domenica 23 dicembre 2012

Cu acchiana acchiana un m'interiessa, basta ca un acchiana u cuntrulluri.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
N. 48 del 21 Dicembre 2012
Pag. 46
Amat senza controlli
Francesco Palazzo
 
L'AMAT, l'azienda di trasporto pubblico palermitana, ha avuto difficoltà nel pagare gli stipendi di novembre. Non è la prima volta che accade. Pare che il deficit sia di 20 milioni. Somma che si aggiunge ai 140 milioni che il comune deve all'Azienda. Sono già state tagliate delle linee. Ci sono vie d'uscita da questa situazione? Si potrebbe iniziare, banalmente, controllando sempre e facendo pagare tutti i viaggiatori. Perché ciò, incredibilmente, non avviene. E' come se al supermercato o al bar pagasse solo chi ne ha voglia o chi incappa in un episodico controllo. Tali esercizi commerciali calerebbero le saracinesche nel giro di niente. Mi è capitato di prendere il 101, alle 11 e 30, dallo stadio sino al Teatro Massimo. Alle fermate che intercorrono tra i due punti citati, si sono imbarcate novanta persone. Sono stato attento, le obliteratrici hanno emesso il loro particolare suono, tipico di quando si infila dentro il biglietto, quindici volte. Come viaggiavano gli altri 75? Non lo sapremo mai, nessuno ha controllato. Nella migliore delle circostanze avrebbero potuto avere ciascuno o un abbonamento, oppure essere in possesso di un biglietto in corso di validità. A Oslo o a Londra l'avremmo chiusa così. Ma basta avere un minimo di esperienza di viaggi in autobus a Palermo, per potere invece pensare che gran parte di essi viaggiavano a scrocco. Del resto, quasi tutti quelli che salivano e non obliteravano, avevano quell'aria circospetta e indagante che ha il palermitano quando cerca di scrutare se ci sono controllori in vista. Una della massime più gettonate nel capoluogo in vista delle elezioni è “cu acchiana acchiana un m'interiessa, basta ca un acchiana u cuntrulluri”. Se fosse vero che gran parte dei non obliteranti in realtà stava utilizzando in maniera gratuita un mezzo pubblico, dalle 11 e 30 alle 11 e 50 di un sabato mattina l'AMAT ha perso dei soldi. E' possibile quantificare? Una stima di qualche tempo addietro individuava in un 35 per cento la pattuglia dei portoghesi. Ci sembra al ribasso, ma diamola ancora per buona. Ciò potrebbe significare che trentadue passeggeri dei novanta non hanno pagato. Moltiplichiamo tale cifra per un euro e trenta, il costo del singolo biglietto. In venti minuti, l'AMAT ha presumibilmente perso, in un sola linea, per un breve tratto di una sola corsa, quasi 41 euro. Se proiettiamo tale passivo su un'intera giornata e poi a livello mensile e quindi a livello annuale, considerando tutte le linee e tutte le corse, ci rendiamo conto di come un privato avrebbe già chiuso da tempo i battenti. Ma, statene certi, un privato non lascerebbe margini così ampi di libertà agli utenti. Evidentemente ci sono abitudini difficili da scalfire. Nei mezzi dell'AMAT si continua ad accedere da tutte le bussole, cioè non si applica una disposizione della stessa azienda che obbligherebbe, se ricordiamo bene, ad entrare dalla porta anteriore. In tal modo, come succede in altre città europee e italiane, recentemente l'ho sperimentato a Como, i conducenti potrebbero essere autorizzati, attraverso una disposizione di servizio, a controllare i titoli di viaggio. Attualmente ignorano se gli utenti sono in regola o no. Ma il mancato incasso, oltre a riguardare tutti, qualcuno dovrebbe spiegarglielo, minaccia anche il loro stipendio. Cosa che, infatti, sta avvenendo. E qui l'esempio è limitato ad una linea del centro città. Dove, anche quando sale a bordo il controllo, è sempre composto da due impiegati, a volte anche tre. Ciò che altrove fa una sola persona, abbattendo del tutto il numero dei non paganti, da noi viene svolto da tre o quattro, che però, complessivamente, non fanno scendere complessivamente di molto l'asticella di quanti utilizzano gratuitamente un mezzo pubblico. Se ci trasferiamo in periferia, è facile ipotizzare che il picco degli evasori sia notevolmente più pesante. Si può cominciare, dunque, per tentare di colmare almeno in parte il disavanzo finanziario della partecipata comunale, col mettere in pratica un sistema che permetta di controllare sistematicamente tutti coloro che usufruiscono dei mezzi AMAT?

domenica 9 dicembre 2012

ARS: se questo è solo l'inizio, come sarà la fine?

LiveSicilia
 
9 Dicembre 2012
Se all'ARS si litiga già dal primo giorno
 
Francesco Palazzo
 

 
 

Da che mondo è mondo, al primo appuntamento si è galanti sino all'inverosimile, è tutto uno sfolgorare di sorrisi e ammiccamenti. Ciò vale anche nelle dinamiche istituzionali. Avete mai visto gli inquilini delle aule di camera e senato guadarsi in cagnesco già al primo round? Certo, durante la legislatura il clima si surriscalda, i cambi di casacca si susseguono, le vicende politiche si alternano. E allora si passa alle maniere forti. Sino ad arrivare alla fine, dove neanche ci si guarda più in faccia. Ma, suvvia, il primo giorno di scuola no. Eppure all'Assemblea Regionale Siciliana, neanche il tempo di suonare la campanella del primo giro di pista, che sembrava di essere ancora a quell'altra assise. Quella appena sciolta. Dove se ne sono viste di tutti i colori. Ma solo da un certo punto in poi. Qui invece da subito spintoni e parole infuocate. E se questo è l'inizio, cioè una maggioranza, seppure relativa, che si squaglia come neve al sole, e un'altra minoranza, più coesa, farla subito da padrone, ci potrebbero attendere cinque anni scintillanti. Da ricordare e tramandare ai posteri. E dire che la più alta assemblea rappresentativa siciliana era partita con più di un buon auspico.

Tante facce nuove, ma veramente, molti giovani e tante, tantissime, donne che viene il cuore solo a dirlo. Uno, con tali premesse, si aspettava non dico il gol di tacco o la rovesciata in piena area tipo Pelè nel film Fuga per la Vittoria. Ma almeno qualche buona azione manovrata e schemi aggiornati. Macché. Siamo rimasti a bocca aperta. Appena il tempo dei sorrisi di circostanza dei parlamentari, con familiari al seguito che, in quello che dovrebbe essere il campo centrale della politica siciliana, si è alzato un gran nuvolone di polvere come nemmeno nei campetti di periferia. Dove tra i dilettanti è facile che subito il clima si surriscaldi sino ad arrivare a cose grosse. Non so se riesco a spiegarmi. Ma già si parla nella maggioranza-minoranza, senza mezzi termini, del bisogno di un “chiarimento politico”. Non so se la locuzione vi ricorda qualcosa. Ci fa cascare dritti dritti nei nostri teneri ricordi della prima repubblica. Quando nella Dc, ma dopo un interminabile periodo di lunghi coltelli e di sangue che colava a rivoli, non certo dopo la prima stretta di mano, si registrava un impazzimento generale. Qualcuno allora chiamava il time out del chiarimento politico, ossia si ridistribuiva il potere utilizzando il buon vecchio manuale Cencelli. E a questo punto, dopo che ciascuno aveva avuto quel che gli spettava, non un grammo in più, né un pelo in meno, tornava la pace guerreggiata. Sino al successivo redde rationem.

Però, ecco, i democristiani, grandi maestri nella cucina del potere, facevano di tutto per evitare che si arrivasse a tal punto. La nuova legislatura siciliana esordisce invece, senza preamboli (altro termine di democristiana memoria), con uno scenario di questo tipo. Insomma, manco si inaugura la nuova casa, che sin dal fischio d'inizio dell'arbitro volano i piatti in aria e quelli dei piani di sotto e di sopra sentono grida, accuse e offese alle rispettive famiglie.

Quando si aspettavano il suono del dolce amore appena consacrato davanti all'altare elettorale al cospetto del celebrante corpo votante. Abbiamo la sensazione, così, ad occhio e croce, speriamo di sbagliarci, che il “chiarimento politico”, (a menza palora...), sarà il primo di una lunga serie. E siccome, come detto e come ci dice il calendario, siamo solo e soltanto all'inizio, temiamo che i “chiarimenti politici” (capisci a me) potrebbero essere la cifra del quinquennio che attende i siciliani e le siciliane che hanno appena votato i loro deputati.

Tanto che corriamo il pericolo di svegliarci una mattina e chiederci non cosa farà per noi quel giorno il parlamento regionale, ma come è finito, e se è finito, il trentanovesimo o il cinquantesimo “chiarimento politico” della notte prima.