CENTONOVE
19 12 2008
Pag. 39
ERGASTOLO, QUANDO SERVE
Francesco Palazzo
Gli uomini (e le donne) di Cosa nostra, delle mafie di qualsiasi risma e colore, resisi protagonisti di fatti di sangue gravissimi e dichiarati colpevoli in via definitiva, per tali reati, dai tribunali italiani, hanno un solo modo per far diventare la loro pena rieducativa, nel rispetto del relativo principio costituzionale. Devono collaborare con lo Stato in maniera piena e incondizionata. Rivelando fatti, complicità, relazioni politiche, consegnando ricchezze e svelando i rapporti delle organizzazioni criminali con il mondo dell’economia, delle professioni e con il popolo minuto. Questo è il primo pensiero che viene sapendo che è ricominciata, da inizio dicembre, con lo sciopero della fame a staffetta dei detenuti, la protesta degli ergastolani di tutta Italia, tra cui, evidentemente, anche tanti mafiosi condannati alla massima pena per reati gravissimi. L’oggetto del malcontento in Italia, che si inserisce nell'ambito della campagna internazionale per l'abolizione dell'ergastolo, la sua finalità immediata, è premere affinché sia discusso in parlamento il disegno di legge, presentato al Senato, all’inizio del 2007, da un’esponente di Rifondazione Comunista. Partito che ancora sostiene fortemente tale battaglia, pure a livello delle istituzioni europee, in nome della considerazione che qualsiasi pena deve tendere alla riabilitazione del condannato, e l’ergastolo non prevede alcuna fuoriuscita dalle prigioni per i condannati a vita. Il disegno di legge citato mira all’eliminazione dell’ergastolo e alla sua sostituzione con la pena massima di anni trenta. Senza differenze, questo è il punto, tra chi ha ucciso la moglie, il marito o i vicini in un momento di rabbia, o anche con netta volontarietà o lucida premeditazione, e coloro che, programmandole in ogni punto, si sono resi partecipi, in nome e per conto di un’organizzazione criminale, di stragi mafiose, omicidi singoli o delitti particolarmente efferati. Ricordiamo solo le stragi del 92, quelle nel continente del 93 o la soppressione del piccolo Di Matteo. Perché il disegno di legge, quando parla di abolizione dell’ergastolo, non pone differenze tra un delitto occasionale, sia pure culminato nell’uccisione di una o più persone, e le azioni più gravi delle organizzazioni mafiose? Vorremmo ricordare che l’abolizione della massima pena detentiva era, a quanto risulta da svariate fonti, uno dei punti principali, forse il vero obiettivo, del famoso papello. Cioè della lista di richieste che Cosa nostra avrebbe presentato allo Stato, dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, per finirla con la strategia stragista dei primi anni novanta. Mi pare corretto non dimenticare tale frangente della storia siciliana e italiana, perché altrimenti la lotta alle mafie si trasforma in una specie di gioco dell’oca. Dove a un certo punto, chissà per quale motivo, si è costretti a resettare tutto, come si fa con i computer, e ricominciare da capo. Sino al prossimo periodo emergenziale, al successivo omicidio eclatante di qualche esponente delle istituzioni e, perché no, sino alla prossima strage. In questi frangenti, è già successo diverse volte, molti si stracciano le vesti e invocano strumenti legislativi, penali e restrittivi particolarmente duri. Poi passano gli anni, il pendolo torna indietro, si attraversa una fase di bonaccia con una mafia silente per fatti di sangue, e proprio per questo, lo sappiamo, più forte e ricca, e si allenta la tensione. Tanto da proporre, ed è stato per primo il centrosinistra a farlo in Italia nel corso della passata e breve legislatura nazionale, l’abolizione del “fine pena mai”. Riteniamo che tale discussione vada fatta con responsabilità, distinguendo tra i reati e tenendo presente l’agenda storica di questo paese, molto diverso dagli altri. Perché, se è vero che negli altri paesi europei l’ergastolo o non è previsto (in verità in poche nazioni, se non erriamo tre) o è attuato ricorrendo a misure sostitutive dopo un determinato numero di anni, è anche lapalissiano, assodato, indiscutibile, che nessuna nazione dell’Unione Europea è segnata dalle mafie come l’Italia. Le quali mafie hanno in pugno, oggi non vent’anni addietro, che lo si voglia ammettere o meno, metà del paese e sono già ben insediate nell’altra metà. Non si possono chiudere gli occhi davanti a ciò. Dunque, più che chiederci quando ci sarà la cancellazione del “fine pena mai”, senza distinguere tra mafiosi e non, dovremmo sposare la campagna: “fine mafie, quando”?