domenica 23 giugno 2013

Sfilata Gay Pride: ovvero, corpi che parlano.

 La Repubblica Palermo - 22 Giugno 2013 - Pag.I
 Sua maestà il corpo padrone della scena

Francesco Palazzo

La manifestazione del Pride, che dal 14 giugno vede Palermo ospitare l' evento nazionale, ha il suo momento centrale nella parata finale dei carri. Tanti, che pur sono inclini a vedere di buon occhio le rivendicazioni del movimento Lgbti, leggono nella sfilata solo la volontà di cercare l' esibizione spettacolare a tutti i costi. Credo che la cosa possa essere vista e considerata da altri punti di vista. Che potrebbero farci scoprire la questione centrale dell' avversione, piùo meno strisciante, che in molti continuano ad avere verso questo mondo. A nzitutto, se questa è, fra le altre, la forma espressiva con la quale i Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali) decidono di presentarsi pubblicamente, bisogna prenderne atto. Non si può dire loro: fate altro o rinunciate per essere più compresi e non fischiati o derisi. Sarebbe come se, alle processioni del Venerdì santo, si chiedesse alle chiese di starsene rintanate all' ombra dei campanili e di non fare scendere per le vie le solite teorie di cristi sofferenti e madonne piangenti, ma altre manifestazioni del loro credo, perché ormai le modalità comunicative sono mutate rispetto all' inizio di questa pratica pietistica e popolare, che affonda a diversi secoli fa. È solo un esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, per dire che occorre lasciare sempre ai protagonisti la possibilità di rappresentarsi come meglio credono. Perché è pur sempre una violenza, magari travestita da dichiarazioni politicamente corrette, quella di indicare all' altro le modalità con le quali deve apparire. Non è una questione di forma, ma di sostanza. Lo sbattere in faccia il proprio modo di vivere il sesso, certo non nella quotidianità ma in un momento altamente simbolico, provoca imbarazzo. Perché tocca un tema che molti, uomini e donne, diciamo così normali, tendono a dissimulare per non affrontare ferite ed evitare conflitti. Certo, ci vuole anche altro, affinché certi diritti siano riconosciuti. Ma quell' altro non può essere messo al posto della questione principale. Che è il corpo. I corpi. La carne. C' è tutto un universo, non necessariamente cattolico o confessionale, ma anche laico, non solo di destra ma pure di sinistra, per il quale la corporeità, se non un peccato, è comunque un problema. Da tenere lontano. Ma in quei corpi, che una lunga storia ha voluto negare a se stessi e che parlano senza parole, stanno scritte tante cose. Valgono molto più di tanti convegni, pur partecipati, e di tante idee, pur espresse lucidamente. Nessun altro medium potrebbe sostituirsi a persone che comunicano direttamente ciò che sono con quello che c' è di più sacro e inviolabile. Cioè se stessi. È vero che ai vari appuntamenti nel village del Pride ai Cantieri culturali della Zisa si è visto tanto pubblico, abbastanza trasversale nella sua composizione. Ma si tratta di persone, generalmente, già sensibilizzate al riconoscimento dei diritti verso i Lgbti. È come sfondare una porta aperta, che non sposta di molto lo stato delle cose. Mentre, al contrario, il corteo dei carri con le persone festantia bordoè una manifestazione popolare, di strada, che tutti possono vedere e che rimane nell' immaginario collettivo. Più che guardare cosce, seni e paillette, proviamo a scrutare gli occhi delle persone che sfilano. Quelli non mentono e narrano sofferenze che vengono da lontano. E se qualcuno fischia e altri sfottono non è perché ci si trova di fronte a fenomeni da baraccone. Ma in quanto quei corpi che si mostrano vanno a toccare livelli di consapevolezza profonda e pongono domande dirette. Alle quali non si sa rispondere se non con lo sberleffo. E ciò significa che ancora molta strada è da fare. Anche attraverso una sfilata piena di colori e di vita.

domenica 16 giugno 2013

Cosa chiede il Gay Pride?

 LiveSicilia
16 Giugno 2013

La politica aperta del Gay Pride. E quella chiusa del Family Day.

Francesco Palazzo

Parliamoci chiaro. L'omosessualità, la trasnsessualità, la bisessualità, sono ancora viste da un'ampia parte di opinione pubblica come problemi. Situazioni esistenziali da cui stare alla larga. Pregando Iddio che non capiti proprio a me, a mio figlio, a mia figlia, alla mia famiglia più stretta. Chi vive una vita sessuale e sentimentale diversa da quella della maggioranza, incontra ostracismi di vario tipo. C'è chi li esprime in maniera eclatante e chi si limita a farlo, e sono tantissimi, con sorrisini e battutine spalmate nel quotidiano. Tante piccole ferite che non si vedono e che fanno ancora più male.

Anche il Gay Pride, che si sta celebrando a Palermo dal 14 al 23 giugno, suscita avversione. Proveniente, in maniera trasversale, da destra a sinistra. Basterebbe leggersi i commenti su questo giornale, farsi un giro su facebook o semplicemente parlare con la gente per strada. Insomma, il problema esiste e va affrontato. Non lanciando generiche fatwe contro coloro che hanno posizioni chiuse sull'argomento. Ma ragionando. Nel chiedermi il contributo che leggete, LiveSicilia mi fa una domanda precisa. Che tipo di politica esprime il Gay Pride?

Sono andato a guardare la piattaforma politica sul sito palermopride.it/2013 e l'ho incrociata con quella del Family Day, che si svolgerà, volutamente, a Palermo, il 22 e il 23 prossimi. In questo volutamente c'è la profonda differenza politica tra i due eventi. Il Gay Pride non nasce in contrapposizione a qualcosa, il Family Day, sì. E' vero che un rappresentante della conferenza episcopale siciliana ha voluto sottolineare che la manifestazione non è contro qualcuno. Ma, ancorché proveniente tale dichiarazione da una voce autorevole (ma isolata), tutto lascia presagire che così non è. Si è voluto mettere in scena una specie di derby a Palermo.

Come se la vita sessuale, in tutte le sue manifestazioni, non facesse già parte delle nostre famiglie. Normali e più che normali. Al fondo c'è una questione che richiama due diverse tipologie di società e quindi di politiche. Le rivendicazioni del Gay Pride intendono conquistare diritti senza che questi significhi toglierne ad altri. Quali sono queste rivendicazioni? Riconoscimento del matrimonio civile per coppie formate da persone dello stesso sesso e delle unioni civili per coppie formate da persone dello stesso sesso o di sesso diverso, attraverso una normativa diversa da quella del matrimonio. Estensione al partner o al genitore non biologico della co-responsabilità sul minore, possibilità di adozione ai singoli o alle coppie formate da persone dello stesso sesso, definizione di una nuova legge che permetta l’accesso alla procreazione assistita per singoli e coppie, anche dello stesso sesso.

Si chiede, inoltre, che la discriminazione sia combattuta attraverso interventi formativi per i dipendenti degli uffici pubblici e con percorsi educativi rivolti alle scuole. Si auspica che la transizione di genere sia erogata dal sistema sanitario nazionale e che la transessualità sia rimossa dal manuale diagnostico dei disturbi mentali. Dal punto di vista della politica internazionale, si vuole la depenalizzazione in alcune nazioni dell'omosessualità e l’abolizione della pena di morte, che in taluni paesi è prevista anche per i reati di omosessualità e transessualità. Questo, più o meno, è quanto. Concordi o discordi che ci si trovi sui singoli punti, mi pare un percorso che intende costruire e non distruggere.

Il complesso della privazione e dell'invasione di campo mi pare che, al contrario, contraddistingua il Family Day. Programmato “per non lasciare la città in mano al Gay Pride”. Vogliono dire no, così scrivono nel loro sito, alle adozioni e al matrimonio gay e dire sì alla bellezza della famiglia naturale. Intendono, cosi aggiungono, aiutare i palermitani a farsi gli anticorpi. Come se si trattasse di una pericolosissima malattia da scongiurare. C'è l'accusa contro le istituzioni, che non farebbero molto per tutelare la famiglia composta da un padre, da una madre e dalla prole.

Ma non vi è traccia di puntuali richieste, da inoltrate alle forze politiche e istituzionali, così come invece fa il Gay Pride con i punti che ho sinteticamente riportato. Dunque, cosa è la politica del Gay Pride? Dal mio punto di vista è una politica che tende ad allargare diritti e dunque la democrazia. Mentre, viceversa, mi sembra che l'atteggiamento del Family Day inviti a circoscrivere, a chiudere. La famiglia è bella, non vi è dubbio. Ci forma e ci protegge. E, quando è veramente sana, sa difendere e potenziare le differenze. Farne un fortino, scavando trincee, per salvaguardarla non si sa bene da cosa, visto che il Gay Pride non intende minacciarla in alcun modo, è un modo di fare incomprensibile. Come sanno bene quelle famiglie, composte da padre, madre e prole, che si trovano a vivere delle differenze sessuali che crescono e che chiedono, spesso implorano, solo di poter vivere dignitosamente. Preservando le proprie e le altrui libertà.

venerdì 14 giugno 2013

Palermo, Registro Unioni Civili: il PD non c'era e se c'era dormiva.

La Repubblica Palermo - 13 giugno 2013 —   pagina I 

La fuga dei democratici che sa tanto di autogol

Francesco Palazzo

HO DOVUTO rileggere due volte l'articolo di cronaca del nostro giornale che dava conto dell'approvazione, da parte del consiglio comunale di Palermo, del registro delle unioni civili. e coppie di fatto avranno, non appena si modificherannoi regolamenti comunali, e vedremo quanto saranno lunghi i tempi in cui ciò avverrà, gli stessi diritti dei coniugati su asili nido, buoni casa e altri aspetti assistenziali riguardanti la vita quotidiana. L'ho dovuto leggere ancora, perché la prima volta pensavo di aver letto male. L' accaduto è alquanto strano. Come l' uomo che morde il cane. Il Pdl e l' Udc, che teoricamente avrebbero dovuto essere contrari, hanno votato il provvedimento. Addirittura, un esponente del partito di Casini, nel sottolineare che il consesso cittadino stava parlando semplicemente d' amore tra una persona e un' altra, ha regalato ai colleghi una copia del Simposio di Platone. È vero che ormai sono saltati tutti gli schemi ideologici novecenteschi, ma questa è davvero una bella sorpresa. E non sono stati da meno i consiglieri del Pdl. «È un atto di civiltà», ha chiosato un esponente del gruppo dei berlusconiani, nella nostra terra, come altrove, elettoralmente in caduta libera. I consiglieri del Partito Democratico, al contrario, non erano presenti in aula al momento del voto. Non è la prima volta che il consiglio comunale di Palermo si esprime in tal senso. Era già accaduto nel novembre del 2011, con l' approvazione di una mozione, evidentemente rimasta lettera morta se c'è stato bisogno di questo ulteriore passaggio, che impegnava il sindaco di Palermo ad istituire un simile registro. E, pensate un po' , la proposta, che aveva successivamente trovato un relativo appoggio bipartisan, era partita proprio dai democratici. Allora le cose si erano sviluppate nel senso che più conosciamo. Con esponenti di spicco del Pdl, del Pid e dell' Mpa che avevano valutato il registro come fumo negli occhi. La delegazione democratica a Palazzo delle Aquile ha certamente avuto buoni motivi per non presentarsi alla chiama. Pare che si sia posto l'accento sul fatto che al momento siano altre le emergenze a Palermo. Non sappiamo se si tratta di una decisione concordata con il partito, se l' hanno presa come gruppo o se, invece, ciascuno è andato per proprio conto. Visto lo stato liquido dei partiti attuali, in cui contano più gli eletti che gli iscritti, supponiamo che potrebbero essere buone sia la seconda che la terza ipotesi. In altri tempi non sarebbe andata così. All'interno delle due formazioni politiche che hanno composto il Pd, cattolici democratici e sinistra riformista, si sarebbe avviato un dibattito su una materia così delicata e sensibile. E il voto in consiglio comunale sarebbe stato prima comunicato alla città e poi esposto ufficialmente nell' assemblea rappresentativa. Ma anche se adesso le dinamiche all'interno dei partiti sono cambiate, non necessariamente in meglio, visto che proprio il Pd viene descritto come una sommatoria confusa e convulsa di molteplici correnti personali, sarebbe stato molto meglio che i tre consiglieri democratici, attraverso una dichiarazione congiunta in consiglio, o con tre prese di posizione diverse esplicitate dagli scranni di Sala delle Lapidi, avessero chiarito prima del voto il loro pensiero. Motivando un'assenza che a prima vista è sbalordente. Nel frattempo, quello che appare all'opinione pubblica è questo. I democratici, anziché allargare il consenso su un tale provvedimento ad altre sensibilità politiche, un tempo contrarie, si sono fatti scippare da queste ultime una norma che sino a qualche anno addietro li aveva visti addirittura tra i primi e più convinti promotori. Non volendo ingigantire più di tanto una singola circostanza, possiamo però senz' altro ritenere che sia stata mancata, da parte del Partito Democratico, in uno scenario importante come il capoluogo, a pochi giorni dall' inizio del Pride, che catalizza su Palermo l'attenzione di tutta l'Italia, un'importante occasione.

venerdì 7 giugno 2013

Beatificazione di Don Puglisi, tra l'erba e il mare.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
7 Giugno 2013 - Pag. 39
Beato Puglisi palpita al Foro Italico
Francesco Palazzo
Nei grandi eventi, per chi scrive, c'è una dimensione critica, che ho già avuto modo di affrontare altrove, e una dimensione intima, alla fine la più importante per te come persona. Che sei costretto, per forza di cose, a tenerti per te. Ma in questo caso, la beatificazione di don Puglisi, come persona nata e vissuta a Brancaccio e avendo conosciuto don Pino, l'occasione è troppo particolare per lasciare tutto dentro. Ho vissuto questi ultimi mesi, da ottobre dello scorso anno, approfondendo la figura di 3P per scrivere insieme ad Augusto Cavadi e Rosaria Cascio un libro uscito nel mese in corso (Beato fra i mafiosi, Ed. Di Girolamo). E' stata una lunga tappa di avvicinamento al giorno della beatificazione. Ho vissuto la vigilia come la preparazione di una festa. Cosa può uscire di buono da un quartiere come Brancaccio? Tanta gente perbene, ieri e oggi, insieme a tanta mafia e a fasce di degrado ma anche di ceto medio e professionale molto presenti nel rione di diecimila persone. Adesso, dalle strade dove hai vissuto la tua infanzia, che ancora percorri, viene fuori nientemeno che un santo. Il sabato mattina del giorno previsto (il 25 maggio) la giornata è una delle migliori che Palermo sa sovente regalarti. Un sole splendido, cielo terso e quel venticello che non ti fa sentire neanche caldo. La colazione sotto casa e il giornale in edicola quel giorno hanno un sapore diverso. L'autobus che dalla zona residenziale ti porta nel cuore del centro storico scivola nel lungo viale semivuoto. Via Libertà, il salotto di Palermo, ti sembra più bello del solito. Scendo ai quattro canti di città, a due passi dall'imponente Palazzo Comunale. La discesa verso il mare da Corso Vittorio Emanuele, il vecchio Cassaro, dove la nobiltà palermitana festeggiò il suo splendore e visse la sua decadenza, la faccio in compagnia di gruppetti o singoli che vanno verso il palco del Foro Italico. Innalzato fra l'erba e il mare. E, forse, Don Puglisi un primo miracolo lo sta già compiendo. Decine di migliaia di palermitani, dopo che per tanto tempo hanno dato le spalle al mare, saranno costretti a guardarlo tutti insieme e nello stesso momento. Il clima è da subito rilassato, non c'è grande folla all'inizio e non vi sarà sino alla fine. Tutto si svolge in un'intimità che dona alla celebrazione un fascino particolare. L'erba, il mare, le navi che passano dietro il bianco del palco-altare, il telo bianco che copre la gigantografia del beatificando. E le colombe bianche che vengono fatte volare nel momento in cui viene scoperta la grande immagine sorridente di don Pino, cioè nell'attimo in cui viene proclamato servo di Dio. Le lacrime in quel momento non sono facili da trattenere. Ed anche nella tribuna dei giornalisti si segue il tutto non soltanto come un normale evento su cui poi riferire agli altri, ma cercando una dimensione personale che possa rimanere incisa nell'anima. Brancaccio, la mafia, Palermo, la Sicilia In quelle dure ore, dalle 10 e 30 alle 12 e 30, non pensi ad altro che a quella figura che ti sorride. Vestito come lui si vestiva. Un semplice indumento nero, che era maglietta in estate e maglioncino in inverno. Un prete che non si vestiva da prete. Così conciato si presentò una volta ad un gruppo di ragazzi che giocavano a pallone. Sono Padre Puglisi, disse. Gli risposerò. Padre di chi? Non generò figli biologici 3P. Ma un sabato di maggio migliaia di suoi figli che egli ha seminato per le strade di Palermo, della Sicilia e del mondo, erano lì a piangere e basta. E a ridere. Perché è soprattutto un giorno di festa. Da ricordare. In mezzo alla folla c'è anche un figlio particolare di don Pino. Un ragazzo di Brancaccio, era un ragazzo adesso è un uomo, che da giovane studente in medicina assistette alla sua autopsia e ora vive, da quasi vent'anni, fuori dalla Sicilia perché testimone di giustizia. Le sue lacrime e la sua gioia sono le più vere. Perché le più sofferte. La messa è finita. Così presto? La tranquillità connota anche l'allontanamento della folla dal Foro Italico Umberto I, che d'ora in poi dovrebbe chiamarsi Foro Italico Beato Puglisi. Alla fine, tornando a casa, ripenso a quel colpo alla nuca del 15 settembre 1993. Tutto ebbe inizio quella sera. Lui stava per mettere le chiavi nella serratura del portone e quei due lo fermano. Padre è una rapina. Lo avevo capito dice lui e si rigira incredibilmente per completare l'apertura dell'uscio di casa. Come se quei due non esistessero. Gregorio Porcaro, viceparroco di don Puglisi a Brancaccio, legge questa cosa in tal modo. “Io me lo spiego quel gesto, lui magari già aveva pensato di invitarli su a discutere”. E, aggiungo io, a convincerli che quella non era vita. Non gliene hanno dato il tempo, i due assassini, perché tutto doveva compiersi. Tra l'erba e il mare.