mercoledì 29 febbraio 2012

"Non se l'abbia a male. Si porti lo scontrino!"

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012
Pagina XIX – Palermo
FENOMENOLOGIA DELLO SCONTRINO NELLA SICILIA DELL'ERA MONTI
Francesco Palazzo

Sarà pur vero che a Palermo, in due casi su tre, ristoranti negozi e bar si scordano di emettere lo scontrino. Ma, da normali acquirenti quotidiani quali siamo, abbiamo l´impressione che le cose stiano cambiando velocemente da quando Monti si è insediato a Palazzo Chigi. A prescindere dai controlli e dalle segnalazioni dei cittadini, evidentemente si è capito che l´aria è cambiata. Così scopri, e il fenomeno viene segnalato da tanta gente, che commercianti sino a ieri insensibili sull´argomento sono diventati i paladini dello scontrino senza se e senza ma. L´addetto al bancone del bar, nelle ultime settimane, ogni mattina mi ripete più volte di portare via lo scontrino. Lo porto via, non si preoccupi, gli dico guardandolo compiaciuto. Prima, per i clienti più fidati, bastava un cenno tra la cassa e il bancone per evitare di far uscire il fastidioso pezzetto di carta. Caffè e cornetto pagato. Questa la frase d´uso. Ora non più. Durerà? Questo dipende un po´ da tutti noi. Anche la pescheria del mercato popolare, non quella che non ha il registratore di cassa, e te lo dicono beatamente, ma l´altra, lo scontrino l´ha sganciato senza problemi. Magari con qualche mugugno la prima volta, («A Roma devono pagare, non noi»), ma poi il tizio ha capito che i tempi impongono un cambiamento. Certo, fa specie vedere l´esponente di sinistra andare via sereno senza niente in mano che certifichi la transazione. Ma questo è un altro discorso. Così come quel dottore, sempre nel mercato del Capo, che sgancia cento euro al pescivendolo senza fare una piega e senza pretendere altro che la merce appena comprata. Una conoscente ci raccontava, meravigliata e quasi emozionata, che il fruttivendolo del quartiere bene, da sempre restio circa la pratica di far sapere al fisco il suo effettivo guadagno, ha battuto cassa per un acquisto, badate bene, di soli due euro e cinquanta. Un´altra signora, con stupore, raccontava in famiglia che il suo parrucchiere di fiducia aveva emesso la ricevuta fiscale per l´intero importo pagato. Non l´aveva mai fatto. In genere batte solo la piega e si distrae sul taglio. Sono soddisfazioni. E non è che capiti solo al centro città. Il piccolo baretto di periferia, dove spesso sorseggio un caffè, ultimamente al resto aggiunge senza fare una piega il prezioso scontrino. Lo farà solo per me che sono forestiero? Il dubbio rimane. Ma prima glielo dovevo chiedere con un grazie finale. E´ chiaro, siamo ancora agli inizi. La strada è molto lunga. Un amico mi ha scritto che non ha più visto, né sentito, l´installatore dell´impianto di allarme a cui ha chiesto più volte la ricevuta. Ha temporeggiato con mestiere per mesi, poi è sparito. Quello del kebab, vicino al Teatro Massimo, si presenta sempre con un "preconto" che non vuol dire nulla. Novantanove volte su cento gli va bene. Pagare e sorridere. Distratto lui, svagati gli avventori. O complici. La correità di coloro che non chiedendo lo scontrino, non rendendosi conto che poi stupidamente pagano loro le tasse anche per gli evasori, costituisce il vero zoccolo duro da abbattere. E ce lo confermano i numeri. Perché, se è vero che nel 2011 le chiamate al 117, il numero della Guardia di Finanza dove è possibile segnalare irregolarità, sono aumentate a Palermo del 46,75 per cento, 813 segnalazioni sono davvero un numero esiguo in una città di quasi settecentomila abitanti che parte, secondo i dati del 2011, da uno stellare 83,6 per cento di illegalità fiscale.

venerdì 24 febbraio 2012

Sicilia: numeri contro.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
24 Febbraio 2012 - Pag. 47
Sicilia, povere famiglie
Francesco Palazzo

A fine gennaio l'Istat ha pubblicato nel suo sito la banca dati di indicatori territoriali per le politiche di sviluppo. La Sicilia non ne esce tanto bene. Sono dati di lunga durata, nella quasi totalità dei casi provenienti dal 1995. Gli indicatori sono molteplici, quelli che riportiamo si riferiscono all'ultimo anno utile, il 2010. Se vogliamo considerare la situazione economica delle famiglie, il 33,3 per cento di quelle siciliane vivono al di sotto della soglia di povertà, con una media nazionale del 13,8 e una distanza abissale da chi è in testa a questa classifica, la Lombardia, che presenta un 4,7 per cento. La Sicilia svetta in testa. Del resto, uguale primato l'isola mantiene per quanto riguarda i disoccupati di lunga durata, quelli che sono senza lavoro da più di 12 mesi. In Sicilia questi soggetti, sul totale dei non occupati, sono il 57,9 per cento, con una media italiana che è del 48,5 e una distanza abissale dalla regione, la Val D'Aosta, che presenta, con il 34,1 per cento, il dato più positivo. Se ci spostiamo sul versante dell'istruzione, due indicatori, tra gli altri, fanno suonare per la nostra regione un forte campanello d'allarme. Con il 26 per cento, abbiamo il primato sulla fascia di giovani dai 18 ai 24 anni che abbandonano gli studi. Lontani dalla media del paese (18,8) e ancora più distanti da chi presenta una fuga giovanile dai banchi di scuola più confortante tra le regioni, cioè il Friuli, con il 12,1 per cento. D'altra parte, c'è un dato ancora più fondamentale che ci vede, questa volta, ultimi. Parliamo della popolazione compresa nella fascia d'età dai 15 ai 19 anni che possiede almeno la licenza media. Con il 97 per cento siamo in coda, con una media paese del 98,3 e il Trentino, prima regione, che presenta un 99,6 per cento. Non va meglio, da serie B anche in questo settore, per quanto riguarda la formazione dei lavoratori dai 25 ai 64 anni. Solo il 3,9 per cento partecipa ad attività formative, con una media nazionale del 5,9 e la prima regione, il Trentino, che presenta un 8,4 per cento. Cambiando scenario, non muta la nostra condizione. Sui beni comuni, energia, acqua e foreste, ci distinguiamo da par nostro. Per dire, siamo i primi per superficie forestale percorsa dal fuoco (6 per cento), contro una media italica dello 0,4 e un invidiabile 0 di alcune regioni. Sul numero di famiglie che denunciano irregolarità nella distribuzione dell'acqua, fanno peggio di noi solo i calabresi (33,4 per cento), che talloniamo con il nostro 28,2 (media nazionale 10,8 per cento, regione con meno lamentele il Trentino, con l'1,7). Sulle energie rinnovabili ci troviamo in zona retrocessione, diciassettesimi. I consumi di energia coperti da fonti idroelettriche, eoliche, fotovoltaiche, geotermoelettriche e biomasse sono l'11 per cento. La Val D'Aosta, prima in elenco, copre tutto il fabbisogno e inoltre produce, dalle rinnovabili, un altro 151,4 per cento. La media in Italia è 22,2. Anche nei servizi facciamo la “nostra” figura. Prendiamone uno, i trasporti ferroviari. Il 31,6 per cento degli utenti che si dichiarano, diciamo così, soddisfatti dal servizio, ci pongono ultimi della lista, con una media italiana del 47,5 per cento, e la più brava della classe, il Trentino, in cui sono esattamente il doppio della Sicilia quelli che sono contenti, beati loro, del servizio ferroviario. Perché utilizzare un sistema che non si ritiene all'altezza? Non c'è motivo. E, infatti, con l'11,1 per cento di siciliani che utilizzano il trasporto che scorre sui binari, non ci muoviamo dal fondo della classifica. In Italia ricorrono al servizio ferroviario il 29,9 per cento, la regione che eccelle è la Liguria, con il 42,2. Sono tanti i numeri desumibili da questa banca dati. Ne citiamo solo un altro, riguardante l'assistenza. Gli anziani con più di 65 anni presi in carico dai servizi di assistenza domiciliare integrata sono da noi l'1,5 per cento. Fa peggio solo la Val D'Aosta, con lo 0,4, è da scudetto l'Emilia Romagna con l'11,6 per cento, con una media nazionale del 4,1. Che non fossimo un posto per i giovani lo sapevamo, ma forse non siamo neanche una regione per vecchi.

Candidati alle primarie. Un dibattito senz'anima.

Francesco Palazzo

Il prepartita è stato talmente lungo e impegnativo che i giocatori e le giocatrici, appena scesi in campo, avevano già la bava alla bocca e difficoltà a respirare. Un’ansia da prestazione che ci ha impedito di comprendere che Palermo vogliono e come intendono arrivarci. Il primo confronto tra i candidati alle primarie, svoltosi al Centro Pio La Torre, è finito così. In uno sbadiglio. Li guardavo come Nanni Moretti scrutava D’Alema in televisione, sperando che dicessero qualcosa, se non proprio di sinistra, almeno qualcosa che mi solleticasse l’anima. Che le donasse per un attimo le ali. Sicuramente avrà pesato la stanchezza, la prossima volta magari faranno meglio. Non si vuole mettere in discussione il lavoro, la serietà e la preparazione di nessuno dei quattro. Ma, diamine, non mi aspettavo una genialata da premio Nobel, ma un’ideuzza in grado di riaccendere gli spiriti sopiti dei palermitani dopo dieci lunghi anni cammarateschi non era difficile scovarla tra le pieghe della tensione. Sia chiaro, il compitino è stato svolto per non andare sotto il cinque. Si vedeva che a casa avevano studiato. I dipendenti comunali da rimotivare, i privati nelle aziende partecipate, il tracciamento elettronico delle pratiche per il singolo utente, i pannelli solari, i fondi europei, la città metropolitana, l’utilizzo virtuoso dei beni confiscati, il centro storico, le periferie, le politiche di genere, il no ai privati, il comune con i conti in rosso, le infrastrutture. E il mare. Che fa, vogliamo continuare a sacrificarlo. E il codice etico. Mica possiamo farne a meno. Se non c’è quello in ogni campagna elettorale mi sembrerebbe di non vivere. Ci è stato sciorinato, insomma, un piccolo bignami, buono per essere interpretato a destra come a sinistra, senza un solo guizzo in grado di far rialzare la palpebra ad una città che non più una città, ma un organismo in rianimazione. Con il becchino alla porta. E poi le facce. Impaurite, quasi terrorizzate, senza un sorriso, sembrava quasi che si preparassero al patibolo. Intatto è rimasto, però, l’agonismo assassino. Ognuno, con l’angolo dell’occhio rivolto verso i competitori, sembrava lividamente quasi volere affogare gli altri tre. Che neanche i tifosi del Palermo e del Catania si azzannano cosi, con sguardi taglienti come baionette sguainate. Come si fa credere che dopo le primarie questi collaboreranno d’amore e d’accordo? Misteri della fede. Non è che vada meglio negli altri due terzi del campo. Nel PDL hanno preso lo scoglio e non sanno più se ammainare bandiera bianca, scendere le scialuppe o buttarsi a mare. Contano, forse, per salvarsi, nelle debolezze altrui. Vedi centrosinistra. Oppure nella carità di qualche altro bastimento di passaggio. Tipo il terzo polo e dintorni. Il cui giovane e promettente candidato si è presentato alla stampa. Dice che rappresenta un’ampia coalizione. Moderata e riformista. Non fa il politico, afferma che le scelte politiche spettano ad altri. Non farà l’elenco delle cose che servono alla città, perché sono scontate. La sua coalizione lavorerà per rendere semplice il complesso. Almeno, in questo, si dividerà i compiti con il centrosinistra. Che invece sta lavorando, giorno e notte, per rendere complesso il semplice. E il primo match tra i candidati alle primarie ne è un esempio. Che potrebbe pure essere un incidente di percorso. Noi, per sì e per no, senza sapere né leggere né scrivere, prepariamoci a tutto. Perché non è vero che non può fare più buio di mezzanotte.



venerdì 17 febbraio 2012

Centrosinistra e primarie a Palermo. La pace guerreggiata.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
17 Febbraio 2012
Pagg. 12 e 13
Il vaso incollato del centrosinistra
Francesco Palazzo

Chi pensava che la riappacificazione forzata dell'Hotel delle Palme potesse evitare che la conta ai gazebo del 4 marzo a Palermo fosse una prova muscolare dentro il PD, che mettesse dei contorni certi alla coalizione e che spegnesse il volo di Orlando, forse ha un tantino esagerato con l'ottimismo. In realtà, non è cambiato poi molto. Prendiamo il PD. A Genova ha perso in blocco. A Palermo andrà in maniera leggermente diversa. Siamo, o no, degli sperimentatori? Certo, dalla capitale puntano sulla Borsellino. Su di lei Bersani ha messo la faccia. Ma nel capoluogo il PD, concretamente, sta spargendo, come il sale sul ghiaccio, i suoi voti sui tre candidati più accreditati, Borsellino, Faraone e Ferrandelli. Quindi, con qualsiasi  risultato, potrebbe piangere con un occhio. A secondo del risultato ci sarebbero, però, delle forti ripercussioni interne. Se, infatti, dovesse uscire vincente Rita Borsellino, come è molto verosimile che sia, ciò significherebbe la vittoria di Giuseppe Lupo. Ciò, probabilmente, farebbe suonare la campanella dell'ultimo giro per il governo regionale. Ci pare che il segretario sia tornato, o stia per virare, verso le ragioni con le quali si era presentato alle primarie per la corsa alla leadership regionale. E' per tale motivo che si sono raccolte affannosamente le firme per indire l'assise democratica che potrebbe sfiduciarlo. Ora appare tutto rinviato. Ma nelle intenzioni degli sfiduciatori bisognava fare presto, prima che i votanti del 4 marzo si pronunciassero. La battaglia è ormai al calor bianco e non importa ai maggiorenti democratici che la tenzone rischia di avere effetti deleteri sul risultato delle prossime amministrative per tutto il PD. Così come è possibile che la lunga querelle scoppiata tra partiti, candidati e supporter vari, incida sulla partecipazione a delle primarie tanto travagliate da essere ormai quasi esclusivamente un appuntamento per addetti ai lavori e non una convocazione di popolo. A proposito. Avete visto, e siamo quasi al rush finale, qualche manifesto che annuncia le primarie? Se dovesse, invece, affermarsi Fabrizio Ferrandelli, al di là di quelle che sono le sue intenzioni, ciò sarebbe letto come un successo dei suoi sponsor più accesi all'interno del partito, Cracolici e Lumia. A quel punto le dimissioni di Lupo sarebbero soltanto una pura formalità. Un'affermazione di Faraone sconfiggerebbe le due parti in guerra e farebbe emergere una porzione di partito che al momento sembra ai margini della lotta. Ciò costringerebbe lupiani e cracoliciani a tornare sui propri passi, sotto lo stesso tetto. Le primarie sono tutte qui. Per carità, IDV, SEL e sinistre varie sono della partita. Ma non hanno, come a Genova, Cagliari o Milano una candidatura fortemente alternativa al PD. Sostengono la Borsellino, ma l'eurodeputata non è stata proposta inizialmente da loro. Anche gli scenari politici, secondo punto, potrebbero avere delle sorprese. Si dirà che dal summit dell'Hotel delle Palme è venuta fuori la carta etica. Firmata da tutti i concorrenti alle primarie. Li costringerà a mantenere intatto il perimetro della coalizione sino all'elezione del sindaco, evitando ogni contiguità con il cosiddetto terzo polo. Ma tale opzione era già assodata prima del chiarimento per quanto riguarda il primo turno, visto che il terzo polo, con annessi e connessi, metterà in pista un proprio nome. Ma al secondo turno bisognerà vedere. E ciò dipenderà dal nome che uscirà fuori dalle primarie. Dopo la prima tornata (per inciso, è troppo chiedere il giorno delle elezioni?), che avvenga in maniera esplicita o implicita poco importa, i giochi potrebbero riaprirsi. E la riprova di tale assunto è che coloro che intendono sostenere, dentro il PD, la candidatura di Ferrandelli contro la Borsellino, ritenuta troppo rigida circa il perimetro della coalizione, continueranno a farlo votando per lui nei gazebo, anche se l'ex esponente di IDV ha firmato, esattamente come gli altri tre candidati, l'impegno a non andare oltre il recinto. Insomma, il nodo principale, se non vogliamo prenderci in giro, non è stato affatto sciolto. I nomi in lizza e le dimensioni elettorali di ciascuna delle parti in campo dopo la prima tornata, dando per scontato che un'affermazione al primo turno è alquanto improbabile, potrebbero riscrivere lo spartito. Del resto, se davvero l'11 marzo Lupo sarà dimissionato, nel caso perda le primarie o le vinca con uno scarto minimo, volete che non si ridiscuta l'accordo preso su Palermo? Perciò, terzo punto, la storia del sindaco della primavera non è detto che sia finita. L'opzione Orlando rimane sempre tra i possibili esiti dell'intricata matassa.

domenica 12 febbraio 2012

Gli amatori seriali di Palermo.

12 Febbraio 2012
Francesco Palazzo

Difficile sperare che i prossimi amministratori amino un po’ meno Palermo. Perché, ammettiamolo, questa città è piena sino all’inverosimile di gente che la ama alla follia. Un amore esagerato, fuori misura, diabolico, di quelli che soffocano l’oggetto d’amore. Sino al punto da farlo stramazzare a terra esanime, distrutto, dissanguato. Tante storie si concludono tragicamente proprio perché il soggetto che brama, in genere un uomo, ha trasformato la passione in possesso e presto è arrivato a un cortocircuito mentale in cui l’amata è stata alla fine trafitta senza pietà. Questa è la condizione attuale di Palermo. Che, al contrario di una donna in carne e ossa, straziata da un amore folle, non è morta per sempre, ma è moribonda da tempo. Che, forse, è anche peggio. E, sia detto con il massimo rispetto per tutti gli attori in campo, non è che si vedano in giro tanti possibili esperti guaritori al suo capezzale. Sì, tanta gente animata da buone e pie intenzioni, sia a dritta che a manca. Ma, almeno sinora, sembra una marcia a scarpe chiodate verso la conquista del palazzo. Ognuno alza il suo pennone e raccoglie i fedeli-tifosi in marcia, indicando la via della salvezza. Lastricata, che ve lo dico a fare, da tanto sviscerato e veemente amore per il capoluogo siciliano. Ma Palermo, come qualsiasi donna ferita e umiliata, ha più bisogno di rispetto che di un amore malato. E per rispettare occorre conoscere. E per conoscere bisogna studiare e capire. Dopo dieci anni di sostanziale deserto amministrativo e politico, del quale sarebbe davvero miope incolpare una sola persona, nessuno sa più cosa è Palermo e quale è la diagnosi e dunque la prognosi, di una possibile, complicata, a questo punto disperata, guarigione, visti i conti in profondo rosso. Purtroppo, a cento giorni dall’appuntamento elettorale, e già da almeno un anno, la quinta città d’Italia è al centro di uno scontro politico senza precedenti che ha diversi epicentri. Ecco cosa è diventata Palermo. Una comunità seppellita sotto un campo di battaglia che vede impegnate diverse fazioni armate di tutto punto, con i leader in testa e gli hooligans che scalpitano.Squadroni pronti a tutto. Sempre per amore incondizionato, si capisce. Ma, si sa, quando si ama sconsideratamente anche le cose più importanti, soprattutto quelle, diventano secondarie. E ciò vale anche per il centrosinistra cittadino. Il quale, brucia tanto d’ardore per il proprio suolo natio, che in dieci lunghissimi anni non è riuscito a prepararsi in tempo per il ricambio. Pare che, da quelle parti, candidarsi alla poltrona di primo cittadino sia una cosa alla portata di tutti. Uno si alza la mattina e, invece del caffè e cornetto, ordina la poltrona più alta di Palazzo delle Aquile. Ora si dice che abbiano ritrovato l’unità. In realtà, il calumet della pace è la presa d’atto, la ratifica, di uno stato di guerra. Da quel momento in poi sono consentiti, senza più nascondersi, i colpi sotto la cintura. Più che una stretta di mano, un aggaddo in piena regola. Utile a far rientrare nei gazebo coloro che a un certo punto se ne erano scappati. Ma l’avevano fatto per amore, solo per amore. Tanto trasporto, nel 2001, consegnò per due lustri la città, chiavi in mano, ai berlusconiani. Per farne quello che volevano. E, loro, amatori per eccellenza, insuperabili, come sappiamo, nel settore, ne hanno veramente fatto ciò che hanno voluto. E presumibilmente, mutate le bandiere ma non lo spirito, saranno in grado, viste le altrui palesi debolezze, di non smobilitare affatto e rifare bingo. Possono contare sul fatto che la maggioranza dei palermitani dimentica presto, quasi subito, non porta mai rancore. Basteranno pochi mesi al ventre molle della città, borghese e popolare, per resettare del tutto la memoria. Perché è lì che trovate coloro che amano Palermo più di tutti.


venerdì 10 febbraio 2012

L'economia siciliana e la mafia nell'analisi del procuratore.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
10 Febbraio 2012
Pag. 46
Messineo e gli appalti mafiosi
Francesco Palazzo

Quando un procuratore della Repubblica lancia un allarme occorre destare l'attenzione. Se lo fa un procuratore capo siciliano, in particolare quello della direzione distrettuale antimafia di Palermo, bisogna raddoppiare la soglia di preoccupazione. Soprattutto quando delinea scenari complessivi sull'impatto che l'organizzazione mafiosa ha sulla nostra società. E non dal punto di vista culturale, ma su un aspetto ancora più fondamentale della nostra vita associata. Francesco Messineo, che della DDA di Palermo è appunto il capo, nel corso di un incontro ha pronunciato la seguente frase. “Abbiamo il fondato sospetto che tutto il sistema economico siciliano, con particolare riferimento al settore dei lavori pubblici, sia stabilmente sotto il controllo della mafia”. Venticinque parole che delineano un quadro controcorrente rispetto alla vulgata che vorrebbe le cosche in ginocchio. E che non vengono dal primo che passa. Ma da una persona che pare amare poco le ribalte mediatiche e che quando si esprime da l'impressione di pesare le parole. Peraltro, poiché appunto riteniamo che Messineo non utilizzi certo le parole a caso, quello che colpisce non è solo l'insieme del pensiero espresso, ma le sue singole parti. Intanto, l'allarme del procuratore comincia con un abbiamo, ossia non si tratta solo di sue speculazioni, ma delle determinazioni di un gruppo di lavoro che in procura segue con attenzione l'evoluzione del sistema criminale chiamato mafia. Poi c'è il sospetto, che non è lasciato in aria, ma è fondato, cioè è praticamente una certezza, basata senz'altro su dati inoppugnabili. Questo fondato sospetto è che tutto il sistema economico siciliano è inquinato dal potere mafioso, non una sua parte più o meno grande. Ed in particolare quella parte che ha a che fare con l'esercizio di pubblici poteri, ossia quella riferibile ai lavori pubblici, che coinvolge l'operato degli eletti nelle pubbliche istituzioni, dei governi dei vari livelli e dei burocrati sparsi nelle varie macchine amministrative che ne gestiscono le aggiudicazioni. Ed, inoltre, questa presenza massiccia delle coppole storte non è precaria, secondo Messineo, ma presenta i connotati della stabilità, quindi della lunga durata. Non più di tanto, evidentemente, scalfita dalle operazioni delle forze della repressione e delle tante iniziative partite dal corpo vivo della società. Ora, il punto è questo. O siamo disposti a sostenere che il capo della procura che più di tutte le altre al mondo si occupa di mafia, ha esagerato, o peggio ancora, ha clamorosamente sbagliato la sua analisi. Oppure se, come crediamo, questa frase è profondamente meditata e sufficientemente documentata, dovremmo un po' ridimensionare la certezza che Cosa nostra sia moribonda. Non solo questo. Dovremmo chiederci, se davvero l'economia della nostra regione è completamente sotto scacco dei soldi sporchi della mafia, che peso ha avuto, realmente, al di là della presenza nei mezzi d'informazione, la pur sacrosanta virata degli aderenti a Confindustria, o di altre categorie imprenditoriali, verso meccanismi di legalità e di isolamento degli elementi più compromessi o collusi. E, ancora, che consistente apporto di mutamento ha dato un movimento come quello di Addiopizzo nella pancia dell'economia regionale. E, infine, quale sia ancora il grado di compromissione della politica nel non riuscire a non orientare verso le tasche mafiose il grande flusso di denaro proveniente da fondi locali, statali o comunitari. Delle due l'una, quindi. O il procuratore Messineo ha torto e non ci pare che pubblicamente qualcuno abbia trovato argomenti per ribaltare la sua affermazione. Oppure, con questa storia della mafia impoverita e messa ai margini, l'abbiamo fatta sin troppo facile. Forse sarebbe il caso di fare meno trionfalismo ed ammettere onestamente che possiamo solo prudentemente pronunciare la seconda parte del discorso del procuratore. “Il momento è positivo come contrasto alla mafia militare, questo però non ci deve illudere, perché è aumentato di gran lunga il potere di infiltrazione economica. Ci stiamo attrezzando, abbiamo qualche risultato, ma è un mondo nuovo che va affrontato con nuove tecniche e nuovi mezzi”.

venerdì 3 febbraio 2012

Ma cosa significa stare insieme in un partito?

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 4 DEL 3 FEBBRAIO 2012
Pag. 47
PD, FACCIAMOCI DEL MALE
Francesco Palazzo

Ci si potrebbe chiedere, visto quanto sta succedendo nel PD a Palermo, come chiamare una comunità di uomini e donne che riesce a bruciare ben tre candidati espressione del partito nel giro di pochi mesi. Rita Borsellino, lo hanno detto in tutte le salse, non va bene a una parte molto consistente dei democratici perché non accetta accordi con il cosiddetto terzo polo e con gli autonomisti. Ma, allora, cercatevi uno che non disdegna di riproporre la maggioranza regionale per le prossime amministrative nel capoluogo. Non è che dovevano stancarsi più di tanto. Il candidato che le larghe intese non le rifiutava, anzi, già c'era. Ninni Terminelli, da decenni consigliere comunale nel capoluogo, con passate responsabilità dirigenziali nel partito, già capogruppo a Palazzo delle Aquile, era pronto a sposare con convinzione la causa. Ma l'hanno fatto ritirare. Eppure è un giovane, ha esperienza e capacità. Insomma, non va bene chi sostiene una posizione politica, la Borsellino e chi, come Terminelli, afferma l'esatto opposto. Uno così si disorienta. Poi magari comincia a pensare che i maggiorenti democratici coltivino l'aristotelica via di mezzo. Che consiste nel cercare di evitare gli eccessi, conseguendo in tal modo la virtù perfetta. E cosa si può dire a delle persone che si incamminano sulla strada della perfezione? Ci si può solo complimentare. Certo, uno pensa che è difficile trovare la via dell'equilibrio. Non nel nostro caso. Perché i democratici, avevano, sempre tra i loro iscritti, una terza candidatura. Quella di Davide Faraone, che da molto è in pista con obiettivo la poltrona di primo cittadino. E' stato consigliere comunale, capogruppo, è deputato regionale. Anche lui giovane e già abbastanza esperto. Non ha mai pronunciato il no deciso della Borsellino e non ha neanche profferito il sì convinto di Terminelli. Ma neppure così, a chi adesso comanda nel partito, (a proposito, chi comanda?) va bene. Anzi, proprio sul renziano rottamatore gli attacchi e gli sfottò sono all'ordine del giorno e abbastanza pesanti. Pare che sia troppo autonomo e incontrollabile. Ma non è questo il punto. Quello che non riusciamo a capire, oltre al fatto che al PD non bastano tre posizioni interne che completano il quadro delle scelte possibili su Palermo, tanto da dovere andare fuori a cercarsi il quarto uomo (o donna), è come un partito possa sacrificare allegramente, senza pensarci più di tanto, due giovani cresciuti tra le proprie fila senza corsie preferenziali, ma con molto lavoro e impegno. In realtà, quello che continuiamo a chiamare partito, è il discorso ovviamente vale non solo per il PD, è soltanto un agglomerato di uomini e donne che non hanno mete comuni e idealità condivise. Ci troviamo di fronte, e anche se è un mal comune dal Partito Democratico era lecito attendersi altro, non alla normale dialettica che caratterizza tutte le aggregazioni complesse, ma a una serie di clan, tribù, squadre, chiamatele come volete, armati sino ai denti. Che hanno, come unico obiettivo, di far fuori il rivale della porta accanto, senza esclusione di colpi. Si dirà, e molti lo affermano con qualche ragione, che proprio perché nel PD, al contrario di ciò che accade negli altri partiti, ha cittadinanza un concetto molto ampio di prassi democratica, la conseguenza è questa lacerazione che porta inevitabilmente alla guerra per fazioni. Quando, in realtà, l'esercizio della democrazia, se davvero è tale e non una sua scimmiottatura, dovrebbe portare a stabilire, insieme, un qualche scopo condiviso, un sano spirito di appartenenza, una difesa non ideologica delle ragioni comuni. Niente di tutto questo. E lo spettacolo che i democratici hanno già dato a Palermo, al di là di come andrà a finire la tornata elettorale nel capoluogo, è qualcosa di molto pesante. Che graverà nella conduzione della quinta città d'Italia, anche se il partito dovesse alla fine trovarsi sul carro dei vincitori. Allora, la domanda che ci sentiamo di porre agli iscritti e alle iscritte del Partito Democratico, se trovano un attimo di tempo per posare la sciabola nel fodero, a Palermo e nel resto della Sicilia, è la seguente. Ma per voi cosa significa esattamente avere la tessera di un partito in tasca?