lunedì 23 febbraio 2015

Il giovane medico, quel calcio nella notte e Palermo.

La Repubblica Palermo - Pag. I
Venerdì 20 Febbraio 2015
Il dramma di una città nella guerra fra tribù
Francesco Palazzo



Della vicenda del giovane medico morto a 25 anni a Palermo per un gesto assurdo, sul quale è persino inutile cercare la definizione più appropriata che possa descriverne la ferocia, mi ha colpito la lucidità del padre, un uomo delle forze dell’ordine, durante la fiaccolata in ricordo del figlio Aldo. Si augura che la sua morte possa in qualche modo fare da campanello d’allarme e interrogare tutti, dando risposte nell'ambito della legalità, perché certi fatti non accadano più. Pur sapendo, tuttavia, che nessuno può in assoluto scongiurare la violenza del singolo, è nostro compito accettare questo invito di un genitore il quale, pur nel momento di uno sterminato dolore, prova a indicare un percorso di riflessione che porti a concreti cambiamenti. L’omicidio del giovane Naro è accaduto a Palermo, in una zona ai margini della città, dove politiche abitative e urbanistiche dissennate hanno creato delle zone dl’illegalità oramai vissuta a cielo aperto. Sia chiaro, non si vuole fare del facile sociologismo. La responsabilità penale è personale e niente giustifica un accadimento di questo tipo. Ma proviamo a ragionare, sulla scia del genitore di Aldo. Dunque, Palermo. Una città che da parecchio tempo non è più una comunità in cui tutti i suoi membri si riconoscono in un comune percorso. E’, è tornata ad essere, un insieme di tribù, di pezzi che non riescono a dialogare, dunque un mosaico fatto di non luoghi, che siano centrali e periferici. Ad un certo punto, tra una luce psichedelica e una consumazione, spunta il calcio feroce che chiude una vita che voleva dedicarsi ad altre vite. Siamo così sicuri che possiamo tutti girare la faccia dall'altra parte come se fosse un alieno e non un abitante di questa città colui che l’ha sferrato? Se lo guardassimo come uno diverso da noi, non potremmo che attendere il prossimo calcio, o colpo di bottiglia in testa o coltellata nell'addome. Se, invece, almeno in una parte della nostra mente comincia a farsi spazio il ragionamento sul futuro che ci propone il padre di Aldo, dobbiamo ammettere che ciascun gesto, dal più bello e nobile, al più infame e sporco, ci pone domande su quanto abbiamo fatto di positivo nel primo caso e di negativo nel secondo in termini di indifferenza e distrazione. Non comprendendo che se insieme non costruiamo la città della convivenza e del rispetto, prima o poi arriva un calcio nella notte che ci fa annaspare e non comprendere più quello che siamo e dove viviamo. Che la giustizia faccia il suo corso, ma non possiamo accontentarci. Così come sarebbe facile il gioco dello scaricare ad altri responsabilità che certamente hanno, chiedendo tutto alle istituzioni. No, qui occorre fare un passaggio ulteriore, e parlare di cittadinanza. Quante volte ci si gira la testa dall'altra parte, come cittadini e cittadine, osservando e quasi inciampando nelle tante illegalità che misuriamo a vista o contribuiamo a creare nella nostra città? Una comunità, Palermo, dove il rispetto delle regole civiche e di convivenza riguarda sempre l’altro, l’altra, il prossimo, preferibilmente sporco brutto e cattivo, che così possiamo gestire meglio il nostro vivere quotidiano guardando dall'alto della nostra torre l’alieno, il delinquente, l’altro da noi. E dimenticare che l’altro, quello che lascia a terra, mentre la musica impazza, una vita, fa parte di un modo d’essere e di vivere che ci può essere completamente distante nella misura in cui ci accontentiamo di rimanere con le mani in mano e il viso contratto dall'orrore. Ma facendo così, come teme il papà di Aldo, questa morte servirà a poco. E non vogliamo che sia così. Nel 2017 in questa dolorosa e bellissima città si tornerà a votare. Mancano due anni. I partiti, in prossimità della scadenza elettorale, faranno la loro parte e non cominceranno certo a scaldarsi i muscoli adesso. Può farlo, invece, un cospicuo gruppo di persone che volesse, da oggi, cominciare a percorrere Palermo in lungo e in largo, ricapirla, vedere cosa è adesso questo grosso gigante adagiato sul mare, mettere insieme, rivitalizzare, creare, in ogni angolo del capoluogo, percorsi di vera cittadinanza, ingrossare le fila e poi proporre alla città un percorso che arrivi, perché no, al Palazzo di Città nel 2017. Ciò magari non ci garantirà in assoluto che quel calcio nella notte non partirà più per sempre. Ma ci permetterà almeno di provare a risentirci una comunità vera. In cui sarà più facile che due ragazzi, pur venendo da mondi diversi, finiscano la serata prendendo un drink al bar. Senza che l’uno spenga per sempre l’altro, spegnendo pure se stesso.