venerdì 20 dicembre 2013

Bene gli appelli ai palermitani, ma il comune faccia di più.

Repubblica Palermo
19 - 12 - 2013 - Pag. I

Francesco Palazzo

In genere un' amministrazione convince i cittadini al virtuosismo civile con le pratiche di governo quotidiane. Che, di norma, sono il frutto del mantenimento degli impegni programmatici sui quali si era chiesto il voto all' elettorato. Quando, invece, si arriva ad un drammatico appello pubblico quale quello lanciato dal sindaco Orlando ai palermitani sul fronte raccolta rifiuti, con in più il fatidico riferimento a quelli che c' erano prima, che magari sarà realistico ma è sempre percepito come una excusatio non petita, si capisce che siamo su un versante di non ritorno, una specie di ultima spiaggia. A cui si arriva, peraltro, non a fronte di una mega evasione contributiva dei palermitani, ma proprio nel momento in cui con la Tares si sta chiedendo un corposo aiuto finanziario alle casse del Comune. Per carità, i nostri concittadini, sul fronte dell' utilizzo selvaggio del territorio, non si fanno mancare niente. Proprio l' altro ieri, una distinta signora, entrando in un rinomato bar del centro con pelliccia indosso, lanciava la cicca accesa senza guardare chi c' è dietro facendomela passare a qualche centimetro dal volto. Sarà la stessa proprietaria della lussuosa Mercedes che vedo quasi sempre parcheggiata sulle strisce pedonali? Potrebbe essere pure quella che porta a passeggio il cane e lascia il suo ricordino a futura memoria. No, saranno tre persone diverse. Che si danno il cambio in città, sino a raggiungere una grossa fetta di popolazione che quando è fuori fa quello che gli capita. L' appello del sindaco, perciò, è sacrosanto. Ma il punto è che cade in un momento in cui, raccolta dell' immondizia a parte, la città non brilla di certo per pulizia e decoro, in luoghi dove il Comune, e non certo i cittadini, dovrebbe intervenire. Faccio solo tre esempi su tre luoghi precisi, ma è chiaro che la casistica si potrebbe ampliare sino a farne un saggio, non un articolo. Primo esempio: viale Regione Siciliana, asse viario dal quale giornalmente transitano tantissimi palermitani. Ebbene, da tanto tempo ormai, le aiuole, si fa per dire, spartitraffico tra le due strade sono piene di rifiuti vari. E qui è colpa degli automobilisti, esperti nel lancio dal finestrino di ogni cosa che ritengano sovrabbondante nelle loro vite. Ma i sotto marciapiedi sono pieni di aghi di pino, lasciati li, suppongo, da quella volta in cui qualcuno del Comune li raccolse, scordandosi poi di portare via i vari cumuli che aveva creato durante la generosa spazzatura. Che si aspetta a raccoglierli? Questi aghi aiutano in occasione di piogge abbondanti o sono da ostacolo? Sono un deterrente per gli automobilisti incivili o un incoraggiamento? Secondo esempio: la prima fermata della linea 101 di viale Croce Rossa. Alcune basole del marciapiede sono, da mesi e mesi, divelte, creano uno squarcio di polvere sul terreno e una vista davvero da città di quart' ordine. In questo contesto, secondo voi, agli utenti che prendono i vari autobus, risulta più facile o più difficile gettare mozziconi, cartacce e quant' altro nei dintorni? Inoltre, molti cestini adiacenti alla zona non esistono più, e quei pochi ancora esistenti sono spesso strapieni. Terzo esempio: si sa che le foglie cascano dagli alberi e difficilmente vogliono saperne di risalire. Dunque vanno raccolte, ma non certamente dai passanti. Mi capita, in via Trinacria, nella strada della mia edicola, di vedere, e la scena si ripete davanti ai miei occhi da ottobre sino a oggi, un tappeto fitto di fogliame, che le piogge fanno diventare fango e che costituisce anche un pericolo per chi deambula. È semplice o arduo mimetizzare, nel sottobosco che è diventato un pezzo di strada di Palermo, gli escrementi dei nostri amati compagni canini? Non c' è dubbio che è una facilmente percorribile istigazione a delinquere. In definitiva, il nocciolo della questione, per come la vedo io, è il seguente. Prima di chiedere a chicchessia il giusto assolvimento dei propri doveri di cittadinanza, ci si deve sempre accertare che una pubblica istituzione abbia già provveduto, sullo stesso asse di ragionamento, a fare il possibile affinché l' appello non sia quello che potrebbe sembrare a prima vista. Un buco nell' acqua.

domenica 8 dicembre 2013

La Sicilia che attende immobile la politica e qualcuno che non ci sta.

La Repubblica Palermo

7 Dicembre 2013 - Pag. 1 

La lezione del commerciante su politica e società civile

Francesco Palazzo

Leggendo la bella esortazione di Dell'Oglio, pubblicata il 5 dicembre, ai suoi colleghi imprenditori, ho pensato a Kennedy. Non chiederti quello che il tuo paese può fare per te, chiedi quello che puoi fare tu per il tuo paese. Una prospettiva diversa. L'unica possibile e percorribile ad ogni latitudine. Anche quella sciroccosa, latitante e piena di pietose scusanti, come la nostra. La rivoluzione della normalità. Che non si attende che prima cambi la politica, in quanto costituisce l'aspetto essenziale della vita nella polis. La politica, viziosa o proba che sia, non può essere l'unico propellente della società e comunque ne è lo specchio. «Chiediamo al mercato, chiediamo ai politici, chiediamo alle banche, chiediamo lavoro e aspettiamo che arrivi la risposta facendo poco o nulla di nuovo o di diverso per andare verso la direzione che vogliamo». Questo scrive l'imprenditore palermitano e non c'è frase migliore per descrivere una società come quella siciliana che arretra nella qualità della vita, come dimostrano le recenti classifiche, ed è da retrocessione anche per il grado d'istruzione che fornisce nelle scuole. Una società che chiede, non si sa bene a chi, e che non fa. Domanda, innanzitutto, alla politica. Sempre pronta a sfruttare la scorciatoia del potente per scavalcare qualcuno e per attingere alle risorse pubbliche. Se c'è una fetta di torta per gli altri, perché non deve esserci pure per me puro e duro? Morale pubblica e vizi privati. E' la traiettoria che porta dritta a dipingere un quadro secondo il quale la politica è brutta e la società civile è il crogiolo di tutte le virtù. Mario Dell'Oglio ci dice che se continuiamo a pensarla in tal modo, andiamo tutti a fondo. Mi pare che l'appello dell'imprenditore sia il seguente. Ciascuno, in qualsiasi parte è chiamato a svolgere la propria attività, deve metterci del suo sino in fondo. Cosa hanno fatto i miei colleghi, si chiede l'esponente della rinomata famiglia di commercianti palermitana, per affrontare la crisi? Hanno capito come reagire in tempo, predisponendo correttivi alla loro azione d'impresa, o hanno atteso che la marea travolgesse tutto? Estendendo la riflessione alla società siciliana, si può chiedere la stessa cosa a tutti noi, senza attendere che siano i partiti o le istituzioni rappresentative a sbrogliare la matassa, che certo devono fare la loro parte, ma da soli non ce la fanno. Nella nostra regione si vive e si muore di risorse pubbliche. Ma questa è una caratteristica tipica delle società sottosviluppate. La Sicilia lo è in tanti suoi aspetti peculiari? Può essere. Ma se così fosse, come uscirne? «La verità è che qui è diffusa la mentalità di chiedere al di fuori di noi stessi». Ecco, questa altra affermazione di Dell'Oglio mi pare che evidenzi il grosso limite che un po' tutti quanti dobbiamo superare. Anche quando non chiediamo alla politica e ci comportiamo peggio di essa, la scusa è quella che tanto gli altri fanno in un certo modo e questo pare un alibi perfetto. Nelle grandi come nelle piccole cose. L'altro giorno, ad ora di pranzo, ho fatto un tratto a piedi a Palermo, dalla zona dell'Ospedale Civico alla Stazione Centrale, strade popolari, e, nel tardo pomeriggio, mi sono ritrovato a fare la stessa cosa nella zona residenziale. Ebbene, in entrambi i luoghi, come cartoline fotocopia, ho contato una ventina di auto parcheggiate sopra le strisce pedonali, quasi tutte chiudevano i varchi di transito alle carrozzine. C'entra la politica? Occorre mettere un vigile a presidiare ogni attraversamento pedonale? Utilizzando le ultime parole dell'intervento di Dell'Oglio, questo ragionamento su noi stessi lo dobbiamo fare assieme onestamente. Senza giri di parolee inutili appigli. Tipo: "io che c'entro", "non tocca a me", "la politica ci deve pensare", "cosa vuoi che cambi". Dobbiamo cominciare da subito a modificare i nostri angusti orizzonti di ragionamento. Prima che la realtà, oltre che le amare classifiche, ci cacci più in fondo di dove già siamo.

venerdì 29 novembre 2013

Lo ZEN 2 e l'arte di creare ghetti.



La Repubblica Palermo

 28 Novembre 2013 - Pag. VIII 

LE 'DEPORTAZIONI' DEI SENZA CASA CHE HANNO CREATO IL MODELLO ZEN 2

Francesco Palazzo


I fatti verificatisi allo ZEN 2, tre gambizzazioni e l' occupazione di una casa come ritorsione verso una famiglia, ci consegnano, ancora una volta, il quadro di un luogo in cui tutto è possibile e la legge è solo quella del più forte, del clan. Ricorderete, ed è notizia del febbraio 2013, che, secondo le indagini che hanno portato a degli arresti, l'acqua e la luce allo ZEN 2 si pagavano (si pagano?) direttamente alla mafia. Per un affare che è stato stimato in più di 800 mila euro l' anno. Pare che la stessa organizzazione lavorasse (lavora?) anche all' occupazione delle case. Sembra che la tariffa per prenderne abusivamente una, fosse (è?) di 15 mila euro. Parlarne da lontano o dietro una scrivania, di simili scenari, è niente. Per avere un' idea precisa di quanto accade in questa parte di Palermo, e in altre simili, che teniamo lontane come se fossero enclave straniere con le quali non abbiamo niente da spartire, noi che ci sentiamo al di là della cortina di ferro del degrado, basterebbe che ci mettessimo in confronto con chi per lavoro va spesso in quelle vie lontane e perdute della nostra città. Dove anche portare un semplice soccorso è un rischio fisico per gli operatori. Contesti urbanisti e abitativi simili, nel capoluogo, aventi un' estensione più o meno grande, ve ne sono diversi. Nel caso dello ZEN 2, si tratta di un luogo pensato con l'intento di dare ordine e bellezza. In altre parti della città vi sono stabili in cui sono state mandate centinaia di famiglie provenienti dal centro storico. Il risultato, in termini di invivibilità, non muta. Perché non ha funzionato l' idea di sistemare in contesti simili tanta gente con lo scopo di aumentare la loro qualità di vita? Una risposta l' ha data chi ha ritenuto errata l' idea di partenza, ossia il mettere insieme, come in un laboratorio, persone estranee tra loro, le quali non potevano che costruire microcosmi di quotidiana disperazione, conditi da violenze verbali e fisiche. C' è chi addossa la colpa alla mancanza di servizi e non all' idea urbanistica e architettonica. Chi propone, per questa come per altre realtà, l'abbattimento, in quanto siamo di fronte a consistenti emergenze umanitarie. Ora, il problema è proprio quest' ultimo ed è davanti agli occhi di tutti. Come risolverlo? Una politica attenta, oltre a dire che la musica sta cambiando anche per quartieri come lo ZEN 2 (ma a noi non pare proprio), dovrebbe proporre, a medio e a lungo termine, una fuoriuscita da questo stato di cose. Prendendo atto di un fallimento, anzi di molteplici disfatte. Che hanno genesi e storie diverse. Con esperimenti davvero sconcertanti. Ne cito uno ad esempio. Tutti conosciamo, seguendo le vicende di don Puglisi, l' insediamento di via Hazon a Brancaccio. Dove, all' inizio degli anni Ottanta, si deportarono decine e decine di famiglie provenienti dal centro storico in immobili acquistati dal Comune. Con il risultato, ancora visibile a occhio nudo, di appesantire un rione già con molti problemi e di renderne ardui i tentativi di risalire la china. La microcriminalità diffusa, portata da tale insediamento di massa, ha dato negli ultimi tre decenni nuove braccia alla mafia. Padre Pino muore perché schiacciato in questa tenaglia di piccola e grande criminalità, con la complicità, da una parte, e nell'assenza, dall'altra, della politica. Ormai dovrebbe essere a tutti palese che la mafia colpisce in una seconda fase, quando già una politica disattenta ha fatto il grosso del lavoro. Allora, per uscirne senza ipocrisie e inutili rimandi, occorrono decisioni drastiche. Qual è la strada percorribile? Penso che sia alquanto improbabile pensare di abbattere e ricostruire negli stessi luoghi. Se le famiglie bisognose di una casa s' integrassero singolarmente nel tessuto cittadino, nei luoghi dove già esiste una socialità in grado di rendere migliore la loro vita, la storia di questa città potrebbe essere diversa e migliore. Si può pensare, per gli attuali abitanti dello ZEN 2, ma non soltanto, ad una graduale prospettiva di questo tipo guidata da una politica dalla mano ferma?

mercoledì 6 novembre 2013

Il PD e le pratiche democristiane.

La Repubblica Palermo
5 Novembre 2013 - Pag. I

Il PD delle tessere 
Francesco Palazzo

Nel Partito Democratico si vota per individuare le cariche politiche. Non è cosa da poco. In un momento, abbastanza lungo ormai, in cui nella storia repubblicana prevalgono i partiti personali, il fatto che ci si conti, senza costringere gli iscritti a ratificare scelte provenienti dall'alto, non può che essere sottolineato con favore. Magari a volte si esagera. E dunque a Trapani sono stati eletti ben due segretari cittadini. A partire da questo fatto, penso unico in tutta Italia, pure in un partito travagliato un po' in tutto lo stivale, viene naturale porsi qualche domanda. Circoscriviamo la nostra analisi al partito siciliano. Esso, oggi, è qualcosa di diverso da quello che era sino a ieri, ossia, un agglomerato di correnti, o si è trasformato in qualcos'altro, più inclusivo e meno belligerante al suo interno? Basta il voto degli iscritti a trasformare in veramente democratico quello che, sino a qualche ora prima, era un mosaico di generali con gruppi di seguaci al seguito? E ancora. Questa formazione politica, si avvia a diventare una comunità, dove si discute ma ci si riconosce in un cammino comune, oppure è tuttora un insieme di frammenti, ognuno con il suo pennone e il proprio schema di gioco? Ci sia consentito di formulare, su tali quesiti, delle risposte tendenti, se non al negativo, quantomeno al grigio. Un'altra questione riguarda l'elettorato che attribuisce il consenso. La base. Parola vecchia come il cucco e svuotata di significato, visto che spesso consiste in masse di donne e uomini che al massimo possono mettere una x. Dalle cronache regionali abbiamo appreso, ed è una questione che riguarda non soltanto la nostra regione, del boom d'iscritti dell'ultima ora in vista della conta interna per l'individuazione dei segretari provinciali e dei circoli. Pratica antica, quella di gonfiare i numeri in vista dei congressi, durante la prima repubblica veniva eseguita ad arte dai democristiani. Ora, è mai possibile ammettere l'iscrizione al partito sino al momento della votazione e non fissarla ad un certo punto, in modo da non consentire exploit di sospette adesioni last minute? Che tipo di consenso è quello pescato così? Aumenta la quantità, certo. Ma quanto durerà? E la qualità di tali conversioni, garantisce un passo in avanti del partito o è la premessa per fargliene compiere altri indietro? Poi c'è la questione dei circoli, che un tempo si chiamavano sezioni. E che sono state, soprattutto in riferimento al PCI, con tutti i limiti di un tempo passato per sempre, palestre di crescita, sul campo, di nuova classe dirigente. Cosa sono diventati tali circoli? Pare che la maggior parte di essi in Sicilia siano riferibili a questo o a quell'eletto nelle istituzioni sotto la targa PD. E' stato infatti abbastanza curioso notare che in alcuni circoli si votava in maniera bulgara un candidato, in altri quasi all'unanimità il suo concorrente. Come mai, posti che dovrebbero disegnare sul territorio la democrazia e il confronto, diventano sedi in cui ci si muove all'unisono tutti da una parte o da un'altra? Ci pare che sullo scacchiere insanguinato di questa ondata elettiva democratica, la politica regionale e la società siciliana rimangano sullo sfondo. E, del resto, un partito che si presenta con queste credenziali, ha residue possibilità di apportare qualche virtù benefica alla politica della nostra regione. Anzi, rischia di appesantirne i vizi. Ed è molto difficile che la società siciliana che non vive di pane e politica, cioè milioni di persone, possa mostrare un pur minimo interesse verso un partito che parla a se stesso e rimane eternamente fermo sui conflitti. Insomma, cari democratici siciliani, votare e scegliere al proprio interno non è il punto di caduta finale dell'azione politica di un partito. Ma solo una premessa. Non appena avrete finito di accapigliarvi, se rimane tempo, ricordatevi di pronunciare qualche parola comprensibile sul futuro della Sicilia. 

domenica 27 ottobre 2013

L'emozione non basta. Seminario Immigrazione 1-3 Novembre 2013.

Associazione di volontariato culturale
SCUOLA DI FORMAZIONE ETICO-POLITICA “G. FALCONE”


I FLUSSI MIGRATORI MONDIALI: L’EMOZIONE NON BASTA.

Hotel Villa Sant’Andrea di Valderice (TP) - Via Enrico Toti, 87
1- 3 Novembre 2013

Prima sessione - Venerdì 1 novembre ore 16,30 – 19,30
(Coordinata da Pietro Spalla)
Perché ci difendiamo? Basi biologiche, etologiche e antropologiche dell’aggressività umana nella difesa dei propri spazi vitali.
Introduce
Andrea Cozzo
(Docente universitario di teoria e pratica della nonviolenza)


Seconda sessione - Sabato 2 novembre ore 9, 30 – 12,30
(Coordinata da Annamaria Pensato)
L’attuale normativa europea e italiana a difesa dei confini nazionali e gli interessi della criminalità sul traffico degli esseri umani.
Introduce
Daniele Papa
(Delegato per la Sicilia dell’Associazione giuristi per i diritti degli immigrati)


Terza sessione sabato 2 novembre ore 17 – 19
(Coordinata da Francesco Palazzo)
Possono le persone circolare come le merci?
Considerazioni divergenti dal punto di vista politico.
Confronto tra
Giusto Catania (Assessore Comune di Palermo – Partito Rifondaziome Comunista)
                                                              e
Raoul Russo (Movimento Fratelli d'Italia – già Assessore Comune di Palermo)


Quarta sessione - domenica 3 novembre ore 9,30 – 12,30
(Coordinata da Daniela Aquilino)
Dalla conoscenza dei numeri reali a cosa può fare il cittadino ‘comune’ qui e ora.
Introduce
Mario Affronti
(Responsabile Unità Operativa Medicina dei Viaggi, del Turismo e delle Migrazioni - Policlinico di Palermo – Presidente Società Italiana di Medicina delle Migrazioni)



Indicazioni tecniche:· I lavori si svolgeranno presso l’Hotel Villa Sant’Andrea di Valderice (TP): Via Enrico Toti 87.
· Chi vuole può prenotare (tel: 0923 891774 - 348 1482898) una singola (euro 25,00) o una doppia (euro 40,00): la cifra è a notte + prima colazione.
Per comunicare l'iscrizione agli organizzatori acavadi@alice.it, francipalazzo@gmail.com

mercoledì 23 ottobre 2013

Una pietra per don Puglisi a Brancaccio e poi pensa a Dio.

La Repubblica Palermo 
22 ottobre 2013
Per aprire un cantiere non basta la provvidenza
Francesco Palazzo



http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/10/22/news/per_aprire_un_cantiere_non_basta_la_provvidenza-69208419/



Un laureando è colui che sta per concludere il proprio percorso di studi. Una chiesa erigenda  -  così è stato chiamato nel corso della cerimonia di domenica il luogo di culto con altre strutture ad esso legate che, come è stato annunciato, sorgerà a Brancaccio nel nome di Puglisi  -  doveva essere qualcosa in più di una, pur gioiosa, mattina di festa. Con un progetto esecutivo già convalidato in tutte le sue parti e un corrispondente finanziamento per porlo in essere in maniera completa.
Magari, non sarebbe stato male, con un preventivo confronto con la gente del luogo per capire di cosa avevano davvero bisogno e come immaginavano l'opera. Con l'apposizione della prima pietra, con tanto di bollo papale, avvenuta appunto il 20 ottobre, in realtà, da quello che abbiamo capito, non è stato presentato il progetto, come si fa in genere in queste occasioni, in quanto è ancora in via di definizione. Né è stato chiarito con quali fondi si realizzerà quello che era un intendimento del beato, di cui ieri è ricorso il primo festeggiamento in termini di calendario. Come si legge in cronaca, ci sarebbero disponibili fondi derivanti dall'otto per mille. Vedremo come, in che quantità e con quali tempi verranno utilizzati allo scopo. Il resto dovrebbe venire fuori dalle donazioni dei fedeli e di quanti vorranno contribuire.
Insomma, siamo davanti ad un proponimento ancora, in larga parte, in divenire, dunque non quantificabile nella sua effettiva realizzazione in termini monetari e a un finanziamento che, per forza di cose, non può essere definito nella sua interezza se prima il disegno di tutta l'opera non sarà stato completato con tutte le previste autorizzazioni degli organi competenti. Perché allora, viene da chiedersi, la Curia ha manifestato tutta questa premura nell'iniziare un percorso, presentandolo quasi in via di realizzazione agli abitanti di Brancaccio e a tutta l'opinione pubblica? Ovviamente, ci auguriamo che tra alcuni mesi i lavori abbiano davvero inizio. Ma qualche punto interrogativo è lecito porselo. È vero che anche don Puglisi fece riferimento e affidamento alla provvidenza quando si trattò di acquistare, per quasi trecento milioni di lire, la palazzina di fronte la chiesa dove situare il centro Padre Nostro. Ma, in quel caso, si trattò di un cammino che venne sostenuto con azioni specifiche e coinvolgenti tutto il territorio. Quanti preti delle altre parrocchie della zona erano presenti domenica nel grande spiazzo di Via Fichidindia? E quelli delle altre parrocchie della città? Pochi, riteniamo, visto che la manifestazione è avvenuta in un orario domenicale in cui nelle comunità parrocchiali sono in corso le celebrazioni eucaristiche.
Non sarebbe stato meglio convocare lì, in un altro orario o in un giorno diverso, tutto il presbiterio palermitano, in modo che oltre la pietra ci fossero i corpi dei sacerdoti a testimoniare l'avvio di un sentiero comune della chiesa palermitana? In altre parole: si tratta di un'azione corale, sentita, della comunità cattolica del capoluogo, che con questo tempio e con gli spazi connessi intende muoversi tutta nella direzione di Puglisi, o di qualcosa calato dall'alto, utile a completare il tragitto iniziato con la beatificazione di maggio? 
Va ricordato, peraltro, proprio per sottolineare la concretezza e la sobrietà di un tipo come don Pino Puglisi, che egli inaugurò ufficialmente e in pompa magna solo nel gennaio del 1993, pochi mesi prima di morire, il Centro di accoglienza Padre Nostro. Quando quella struttura era già operante dal 1991 e aveva cominciato a porre da diverso tempo segni evidenti di cambiamento a Brancaccio. 

domenica 13 ottobre 2013

Il Beato Pino Puglisi e la religiosità popolare.

Repubblica Palermo
Sabato 12 Ottobre 2013
Pag. XII

Se portassimo in processione don Puglisi

Francesco Palazzo
 
Avere un beato nuovo di zecca e portare in giro il simulacro del solito santo. Ho pensato questo quando, recentemente, ho visto a Brancaccio la statua di S. Gaetano. Sbucata dalla chiesa dove visse l'ultima parte della sua vita don Puglisi. Magari, come testimoniano coloro che lo hanno conosciuto, don Pino era allergico a processioni e reliquie. Adesso pare che la curia palermitana stia facendo circolare tra le parrocchie proprio una reliquia del novello beato. Eppure, non sono così sicuro che un segno corporeo del martire antimafia che giri tra le famiglie possa avere lo stesso effetto di quello rappresentante, con tutto il rispetto, Padre Pio. Sino a quando sono San Gaetano, Santa Rita, Cosma e Damiano, madonne piangenti, cristi morti e via elencando, a essere condotti in processione, si tratta di storie e biografie così slegate dalla contemporaneità, da essere commestibili per qualsiasi versione del credo cattolico. Anche per quella dei mafiosi. Che infatti, ancora oggi, come ci conferma una delle ultime operazioni di polizia in uno storico quartiere palermitano, non disdegnano d'infilarsi nelle confraternite per confermare il possesso del territorio pure in tali occasioni. Si correrebbe lo stesso pericolo se fosse la statua di Padre Puglisi a girare per le vie del quartiere dove è stato ucciso, per le strade dei rioni palermitani e in altri contesti della nostra regione? La caratteristica peculiare di 3P è stata quella di incarnare una chiesa dalla quale la criminalità mafiosa si mantenne ben distante. Perché la comunità cristiana, attraverso quel piccolo prete, mostrava un volto irriconoscibile ai componenti del consorzio criminale. Sino a spingerli a farla finita una volta per tutte. Molto si è detto e scritto sulla scomunica da comminare a coloro che sono condannati per reati di mafia. Ma resta il fatto che gli stessi mafiosi, siano o meno messi all'indice formalmente o a parole, continuano a chiedere sacramenti e sentirsi a loro agio dentro le mura ecclesiastiche. Sino a quando, però, qualcuno, e sinora se ne contano pochi, non mette in campo un certo tipo di chiesa dalla quale gli stessi mafiosi si tengono lontani. Se così è, non sono tanto convinto che portare in giro la statua di Puglisi, o una sua reliquia, ne depotenzi il messaggio profetico e lo riduca a innocuo santino, come molti temono. Perché c'è devozionismo e devozionismo. E' possibile immaginare le congregazioni che portassero avanti il culto del prete ucciso per mano mafiosa il 15 settembre 1993, infestate dagli appartenenti a cosa nostra? Perché una cosa è reggere sulle spalle, come succede ad esempio a Catania, il fercolo di Sant'Agata (ma la stessa cosa si potrebbe dire per Santa Rosalia a Palermo), cioè la rappresentazione scultorea di una persona nata quasi mille e ottocento anni addietro, che non interessa e non coinvolge più di tanto la vita delle persone, tranne i giorni in cui si festeggia. Un'altra è fare camminare l'effige di un contemporaneo santificato contro i meccanismi perversi e violenti della mafia. Poi è così vero che Puglisi nutrisse antipatia verso questa forma di religiosità che nasce dal basso? Voleva soltanto, e ci provò sia a Godrano che a Brancaccio con la confraternita legata al nome di San Gaetano, riempirla di autentici percorsi di fede e di spiritualità. Per dirla tutta, più pernicioso del pericolo che Puglisi venga ridotto a santino, scorgo quello che sia il santo di una piccola minoranza che si restringerà sempre più con il passare del tempo. Tanto che, parlando di don Puglisi a Catania o a Messina, ho appurato che della sua vicenda si ha una conoscenza molto limitata già nella stessa terra di Sicilia. Mentre, invece, anche celebrandolo all'interno della religiosità popolare, con tutto quello che ha voluto dire la sua vita e il modo come è morto, lo si farebbe entrare veramente nel vivo della comunità cattolica siciliana.

venerdì 27 settembre 2013

Don Pino a Messina il 30 settembre. Invito e intervista.


Padre Puglisi “Beato tra i mafiosi”, lunedì 30 l’incontro

Rosaria Cascio con Gregorio Porcaro, ex vice parroco di Puglisi

“Si può testimoniare di un prete che la Chiesa cattolica proclama ‘beato’ senza cedere alla retorica, alla falsificazione storica, al buonismo interpretativo?” è la domanda della quarta di copertina di “Beato tra i mafiosi” che verrà presentato al Feltrinelli Point Messina lunedì 30 settembre alle ore 17,45.
La risposta è che in “Beato fra i mafiosi” (Di Girolamo Editore) i tre autori ci provano (nella foto sopra una degli autori, Rosaria Cascio, insieme con Gregorio Porcaro, vice parroco di Puglisi a Brancaccio sino al giorno della sua morte, nella foto in basso gli altri due autori, da sinistra: Augusto Cavadi e Francesco Palazzo, ndr).

Francesco Palazzo è stato presidente della Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo, scrive per Repubblica Palermo, per il settimanale messinese Centonove e per il quotidiano online LiveSicilia. Nel libro ricostruisce i tre anni di Don Puglisi a Brancaccio, con qualche cenno a quanto accaduto dopo e traccia inoltre una storia recente, sino all’arrivo di Don Pino, della parrocchia di S. Gaetano e del quartiere. Augusto Cavadi scrive per Repubblica Palermo, è autore di vari libri sul rapporto fra le chiese cristiane e le mafie, tra i quali “Strappare una generazione alla mafia, Di Girolamo editore, e “Il Dio dei mafiosi”, San Paolo edizioni. Cavadi riflette sul significato teologico e filosofico di questo martirio evidenziando soprattutto come esso costituisca la spia eloquente di una comunità ecclesiale spesso indifferente. Rosaria Cascio, insegnante di lettere in un liceo di Palermo, è cresciuta nei gruppi giovanili di padre Puglisi ed è Presidente dell’Associazione “Padre Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?”. Cascio ricostruisce la metodologia pastorale di Don Pino alla luce della sua formazione teologica e psicologica e delle diverse esperienze nel corso della sua generosa esistenza.

Lunedì 30 al Feltrinelli Point i tre autori incontreranno i loro lettori. Con loro interverranno Nino Mantineo, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Messina e il giornalista di Centonove Michele Schinella.
L’idea del libro, spiega Francesco Palazzo, “è nata dalla considerazione che occorresse raccontare in maniera non agiografica alcuni aspetti di Puglisi e del contesto storico in cui visse i suoi ultimi tre anni a Brancaccio. Anche mettendo in evidenza, oltre le sue giuste intuizioni, la sua coerenza, il suo coraggio, anche qualche aspetto più critico del suo operato su cui discutere serenamente”. Nel libro, ricorda, si ricostruiscono in maniera approfondita i decenni precedenti dell’arrivo di Puglisi a Brancaccio, perché “la sua azione a Brancaccio aveva già avuto delle premesse nello stesso senso, anche se con diversa intensità esistenziale, con altri parroci”. Poi, scandagliando le precedenti esperienze di Puglisi, viene fuori il suo metodo: coerenza, ascolto, coinvolgimento nell’azione, studio dell’ambiente, programmazione. Inoltre, “si avanzano alcune interpretazioni teologiche e pastorali sul suo impegno a Brancaccio, come ad esempio il suo metodo genuinamente nonviolento. Infine, dei suoi tre anni a Brancaccio si mette in evidenza che egli fu ucciso dalla mafia non tanto per la sua azione nei confronti dei bambini ma per il suo coinvolgimento diretto e costante con un gruppo di adulti del quartiere che combatteva per diritti e strutture pubbliche”.

“Nei mesi di stesura del libro – aggiunge Rosaria Cascio – ho capito che in fin dei conti non stavo solo scrivendo un libro ma provavo a mettere pace dentro di me dopo il furto affettivo subìto con l’uccisione di padre Puglisi. Mi sono sentita un fiume in piena. Perchè si uccide un prete? Cosa poteva aver fatto in soli tre anni? Capirlo, approfondirlo e renderlo imitabile e riproducibile, questo ho tentato di fare con il libro, scrivendo quanto avevo appreso in anni e anni di confronto con gli amici e collaboratori più intimi che lui aveva avuto. Questo libro si pone dentro un processo di conoscenza che porta fino al cuore del suo modo di abbattere le pareti del tempio per consentire l’incarnazione del Bene nella storia degli uomini”. Complessa la scrittura a sei mani? “Si, ma coinvolgente e appagante. Ciascuno ha dovuto limare e collocare al meglio il proprio contributo”, dicono gli autori. Ciascuno dei quali ha un aneddoto o un momento topico del periodo della stesura da raccontare. Compresa la “crisi” al momento di scegliere il titolo. “Il momento più critico – racconta Augusto Cavadi – è stato quando si decideva il titolo. C’era il timore che il titolo ‘Beato tra i mafiosi’ potesse essere inteso ‘Beato fra gli abitanti di Brancaccio’ e che la gente del quartiere potesse urtarsi per la generalizzazione. Ma il titolo è paradossale, e certo a Brancaccio la popolazione non è costituita tutta da mafiosi, esattamente come non lo è la popolazione siciliana. Sono felice che il titolo scelto sia stato questo. Attira più lettori di quanti si temesse ne potesse respingere”.
E sull’incontro messinese, una conclusione, soprattutto. Per Palazzo l’auspicio è che “ispiri la voglia di leggere il libro, di fare in modo che si capisca che la vicenda di padre Puglisi non è un fatto lontano, un fatto ‘palermitano’; e soprattutto che aiuti a capire come può essere diversa e più incisiva la chiesa locale, messinese”. “Ho imparato – aggiunge Cavadi – molto dalle parti scritte da Francesco e da Rosaria. Tanti dettagli della vicenda Puglisi ne fanno un anticipatore dello stile dell’attuale papa Francesco”. “Sento forte – conclude Cascio –il bisogno di non fermarmi, vivo questo libro come tappa di un percorso di impegno che mi porterà a costruire, con tantissimi altri amici, il puglisianesimo”.
Cavadi - Palazzo






giovedì 19 settembre 2013

San Saverio: il volontariato che sorregge, promuove e sa farsi da parte.

La Repubblica Palermo

 18 settembre 2013 —   pagina 15  

QUEL VOLONTARIATO VIRTUOSO PRESO A MODELLO DA PADRE PUGLISI

Francesco Palazzo

Recentemente abbiamo appreso che il ristorante Il Vicoletto dell'Albergheria ha tagliato il nastro dei venticinque anni. Se fosse una semplice attività commerciale, potremmo semplicemente complimentarci della longevità. Ma visto che si tratta di un'impresa che ha avuto una genesi particolare, è una specie di miracolo. Davanti al quale non possiamo sottrarci ad alcune rapide riflessioni sul ruolo del volontariato sociale e sulle sue finalità. Il Vicoletto è una delle realtà concrete (insieme ad un'agenzia di viaggi e a un bar gelateria) messe in campo, in un quartiere molto difficile, l'Albergheria, dal Centro Sociale San Saverio, nato a Palermo nella primavera del 1986. Quando la città si apprestava a vivere un'altra primavera, politica, ormai facente parte dell'album dei ricordi. Tante le azioni poste in essere dal San Saverio, associazione di volontariato aconfessionale e apartitica. Che, come tutte le cose umane, ha avuto certo dei limiti. Soggettivi ed oggettivi. Ma che almeno per quanto riguarda alcuni aspetti, fondamentali, è da prendere ad esempio per chi prova in Sicilia ad agire nel tessuto sociale in zone multiproblematiche. Intanto, è un riferimento per quanti appendono la vita associativa alla continua erogazione di risorse pubbliche. Al San Saverio sono riusciti a sopravvivere anche nei frequenti, e lunghi, periodi di tagli. Che poi bisognerebbe riuscire a capire se davvero tutti questi fondi trasferiti producano sempre utilità sociali, culturali e, perché no, economiche. O se talvolta servono per curare pezzi di elettorato, fornendo titoli, prebende e appagamenti personali per pochi. Inoltre, il Centro San Saverio è stato gestito in questi decenni da persone che si sono date il cambio nella direzione. La circolarità negli incarichi di vertice è importante. Fa crescere nuove levee allena alla democrazia. Per di più, i soggetti che hanno svolto funzioni di guida avevano già una loro professione privata. Quindi, l'impegno che hanno assicurato al sodalizio è stato davvero a titolo gratuito. Infine, cosa più importante, nelle tre esperienze imprenditoriali promosse, tra cui appunto Il Vicoletto, hanno dato a un gruppo di persone la canna per pescare e non il pesce, avariato, in quanto sovvenzionato con i soldi di tutti. Tale aspetto va sottolineato con forza. La promozione sociale nei confronti di terzi che versano in condizioni precarie, deve, o dovrebbe, sempre avere questa finalità. Ossia, favorire operosità e saper fare che poi abbiano la capacità di camminare con le proprie gambe, vedendosela con il mercato e con la concorrenza. Non ci sono scuse che tengano. Se lo hanno fatto all'Albergheria, si può fare ovunque. Invece, quasi sempre, l' assistenzialismo rimane fine a se stesso e genera clientele a lunga scadenza, in territori dove i bisogni contano più degli ideali. E sappiamo che nella nostra regione questi contesti sono davvero tanti. Inutile sottolineare che ciò vale sempre, ma in misura maggiore quando le realtà associative nascono sulla memoria dei morti di mafia. Che lo si voglia ammettere o no, i meccanismi della signoria mafiosa e della malapolitica ad essa collegata pescano nella stessa acqua di coltura della dipendenza infinita, che non riscatta ma fa rimanere piccini. Dobbiamo, perciò, essere tutti contenti del successo di questi imprenditori che sono riusciti ad attecchire all' Albergheria. La promozione dei cittadini, senza che essi dovessero inchinarsi al potere, divenendo al contrario protagonisti del loro futuro, era lo scopo principale dell'azione del Beato Pino Puglisi. Di cui si è celebrato il ventennale della morte per mano mafiosa. E che, significativamente, come del resto aveva fatto il suo predecessore nella chiesa di San Gaetano, Rosario Giuè, guardò proprio al Centro San Saverio come modello per la sua azione a Brancaccio.

giovedì 5 settembre 2013

Palermo, la buona amministrazione come vero capitale culturale.

Repubblica Palermo

 04 settembre 2013 —   pagina 1  

Se la candidatura a capitale è un terno giocato al lotto

Francesco Palazzo

Cosa significa per una città candidarsi a capitale europea della cultura? Offrire alla comunità internazionale quanto si è realizzato nel medio-lungo periodo, oppure tentare una specie di puntata al lotto sperando di azzeccare i numeri giusti? Il termine cultura riguarda tutto il vivere quotidiano. Non è il grande evento o il racconto di mutamenti posti nel domani. È un mostrare quello che si è, oggi, in quanto singoli e come comunità. Forse è utile paragonare Trieste e Palermo, adagiate sul mare e capitali di regioni autonomistiche. A pochi passi dall'elegante piazza centrale del capoluogo friulano, dove non c' è ombra di mezzi pubblici o privati, vi sono dei gradini che portano dentro il porto. A Palermo, il porto ti respinge. Trieste, che stava per presentare anch'essa la candidatura a capitale della cultura 2019, è piena di insenature che ospitano imbarcazioni da diporto. Pure sotto il Castello di Miramare, simbolo dei triestini e a ridosso del centro storico. Qui abbiamo paura. Sul porticciolo di Sant'Erasmo c'è un'eterna battaglia. Niente attracchi turistici, snaturerebbero il luogo. Che sta morendo tra i rifiuti, invaso dalle auto, oscurato da due pompe di benzina e da gente che arrostisce carne e pesce. Trieste e Palermo si somigliano anche per l'estensione dei centri storici. Quello triestino è un delizioso e solido susseguirsi di aree pedonali. A Palermo, le isole pedonali, o falliscono una dietro l'altra o non si sa bene cosa siano, più stati d'animo che frutto di pianificazione. Tutti i palazzi del centro sono curati, a Palermo, basta guardarne alcuni in zone centralissime, che viene da piangere. Impietoso il confronto tra i mezzi di trasporto. L'Amat fornisce un servizio sempre più carente. A Trieste vengono indicati, e rispettati, in centro e in periferia, gli orari in cui passeranno i bus. Che hanno una frequenza lontana anni luce dalle nostre eterne attese alle fermate. Non parliamo dell'accoglienza turistica. Nella città di Svevo puoi comprare, anche online, una card a prezzi contenuti e usufruire di circa novanta offerte in tutta la regione. In un posto così, rivedi qualche provinciale convinzione. A Trieste, che non ha il clima di Palermo, non c'è un gazebo. Solo ombrelloni e qualche sottofondo musicale sino ad un certo orario. E i locali non chiudono, ma sono pieni. Una delle cose che ti comunicano certe città è il gusto della pulizia. Aiuole spartitraffico profumate e ricche di vegetazione dappertutto. Non si vedono sacchetti d'immondizia. Lì i musei sono ben tenuti e sempre aperti non perché pienissimi, ma in quanto l'investimento culturale viene curato a 360 gradi. Ciò che non guadagno dal museo torna indietro in termini di ricchezza. E nessuno che cerca di fregarti. In albergo un distributore erogava bevande a prezzi modici. In un ospedale palermitano una lattina l'ho pagata quasi il doppio. Non devi mendicare gli scontrini fiscali, come sovente a Palermo. Non vedi, del resto, il professionista pagare ottanta euro dal pescivendolo e andarsene allegro senza ricevuta. Di posteggiatori abusivi neanche l'ombra. Non esiste il concetto di abusivismo. Neppure nella scelta dei colori esterni delle abitazioni. Che presentano un cromatismo simile. A Palermo ognuno realizza il proprio pezzo di mondo a sua immagine. Il confronto potrebbe proseguire. Ma è meglio fermarsi. A Trieste, chiunque sia al governo, lo sanno veramente fare da sempre. Tutti i giorni. A Palermo ci vogliono quasi due anni per arruolare degli ascensoristi per i sovrappassi di Viale Regione e ancora di più per approvare il mitico e ancora assente piano urbano del traffico. Una città può essere un punto di riferimento culturale se fonda la propria vita su decennali e costanti pratiche di buona amministrazione. Senza politiche virtuose di lunga durata, che devono vedere in campo sia gli amministratori che gli amministrati, non si è capitali di nulla.

venerdì 16 agosto 2013

La vita, nonostante tutto, come sentiero per chi rimane.

La Repubblica - Palermo

14 agosto 2013 —   pagina 1  

Se il dolore più grande si trasforma in esempio

Francesco Palazzo

Sul belvedere di Castellammare del Golfo, vista mozzafiato su uno dei tratti di costa più belli della Sicilia, c' è un Cristo dentro un piccolo terrazzino recintato, in memoria di una ragazza. Il luogo trasmette serenità. La tragedia della morte di un figlio non consente via d' uscita che non sia la lunga elaborazione del dolore. Q uesto è l' aspetto privato dove non è possibile entrare. C' è, però, un risvolto pubblico sul quale qualcosa si può dire, perché può costituire, in alcuni casi, per ciascuno di noi un possibile filo di senso. A tutti capita di notare, sui marciapiedi, sui pali o sugli alberi, lapidi, foto, fiori in corrispondenza dei luoghi dove giovani vite si sono spente. Modi di prolungare un dolore domestico, di renderlo presente a chiunque passi e non cancellabile dalla storia di una città. Si tratta di esperienze che rimangono circoscritte nell' ambito della sfera parentale, un estraneo che passa velocemente da questi luoghi non ha nemmeno il tempo di rendersi partecipe di una biografia. È una reazione assolutamente comprensibile, forse anche la più normale, quella di rintanarsi in se stessi quando suona la campana della disperazione. Del resto, come si fa a pensare ad altro in certi momenti? Tutti abbiamo condiviso la sorte di due ragazze palermitane andate via a distanza di qualche anno l' una dall' altra. Livia, nel marzo del 2011, e Giulia, il primo agosto di quest' anno. Il percorso nato attorno alla memoria di Livia Morello ha come filo conduttore la solidarietà e l' amore per il prossimo. C' è un sito liviamorello. it, tre appuntamenti annuali di beneficenza già svolti e altre attività. Il ricordo concreto di Giulia Foresta, andata via durante la spensieratezza di una vacanza estiva, così hanno annunciato i genitori, sarà affidato alla nascita di un' associazione in nome della figlia che possa continuarea dire alla società qualcosa di lei. Liviae Giulia ci trasmettono, con le scelte fatte dai loro familiari, suggerite evidentemente da ciò che loro erano in vita, innanzitutto, un messaggio. La morte non è l' ultima parola da affidare al futuro e scolpire per sempre in una foto, una lapide, un mazzo di fiori, sistemati lungo le vie del mondo. Il percorso amaro della condivisione di una perdita può trovare una strada diversa attraverso l' istituzione di realtà aggregative per altri giovani, che possano formarsi avendo come riferimento i valori di chi non c' è più fisicamente. Ciò veramente permette a queste esistenze spezzate troppo presto di sopravvivere. Inoltre, le biografie che spesso escono fuori, diventando di dominio pubblico ogni qual volta accade qualcosa di ineluttabile, ci consegnano spesso una generazione di giovani che ha qualcosa d' importante da dire a noi adulti. Infine, le scelte di questi genitori e il loro riuscire a non sigillare la propria sofferenza in un umanissimo e comprensibilissimo rinchiudersi in se stessi, ci consegnano pure uno spaccato di mondo adulto che si sente parte di una comunità pure nei momenti più difficili e intende andare avanti con essa. Cercando, insieme a tanti altri, di ricomporre il mosaico della propria storia infranta. E sappiamo quanto bisogno ci sia, in una città come Palermo, di riannodare i fili del comune sentire e del comune appartenere. Anche partendo da situazioni nelle quali gli infiniti punti interrogativi sono appesi a pochissime risposte.

domenica 21 luglio 2013

La questione morale e i democratici.

LiveSicilia - Domenica 21 Luglio 2013

Il Pd e la questione morale

Francesco Palazzo


 

Ogni tanto spunta fuori la “questione morale”. A voi pare di averla messa definitivamente in archivio. Come avete fatto per la rosolia o il morbillo. Invece è lì. Quando ne sento parlare, provo un senso di tenerezza. Non ci pensi più per un periodo, ed eccola che ti prende di sorpresa. E' una dinamica rassicurante. Sai che, seppure da qualche tempo la politica la osservi con un'attenzione minore, non ti sei perso niente d'importante. Puoi saltare qualche giro ed essere sempre in partita. Perché, prima o dopo, la vedrai galleggiare in qualche dichiarazione, sarà la conseguenza di indagini della magistratura oppure il risvolto di una lotta tra fazioni, l'una che la sventola sotto il naso dell'altra.

Ora, la domanda che LiveSicilia mi pone è la seguente. C'è una questione morale nel PD siciliano? 

giovedì 18 luglio 2013

Festino: polemiche inutili e questioni importanti.

La Repubblica Palermo 

17 luglio 2013 —   pagina 1

I valori cattolici e i diritti di tutti

Francesco Palazzo

L'omelia pronunciata a Palazzo delle Aquile dal cardinale Romeo per la ricorrenza della santa patrona pone tre questioni sulle quali riflettere. In primo luogo, perché si continua a mandare avanti questa usanza della celebrazione eucaristica dentro il palazzo di città, che si ripete il primo dell' anno? Fa parte della tradizione, si obietterà. Ma tutte le tradizioni sono passibili di aggiornamenti. E se non ci riesce la politica a far passare il minimo sindacale in quanto a laicità delle pubbliche istituzioni, spero lo capisca la diocesi. E la sua guida pro tempore si limiti, in futuro, durante la visita all'amministrazione in occasione del Festino o del Capodanno, a qualcos'altro che non sia la celebrazione di un rito. Altre espressioni religiose della città vivono ricorrenze. Non per questo i rappresentanti del popolo approntano, nel palazzo di tutti, altari o cose simili. La seconda riflessione si riferisce all'agire che deve essere osservato nei rapporti istituzionali. Sindaco e assessore alla Cultura, per mostrare il programma dei festeggiamenti per Rosalia, vanno al palazzo arcivescovile. Lo fanno in punta di piedi, com' è corretto che sia. Nessun sindaco, in tale occasione, si è mai messo a leggere una sorta di omelia politico-religiosa di rivendicazioni verso la Chiesa di Palermo e di consigli non richiesti dai cattolici su come vivere meglio il Vangelo. Allo stesso modo gli arcivescovi, una volta varcata la soglia di Palazzo delle Aquile, non dovrebbero elencare alla politica memorandum su cui attestarsi per non dispiacere la Chiesa. Non deve, allora, il cattolicesimo rivolgersi alla politica utilizzando il proprio linguaggio e il proprio modo di vedere il mondo? Certo che deve farlo. In libertà e sincerità. Ma, oltre che nei giusti contesti, ricordandosi, e veniamo al terzo punto, che i rispettabili concetti sulla vita umana che il cattolicesimo veicola non è detto che debbano essere gli unici scritti nell'agenda politica. Che, invece, deve farsi carico di regolamentare una società plurale. Parliamo di democrazia. Una prassi che ancora la Chiesa non pratica del tutto. Che ha tante lacune, però sinora è il miglior rimedio per disciplinare la vita collettiva nel rispetto di tutti. Il presule nell'omelia ha rimproverato, tra le righe ma in maniera abbastanza esplicita e con parole forti, il Consiglio comunale di Palermo e la giunta di avere traviato sui veri valori. Il supporto al Pride e l'avere approvato l'istituzione del registro delle unioni civili non sono andati giù. Che queste tematiche siano un nervo scoperto lo si capisce dalla reazione, molto sopra le righe, proveniente da ambienti curiali e poi esplosa in un florilegio di dichiarazioni, dopo la proiezione di alcune immagini (gameti di due uomini, di due donne, di un uomo e di una donna e dell'asterisco simbolo del Pride), insieme con altre inneggianti all' amore, sulla facciata della cattedrale durante i festeggiamenti. Ma allora cosa dovrebbero pensare i palermitani della circostanza che una delle musiche di accompagnamento dei giochi pirotecnici al Foro Italico era tratta da un brano cattolico molto conosciuto, esattamente "Santa Chiesa di Dio"? Lasciamo da parte gli inutili pretesti usati per polemiche di poco momento e andiamo all'essenziale. Il punto è che il tipo di famiglia che il primate di Sicilia difende, e che sente minacciata dal Pride e dal riconoscimento di semplici diritti a famiglie che non rientrano nello schema padre-madre-prole, a noi va benissimo. Non crea nessun problema, né alla giunta comunale che ha sponsorizzato il Pride, né al Consiglio comunale che ha votato la delibera sulle unioni civili. Solo che esistono altri segmenti di vita che non possono essere definiti «confusione» o portatori di «valori avariati», e la politica che se ne occupa non lascia alle giovani generazioni «orientamenti socio-culturali viziati». Bisogna farsene una ragione. E confrontarsi serenamente con una società che non è più a trazione confessionale, ma che si è da tempo secolarizzata. Non ci rimetterà la Chiesa e non ci perderanno la politica e il popolo che la esprime.

lunedì 8 luglio 2013

Le due città e le due chiese di fronte alla mafia.

La Repubblica Palermo

 07 luglio 2013 —   pagina 17   

 LE DUE PALERMO DI FRONTE ALLA MAFIA

Francesco Palazzo

A ogni retata, l' ultima nel quartiere di Ballarò, pare che si scopra un dato nuovo. Che invece è abbastanza vecchio e strutturale da almeno un secolo e mezzo. Un pezzo ampio di Palermo è ancora ai piedi dei boss mafiosi. Quanto è ampio questo pezzo di città? O, se vogliamo, questo pezzo di Sicilia? Temo che in questi ultimi decenni, ci siamo raccontati la storia di una città, e di una regione, risanate e finalmente indipendenti. Se non dall'economia criminale, perché in fondo ogni giorno ci può capitare di fare la spesa o la benzina in esercizi commerciali legali provenienti da soldi sporchi, almeno dalla cultura mafiosa. Dopo l'ultima operazione di polizia, dalla Procura fanno giustamente notare che siamo in presenza di due città. La prima ancora legata alla mafia e l' altra sempre più rispettosa del vivere civile. Ma dobbiamo anche ammettere che la prima comunità, quella che risponde alle coppole storte, è molto più numerosa e forte. Potremmo, come abbiamo sovente fatto, liquidare questo ampio strato di società siciliana succube dei boss come preda della subcultura. E magari ci sarà anche questo. C'è chi però, non necessariamente povero, culturalmente ed economicamente, per fare quel tal lavoro si rivolge alla ditta raccomandata, o imposta, dal ras del rione. Poi c' è l'altra città. Quella che si è liberata. Una piccola enclave, a mio parere, che forse pensa di essere numerosa perché si conta sempre nei posti sbagliati, e invece è numericamente ancora poco consistente. Ma la città virtuosa, come esercita questa diversità rispetto al potere criminale? Forse non chiede più raccomandazioni e favori al potere politico? Forse utilizza sempre i soldi pubblici in maniera virtuosa, senza sprechi, mettendo in campo buona politica? E rispetta sempre le elementari regole del vivere civile? Se cominciassimo a rispondere ci renderemmo conto, probabilmente, che quell'altra città, contrapposta alla mafia, è ancora più sottile in qualità e quantità. E, ampia o stretta che sia, prima o poi dovrà porsi il problema di confrontarsi con i tanti che ancora sono devoti al padrino di turno. Non si può certo pensare che queste due città siano irriducibili l'una all' altra e possano continuare a ignorarsi pur calpestando le stesse strade. Così non può funzionare. Altro fronte di discussione che esce dalle ultime vicende è legato alla Chiesa cattolica. Sempre più spesso vediamo che le processioni rionali ospitano tra le loro file persone con curriculum penali abbastanza consistenti. La Chiesa lo sa che accadono queste cose? E se ne è a conoscenza, come è logico che sia, cosa fa per arginare questo fenomeno, invero abbastanza diffuso e di lunga durata? Così come si fa con Palermo, si possono ipotizzare due Chiese. Da una parte quella di don Puglisi, appena beatificato, oppure quella di Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, che ha vietato i funerali dei mafiosi condannati in via definitiva. Dall'altra, quella di chi ancora non è in grado di prendere provvedimenti altrettanto decisie non vigila, o chiude un occhio, sull' infiltrazione di elementi poco raccomandabili dentro le espressioni delle religiosità popolare. Quanto pesano queste due Chiese? Ho l'impressione che la vicenda di don Pino Puglisi abbia in qualche modo oscurato la tanta strada che anche la Chiesa cattolica siciliana deve fare su questo fronte.

domenica 23 giugno 2013

Sfilata Gay Pride: ovvero, corpi che parlano.

 La Repubblica Palermo - 22 Giugno 2013 - Pag.I
 Sua maestà il corpo padrone della scena

Francesco Palazzo

La manifestazione del Pride, che dal 14 giugno vede Palermo ospitare l' evento nazionale, ha il suo momento centrale nella parata finale dei carri. Tanti, che pur sono inclini a vedere di buon occhio le rivendicazioni del movimento Lgbti, leggono nella sfilata solo la volontà di cercare l' esibizione spettacolare a tutti i costi. Credo che la cosa possa essere vista e considerata da altri punti di vista. Che potrebbero farci scoprire la questione centrale dell' avversione, piùo meno strisciante, che in molti continuano ad avere verso questo mondo. A nzitutto, se questa è, fra le altre, la forma espressiva con la quale i Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali) decidono di presentarsi pubblicamente, bisogna prenderne atto. Non si può dire loro: fate altro o rinunciate per essere più compresi e non fischiati o derisi. Sarebbe come se, alle processioni del Venerdì santo, si chiedesse alle chiese di starsene rintanate all' ombra dei campanili e di non fare scendere per le vie le solite teorie di cristi sofferenti e madonne piangenti, ma altre manifestazioni del loro credo, perché ormai le modalità comunicative sono mutate rispetto all' inizio di questa pratica pietistica e popolare, che affonda a diversi secoli fa. È solo un esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, per dire che occorre lasciare sempre ai protagonisti la possibilità di rappresentarsi come meglio credono. Perché è pur sempre una violenza, magari travestita da dichiarazioni politicamente corrette, quella di indicare all' altro le modalità con le quali deve apparire. Non è una questione di forma, ma di sostanza. Lo sbattere in faccia il proprio modo di vivere il sesso, certo non nella quotidianità ma in un momento altamente simbolico, provoca imbarazzo. Perché tocca un tema che molti, uomini e donne, diciamo così normali, tendono a dissimulare per non affrontare ferite ed evitare conflitti. Certo, ci vuole anche altro, affinché certi diritti siano riconosciuti. Ma quell' altro non può essere messo al posto della questione principale. Che è il corpo. I corpi. La carne. C' è tutto un universo, non necessariamente cattolico o confessionale, ma anche laico, non solo di destra ma pure di sinistra, per il quale la corporeità, se non un peccato, è comunque un problema. Da tenere lontano. Ma in quei corpi, che una lunga storia ha voluto negare a se stessi e che parlano senza parole, stanno scritte tante cose. Valgono molto più di tanti convegni, pur partecipati, e di tante idee, pur espresse lucidamente. Nessun altro medium potrebbe sostituirsi a persone che comunicano direttamente ciò che sono con quello che c' è di più sacro e inviolabile. Cioè se stessi. È vero che ai vari appuntamenti nel village del Pride ai Cantieri culturali della Zisa si è visto tanto pubblico, abbastanza trasversale nella sua composizione. Ma si tratta di persone, generalmente, già sensibilizzate al riconoscimento dei diritti verso i Lgbti. È come sfondare una porta aperta, che non sposta di molto lo stato delle cose. Mentre, al contrario, il corteo dei carri con le persone festantia bordoè una manifestazione popolare, di strada, che tutti possono vedere e che rimane nell' immaginario collettivo. Più che guardare cosce, seni e paillette, proviamo a scrutare gli occhi delle persone che sfilano. Quelli non mentono e narrano sofferenze che vengono da lontano. E se qualcuno fischia e altri sfottono non è perché ci si trova di fronte a fenomeni da baraccone. Ma in quanto quei corpi che si mostrano vanno a toccare livelli di consapevolezza profonda e pongono domande dirette. Alle quali non si sa rispondere se non con lo sberleffo. E ciò significa che ancora molta strada è da fare. Anche attraverso una sfilata piena di colori e di vita.

domenica 16 giugno 2013

Cosa chiede il Gay Pride?

 LiveSicilia
16 Giugno 2013

La politica aperta del Gay Pride. E quella chiusa del Family Day.

Francesco Palazzo

Parliamoci chiaro. L'omosessualità, la trasnsessualità, la bisessualità, sono ancora viste da un'ampia parte di opinione pubblica come problemi. Situazioni esistenziali da cui stare alla larga. Pregando Iddio che non capiti proprio a me, a mio figlio, a mia figlia, alla mia famiglia più stretta. Chi vive una vita sessuale e sentimentale diversa da quella della maggioranza, incontra ostracismi di vario tipo. C'è chi li esprime in maniera eclatante e chi si limita a farlo, e sono tantissimi, con sorrisini e battutine spalmate nel quotidiano. Tante piccole ferite che non si vedono e che fanno ancora più male.

Anche il Gay Pride, che si sta celebrando a Palermo dal 14 al 23 giugno, suscita avversione. Proveniente, in maniera trasversale, da destra a sinistra. Basterebbe leggersi i commenti su questo giornale, farsi un giro su facebook o semplicemente parlare con la gente per strada. Insomma, il problema esiste e va affrontato. Non lanciando generiche fatwe contro coloro che hanno posizioni chiuse sull'argomento. Ma ragionando. Nel chiedermi il contributo che leggete, LiveSicilia mi fa una domanda precisa. Che tipo di politica esprime il Gay Pride?

Sono andato a guardare la piattaforma politica sul sito palermopride.it/2013 e l'ho incrociata con quella del Family Day, che si svolgerà, volutamente, a Palermo, il 22 e il 23 prossimi. In questo volutamente c'è la profonda differenza politica tra i due eventi. Il Gay Pride non nasce in contrapposizione a qualcosa, il Family Day, sì. E' vero che un rappresentante della conferenza episcopale siciliana ha voluto sottolineare che la manifestazione non è contro qualcuno. Ma, ancorché proveniente tale dichiarazione da una voce autorevole (ma isolata), tutto lascia presagire che così non è. Si è voluto mettere in scena una specie di derby a Palermo.

Come se la vita sessuale, in tutte le sue manifestazioni, non facesse già parte delle nostre famiglie. Normali e più che normali. Al fondo c'è una questione che richiama due diverse tipologie di società e quindi di politiche. Le rivendicazioni del Gay Pride intendono conquistare diritti senza che questi significhi toglierne ad altri. Quali sono queste rivendicazioni? Riconoscimento del matrimonio civile per coppie formate da persone dello stesso sesso e delle unioni civili per coppie formate da persone dello stesso sesso o di sesso diverso, attraverso una normativa diversa da quella del matrimonio. Estensione al partner o al genitore non biologico della co-responsabilità sul minore, possibilità di adozione ai singoli o alle coppie formate da persone dello stesso sesso, definizione di una nuova legge che permetta l’accesso alla procreazione assistita per singoli e coppie, anche dello stesso sesso.

Si chiede, inoltre, che la discriminazione sia combattuta attraverso interventi formativi per i dipendenti degli uffici pubblici e con percorsi educativi rivolti alle scuole. Si auspica che la transizione di genere sia erogata dal sistema sanitario nazionale e che la transessualità sia rimossa dal manuale diagnostico dei disturbi mentali. Dal punto di vista della politica internazionale, si vuole la depenalizzazione in alcune nazioni dell'omosessualità e l’abolizione della pena di morte, che in taluni paesi è prevista anche per i reati di omosessualità e transessualità. Questo, più o meno, è quanto. Concordi o discordi che ci si trovi sui singoli punti, mi pare un percorso che intende costruire e non distruggere.

Il complesso della privazione e dell'invasione di campo mi pare che, al contrario, contraddistingua il Family Day. Programmato “per non lasciare la città in mano al Gay Pride”. Vogliono dire no, così scrivono nel loro sito, alle adozioni e al matrimonio gay e dire sì alla bellezza della famiglia naturale. Intendono, cosi aggiungono, aiutare i palermitani a farsi gli anticorpi. Come se si trattasse di una pericolosissima malattia da scongiurare. C'è l'accusa contro le istituzioni, che non farebbero molto per tutelare la famiglia composta da un padre, da una madre e dalla prole.

Ma non vi è traccia di puntuali richieste, da inoltrate alle forze politiche e istituzionali, così come invece fa il Gay Pride con i punti che ho sinteticamente riportato. Dunque, cosa è la politica del Gay Pride? Dal mio punto di vista è una politica che tende ad allargare diritti e dunque la democrazia. Mentre, viceversa, mi sembra che l'atteggiamento del Family Day inviti a circoscrivere, a chiudere. La famiglia è bella, non vi è dubbio. Ci forma e ci protegge. E, quando è veramente sana, sa difendere e potenziare le differenze. Farne un fortino, scavando trincee, per salvaguardarla non si sa bene da cosa, visto che il Gay Pride non intende minacciarla in alcun modo, è un modo di fare incomprensibile. Come sanno bene quelle famiglie, composte da padre, madre e prole, che si trovano a vivere delle differenze sessuali che crescono e che chiedono, spesso implorano, solo di poter vivere dignitosamente. Preservando le proprie e le altrui libertà.

venerdì 14 giugno 2013

Palermo, Registro Unioni Civili: il PD non c'era e se c'era dormiva.

La Repubblica Palermo - 13 giugno 2013 —   pagina I 

La fuga dei democratici che sa tanto di autogol

Francesco Palazzo

HO DOVUTO rileggere due volte l'articolo di cronaca del nostro giornale che dava conto dell'approvazione, da parte del consiglio comunale di Palermo, del registro delle unioni civili. e coppie di fatto avranno, non appena si modificherannoi regolamenti comunali, e vedremo quanto saranno lunghi i tempi in cui ciò avverrà, gli stessi diritti dei coniugati su asili nido, buoni casa e altri aspetti assistenziali riguardanti la vita quotidiana. L'ho dovuto leggere ancora, perché la prima volta pensavo di aver letto male. L' accaduto è alquanto strano. Come l' uomo che morde il cane. Il Pdl e l' Udc, che teoricamente avrebbero dovuto essere contrari, hanno votato il provvedimento. Addirittura, un esponente del partito di Casini, nel sottolineare che il consesso cittadino stava parlando semplicemente d' amore tra una persona e un' altra, ha regalato ai colleghi una copia del Simposio di Platone. È vero che ormai sono saltati tutti gli schemi ideologici novecenteschi, ma questa è davvero una bella sorpresa. E non sono stati da meno i consiglieri del Pdl. «È un atto di civiltà», ha chiosato un esponente del gruppo dei berlusconiani, nella nostra terra, come altrove, elettoralmente in caduta libera. I consiglieri del Partito Democratico, al contrario, non erano presenti in aula al momento del voto. Non è la prima volta che il consiglio comunale di Palermo si esprime in tal senso. Era già accaduto nel novembre del 2011, con l' approvazione di una mozione, evidentemente rimasta lettera morta se c'è stato bisogno di questo ulteriore passaggio, che impegnava il sindaco di Palermo ad istituire un simile registro. E, pensate un po' , la proposta, che aveva successivamente trovato un relativo appoggio bipartisan, era partita proprio dai democratici. Allora le cose si erano sviluppate nel senso che più conosciamo. Con esponenti di spicco del Pdl, del Pid e dell' Mpa che avevano valutato il registro come fumo negli occhi. La delegazione democratica a Palazzo delle Aquile ha certamente avuto buoni motivi per non presentarsi alla chiama. Pare che si sia posto l'accento sul fatto che al momento siano altre le emergenze a Palermo. Non sappiamo se si tratta di una decisione concordata con il partito, se l' hanno presa come gruppo o se, invece, ciascuno è andato per proprio conto. Visto lo stato liquido dei partiti attuali, in cui contano più gli eletti che gli iscritti, supponiamo che potrebbero essere buone sia la seconda che la terza ipotesi. In altri tempi non sarebbe andata così. All'interno delle due formazioni politiche che hanno composto il Pd, cattolici democratici e sinistra riformista, si sarebbe avviato un dibattito su una materia così delicata e sensibile. E il voto in consiglio comunale sarebbe stato prima comunicato alla città e poi esposto ufficialmente nell' assemblea rappresentativa. Ma anche se adesso le dinamiche all'interno dei partiti sono cambiate, non necessariamente in meglio, visto che proprio il Pd viene descritto come una sommatoria confusa e convulsa di molteplici correnti personali, sarebbe stato molto meglio che i tre consiglieri democratici, attraverso una dichiarazione congiunta in consiglio, o con tre prese di posizione diverse esplicitate dagli scranni di Sala delle Lapidi, avessero chiarito prima del voto il loro pensiero. Motivando un'assenza che a prima vista è sbalordente. Nel frattempo, quello che appare all'opinione pubblica è questo. I democratici, anziché allargare il consenso su un tale provvedimento ad altre sensibilità politiche, un tempo contrarie, si sono fatti scippare da queste ultime una norma che sino a qualche anno addietro li aveva visti addirittura tra i primi e più convinti promotori. Non volendo ingigantire più di tanto una singola circostanza, possiamo però senz' altro ritenere che sia stata mancata, da parte del Partito Democratico, in uno scenario importante come il capoluogo, a pochi giorni dall' inizio del Pride, che catalizza su Palermo l'attenzione di tutta l'Italia, un'importante occasione.

venerdì 7 giugno 2013

Beatificazione di Don Puglisi, tra l'erba e il mare.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
7 Giugno 2013 - Pag. 39
Beato Puglisi palpita al Foro Italico
Francesco Palazzo
Nei grandi eventi, per chi scrive, c'è una dimensione critica, che ho già avuto modo di affrontare altrove, e una dimensione intima, alla fine la più importante per te come persona. Che sei costretto, per forza di cose, a tenerti per te. Ma in questo caso, la beatificazione di don Puglisi, come persona nata e vissuta a Brancaccio e avendo conosciuto don Pino, l'occasione è troppo particolare per lasciare tutto dentro. Ho vissuto questi ultimi mesi, da ottobre dello scorso anno, approfondendo la figura di 3P per scrivere insieme ad Augusto Cavadi e Rosaria Cascio un libro uscito nel mese in corso (Beato fra i mafiosi, Ed. Di Girolamo). E' stata una lunga tappa di avvicinamento al giorno della beatificazione. Ho vissuto la vigilia come la preparazione di una festa. Cosa può uscire di buono da un quartiere come Brancaccio? Tanta gente perbene, ieri e oggi, insieme a tanta mafia e a fasce di degrado ma anche di ceto medio e professionale molto presenti nel rione di diecimila persone. Adesso, dalle strade dove hai vissuto la tua infanzia, che ancora percorri, viene fuori nientemeno che un santo. Il sabato mattina del giorno previsto (il 25 maggio) la giornata è una delle migliori che Palermo sa sovente regalarti. Un sole splendido, cielo terso e quel venticello che non ti fa sentire neanche caldo. La colazione sotto casa e il giornale in edicola quel giorno hanno un sapore diverso. L'autobus che dalla zona residenziale ti porta nel cuore del centro storico scivola nel lungo viale semivuoto. Via Libertà, il salotto di Palermo, ti sembra più bello del solito. Scendo ai quattro canti di città, a due passi dall'imponente Palazzo Comunale. La discesa verso il mare da Corso Vittorio Emanuele, il vecchio Cassaro, dove la nobiltà palermitana festeggiò il suo splendore e visse la sua decadenza, la faccio in compagnia di gruppetti o singoli che vanno verso il palco del Foro Italico. Innalzato fra l'erba e il mare. E, forse, Don Puglisi un primo miracolo lo sta già compiendo. Decine di migliaia di palermitani, dopo che per tanto tempo hanno dato le spalle al mare, saranno costretti a guardarlo tutti insieme e nello stesso momento. Il clima è da subito rilassato, non c'è grande folla all'inizio e non vi sarà sino alla fine. Tutto si svolge in un'intimità che dona alla celebrazione un fascino particolare. L'erba, il mare, le navi che passano dietro il bianco del palco-altare, il telo bianco che copre la gigantografia del beatificando. E le colombe bianche che vengono fatte volare nel momento in cui viene scoperta la grande immagine sorridente di don Pino, cioè nell'attimo in cui viene proclamato servo di Dio. Le lacrime in quel momento non sono facili da trattenere. Ed anche nella tribuna dei giornalisti si segue il tutto non soltanto come un normale evento su cui poi riferire agli altri, ma cercando una dimensione personale che possa rimanere incisa nell'anima. Brancaccio, la mafia, Palermo, la Sicilia In quelle dure ore, dalle 10 e 30 alle 12 e 30, non pensi ad altro che a quella figura che ti sorride. Vestito come lui si vestiva. Un semplice indumento nero, che era maglietta in estate e maglioncino in inverno. Un prete che non si vestiva da prete. Così conciato si presentò una volta ad un gruppo di ragazzi che giocavano a pallone. Sono Padre Puglisi, disse. Gli risposerò. Padre di chi? Non generò figli biologici 3P. Ma un sabato di maggio migliaia di suoi figli che egli ha seminato per le strade di Palermo, della Sicilia e del mondo, erano lì a piangere e basta. E a ridere. Perché è soprattutto un giorno di festa. Da ricordare. In mezzo alla folla c'è anche un figlio particolare di don Pino. Un ragazzo di Brancaccio, era un ragazzo adesso è un uomo, che da giovane studente in medicina assistette alla sua autopsia e ora vive, da quasi vent'anni, fuori dalla Sicilia perché testimone di giustizia. Le sue lacrime e la sua gioia sono le più vere. Perché le più sofferte. La messa è finita. Così presto? La tranquillità connota anche l'allontanamento della folla dal Foro Italico Umberto I, che d'ora in poi dovrebbe chiamarsi Foro Italico Beato Puglisi. Alla fine, tornando a casa, ripenso a quel colpo alla nuca del 15 settembre 1993. Tutto ebbe inizio quella sera. Lui stava per mettere le chiavi nella serratura del portone e quei due lo fermano. Padre è una rapina. Lo avevo capito dice lui e si rigira incredibilmente per completare l'apertura dell'uscio di casa. Come se quei due non esistessero. Gregorio Porcaro, viceparroco di don Puglisi a Brancaccio, legge questa cosa in tal modo. “Io me lo spiego quel gesto, lui magari già aveva pensato di invitarli su a discutere”. E, aggiungo io, a convincerli che quella non era vita. Non gliene hanno dato il tempo, i due assassini, perché tutto doveva compiersi. Tra l'erba e il mare. 

lunedì 27 maggio 2013

Don Puglisi: niente pienone per un martire antimafia. Perchè?

LiveSicilia
26 maggio 2013

Per il beato antimafia la folla resta a casa
Francesco Palazzo
 
http://livesicilia.it/2013/05/26/per-il-beato-antimafia-la-folla-resta-a-casa_322600/
 

“Le più belle calamite”, grida un venditore alla fine del rito di beatificazione. Con un euro puoi appiccarti dove vuoi l'immagine del prete di Brancaccio. Ma quanto rimarrà addosso alla chiesa palermitana e siciliana dell'azione di don Pino? Nella pur vibrante omelia, pronunciata dal cardinale di Palermo, nessuna traccia di un piano pastorale organico da proporre alla chiede di Sicilia. C'era tutto il tempo per pensarlo ed annunciarlo alla folla che ha assistito all'evento, ai prelati di ogni ordine e grado e ai milioni che seguivano in televisione. Folla sino ad un certo punto. Non ci sono stati i centomila annunciati. Nemmeno gli ottantamila di cui parlano alcuni organi d'informazione. Il deflusso, a fine cerimonia, si è completato in non più di dieci minuti. Alcune foto scattate dall'alto ci consegnano una presenza di non più di sessantamila persone.

E non è solo un fatto di audience, per dire la manifestazione è riuscita o no. Sarebbe banale, non era un comizio. Un beato antimafia entra in ogni caso dritto nelle pagine della grande storia. Ma non si può che fare un paragone con i 250 mila che nell'ottobre 2010 tributarono onori a Benedetto XVI, il papa del gran rifiuto, nella stessa spianata, tra l'erba e il mare. Dove sono gli altri 190 mila? Ed anche se vi fossero state centomila presenze, come pur leggo da qualche articolista in rete, evidentemente rimasto legato al palo delle previsioni della vigilia, sarebbe rimasto da chiedersi sugli altri 150 mila rimasti a casa. Insomma, a mio parere, il fatto che c'era di mezzo non un semplice giubilo da tributare ad un santo qualsiasi, ma un riconoscimento a un martire per mano di mafia, ha fatto smuovere direttamente soltanto una minoranza dei milioni di cattolici che si contano nell'isola.

Non è un fatto da trascurare ed è quello che c'era da aspettarsi. Anche tra i presenti, non appena chiedevi cosa può fare da domani di concreto la chiesa contro la mafia, molti come prima reazione si giravano dall'altra parte. A una ventina di persone, rappresentanti di realtà regionali e parrocchiali diverse, ho fatto la stessa domanda. Sapete dirmi una cosa anche piccola contro la criminalità organizzata che voi domani potete mettere in campo nella vostra realtà? Ebbene, da Brancaccio allo Sperone, da Patti a Favara, da Porticello a Godrano, da Marineo a Ciaculli, per fare solo alcuni esempi, non ho ascoltato nessuna risposta puntuale. Sì, ora Puglisi si trova tra Crisostomo e Cosma e Damiano, tra Barnaba e Marcellino, tra Cecilia e Anastasia. Ma, va detto, ad oggi non è linfa che scorre fluida nella chiesa di Sicilia. Forse lo sarà domani o dopodomani. Ma sino a quando i cattolici, attraverso le migliaia di luoghi di culto disseminati capillarmente sul territorio, non decideranno di entrare veramente in campo contro Cosa nostra, Puglisi rimarrà più o meno un santino.

Questo rischio, che era quello più pernicioso, da evitare, non è stato scongiurato del tutto nel prato del Foro Italico. Quello che, se vogliamo tagliare con l'accetta parole e gesti, esce fuori da questo 25 maggio 2013, è che lui è lì e al resto dei prelati e dei fedeli non rimane che affidarsi alla sua intercessione. Beato Puglisi Martire, prega per noi, è stato gridato dall'altare. Ed è come stabilire una distanza siderale tra il quaggiù ed il lassù. Senza contare che ci si è stranamente scordati, nell'elenco delle altre vittime di mafia che pur si è fatto dall'altare, l'altro prete caduto, in Campania, per mano di camorra, nel marzo del 1994, ossia Don Peppe Diana. C'è anche da dire che i mezzi d'informazione nazionali non colgono quanto avvenuto a Palermo. Se ieri visitavate i siti dei tre maggiori riferimenti informativi italiani, la notizia della beatificazione stava al nono, al decimo e al dodicesimo posto. Dopo lo sport, l'Iva e Cannes.

Per finire, l'auspicio è che la chiesa siciliana torni a Puglisi non per alzare gli occhi al cielo ma per comprendere, qui ed ora, come deve posizionarsi con un piano preciso e condiviso contro la mafia e contro la politica che la foraggia. E tornare a Puglisi significa anche riscoprire la sua umiltà e la sua allergia alle cariche e alle onorificenze. Ieri ho sentito che più di un prelato è stato chiamato con il termine di eccellenza. Ecco, Don Pino, oggi beato, quando qualcuno voleva per scherzo affibbiargli un titolo di questo tipo, così rispondeva. “Monsignore a to patri”.