Repubblica Palermo
4 marzo 2014 - Pag. 1
L'inutile stupore per l'assenza del PD siciliano a Palazzo Chigi
Francesco Palazzo
La
mancata nomina nel governo Renzi di esponenti democratici isolani sta
causando malumori e acuendo le consuete lotte all'interno del PD.
Leggendo le natalità di ministri, vice e sottosegretari, mancano del
tutto all'appello cinque regioni: Val D'Aosta, Trentino Alto Adige,
Friuli Venezia Giulia, Marche e Molise. Non ci pare di aver sentito
chissà quali lamentele provenienti da queste realtà. La stessa
Sardegna ha un solo sottosegretario, identico trattamento per la
“rossa” Umbria. Solo dalla Sicilia viene fuori la stanca
recriminazione sull'isola lasciata ai margini. Peraltro, va detto
che, oltre ad un ministro e due sottosegretari (benché targati
centrodestra), nella squadra del segretario nazionale del PD figura,
con un incarico di peso il palermitano Faraone. Prevale la
convinzione che più ministri e sottosegretari hai, più premiata è
la tua regione in termini di politiche da mettere in atto. Ma
potrebbe risultare più convincente un altro filo logico. E cioè,
che più una regione riesce a brillare di suo nel lungo periodo, più
è facile che emergano biografie in grado di imporsi sullo scacchiere
nazionale. Ma perché mai Renzi avrebbe dovuto premiare esponenti del
PD siculo? Il solo ad aver creduto al percorso del rottamatore è
stato Faraone e il suo entourage. Bastava respirare il clima
dell'incontro svoltosi a Palermo, prima delle primarie, con Renzi,
per capire che si cercavano posizionamenti più che una nuova e
convinta prospettiva politica. Ma, a parte ciò, non si riflette sul
fatto che questo partito, (PCI, PDS, DS e ora PD), da decenni non
esprime una classe dirigente di livello. Tra le figure più
importanti, dagli anni settanta ad oggi, si piazzano due esponenti
inviati dall'esterno, Achille Occhetto e Pietro Folena. Tutto il
resto è stato, tranne una biografia imponente e abbastanza isolata,
perché senza veri eredi della stessa caratura, come quella di Pio La
Torre, lotta tra correnti. Che ha sfornato una teoria di funzionari,
ma nessuno nelle condizioni di brillare di luce propria oltre lo
stretto per analisi politica e leadership. Che tutto ciò sia vero ce
lo mostra la cronaca. I sindaci di centrosinistra che guidano le due
città più importanti, Palermo e Catania, Orlando e Bianco, che
erano riusciti a emergere nel panorama nazionale negli anni
ottanta/novanta, sono tornati a guidare le due metropoli proprio per
mancanza, in primo luogo in casa democratica, di figure fresche e
riconosciute come tali dall'elettorato. Anche le primarie per la
corsa alla segreteria regionale, non ce ne vogliano gli eletti, hanno
premiato un riposizionamento strategico di aree e non nuova classe
dirigente. Se la nuova segreteria saprà diventarlo lo vedremo
misurando il lavoro che sarà in grado di svolgere. Ma non è certo
cominciando con le rampogne contro Roma che strapazza la Sicilia che
esordisce con il piede giusto. Questa considerazione sulla dirigenza
politica dei partiti siciliani, va fatta anche per tutte le altre
formazioni politiche. Non è che manchino giovani capaci nei partiti.
Ma essi, tranne qualche caso, fanno evidentemente fatica a venire
fuori. E quando ci riescono, devono guardarsi da un doppio pericolo.
Quello di essere emanazione di qualche gruppo che ne sfrutta la carta
d'identità continuando a comandare il gioco, oppure di perdersi nel
labirinto della politica di piccolo cabotaggio. I trentenni, in
Sicilia, dovrebbero avere molto più coraggio. Gli ultimi profili
importanti che scorgiamo nella vita politica siciliana sono quelli
del citato La Torre e di Piersanti Mattarella. Se vogliamo, potremmo
aggiungere un nome in odore di beatificazione, il siciliano Giorgio
La Pira, non dimenticato sindaco di Firenze. Quando nell'orizzonte
siciliano cominceranno a nascere figure come quelle di La Torre,
Mattarella e La Pira, ce ne accorgeremo subito. Purtroppo, al
momento, tra le giovani generazioni, non se ne scorgono. E non sono
certo due coccarde da sottosegretario, in più o in meno, che possono
smuovere di un millimetro tale stato di cose.
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