La Repubblica Palermo - Pag. I
Venerdì 20 Febbraio 2015
Il dramma di una città nella guerra fra tribù
Francesco Palazzo
Della vicenda del giovane medico morto a 25 anni a Palermo per un gesto
assurdo, sul quale è persino inutile cercare la definizione più appropriata che
possa descriverne la ferocia, mi ha colpito la lucidità del padre, un uomo
delle forze dell’ordine, durante la fiaccolata in ricordo del figlio Aldo. Si
augura che la sua morte possa in qualche modo fare da campanello d’allarme e
interrogare tutti, dando risposte nell'ambito della legalità, perché certi
fatti non accadano più. Pur sapendo, tuttavia, che nessuno può in assoluto
scongiurare la violenza del singolo, è nostro compito accettare questo invito
di un genitore il quale, pur nel momento di uno sterminato dolore, prova a
indicare un percorso di riflessione che porti a concreti cambiamenti. L’omicidio
del giovane Naro è accaduto a Palermo, in una zona ai margini della città, dove
politiche abitative e urbanistiche dissennate hanno creato delle zone dl’illegalità
oramai vissuta a cielo aperto. Sia chiaro, non si vuole fare del facile
sociologismo. La responsabilità penale è personale e niente giustifica un
accadimento di questo tipo. Ma proviamo a ragionare, sulla scia del genitore di
Aldo. Dunque, Palermo. Una città che da parecchio tempo non è più una comunità
in cui tutti i suoi membri si riconoscono in un comune percorso. E’, è tornata
ad essere, un insieme di tribù, di pezzi che non riescono a dialogare, dunque
un mosaico fatto di non luoghi, che siano centrali e periferici. Ad un certo
punto, tra una luce psichedelica e una consumazione, spunta il calcio feroce
che chiude una vita che voleva dedicarsi ad altre vite. Siamo così sicuri che possiamo
tutti girare la faccia dall'altra parte come se fosse un alieno e non un
abitante di questa città colui che l’ha sferrato? Se lo guardassimo come uno
diverso da noi, non potremmo che attendere il prossimo calcio, o colpo di
bottiglia in testa o coltellata nell'addome. Se, invece, almeno in una parte
della nostra mente comincia a farsi spazio il ragionamento sul futuro che ci
propone il padre di Aldo, dobbiamo ammettere che ciascun gesto, dal più bello e
nobile, al più infame e sporco, ci pone domande su quanto abbiamo fatto di
positivo nel primo caso e di negativo nel secondo in termini di indifferenza e distrazione.
Non comprendendo che se insieme non costruiamo la città della convivenza e del
rispetto, prima o poi arriva un calcio nella notte che ci fa annaspare e non
comprendere più quello che siamo e dove viviamo. Che la giustizia faccia il suo
corso, ma non possiamo accontentarci. Così come sarebbe facile il gioco dello
scaricare ad altri responsabilità che certamente hanno, chiedendo tutto alle
istituzioni. No, qui occorre fare un passaggio ulteriore, e parlare di
cittadinanza. Quante volte ci si gira la testa dall'altra parte, come cittadini
e cittadine, osservando e quasi inciampando nelle tante illegalità che
misuriamo a vista o contribuiamo a creare nella nostra città? Una comunità,
Palermo, dove il rispetto delle regole civiche e di convivenza riguarda sempre
l’altro, l’altra, il prossimo, preferibilmente sporco brutto e cattivo, che
così possiamo gestire meglio il nostro vivere quotidiano guardando dall'alto
della nostra torre l’alieno, il delinquente, l’altro da noi. E dimenticare che
l’altro, quello che lascia a terra, mentre la musica impazza, una vita, fa
parte di un modo d’essere e di vivere che ci può essere completamente distante
nella misura in cui ci accontentiamo di rimanere con le mani in mano e il viso
contratto dall'orrore. Ma facendo così, come teme il papà di Aldo, questa morte
servirà a poco. E non vogliamo che sia così. Nel 2017 in questa dolorosa e
bellissima città si tornerà a votare. Mancano due anni. I partiti, in
prossimità della scadenza elettorale, faranno la loro parte e non cominceranno
certo a scaldarsi i muscoli adesso. Può farlo, invece, un cospicuo gruppo di
persone che volesse, da oggi, cominciare a percorrere Palermo in lungo e in
largo, ricapirla, vedere cosa è adesso questo grosso gigante adagiato sul mare,
mettere insieme, rivitalizzare, creare, in ogni angolo del capoluogo, percorsi
di vera cittadinanza, ingrossare le fila e poi proporre alla città un percorso
che arrivi, perché no, al Palazzo di Città nel 2017. Ciò magari non ci
garantirà in assoluto che quel calcio nella notte non partirà più per sempre. Ma
ci permetterà almeno di provare a risentirci una comunità vera. In cui sarà più
facile che due ragazzi, pur venendo da mondi diversi, finiscano la serata
prendendo un drink al bar. Senza che l’uno spenga per sempre l’altro, spegnendo
pure se stesso.