LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 22 SETTEMBRE 2010
Pagina XIII
SE IL PAPA INCORAGGIASSE LA CHIESA DI PADRE PUGLISI
Francesco Palazzo
Pino Puglisi rimase molto impressionato dall´anatema che Giovanni Paolo II lanciò contro la mafia nel 1993. Ne trasse incoraggiamento ad andare avanti nella contrapposizione ai mafiosi di Brancaccio, la cui cosca era protagonista della stagione stragista. Il parroco stava tentando un approccio con le famiglie che avevano visto cadere i loro congiunti, per favorire una fuoriuscita dagli ambienti criminali. Può essere uno dei moventi che velocizzarono il piano di morte. Chissà se qualche altro parroco troverà la stessa fortificazione dalle parole che Benedetto XVI farà cadere il 3 ottobre sul suolo palermitano. Basterebbe che egli riuscisse a sintonizzarsi sulla vicenda di don Pino. Che è difficilmente capita da chi sta valutando il processo di beatificazione. Se infatti è normale elevare al culto degli altari un componente della Chiesa ucciso in odium fidei, può presentarsi qualche problema se a ideare il delitto e uccidere siano dei cattolici. Magari battezzati, cresimati e sposati nella stessa chiesa, San Gaetano, dove Puglisi svolse, dal 1990 al 1993, i suoi ultimi anni di missione. Bisognerebbe che il Pontefice si interrogasse su cosa vuol dire avere fede e se per caso la Chiesa ne ha ancora una concezione non più proponibile. Cosa significa credere in Sicilia? I mafiosi non temono chi celebra messa e dispensa sacramenti. Sono baciapile formidabili. Lo sono altrettanto i loro manutengoli, quelli che fanno affari con chiunque, tanto i soldi non hanno odore, e sono pronti, per un voto in più, a chiedere il consenso ai mammasantissima. Se Puglisi si fosse limitato a fare il prete tutto casa e canonica, sarebbe morto nel suo letto. I mafiosi avrebbero riconosciuto in lui il pastore che fa il suo senza invadere il campo dove la criminalità semina e raccoglie. Ciò che il potere (mafioso e politico) ha temuto sono stati i frutti di una fede incarnata nel territorio. Quando le cosche colpiscono, sanno cosa fanno. Basta vedere come è andata a finire con l´eredità pastorale e sociale che il prete ha lasciato. Puglisi si era legato con coloro che volevano cambiare le condizioni di vita nel quartiere, entrava nelle famiglie marginali, aveva creato un centro sociale pieno di profezia e povero di denaro, lottava per acquisire locali preda della manovalanza mafiosa, chiamava i ragazzi dai quartieri borghesi affinché si unisse una città divisa, allora come ora, si scontrava con ossequiati esponenti politici, non chiedeva finanziamenti pubblici da spendere inutilmente. È difficile comprendere questa fede. Non solo per chi a Roma deve valutarne la portata, ma pure nella dimensione della periferia dove il sacerdote agì. Con gli altri parroci che rimasero silenti al suo richiamo e che oggi nemmeno si sognano di ripeterne le gesta. Ecco ciò che ostacola il processo di beatificazione. Non che ci serva un santino in più o un altro nome nel calendario. Ma sarebbe di enorme importanza per la Chiesa siciliana se Benedetto XVI, da Palermo, indicasse una fede fatta di giustizia e testimonianza vissute, di povertà, di impegno sul territorio, di carità verso i deboli e schiena dritta nei confronti dei potenti. Insomma, la Chiesa di Puglisi.