La Repubblica Palermo - 22 Giugno 2013 - Pag.I
Sua maestà il corpo padrone della scena
Francesco Palazzo
La manifestazione del Pride, che dal 14 giugno vede Palermo ospitare l'
evento nazionale, ha il suo momento centrale nella parata finale dei
carri. Tanti, che pur sono inclini a vedere di buon occhio le
rivendicazioni del movimento Lgbti, leggono nella sfilata solo la
volontà di cercare l' esibizione spettacolare a tutti i costi. Credo
che la cosa possa essere vista e considerata da altri punti di vista.
Che potrebbero farci scoprire la questione centrale dell' avversione,
piùo meno strisciante, che in molti continuano ad avere verso questo
mondo. A nzitutto, se questa è, fra le altre, la forma espressiva con
la quale i Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali,
intersessuali) decidono di presentarsi pubblicamente, bisogna prenderne
atto. Non si può dire loro: fate altro o rinunciate per essere più
compresi e non fischiati o derisi. Sarebbe come se, alle processioni
del Venerdì santo, si chiedesse alle chiese di starsene rintanate all'
ombra dei campanili e di non fare scendere per le vie le solite teorie
di cristi sofferenti e madonne piangenti, ma altre manifestazioni del
loro credo, perché ormai le modalità comunicative sono mutate rispetto
all' inizio di questa pratica pietistica e popolare, che affonda a
diversi secoli fa. È solo un esempio, fra i tanti che si potrebbero
fare, per dire che occorre lasciare sempre ai protagonisti la
possibilità di rappresentarsi come meglio credono. Perché è pur sempre
una violenza, magari travestita da dichiarazioni politicamente
corrette, quella di indicare all' altro le modalità con le quali deve
apparire. Non è una questione di forma, ma di sostanza. Lo sbattere in
faccia il proprio modo di vivere il sesso, certo non nella quotidianità
ma in un momento altamente simbolico, provoca imbarazzo. Perché tocca
un tema che molti, uomini e donne, diciamo così normali, tendono a
dissimulare per non affrontare ferite ed evitare conflitti. Certo, ci
vuole anche altro, affinché certi diritti siano riconosciuti. Ma quell'
altro non può essere messo al posto della questione principale. Che è
il corpo. I corpi. La carne. C' è tutto un universo, non
necessariamente cattolico o confessionale, ma anche laico, non solo di
destra ma pure di sinistra, per il quale la corporeità, se non un
peccato, è comunque un problema. Da tenere lontano. Ma in quei corpi,
che una lunga storia ha voluto negare a se stessi e che parlano senza
parole, stanno scritte tante cose. Valgono molto più di tanti convegni,
pur partecipati, e di tante idee, pur espresse lucidamente. Nessun
altro medium potrebbe sostituirsi a persone che comunicano direttamente
ciò che sono con quello che c' è di più sacro e inviolabile. Cioè se
stessi. È vero che ai vari appuntamenti nel village del Pride ai
Cantieri culturali della Zisa si è visto tanto pubblico, abbastanza
trasversale nella sua composizione. Ma si tratta di persone,
generalmente, già sensibilizzate al riconoscimento dei diritti verso i
Lgbti. È come sfondare una porta aperta, che non sposta di molto lo
stato delle cose. Mentre, al contrario, il corteo dei carri con le
persone festantia bordoè una manifestazione popolare, di strada, che
tutti possono vedere e che rimane nell' immaginario collettivo. Più
che guardare cosce, seni e paillette, proviamo a scrutare gli occhi
delle persone che sfilano. Quelli non mentono e narrano sofferenze che
vengono da lontano. E se qualcuno fischia e altri sfottono non è perché
ci si trova di fronte a fenomeni da baraccone. Ma in quanto quei corpi
che si mostrano vanno a toccare livelli di consapevolezza profonda e
pongono domande dirette. Alle quali non si sa rispondere se non con lo
sberleffo. E ciò significa che ancora molta strada è da fare. Anche
attraverso una sfilata piena di colori e di vita.
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