toccato è quello ingegneristico e ambientale. Due ambiti
certo rilevanti. Sul primo non ho competenze specifiche. Si tratta di un
aspetto davvero complesso. Se chi di dovere metterà il bollo definitivo
all'opera da profano mi fermerei qua su tale aspetto. Per quanto riguarda il
versante ambientale non è che al momento le navi che attraversano lo stretto
sono a zero impatto. Il discorso paessaggistico ciascuno lo vede a suo modo. A
me piacerebbe vedere lo Stretto e il ponte insieme. Del resto l'uomo ha sempre
modificato i propri ambiti di vita. Io sono per il ponte e davvero non capisco
chi si mette contro questa cosa. Rispetto chi non lo è ma non riesco
onestamente a fare mia nessuna obiezione ideale e sul merito. Il ponte è
qualcosa che unisce, non un muro. Sì, mancano tante cose. Ma forse sono state
tutte fatte senza il ponte? E allora cosa c'entra questo manufatto che sarebbe
unico al mondo e che attirerebbe attenzioni, turismo e farebbe smuovere pure
quello che non c'è ancora ma su cui però, va detto, si sta lavorando?
Detto tutto questo, del quale ho scritto diverse
volte, al centro della mia analisi vorrei mettere questa volta un'altra
questione. Voglio discutere delle ragioni, magari non espresse ma per me
implicite di chi non va in piazza a manifestare contro la costruzione del ponte.
Partiamo perciò dai diecimila rappresentanti di due regioni. Numero certo
consistente. In tempi in cui è più facile stare dietro una tastiera, non è per
nulla semplice fare smuovere diecimila persone siciliane e calabresi portandole
in piazza. Però, ecco, i numeri. Che magari non ci dicono tutto ma tanto. Le
due regioni contano, al 31 agosto 2023, sei milioni 618 mila 594 abitanti. Se
ci togliamo i diecimila, ammesso e non concesso che siano tutti calabresi e
siciliani, diventano 6 milioni 608 mila 594 abitanti. Se dopo tante
manifestazioni no ponte spalmate in diversi decenni non si arriva a più di
diecimila, contro più di 6 milioni e mezzo, che scendono in piazza, senza
considerare tutte le altre regioni e l'interesse internazionale che il ponte
suscita certamente, io qualche domanda sinceramente me la farei. Forse la
stragrandissima maggioranza silenziosa di milioni di persone vuole il ponte?
Non è detto, ma non si può affermare nemmeno il contrario. E io a questo punto
arrivo a pensarlo. Allora la metterei così. Tutte le manifestazioni "no
ponte" sono ovviamente legittime, ma occorre avere la dimensione di ciò
che si rappresenta. Diecimila dopo tanti anni di cortei non vogliono il ponte
sullo Stretto? Va bene. Massima considerazione per loro. Rispettiamo le loro
ragioni e quanto di interessante portano a supporto di esse. In democrazia il
confronto, anche in piazza, è alla base di tutto. Ma alla radice della nostra
convivenza c'è pure la necessità imprescindibile di non stare fermi per
l'eternità su ogni singola questione. Dall'altra parte il ponte potrebbero
volerlo, e sino a prova contraria per me è così, se vogliamo restare solo in
Sicilia e Calabria, almeno cinque milioni di persone levandoci i pargoli. Pure
questo sarebbe, è, confronto democratico. Mi pare che dopo tanti decenni la
pratica ponte, dal punto di vista del consenso popolare, sia ampiamente chiusa.
Almeno così a me pare.
Ogni volta che si chiude o si apre, dipende sempre dal punto di vista da cui si guardano le cose, il Parco della Favorita ci complimentiamo con noi stessi. Solo che accade ormai molto raramente. L'ultima volta è successo questa domenica appena trascorsa, in occasione della Maratona di Palermo. Quello che doveva diventare il nuovo Teatro Massimo, così era stato ufficialmente affermato alcuni anni addietro, è in realtà rimasto quello che è sempre stato, un luogo dove transitano mezzi a motore. Un vero peccato. Lo diciamo da tanto troppo tempo. Alcuni anni fa, proprio perché si parlava di nuovo Teatro Massimo, era circolata l'idea di nominare un sovrintendente come accade proprio per il Massimo. Ma è rimasta una bellissima idea chiusa dentro il recinto delle buone intenzioni. Si era ipotizzata a tal fine la creazione di una fondazione tra pubblico e privato.
Probabilmente magari prima o poi spunterà fuori qualcosa del genere. Non sappiamo. Intanto siamo ad oggi. E in ogni caso, prima di perseguire e ottenere l'ottimo, che se va bene (mettiamoci a Palermo un centinaio di se) richiederà tempi troppo lunghi per gli spazi temporali limitati delle nostre vite, si potrebbe partire dal sufficiente. Anche un "6 meno meno" alla fine andrebbe bene alle nostre latitudini. Dal punto di vista viario si potrebbe procedere infatti con ordinari provvedimenti sulla viabilità. Nessun miracolo. Solo normalità. Senza che si debba ottenere per forza tutto e subito. Che in genere è la premessa per non ottenere nulla. Occorre tenere presente, quando si parla di Parco della Favorita, la necessità di mantenere i collegamenti con il pezzo di città, Mondello in primo luogo, che c'è oltre la Favorita. Ma va anche considerato a tal proposito che vi sono almeno 4 vie alternative per arrivare a Mondello, quella che passa da Vergine Maria e si inoltra attraverso l'Addaura, poi quella che va da Via Castelforte, inoltre quella che passa da Pallavicino, infine il collegamento autostradale. C'è poi una quinta alternativa. Non chiudere i due assi all'interno della Favorita lasciandone uno aperto alle auto.
Peraltro durante i mesi estivi, diciamo da inizio giugno a fine settembre, si dovrebbe non toccare nulla. Cioè si potrebbe chiudere alle auto solo una strada dentro la Favorita da inizio ottobre a fine maggio, periodo delle festività di fine anno escluso. Penso che, così affrontata la cosa, vi sarebbero margini molto ragionevoli di discussione e si potrebbe iniziare da subito, anziché fare questi esperimenti una volta l'anno quando va bene. Se si vuole si può esordire con i fine settimana. Perché quello che ci serve è l'utilizzo continuo del Parco della Favorita. Non l'apertura una tantum con bande e mirabilie varie. È molto difficile immaginare un'altra grande metropoli che avendo un parco così grande lo utilizzi solo per farci transitare i mezzi motorizzati. Ogni volta che si fa qualche attività, chiudendo timidamente il Parco della Favorita, si scomoda da più parti il Central Park di New York. Basta dare un'occhiata a quel polmone verde e a come viene usato per capire quanto siamo sideralmente lontani da esso.
Per carità, si facciano pure tutti i paragoni possibili e immaginabili. Un’iperbole non si nega a nessuno. Ma considerato il punto da dove partiamo con il nostro parco, mi pare più un esercizio retorico che altro. Paragonarsi a ciò che il Parco della Favorita mai sarà significa soltanto far trascorrere inutilmente anni e generazioni quando si potrebbe iniziare a fare qualcosa di immediato e concreto. Tipo chiudere, come proposto, intanto da ottobre a maggio una sola arteria, all’inizio magari per i fine settimana. Poi il resto si vedrebbe passo dopo passo. Ma buttare ogni volta la palla in calcio d'angolo scomodando la luna del Central Park significa rimanere immobili aprendo una volta l'anno, quando va bene, il parco giochi. Non siamo più bambini e non abbiamo bisogno del parco giochi. Per aprire il Parco della Favorita non si può attendere ogni volta la fumata bianca come se si trattasse dell'elezione del papa. Perché la serie A non si può pretendere solo dai rosanero, che negli ultimi quattro anni hanno lavorato bene e al momento rappresentano uno dei pochi progetti con una visione. Ma dall'intero sistema città, che ci vede tutti dentro e che da tanto tempo, per usare un eufemismo, non è che lavori benissimo.
Dal sito del giornale
Da facebook
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PALERMOTODAY – 14 NOVEMBRE 2023
Francesco Palazzo
Con riferimento alle attuali vicende del Palermo calcio, in qualità di tifoso abbonato non mi sento rappresentato dai cori fuori dallo stadio dopo la partita con il Cittadella. Per la verità neppure da quelli dentro lo stadio, spesso poco urbani e antisportivi, come fischiare la formazione avversaria o gli sparuti gruppi di tifosi delle squadre ospiti rinchiusi letteralmente dentro una gabbia. Non parliamo del materiale pirotecnico utilizzato illegalmente, a volte vere e proprie bombe, causa di ripetute multe che prende la società, anche per le fonti luminose dirette contro i giocatori delle squadre avversarie e gli arbitri. Comportamenti incivili di quanti dentro lo stadio ritengono di potere fare e dire ciò che vogliono. Anche tirare di tutto dentro il campo da gioco. Recentemente il Palermo è stato sanzionato perché un accendino ha colpito l’arbitro. Il Barbera deve essere sempre più un luogo attrattivo per le famiglie. Ci guadagnerebbe la civiltà e si avrebbero molti più tifosi normali. Dove per normale si deve intendere una persona che tiene ai rosanero, si dispiace se le cose non vanno bene e nel caso critica, o esulta nei momenti migliori, ma che non varca gli ingressi del Barbera per fare la guerra con parole, comportamenti e gesti che fuori verrebbero immediatamente perseguiti codice penale alla mano.
Chissà quando sarà possibile assistere a una partita con tifosi avversari sistemati dove vogliono. Chissà quando si potrà vedere in pace una gara senza il perimetro divisorio molto fastidioso che separa gli spettatori dal campo. Chi non salta è civile, non chi non salta è catanese, si potrebbe finalmente cantare. Ecco, la serie A sarebbe innanzitutto questo. Se ancora non è così la colpa è di poche migliaia di sedicenti “tifosi”. Trasferiamoci dentro la tempesta di critiche che investono il Palermo calcio al momento e per la verità a partire dal risultato finale dello scorso campionato. Sia chiaro, in Italia ci sono milioni di commissari tecnici della nazionale in servizio permanente effettivo. Tuttavia occorre tenere in considerazione i fatti. Che può essere procedura fastidiosa ma molto consigliabile. I rosanero sono stati ripresi pochi anni fa, cioè nel 2019, dal fondo in cui erano caduti. E ciò grazie a un imprenditore palermitano, Dario Mirri. Che rischiando del proprio e facendo dunque fatti più che parole, sport quest’ultimo nel quale a Palermo moltissimi sono più che bravi, ha ripreso la società riportandola subito in C.
Dopo un primo torneo di vertice in C, il secondo anno la compagine di Viale del Fante è tornata in B. E qua assistiamo a un passaggio estremamente importante. La squadra di punta del calcio siciliano viene messa sapientemente nelle mani di una holding sportiva di prima grandezza a livello mondiale, il City Football Group. Mirri rimane presidente e tifoso. E quanto sia tifoso che segue tutte le partite in piedi lo vedo dal mio seggiolino in tribuna allo stadio. Questa storia la conosciamo, ma è bene rammentarla perché a Palermo ci si scorda subito di tutto. E' vero che il Palermo calcio negli anni precedenti aveva calcato da protagonista la seria A. Ma non si assicurò allora, tutt’altro, un passaggio che desse continuità a quel periodo. Cosa che adesso si è fatta e non era per nulla scontato. Ogni volta che i tifosi si abbandonano a commenti distruttivi, allo stadio e sui social, dovrebbero fare mente locale su tale consolidato quadro sportivo e finanziario. Che ha portato in dote pure risultati e certamente altri ne verranno su tali basi. Nel primo anno di B, dove i tantissimi tifosi commissari tecnici si sono fatti apprezzare con critiche affilatissime, il Palermo ha ottenuto gli stessi punti dell'ultima squadra ammessa ai playoff per accedere nella massima serie.
Nel campionato in corso, che è ancora abbastanza lungo, naviga su posizioni di testa ed ha tutte le chance di agganciare una delle due posizioni che assicurano l'accesso in A. Certo, si possono pure vincere tutte le partite. Ma in un campionato molto lungo è fisiologico avere periodi di calo anche importanti e poi occorre tenere presente che in campo ogni partita c'è la fastidiosa presenza della squadra avversaria. Magari, andrebbe detto ai molti “tifosi” che si lamentano, Palermo fosse in testa alla classifica, vicina alla A, in tanti importanti e fondamentali indicatori della qualità della vita. Che invece, classifica dopo classifica e anno dopo anno, la vedono in coda insieme agli altri capoluoghi di provincia siciliani e del mezzogiorno. E va detto che i responsi impietosi di tali graduatorie sono in quota parte considerevole addebitabili proprio agli stessi cittadini, di cui la massa dei tifosi costituiscono un completo spaccato economico e sociale, che certo non vivono a Palermo con livelli di cittadinanza finlandesi.
Qualcuno ha obiettivi e programmi importanti sul Palermo calcio. Programmi e obiettivi sono merce rara alle nostre latitudini. Magari ve ne fossero tanti così solidi sulle tante città di cui è composta la nostra metropoli. Molti “tifosi” avevano già mentalmente acquisito la Serie A nelle loro teste. Devono avere un po’ di pazienza e vero amore verso i colori della propria squadra. Esultare quando si vince è sin troppo facile. Capire il contesto e non pretendere tutto e subito richiede una maturità che si deve conquistare in primo luogo sugli spalti. L’importante è sapere che il percorso è quello giusto. E per me, tifoso abbonato, la strada tracciata è abbastanza chiara.
Articolo dal sito del giornale
https://www.palermotoday.it/social/segnalazioni/palermo-cittadella-cori-tifosi-esonero-corini.html
Da facebook
PALERMOTODAY
– 15 OTTOBRE 2023
Ricreazione
vietata fuori dalle aule? Sì alle agorà dentro le scuole, ma si mettano da
parte i cellulari
Francesco
Palazzo
E' vietato vietare in
Sicilia e a Palermo la ricreazione esterna agli edifici scolastici, perché ciò
limiterebbe i nostri studenti e le nostre studentesse di aspetti relazionali
fondamentali con i loro coetanei? Se tale domanda da adulto mi fosse stata
posta tra il 1978 e il 1983, cioè quaranta e più anni fa, ossia il periodo in
cui ho frequentato la scuola superiore, non avrei avuto dubbi, per quanto sia
sempre opportuno coltivarli.
Erano talmente poche per
me ragazzo di periferia le possibilità di avere tanti altri contatti
"liberi" oltre la ricreazione con i miei compagni di scuola, che
effettivamente l'avrei vissuta male una negazione in tal senso. E con molte
ragioni. Ma siamo nel 2023. Quasi cinquantanni di calendario dagli anni
settanta. Ma in realtà anni luce da quel periodo se consideriamo come è mutata
la società. I costumi, fatti di una miriade infinita di angolature, sono
completamente cambiati. Basti pensare che i contatti tra i giovani di oggi
avvengono incessantemente, giorno e notte, attraverso gli smartphone. Da questo
punto di vista magari dovremmo preoccuparci più della qualità di questo
diuturno e compulsivo relazionarsi e vedersi attraverso i cellulari, che della
quantità. Che davvero è infinita e talvolta pure dannosa.
Ma lo stare insieme non è
fatto soltanto di elettronica, oggi. Un po' tutti conosciamo la vita quotidiana
di figli e nipoti in età scolare. Con i compagni, le compagne di scuola ,
oppure amici e amiche, si esce praticamente quasi ogni sera, si va in vacanza
insieme in Italia e all'estero senza difficoltà. Cose che quarant'anni addietro
erano inconcepibili. Ed è bello che le cose siano cambiate. "Tutto buono e
benedetto", avrebbe sentenziato la mia nonna materna. Per quanto detto,
innanzitutto occorre sempre collocare storicamente le nostre discussioni. Si
potrebbe però obiettare una cosa. Ma con tutta questa libertà tecnologica ed
esistenziale che senso ha vietare uno spazio di questo tipo?
La mia risposta è che
avere una limitazione nel 2023 non nel 1950, non della libertà, che è parola
che francamente lascerei ad altri più pregnanti contesti, può essere, tenetevi
forte, un'occasione di crescita. Cosa impedisce a questi ragazzi e ragazze di
conoscersi e riconoscersi anche nel momento di ricreazione vissuto dentro le
patrie istituzioni scolastiche? A occhio e croce, nessuno. Occorrerebbero,
questo sì, delle scuole in grado di offrire spazi opportuni, tipo agorà o
giardini interni, in cui i nostri adolescenti possano passeggiare e parlare.
Magari guardandosi negli occhi e mettendo da parte i cellulari. E certo anche
con punti in cui rifocillarsi.
Che poi, queste
ricreazioni esterne alla fine cosa sono e che socializzazione assicurano. Ma vi
pare che fare, più o meno da soli, la coda al bar o in panineria contenga tutta
questa crescita? Possiamo discuterne. Peraltro per mangiare potrebbero
prepararsi o farsi preparare qualcosa di sano la mattina. Meno fast food e più
slow food, insomma. Ho letto che per questo "divieto" c'è un clima di
sciopero tra i ragazzi. Uno sciopero non si nega a nessuno, figuriamoci.
Ma forse i nostri figli e
nipoti farebbero bene a farsi anche un ragionamento collaterale. Quando
la ricreazione sarà veramente finita, cioè quando avranno completato i loro
cicli di studi con la triennale universitaria, saranno costretti ad andarsene
da questa terra. E sappiamo tutti cosa ciò significa. Case svuotate e società
meridionale carente di giovani intelligenze e saperi. Ecco, quello, cari
ragazze e ragazzi, sarà, visto che non lo sceglierete, un vero attentato alle
vostre libertà più vere e importanti. Se insieme alla motivazione della
ricreazione infranta aggiungerete pure quest'ultimo aspetto, sarà più agevole
sintonizzarci sui vostri disagi.
Articolo dal sito del giornale
Pagina facebook del giornale con l'articolo, le reazioni e i commenti
CITTA NUOVE CORLEONE - 14 OTTOBRE 2023
Mafia, antimafia &
fiction. Il problema non è raccontare di più l’una o di più l’altra, ma
raccontare tutto e meglio, senza inutili orpelli retorici
Francesco Palazzo
Il
dibattito, interessante, lo ammettiamo, non è nuovo. Al contrario. Quando si
parla di mafia può capitare di ascoltare il parere, ovviamente
rispettabilissimo e con alcune ragioni al suo arco, che i film, le fiction o
altri prodotti di questo tipo che parlano di mafiosi possono rischiare di
esaltare figure che magari i giovani potrebbero prendere ad esempio
positivo.
Ultimamente
si è chiesto di esaltare piuttosto e soprattutto le vittime del disonore
mafioso. Cosa giustissima e preziosa, che per la verità si è fatto e non da
ora. Infatti, la vita di molti eroi morti sotto il piombo mafioso è stata
trasportata in prodotti cinematografici e televisivi che hanno avuto largo e
duraturo successo. L'elenco sarebbe molto lungo. Su Don Puglisi possiamo
contare film, documentari e tanti libri. La stessa cosa vale per i giudici
Livatino, Falcone, Borsellino, Chinnici e altri magistrati. Per l'imprenditore
Libero Grassi. Per Peppino Impastato, Piersanti Matterella o Pio La Torre.
Città Nuove Corleone - 17 settembre 2023
Francesco Palazzo
La Repubblica Palermo - 20 agosto 2023
Dopo la violenza di gruppo a Palermo: l’abitudine della città alle brutture
Francesco Palazzo
Il gravissimo fatto di
cronaca, una ragazza che viene fatta oggetto di violenza sessuale a Palermo, i
cui contorni ovviamente devono essere definiti e chiariti dalla giustizia, ci
rimanda l'immagine di una comunità in cui in fondo ci si può abituare a non
vedere.
La ragazza ha detto, da
quanto viene fuori dalle indagini, di aver chiesto aiuto, ma di non essere
stata notata dagli altri. I motivi di questa indifferenza possono essere tanti.
Troppi, in una società massificata che vive oramai più sui social che nelle
concrete dinamiche individuali. A tal proposito, con riferimento a come viene
considerata la donna, può essere molto istruttivo farsi un giro sui
protagonismi imperanti in alcuni social.
Per considerare nella sua
complessità la cosa, è possibile che in una comunità in cui molte cose non sono
al loro posto o non dovrebbero più esserlo, anche una circostanza come questa
di una ragazza che chiede aiuto, possa essere catalogata, prima che la
brutalità avvenga in un luogo fuori dalla vista, come un'altra cosa normale che
non è al suo posto. La cronaca ci dice che il fatto avviene nei pressi di un
cantiere che non dovrebbe stare più lì, visto che sono trascorsi dieci anni, da
quanto leggiamo, dalla sua apertura. Oramai l'insenatura di questo luogo è
diventata pure parcheggio. Dove personalmente più volte ho lasciato l'auto. È
un luogo dove transito spesso durante la mia attività sportiva.Tra le lamiere
prospicienti il marciapiede vedi pure diversi posteggiatori abusivi all'opera.
Che in tutta la città non dovrebbero stare nelle loro postazioni ma a cui tanti
cittadini e cittadine pagano regolarmente il pizzo. Pure la mafia, per la
verità, dopo secoli di presenza non dovrebbe più starci. Ma sta al proprio
posto perché tollerata e foraggiata a vari livelli, sia popolari che borghesi.
Ti rendi conto in
perfetta buona fede che tante cose, che non stanno nel posto giusto o non
dovrebbero più starci, possono diventare tanto normali da non
"vederle" più. Così come si può non accorgersi di una ragazza che
chiede sostegno. In mezzo ci può stare dunque anche il non "vedere"
quotidiano, perché oramai è una postura cui hai fatto l'abitudine. Sino al
punto da non registrare un fatto grave che si sta consumando sotto i tuoi
occhi.
Siamo stati di recente in
una bellissima capitale europea, Riga, pienissima di liberty (circa 800 palazzi
uno più bello dell'altro) stile del quale ci riempiamo la bocca avendolo in
molti casi fatto fuori, una città dove ogni cosa è al proprio posto.
Semplicemente. Quando ogni anno torniamo dalle vacanze abbiamo qualche giorno
di difficoltà, poi ci riabituiamo a tutto. Ogni cosa presa da sola non è la
fine del mondo. Ma insieme tutti i pezzi dissonanti formano un quadro in cui
abbiamo trovato la nostra dimensione, che tuttavia non è giustificabile.
Che so, percorrendo il
sottopasso verso la Cala mi aspetto di trovare un incolonnamento dovuto alla
tante auto lasciate malamente in sosta per prendere qualcosa da mangiare.
Stessa cosa, in questo caso per lo shopping, vediamo in via Sciuti, in via
Terrasanta, in via Ausonia, in via Belgio. Solo alcuni esempi di cose, in
questo caso automobili, che non sono al loro posto. Ci abituiamo. Consideriamo
normalità anche quelli che una volta erano i birilli colorati ai margini del
prato del Roro italico e che da tempo sono non più presentabili. Ci abituiamo
pure allo scheletro di quella che doveva essere la piazzola di legno con
annessa passerella che doveva sorgere sul mare nella costa sud o di levante,
mai messa in funzione e più volte devastata dagli incendi. Consideriamo
fisiologiche le auto e le attività commerciali che impediscono di vedere il
porticciolo di Sant'Erasmo. Cose che non sono al loro posto o che non
dovrebbero più starci. Si potrebbe anche dire del fogliame che abitualmente
ricopre il lungo tratto di marciapiedi che unisce la Statua al Politeama. Lo
calpesto quasi ogni giorno nella lunga vasca Stadio - Porticciolo di
Sant'Erasmo e ritorno. Ti abitui pure a quelle foglie che non dovrebbero stare
lì.
Ma non è normale questa
assuefazione. È bella Palermo e tante persone lavorano per renderla sempre più
attraente. Ma non può essere normale che in molti quartieri per aprire un
negozio o acquistare una casa occorra chiedere il permesso al mammasantissima
di turno. Che non dovrebbe stare lì e in nessun altro posto. Ecco. Se in questa
città, insieme alle tante cose belle e positive che si fanno, facessimo stare
al proprio posto quello che deve starci, togliendo da tanti contesti ciò che
non deve o non deve più esserci, forse, dico forse, potremmo porre sempre più
le condizioni per ascoltare bene e "vedere" subito ciò che è
dissonante e quindi urgente da affrontare. Anche il grido o il pianto sommesso
di una ragazza che chiede aiuto.
La Repubblica Palermo – 4 aprile 2023
Palermo, non basta la bellezza a colmare le distanze
tra i bambini del centro e quelli di periferia
Francesco Palazzo
Sono nato a Brancaccio
nel 1964 e quaranta e più anni fa, in pieno Novecento e guerra fredda ancora in
corso, c'è stato un periodo in cui alcuni ragazzi promuovemmo l'installazione
di diversi murales per le vie del quartiere. Così come sempre negli anni Ottanta
del Novecento si lottava, coinvolgendo anche le scuole, per il recupero di
spazi abbandonati e la riconversione di altri verso la bellezza. Allo stesso
modo, ne ricordo una in particolare con i palloncini, c'erano
manifestazioni con i bambini delle scuole contro la mafia. Si pensava, come
oggi, quindi siamo ancora a 40 anni fa, che la creazione di colori, il recupero
di spazi e strutture e la sensibilizzazione contro i mafiosi fossero i punti
mancanti di un mosaico che potessero completare il disegno e farci uguali o
simili ai coetanei di altre parti più progredite e servite della città. Che dopo diversi decenni si debba ritenere che ancora
questa sia la strada maestra ci dice molto. Se siamo ancora a quel punto
significa che i divari di alcune zone della città rispetto ad altre non sono
stati colmati e dunque forse occorrerebbe, con realismo e onestà intellettuale,
ritenere che non può essere questo il sentiero maestro. Ciò che occorre
affinché tutti i bambini partano dalle stesse condizioni non può essere
costruito da associazioni e volontari o dalla carità, ma deve essere garantito
dalle pubbliche istituzioni come base di partenza uguale per tutti. Altrimenti
si rischia di rivestire di retorica e di retorica infiocchettare rimedi che a
nulla rimediano. La bellezza messa a coprire ciò che non funziona non salverà
il mondo ma rimanderà sempre a dopo lo scioglimento dei nodi cruciali. Quelli
per cui, oggi come e più di 40 anni fa, le differenze di partenza tra un
bambino e una bambina che nascono e crescono allo Sperone o in via Libertà sono
uguali o forse risultano peggiorate rispetto ad allora. E se così è, dobbiamo
riconoscerlo e lottare affinché tra 40 anni non sia più così. Oppure si devono
applicare gli stessi rimedi di 40 anni fa, quando i fatti e i numeri che sono
davanti a noi ci dicono che non spostano nulla o poco o forse peggiorano la
situazione, visto che rispetto ai primi anni Ottanta del Novecento le disparità
in termini di condizioni di partenza tra un quartiere periferico e uno centrale
sono le stesse oppure peggiorate? E che siano peggiorate ce
lo dicono le analisi dei flussi elettorali. Cioè il comportamento ai seggi dei
genitori dei bambini e delle bambine di Palermo. Nel quadrilatero che possiamo
chiamare della Ztl il voto è più libero. Più ci allontaniamo da questa zona,
più il consenso rimane legato all'assistenzialismo. Insomma, il cerchio si
chiude e non lo si può riaprire e modificare con i pannicelli caldi. Per
carità. Che si continui con i murales, le corse, le manifestazioni di vario
tipo. Sicuramente salveranno le giornate o daranno colore a qualche facciata.
Purché si riconosca che un'altra è la realtà e che non può essere la soluzione
mettere la più bella carta da parati che c'è sopra un muro cadente.
LA REPUBBLICA PALERMO - 16 MARZO 2023
SCOMUNICA AI MAFIOSI, COME PASSARE NELLE PARROCCHIE DALLE PAROLE AI FATTI
Francesco Palazzo
In occasione del decennale dalla sua elezione, papa Francesco è tornato
a parlare di mafia. Facendo anche il nome di don Puglisi, ha confermato la
scomunica per i mafiosi. Siamo nell'anno del trentesimo anniversario
dell'omicidio mafioso di don Pino, a cinque anni dalla visita a Palermo di
Francesco nei luoghi di 3P e a trent'anni dal monito contro i mafiosi, che era
in realtà una scomunica al cubo, di Giovanni Paolo II sotto il Tempio della
Concordia. Ci si può dunque chiedere - i tempi sono abbastanza maturi, direi
che si viaggia con molto ritardo - cosa esattamente, quotidianamente, vuole
significare tale scomunica dal punto di vista sacramentale e pastorale. Dire
che la mafia e i mafiosi sono scomunicati in linea di principio può essere
appagante per la Chiesa, per il risvolto massmediatico che ogni volta ha tale
sentenza pronunciata urbi et orbi. Ma tutto va portato a terra.
Dal punto di vista dei sacramenti, a parte casi specifici e isolati, si vietano
matrimoni, funerali, estreme unzioni, accostamenti all'eucaristia? Magari ci
siamo distratti ma non ci pare. Del resto, se un intendimento non diventa un
fatto giuridico, non esiste. Quando la Chiesa vuole, ad esempio con i
divorziati risposati civilmente o conviventi, trova il modus operandi.
Pertanto, oggi può ricevere l'eucaristia un mafioso conclamato e condannato a
ripetizione e in via definitiva, ma non una persona divorziata e risposata
civilmente o convivente. Qualche anno fa era stato interdetto in qualche
diocesi ai mafiosi il ruolo del padrinato legato ai battesimi e alle cresime.
Ora in alcuni contesti diocesani questo ruolo è stato sospeso per tutti. Anche
se scrutiamo l'ambito pastorale, per tanti aspetti più importante di quello
strettamente ritualistico, si registra poco seguito a questa roboante, e
ripetuta sino alla noia, scomunica. Visto che
la stringente pastorale di don Puglisi di fatto è stata abbandonata nelle
parrocchie, sopravvive nelle cattedrali tra le pieghe di omelie vibranti e
certamente negli intendimenti impliciti di qualche parroco. Sia chiaro, fare
antimafia oltre le parole, cosa nella quale siamo diventati tutti bravi, non è
semplice. Applicarla come ha fatto don Puglisi, che proprio per questo è stato
ucciso da mafiosi credenti, è tutta un'altra storia. Della quale però dal 15
settembre 1993, cioè da quella sera di fine estate che pose fine alla vita di
un presbitero sul marciapiede di un quartiere di periferia, sono state scritte,
al di là dei proclami, poche pagine. Per utilizzare, modificato, il passaggio
più conosciuto dei quattro vangeli, il verbo non si è fatto carne. Domenica
mattina, durante un passaggio veloce in cattedrale, a Palermo, ho sostato come
sempre qualche minuto davanti al posto dove riposa don Pino. Il punto,
riflettevo, è se ci si vuole fermare all'aspetto meramente devozionale, magari
richiamando in astratto la vita di don Puglisi come esempio. Oppure se si vuole
passare, e dopo trent'anni da quel colpo alla nuca sarebbe pure ora, ai fatti.
Ossia a una pastorale incarnata nelle parrocchie, non nell'alto dei cieli, che
ripercorra le orme del prete di Brancaccio. Il suo metodo. Che era fatto di
conoscenza del territorio, azioni su di esso, rapporti con quanti volevano
concretamente promuovere cittadinanza libera dalla mafia chiedendo servizi,
interazioni adulte con la politica senza chiedere finanziamenti ma sviluppo e
contrasto diretto non alla mafia in generale ma alla cosca locale. Non è la prima volta che scrivo queste cose. Ma
dalle diocesi siciliane non sembra di scorgere risposte fattive e
operative in tal senso. Soltanto buoni propositi. Perciò stavolta, visto che
per ultimo, qualche giorno addietro, è stato proprio lui a parlare nuovamente
di scomunica ai mafiosi, chiediamo direttamente all'ottimo, e apprezzatissimo
in questi dieci anni di pontificato, papa Francesco. Magari lui ci risponderà e
ci farà capire qual è la strada che la Chiesa, dopo aver messo agli atti la
scomunica alle mafie, vuole percorrere nelle parrocchie dei quartieri, dal Sud
al Nord del nostro Paese, giorno dopo giorno. Altrimenti non ci resterà che
attendere la prossima volta in cui la Chiesa cattolica ci dirà che i mafiosi
sono scomunicati.
21 gennaio 2023
Non solo borghesia: il consenso alla mafia è ancora ampio e trasversale
Francesco Palazzo
In questi giorni da tanti versanti si torna a parlare di borghesia mafiosa. Va detto che il concetto di borghesia nel ventunesimo secolo non è facile da coniugare come si poteva con più facilità fare nei decenni scorsi. Quando bastava dire, durante le ideologie imperanti, soprattutto a sinistra, la sola parola borghesia per lasciare intendere qualcosa già da sola non proprio potabile. Ci sono ancora strascichi di quelle ideologie, che beninteso avevano dentro molti aspetti positivi? Non possiamo escluderlo. Nel nostro caso ci si riferisce a soggetti della borghesia, posizionati nei più svariati luoghi, che aiutano Cosa nostra. I fatti del passato e del presente sono evidenti. Dunque la riflessione su tali individualità, perché sempre di singole persone si tratta, che possiamo senz'altro collocare nell'ambito della borghesia che va a braccetto con le mafie, dobbiamo farla. Solo che spesso, per non dire sempre, magari riverniciando pure in questo caso frammenti di ideologismi novecenteschi, si ritiene di dover assolvere o non colpevolizzare più di tanto il popolo non classificabile nell'album della borghesia. Arrivati a questo punto, a me il ragionamento pare ogni volta abbastanza zoppo, per non dire per nulla conducente. Perché, se non si vuole guardare la realtà con un solo occhio, cosa che in genere non porta a grandi traguardi di analisi, soprattutto quando si parla di lotta alla mafia, occorre aprire pure l'altro. E ammettere che nella cultura popolare, ammesso e non concesso che tra popolo e borghesia ci sia una netta cesura, si annidino ampi spazi di consenso quotidiano, voluto e ragionato, verso la criminalità mafiosa. Diciamolo chiaramente. Tra il detto e il non detto, tra l'implicito e l'esplicito, c'è questo problema. La borghesia colpevole, e il popolo senza colpe, visto che si troverebbe sostanzialmente a subire quello che è il più grande luogo comune che nel Mezzogiorno giustifica tutto. Ossia la presunta assenza dello Stato. Che invece è presente in tutto lo Stivale, certo con le carenze che conosciamo, ma pure con tanta autorevolezza. Da Nord a Sud. A meno che non si vogliano ancora ingrossare le acque del vittimismo piagnone. Se così è, bisognerebbe porsi una domanda e darsi una risposta. Messo agli atti che le consorterie criminali organizzate hanno succursali pure nel Centro-Nord, perché le mafie hanno allignato nella parte meridionale del Paese e continuano a essere presenti in tutto il Sud? Tutta colpa della borghesia mafiosa? Se questa è la sola risposta, dovremmo forse fare uno sforzo di analisi. Ammettendo che l'appoggio alle mafie è trasversale nella società. E che non esistono aiuti di serie A, quelli di alcuni individui della borghesia, e accondiscendenze di serie B, cioè quelle provenienti dalle fasce popolari. Siccome questo doppio binario, che potremmo plasticamente chiamare alta velocità e asino e carretto, non ha nessun assioma su cui basarsi, e dunque non esiste, ci tocca ammettere che il quadro è diverso e abbastanza complesso. A meno che non ci siano coloro che hanno capito tutto delle mafie e su come combatterle. Allora saremmo a posto. Ma a posto non siamo. Perché se le mafie vivono con noi spalmate su tre secoli sinora, Ottocento, Novecento e Duemila, e magari toccheranno il quarto, vuol dire che magari nel capirle e combatterle abbiamo ampi margini di miglioramento. Se andiamo nei quartieri di Palermo, tale parte non irrilevante, anzi gigantesca purtroppo, di problema la possiamo misurare ancora oggi in maniera abbastanza semplice e diretta. A meno che non ci facciamo condizionare da qualche applauso e da manifestazioni in cui sono più i giornalisti che i presenti. Quando parliamo di antimafia militante, di popolo o borghese che sia, ma tale differenza non esiste, dobbiamo ammettere che ci riferiamo a una piccola minoranza. Sicuramente c'è rispetto a prima una maggiore sensibilità, ma non più di questo. E siccome peraltro le fasce popolari sono più numerose della borghesia in senso stretto, magari il consenso maggioritario, e non meno dannoso di quello borghese, verso le mafie, non soltanto quella siciliana, rischiamo di trovarlo, e io ritengo che sia proprio così, tra il popolo.