sabato 31 gennaio 2009

Religione civile e chiese di Sicilia

CENTONOVE
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Pag. 47
PER UNA RELIGIONE CIVILE
Francesco Palazzo


Recentemente si è avviato il dibattito su come i cattolici italiani possono contribuire alla realizzazione di una religione civile. Intesa, quest’ultima, come principio unificatore, non confessionale, di un popolo. Una sorta di etica pubblica condivisa. Parlare di cattolicesimo italiano, come se fosse un blocco monolitico, può essere fuorviante. Occorre guardare da vicino le singole realtà regionali per farsi un’idea meno approssimativa. Concentriamoci sulla Sicilia. Sul piano teorico si possono avanzare tante considerazioni. Può essere, però, utile riferirsi a due casi concreti e recenti. Ciò consente di allargare subito il campo dal cattolicesimo al cristianesimo e di comparare due modi diversi di porsi nei confronti della società dei due spezzoni fondamentali del cristianesimo: quello cattolico e quello protestante. Cominciamo dal primo. Abbiamo appreso che l’arcivescovo di Palermo, durante un incontro con il rettore dell’ateneo del capoluogo, svoltosi qualche giorno dopo l’epifania, ha chiesto, per gli universitari, l’apertura al culto della cappella di S. Giuseppe, che si trova presso la facoltà di giurisprudenza, e l’individuazione di un simile presidio di fede in viale delle Scienze, dove sorge il principale polo dell’università palermitana. Entriamo nel merito. Se la religione cattolica fosse minoritaria, agente in territorio nemico, povera, il suo massimo rappresentante in città avrebbe tutta la necessità nel chiedere siti dove esercitare il culto. Si da, però, il caso, evidente a chi conosca anche solo superficialmente il centro antico di Palermo, che la zona compresa tra la facoltà di giurisprudenza e viale delle Scienze è piena di chiese cattoliche. Peraltro, nella stessa area si trovano pure la cattedrale, la curia, il seminario e la facoltà teologica. Posti che, in quanto a spazi per riti liturgici o incontri di altro tipo, potrebbero semmai ospitare altri che ne fossero sprovvisti. C’è anche da valutare la laicità dei luoghi pubblici. L’università è il luogo del sapere. Funzione che dovrebbe contemplare l’universalità e non sposarsi con frammenti, seppure maggioritari, come la chiesa cattolica. Infine. Perché i cattolici hanno sempre questa impellenza di chiedere pur avendo e ricevendo già in sovrabbondanza? Ci pare, quella descritta, una strada che difficilmente può portare alla creazione di una religione civile. Perché mostra una chiesa più attenta ad aumentare la quantità dei riti, delle strutture per sé e non la qualità della sobria contaminazione con il tessuto sociale. Guardiamo il versante protestante. Nella prima domenica di ogni mese, i Valdesi celebrano la cena del Signore. Non ci sono trasformazioni di sostanze, il pane e il vino rimangono tali. E’ un memoriale, vuole sottolineare la presenza del Cristo e la comunione con lui. A noi importa il modo con cui la chiesa Valdese vive tale momento. Ci interessa perché indica un possibile percorso, tra i tanti, verso una religione civile. Le parole del pastore Giuseppe Ficara, durante la celebrazione del 4 gennaio, nel tempio che sorge nel centro di Palermo, sono state le seguenti. “La tavola è apparecchiata, questa non è la cena dei valdesi, dei credenti, di alcuni e alcune, ma la cena del Signore, aperta a tutti, è lui che ci invita, avvicinatevi”. Si rimane colpiti nel profondo. Ci troviamo di fronte a una chiesa che dona e non chiede. Che accoglie e non discrimina. Che, pur essendo estremamente povera di mezzi, non ne domanda, ma estende a tutti quel poco che ha. Che pone, perciò, le basi per un discorso comune e non per ragionamenti di parte. In tal modo i Valdesi contribuiscono alla formazione di una cittadinanza responsabile, che potrebbe essere una traduzione della religione civile di cui parliamo. L’esortare tutti ad avvicinarsi per condividere qualcosa di cui nessuno è padrone, ma tutti responsabili e chiamati, stimola a una cittadinanza attiva e attenta nei confronti di quanti gestiscono la cosa pubblica. E ciò proprio perché insegna a non attendere passivi dal potere, religioso o civile che sia, un qualcosa che spetta in quanto esseri umani partecipanti liberamente a un’assemblea comune. Sono due esempi minimi. Ma a volte, partendo dal piccolo, si possono meglio osservare e capire i grandi processi.

mercoledì 28 gennaio 2009

Palermo, i consiglieri vogliono il pass

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 2009

Pagina I
Una bici elettrica a Sala delle Lapidi
FRANCESCO PALAZZO

Dopo che è passata la fase acuta della patologia, ci riferiamo alla vicenda dei pass automobilistici rilasciati in passato con una certa allegria dal Comune di Palermo, apprendiamo che i consiglieri comunali sono sul piede di guerra. Sono convinti che a loro, in quanto personalità pubbliche, il pass per le corsie preferenziali spetta di diritto. La legge è legge e c´è poco da discutere. Ma non è un capriccio la loro impuntatura. Va compresa e analizzata. Per gli abitanti di Palazzo delle Aquile, grosso modo, abbiamo capito quali sono i punti critici. Il problema è serio. E come tale, si fa per dire, vogliamo prenderlo. Sembra sia un trauma quotidiano, difficile da vivere, quello di raggiungere con i mezzi privati le sedi delle varie commissioni e l´aula consiliare. Così come trovare posteggio nei pressi di Palazzo delle Aquile. Quello di sostare a pochi metri dal traguardo finale è, per tutti i palermitani, dobbiamo ammetterlo, un bisogno fondamentale. Quasi un diritto costituzionale. Che sia il panettiere, il macellaio, il tabacchi o l´ufficio tal dei tali, se non c´è il contatto fisico, sentimentale, potremmo dire religioso, con la meta di volta in volta prefissatasi dal guidatore, non si è palermitani purosangue. Perché gli eletti dal popolo dovrebbero sfuggire a tale ineliminabile impronta genetica? Siccome il dilemma è grave, come tutte le vere difficoltà, va affrontato proponendo, al posto dei pass, un ventaglio d´ipotesi alternative e, ora ci vuole, percorribili. Prima idea. Dotiamo tutti i consiglieri comunali di una bici elettrica. A Palermo il bel tempo è la norma, perciò il mezzo è fortemente indicato. Non inquina e può servire, durante gli spostamenti, per guardare meglio la città e i suoi infiniti problemi. Disciplina in cui i consiglieri dovrebbero già essere esperti, ma non si sa mai. Come ritorno d´immagine per i singoli amministratori, visto che molti ci tengono parecchio, sarebbe portentoso e gratuito. Seconda soluzione, non necessariamente alternativa alla prima. Si mettano in circolazione dei piccoli bus dell´Amat, esclusivamente destinati agli spostamenti dei consiglieri. Tre o quattro navette sempre circolanti con fermate prefissate, distribuite in tutta la città, dovrebbero bastare alla bisogna. Anche in tal modo si potrebbe osservare attentamente e serenamente la città, che vive o boccheggia, e tutti ci guadagneremmo nell´avere amministratori aggiornati sulla vita ordinaria della comunità. Una terza via d´uscita alle antipatiche difficoltà motorie di quanti occupano gli scranni del palazzo di città è, ci rendiamo conto, più popolare. Si potrebbero fornire ai cinquanta soggetti due abbonamenti ciascuno, uno per gli autobus e un altro per la metropolitana. Dice, ma questa idea è banale, troppo semplice. Scusate, ma mica stiamo parlando della fusione nucleare a freddo. Vogliamo un esito ragionevole a una questione abbastanza minuscola, converrete, se guardiamo agli equilibri mondiali. Peraltro, il viaggiare su tali mezzi, consentirebbe ai nostri amici di rendersi conto di come funzionano i pubblici servizi nel campo della mobilità e cercare, se non altro per interesse personale, di migliorali. E poi negli autobus e in metropolitana si fanno un sacco d´incontri, tutti buoni per discutere di politica e cercare voti. Resta, ovviamente, sullo sfondo, un quarto scenario. Non dare salvacondotti automobilistici personali, neanche ai consiglieri, non prevedere misure alternative per questi ultimi e fare vivere a tutti la vita dei normali cittadini. Che comunque si spostano, talvolta con più profitto di quanti governano la cosa pubblica. Da quel che sappiamo nessuno è mai morto per questo. Quest´ultima evenienza è la meno probabile, la citiamo per puro diletto, non siamo certo a Stoccolma o a Oslo. Per dirla tutta, anche le prime tre proposte non ci aspettiamo che siano prese in considerazione. Ciò che più verosimilmente accadrà è che i pass ricominceranno a fiorire, forse non solo per i consiglieri, copiosi in primavera. Come le foglie degli alberi dopo il gelido inverno.

giovedì 22 gennaio 2009

Palermo, fenomenologia della munnizza


LA REPUBBLICA PALERMO - GIOVEDÌ 22 GENNAIO 2009

Pagina I

La montagna invisibile che cresce sotto casa
Francesco Palazzo


Già da alcune mattine uscendo in macchina trovo davanti al cancello i sacchetti d´immondizia. Qualche giorno fa i cassonetti erano già strapieni. Normale amministrazione, in una città che non è più una città, ma un insieme di tante cose che si muovono in modo disordinato e caotico. Di giorno in giorno la montagna è cresciuta in altezza, fino a raggiungere una decina di metri. E ha cominciato, minacciosa, a prendere piede anche nella dimensione orizzontale. Perché i sacchi tendono capricciosamente, seguendo chissà quale principio politico, a rotolare e a occupare territorio. Mi sono chiesto come mai io non mi sento così cool come la città che qualcuno continua a vedere nei suoi sogni, che per noi sono sempre più incubi. Quando mesi fa guardavo le immagini napoletane, mi chiedevo scandalizzato come si fosse arrivati a quel punto. Ora mi rendo conto che non è molto difficile rifare il Regno delle due Sicilie della munnizza. Non è che la storia si fa tutta in un giorno. Senza premura. A poco a poco, mattina dopo mattina. Oggi avranno già tolto tutto, dall´auto vedrò il palazzo di fronte o l´accumulo sarà ancora più evidente? E poi, finita questa, quanto durerà la prossima ondata di esalazioni? Vai a saperlo. Oppure ormai funziona tutto come le targhe alterne e non ce l´hanno fatto sapere? Ma non era pronto il nuovo piano della comunicazione? Qualche cartello tre per sei in più non costa molto. Lo slogan potrebbe essere formulato inventandosi qualcosa di nuovo. Non mancano, a Palermo, le menti geniali. Che so, potrebbe fare così: ritira il tuo personale gratta e vinci presso la tua delegazione comunale di fiducia e saprai in quale giorno di quale settimana del mese verremo a svuotare la tua strada. Volete mettere la sorpresa o la contentezza nello scoprire che proprio quella è la settimana e la giornata giusta per te. Andresti al lavoro più contento. Anche se la contentezza dei palermitani, dobbiamo dirlo, è difficilmente aggredibile. Ne prendo atto, mattina dopo mattina. Le persone che incrocio, mica si lamentano dell´immondizia sempre più a forma di Monte Pellegrino. Avevo sbrigativamente concluso, devo ammettere molto malignamente, che facevano finta di non vedere. Alcuni mettono il sacchetto, soddisfatti e per nulla circospetti, nella fascia oraria vietata. Ma vogliamo impiccarci alle regole al punto in cui siamo? Suvvia. Guardando le loro facce beate è come se sentissero il rumore che il loro prodotto fa sbattendo sul fondo del contenitore. Che percepiscono, evidentemente, veramente vuoto e invece non si scorge quasi più. Un´opinione me la sono fatta. Non è che lo fanno per male. Proprio vedono qualcos´altro, pare che di fronte abbiano un roseto dal quale fuoriesce un eccellente profumo e non un irresistibile e nauseabondo fetore. Chi non butta il sacchetto, passa con gli occhi sognanti, guardando altrove, anche se ogni giorno è sempre più difficile farlo. Pare che scruti qualcosa di bello in cielo, sempre leggermente più sopra dell´ultimo sacchetto. Ma alla fine, siamo onesti, mica l´immondizia ce la possiamo rimangiare. Bisogna pur liberarsi dei rifiuti. Forse allo stesso modo in cui nel giorno delle elezioni comunali ci si è liberati del voto dentro la cabina elettorale. Se aggiungo il mio voto a quello dei tanti palermitani che riconfermeranno in massa l´amministrazione uscente, che faccio di male? Siamo o non siamo diventati una città bella, giovane, fresca e sportiva, cool, appunto? Dice, ma forse non è proprio così. Sì, può essere, ma quanto è bello dirlo, signor mio. Vuoi vedere che, a forza di fare uscire simili parole vuote, queste si realizzano davvero? Il dubbio, primo o dopo, assale anche te. Non è, la nostra, la società dell´immagine? Certo, ma la montagna di bianchi sacchetti che immagine della città restituisce? Scusi, abbia pazienza, ma di quali sacchetti sta parlando, mi sussurra una vocina interna. Mi sto convincendo. Ho le visioni.

venerdì 16 gennaio 2009

L'antimafia degli scandali

LA REPUBBLICA PALERMO - VENERDÌ 16 GENNAIO 2009

Pagina XXIII
REGIME CARCERARIO E MAFIA LO STATO NON DEVE ARRETRARE
Francesco Palazzo

L´ennesima sospensione, poi revocata, del regime carcerario del 41 bis per un soggetto condannato a più ergastoli, ha fatto gridare ancora allo scandalo. La proposta di soppressione dell´ergastolo per la quale i detenuti italiani sono da qualche mese in sciopero della fame a staffetta, sembra invece non preoccupare più di tanto. Tale provvedimento fu sostenuto nella passata legislatura dal centrosinistra. Tanto che un suo esponente presentò, all´inizio del 2007, un disegno di legge per sostituire il carcere a vita con la pena di trent´anni. Sul tavolo di Prodi, a metà 2007, c´era anche un´ipotesi di riforma del codice penale. Anch´essa contemplava l´abolizione dell´ergastolo e la sua sostituzione con la carcerazione di 38 anni. La protesta attuale degli ergastolani vuole sensibilizzare l´opinione pubblica affinché si ritiri fuori il disegno di legge. Che non faceva alcuna differenza tra chi ha commesso un delitto per questioni personali, che niente hanno a che vedere con le mafie, e chi invece nel mettere in atto una strage per conto di un´organizzazione criminale ha fatto saltare in aria giudici e forze dell´ordine. Dunque si protesta opportunamente per un detenuto cui viene affievolito il regime carcerario, ma non si fa una piega nel pensare che un domani, quello stesso detenuto, se si cancellasse l´ergastolo, potrebbe addirittura essere scarcerato. Una palese contraddizione.Il famoso papello, ossia la lista di richieste che Cosa nostra avrebbe presentato allo Stato per finirla con la strategia stragista dei primi anni Novanta, prevedeva ai primi posti sia la cancellazione dell´ergastolo sia l´abolizione del regime carcerario speciale per i mafiosi. Partendo da questo dato storico, dobbiamo prendere atto - lo dicono gli esperti nonché diverse indagini - che i mafiosi continuano a comandare dal 41 bis. Che sembra ridotto a una specie di colabrodo, dove passa di tutto e di più. Dobbiamo altresì rilevare che il progetto di abrogazione dell´ergastolo ha fatto breccia culturalmente in tutte le forze politiche, anche in quelle più a sinistra. Sia chiaro. È giusto consentire il recupero alla società di persone che trenta o quarant´anni hanno spento una vita per questioni private. Ma è la stessa cosa se il carcere a vita è stato inflitto a soggetti che hanno portato avanti disegni criminosi legati alle mafie e che mai hanno collaborato con le istituzioni? Si potrebbe obiettare: ma i mafiosi non devono essere recuperati alla società? Certo, basta che collaborino pienamente con lo Stato. Il ragionamento dovrebbe essere scontato e lineare. Così, evidentemente, non è. In fondo, non ci troviamo in un periodo caldo. Le cosche hanno quasi del tutto abbassato, da più di un quindicennio, il mirino, un tempo puntato verso le istituzioni. Non pianificano stragi e quindi la fase è calante. Una storia sin troppo conosciuta. Che avrà il suo termine nella malaugurata ipotesi di un ritorno alle armi del potere mafioso. Evenienza che, visto l´attuale stato d´incertezza che pervade Cosa nostra, gli inquirenti non escludono affatto. Se accadesse, state sicuri che tutti, nessuno escluso, ricomincerebbero a stracciarsi le vesti, invocando le più severe misure repressive. Non si parlerebbe più della cancellazione indiscriminata dell´ergastolo e il carcere duro tornerebbe a essere tale. In attesa, beninteso, della risacca successiva. Quando si torneranno a chiudere uno o entrambi gli occhi. O ad aprirli a giorni alterni, seguendo ciò che più impressiona l´opinione pubblica. Ci chiediamo. È proprio così difficile, una volta per tutte, attuare un metodo coerente e di lungo periodo contro le mafie? In 150 anni non si è mai fatto. Sino a quando non ci si metterà nella lunghezza d´onda che le mafie non sono un´emergenza, ma una drammatica quotidianità, sarà pure inutile continuare a chiedersi perché abbiano avuto sinora così lunga vita.

sabato 10 gennaio 2009

Partito Democratico siciliano, bello e impossibile

CENTONOVE
9/1/09
Pag. 47
IL PD E LE GEOMETRIE VARIABILI
Francesco Palazzo
Dalla vicenda, tra il giudiziario e il mediatico, chiamata questione morale, che interessa il Partito Democratico in diverse regioni del sud, la Sicilia rimane fuori. Non governando città importanti o la regione, i democratici siciliani sono impelagati in faccende, a prima vista, meno deflagranti. Si tratta di fatti noti. Possiamo trarne qualche riflessione. I filoni, non comunicanti, sono due. Il primo attiene alle presenze di esponenti democratici nelle sedi rappresentative, tipo l’Assemblea Regionale. Il secondo aspetto è relativo alla vita del partito. Per quanto riguarda il frangente istituzionale, isoliamo le dinamiche politiche all’ARS. I parlamentari del PD ritengono che avranno buon gioco domani, in termini elettorali, nell’evidenziare oggi, votando alcuni provvedimenti del governo in aula, le palesi lacerazioni che il centrodestra presenta. Si chiamano “geometrie variabili”. Che, però, il nocciolo duro che cementa la maggioranza sia rimasto intatto, è agevole scoprirlo. Recentemente leggevamo di una riunione del governo regionale. Nel corso della quale, “senza strascichi di polemica”, come riferito dai protagonisti, si è cominciato a mettere mano al destino del precariato siciliano. L’ARS, inoltre, ha dato mandato al governo di promulgare la legge sui precari negli enti locali senza le parti impugnate dal Commissario dello Stato. Ecco, allora, il punto, che dovrebbe essere motivo di riflessioni per i deputati del PD. Una coalizione divisa su tante cose, e che su alcune trova l’appoggio della minoranza, si muove poi compatta quando tratta argomenti più “sensibili”, in termini di voti, come il grande numero di precari, (sessantamila?), che ingrossano gli uffici pubblici. La domanda è: il corpo elettorale siciliano, quando si tratterà di votare, si ricorderà delle battaglie in aula dell’opposizione su questioni che non sono giunte all’orecchio dell’elettore medio, o punterà l’attenzione verso l’interesse mostrato dalla maggioranza, senza bisticciare, sul fiume inarrestabile del precariato di marca sicula? La risposta è, ovviamente, scontata. La strada parlamentare, da sola, senza un forte partito alle spalle che affronti unito le questioni strategiche (e il precariato è un ambito intorno al quale un partito riformista dovrebbe saper dire parole non intrise di populismo), rischia di costruire tante vittorie di Pirro. Che non tolgono un solo voto alla platea vastissima di consenso sulla quale il centrodestra può contare in Sicilia. Vedrete che la maggioranza troverà la quadratura del cerchio anche in altri settori scottanti, come la sanità o la riformulazione dell’amministrazione regionale. E al Pd rimarrà ben poco in mano. Le geometrie possono anche temporaneamente variare. Abbiamo, tuttavia, l’impressione che il bottino elettorale non si è mosso di un millimetro dal giorno del cappotto che il centrosinistra ha subito alle regionali. Veniamo al partito. Nell’ultima riunione dell’assemblea costituente, svoltasi il 13 dicembre, il clima, nei volti e nelle dichiarazioni dei partecipanti, era quello di un partito che si scioglie e implode. Le accuse reciproche tra le fazioni sono continuate. Solo il periodo natalizio ha imposto una tregua, come in tutte le contese che si rispettino. Il prossimo ennesimo appuntamento, pare quello definitivo, è fissato per il 17 gennaio. Ci si arriva senza un minimo di entusiasmo. Vedremo. Il pomo, apparente, della discordia è lo statuto. La Sicilia è l’unica regione in cui ancora non è stato votato. Ora, anche in questo caso, il punto di domanda è chiaro. Pensate che alle prossime elezioni, mettiamo le europee, il corpo elettorale siciliano terrà conto dello statuto, arnese di potere per pochi intimi, per esprimere il proprio consenso verso il PD, oppure punirà un partito senza identità, che discute sino a sfinirsi e a sfinirci, presente solo sui giornali, ma assente dal territorio? Il responso non è difficile neppure in questo caso. Per giustificarsi si afferma che il partito, appena nato, presenta ovunque le stesse difficoltà. Non è così. In molte regioni il partito esiste e lavora. In Sicilia, se aggiungiamo a quanto detto il tesseramento fantasma e l’azione politica impalpabile dei circoli territoriali, il quadro si completa. E dipinge un partito che sarà pure giovane e nuovo, ma che ancora non vuole mostrarci queste belle qualità.