giovedì 27 marzo 2014

Consenso alle mafie: classe dirigente e popolo dei quartieri.

La Repubblica Palermo
26 marzo 2014- Pag. I
IL CONSENSO ALLA MAFIA NON E' SOLO DI NECESSITA'
Francesco Palazzo

Ogni volta che il popolo dei quartieri si mobilità, vuoi per un funerale dopo un omicidio di mafia, vuoi per difendere quanti delinquono scagliandosi contro le forze dell'ordine o semplicemente appoggiando nella vita quotidiana la cultura e le prassi mafiose, si rimane stupefatti. In realtà, il quadro che si presenta fa parte di una lunga storia e non è affatto una sorpresa. Si tratta del consenso sociale che Cosa nostra continua ad avere presso ampi strati della società siciliana. Disseminato un po' ovunque, sia nelle classi dirigenti, sia negli strati popolari. Questa constatazione dovrebbe interrogarci sulla presa che il movimento antimafia ha avuto in Sicilia. Occorrerebbe dire con onestà che solo una parte non maggioritaria, localizzabile nell'asse che parte dalla borghesia e arriva nei quartieri, ha fatto effettivi passi in avanti circa l'opposizione al potere mafioso, nelle diverse forme in cui esso continua a declinarsi. Ora, il punto è che quasi sempre si assiste a una sorta di interpretazione di classe un po' curiosa. Capita di leggere condivisibili analisi quando si punta la classe dirigente, ovviamente una sua parte, posizionata in politica o nelle professioni, come lo strato sociale che va a braccetto con le mafie, nutrendole e nutrendosi del potere economico e sociale da esse derivante. Quando si passa a esaminare l'altra parte di questo filo continuo, e ben più numeroso, ossia quella parte di classe popolare che fa esattamente la stessa cosa, seppure con diverse finalità, si ha come uno scarto nella valutazione. Mentre i primi, cioè quei membri collusi della classe dirigente, sarebbero, come effettivamente sono, dei consapevoli sostenitori delle cosche, per vari motivi - voti, soldi, appalti - il popolo minuto che appoggia le mafie lo farebbe in stato di costrizione. Perché senza lavoro, senza casa, senza soldi, con pochi diritti, a causa dello stato non molto presente e via elencando. Non è che questi aspetti siano del tutto infondati. Ma non possono essere degli alibi. Non si riflette sino in fondo su una possibile opzione complementare e non completamente alternativa. Cioè che anche nei quartieri, tra la gente non dotata di cospicui conti in banca, ma non necessariamente indigente, in quanto avente un lavoro, un ambiente familiare sano o una pensione rispettabile o tra gli stessi nullatenenti, possa esserci un appoggio deliberato, convinto, consenziente, lucido alle cosche mafiose. Perché negare che nei rioni ci possano essere teste pensanti che si cibano e alimentano le mafie scegliendo questa opzione come fa uno spaccato della classe dirigente? Allora, più che veicolare una sorta di giustificazionismo della necessità, ci si deve chiedere perché ciò succede e come fare per capire, prima, e affrontare, dopo, tale situazione. Ammesso che le cose stiano così. Perché, se invece è l'indigenza o la non ricchezza, a generare mafia in maniera innocente, allora lasciamo le cose come stanno e continuiamo ad accontentarci delle analisi consuete. Bisognerebbe però spiegarsi e spiegare perché mai, strati sociali non poveri, tutt'altro, continuino a foraggiare i poteri criminali. Se fosse vera l'equazione niente povertà, niente mafia, non dovremmo assistere al fenomeno di membri della classe dirigente, dunque per definizione forti sia culturalmente che economicamente già di loro, che si mettono al servizio della parte peggiore della società siciliana. Se ci convinciamo di questi ragionamenti, dobbiamo ammettere che Cosa nostra, nella sua lunga vita, che ancora non ci siamo messi alle spalle forse anche perché non sempre ne abbiamo letto le dinamiche in maniera corretta, abbia sempre pescato e raccolga tuttora approvazione non forzata in tutti i settori della società siciliana. E tale gradimento è tutto grave allo stesso modo. Forse, come suggeriva don Ciotti nell'intervista a Repubblica in cui commentava le parole che papa Francesco ha rivolto ai mafiosi, è necessario “rovesciare schemi vecchi e datati”. Non è semplice farlo, tuttavia può rivelarsi necessario e urgente. 









mercoledì 12 marzo 2014

Foro Italico: cuscini, birilli e altre storie.

La Repubblica Palermo
11 marzo 2014 - Pag. I
I pezzi mancanti del panorama urbano
Francesco Palazzo


I cuscini mancanti sono trentaquattro, uno in più di quanti ne avevamo contati nel 2011. In parte è una buona notizia. Significa che negli ultimi tempi la voglia distruttiva dei palermitani non ha quasi causato altri danni. Non è migliorata, invece, l'attenzione di chi sarebbe stato preposto alla sostituzione dei guanciali scomparsi. Erano cinquantasette all'inizio, di un bel blu elettrico, rivolti verso il mare insieme ai divani allegramente colorati nella passeggiata in fondo al prato del Foro Italico. Oddio, chiamarlo prato, visto le condizioni in cui versa, è arduo. Pure quello che circonda la Cala pare consumato. Ma torniamo ai cuscini. E poi parleremo dei birilli. Ok. Il parco della Favorita non può essere chiuso. Resta un interrogativo. Quando si promettono le cose nelle campagne elettorali, si verifica prima la fattibilità di ciò che si vuole fare? Per carità, la realizzazione tecnica di certi progetti è più facile a dirsi che a farsi. Ma con i cuscini sarebbe più semplice. Uno va lì, conta quelli che sono passati a peggior vita, al posto dei quali vi sono delle sgradevoli macchie di cemento, e ne ordina degli altri. Restaurando quelli rimasti e rinfrescando i colori delle panchine. Se per caso non andassero di corsa, gli addetti potrebbero pure notare che lo spazio adiacente, che una volta era bianco e celeste, è tutto crepato e scolorito. E se poi si volesse esagerare, si potrebbe pensare pure di mettere dei comodi sedili (che i divani sono, anzi erano, belli ma poco confortevoli), rivolti verso il mare. Non sia presa come superflua quest'ultima precisazione. Ma sul lungomare di Villagrazia di Carini ci sono panche in cui uno si può certo comodamente sedere, ma sono messe curiosamente al contrario, danno le spalle al mare. Sicché in estate vedo gente che prende un gelato o fa due chiacchiere guardando non il blu delle acque, ma l'asfalto e le auto che transitano. A Palermo non potrebbe mai succedere una cosa del genere. Capitano però cose come il ratto dei cuscini non rimpiazzati. Per la verità, altri pezzi erano presenti sul prato del Foro Italico, sono spariti (ricordo i totem di ceramica che avevano vinto un premio a Verona), e col tempo che trascorre ne avremo una memoria sempre più sbiadita. Ma almeno rendiamo dignitosi quelli rimasti. Altrimenti li si tolga e li si sostituisca con altro. E non è finita meglio ai birilli colorati che fanno da dissuasori lungo il perimetro del prato. La loro forma prende spunto dal profilo del busto marmoreo di Eleonora d'Aragona. All'inizio erano di colori brillanti, belli da vedere. Adesso i più di mille e cinquecento rimasti non si possono più guardare. Poi ci sono quelli che mancano. Ne abbiamo contati più di duecento. L'effetto complessivo è davvero brutto. Possibile che nessuno di quelli che dovrebbero assicurare l'integrità del luogo se ne sia accorto e abbia rimediato? Parliamo di un sito tra i più frequentati, mica di qualche angolo buio dello ZEN o di Ballarò. La “scomparsa” dei cuscini l'avevamo vanamente denunciata, da queste pagine, tre anni addietro, in vigenza della passata amministrazione, ma vediamo che nemmeno con l'attuale si è provveduto a intervenire. Ora, il punto è che possiamo anche farcene una ragione se sul sogno del Parco della Favorita chiuso al traffico dobbiamo metterci una croce. Forse dobbiamo pure farlo con la chiusura da Piazza Croci alla Stazione Centrale. Anche sul porticciolo di Sant'Erasmo risanato nutriamo a questo punto poche speranze. Si tratta di cose non viste e alle quali non ci si è potuti affezionare. Ma la passeggiata al Foro Italico l'abbiamo immagazzinata come un fermo immagine che fa parte dei momenti di svago. Almeno quella curiamola, vista che ce l'abbiamo già. Non vorremmo che, un pezzo mancante dietro l'altro, ci restasse solamente il bel panorama, quello per fortuna nessuno lo può toccare, e il liquido marino. Che possiamo solamente guardare e annusare a debita distanza. E lo facciamo con rassegnazione. Visto che nemmeno li ascoltiamo più i propositi di recupero della costa palermitana e del suo mare.

mercoledì 5 marzo 2014

Il PD e la litania della Sicilia offesa.

Repubblica Palermo
4 marzo 2014 - Pag. 1

L'inutile stupore per l'assenza del PD siciliano a Palazzo Chigi
Francesco Palazzo

La mancata nomina nel governo Renzi di esponenti democratici isolani sta causando malumori e acuendo le consuete lotte all'interno del PD. Leggendo le natalità di ministri, vice e sottosegretari, mancano del tutto all'appello cinque regioni: Val D'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Marche e Molise. Non ci pare di aver sentito chissà quali lamentele provenienti da queste realtà. La stessa Sardegna ha un solo sottosegretario, identico trattamento per la “rossa” Umbria. Solo dalla Sicilia viene fuori la stanca recriminazione sull'isola lasciata ai margini. Peraltro, va detto che, oltre ad un ministro e due sottosegretari (benché targati centrodestra), nella squadra del segretario nazionale del PD figura, con un incarico di peso il palermitano Faraone. Prevale la convinzione che più ministri e sottosegretari hai, più premiata è la tua regione in termini di politiche da mettere in atto. Ma potrebbe risultare più convincente un altro filo logico. E cioè, che più una regione riesce a brillare di suo nel lungo periodo, più è facile che emergano biografie in grado di imporsi sullo scacchiere nazionale. Ma perché mai Renzi avrebbe dovuto premiare esponenti del PD siculo? Il solo ad aver creduto al percorso del rottamatore è stato Faraone e il suo entourage. Bastava respirare il clima dell'incontro svoltosi a Palermo, prima delle primarie, con Renzi, per capire che si cercavano posizionamenti più che una nuova e convinta prospettiva politica. Ma, a parte ciò, non si riflette sul fatto che questo partito, (PCI, PDS, DS e ora PD), da decenni non esprime una classe dirigente di livello. Tra le figure più importanti, dagli anni settanta ad oggi, si piazzano due esponenti inviati dall'esterno, Achille Occhetto e Pietro Folena. Tutto il resto è stato, tranne una biografia imponente e abbastanza isolata, perché senza veri eredi della stessa caratura, come quella di Pio La Torre, lotta tra correnti. Che ha sfornato una teoria di funzionari, ma nessuno nelle condizioni di brillare di luce propria oltre lo stretto per analisi politica e leadership. Che tutto ciò sia vero ce lo mostra la cronaca. I sindaci di centrosinistra che guidano le due città più importanti, Palermo e Catania, Orlando e Bianco, che erano riusciti a emergere nel panorama nazionale negli anni ottanta/novanta, sono tornati a guidare le due metropoli proprio per mancanza, in primo luogo in casa democratica, di figure fresche e riconosciute come tali dall'elettorato. Anche le primarie per la corsa alla segreteria regionale, non ce ne vogliano gli eletti, hanno premiato un riposizionamento strategico di aree e non nuova classe dirigente. Se la nuova segreteria saprà diventarlo lo vedremo misurando il lavoro che sarà in grado di svolgere. Ma non è certo cominciando con le rampogne contro Roma che strapazza la Sicilia che esordisce con il piede giusto. Questa considerazione sulla dirigenza politica dei partiti siciliani, va fatta anche per tutte le altre formazioni politiche. Non è che manchino giovani capaci nei partiti. Ma essi, tranne qualche caso, fanno evidentemente fatica a venire fuori. E quando ci riescono, devono guardarsi da un doppio pericolo. Quello di essere emanazione di qualche gruppo che ne sfrutta la carta d'identità continuando a comandare il gioco, oppure di perdersi nel labirinto della politica di piccolo cabotaggio. I trentenni, in Sicilia, dovrebbero avere molto più coraggio. Gli ultimi profili importanti che scorgiamo nella vita politica siciliana sono quelli del citato La Torre e di Piersanti Mattarella. Se vogliamo, potremmo aggiungere un nome in odore di beatificazione, il siciliano Giorgio La Pira, non dimenticato sindaco di Firenze. Quando nell'orizzonte siciliano cominceranno a nascere figure come quelle di La Torre, Mattarella e La Pira, ce ne accorgeremo subito. Purtroppo, al momento, tra le giovani generazioni, non se ne scorgono. E non sono certo due coccarde da sottosegretario, in più o in meno, che possono smuovere di un millimetro tale stato di cose.