La Repubblica Palermo
26 marzo 2014- Pag. I
IL CONSENSO ALLA MAFIA NON E' SOLO DI NECESSITA'
Francesco Palazzo
Ogni
volta che il popolo dei quartieri si mobilità, vuoi per un funerale
dopo un omicidio di mafia, vuoi per difendere quanti delinquono
scagliandosi contro le forze dell'ordine o semplicemente appoggiando
nella vita quotidiana la cultura e le prassi mafiose, si rimane
stupefatti. In realtà, il quadro che si presenta fa parte di una
lunga storia e non è affatto una sorpresa. Si tratta del consenso
sociale che Cosa nostra continua ad avere presso ampi strati della
società siciliana. Disseminato un po' ovunque, sia nelle classi
dirigenti, sia negli strati popolari. Questa constatazione dovrebbe
interrogarci sulla presa che il movimento antimafia ha avuto in
Sicilia. Occorrerebbe dire con onestà che solo una parte non
maggioritaria, localizzabile nell'asse che parte dalla borghesia e
arriva nei quartieri, ha fatto effettivi passi in avanti circa
l'opposizione al potere mafioso, nelle diverse forme in cui esso
continua a declinarsi. Ora, il punto è che quasi sempre si assiste a
una sorta di interpretazione di classe un po' curiosa. Capita di
leggere condivisibili analisi quando si punta la classe dirigente,
ovviamente una sua parte, posizionata in politica o nelle
professioni, come lo strato sociale che va a braccetto con le mafie,
nutrendole e nutrendosi del potere economico e sociale da esse
derivante. Quando si passa a esaminare l'altra parte di questo filo
continuo, e ben più numeroso, ossia quella parte di classe popolare
che fa esattamente la stessa cosa, seppure con diverse finalità, si
ha come uno scarto nella valutazione. Mentre i primi, cioè quei
membri collusi della classe dirigente, sarebbero, come effettivamente
sono, dei consapevoli sostenitori delle cosche, per vari motivi -
voti, soldi, appalti - il popolo minuto che appoggia le mafie lo
farebbe in stato di costrizione. Perché senza lavoro, senza casa,
senza soldi, con pochi diritti, a causa dello stato non molto
presente e via elencando. Non è che questi aspetti siano del tutto
infondati. Ma non possono essere degli alibi. Non si riflette sino in
fondo su una possibile opzione complementare e non completamente
alternativa. Cioè che anche nei quartieri, tra la gente non dotata
di cospicui conti in banca, ma non necessariamente indigente, in
quanto avente un lavoro, un ambiente familiare sano o una pensione
rispettabile o tra gli stessi nullatenenti, possa esserci un appoggio
deliberato, convinto, consenziente, lucido alle cosche mafiose.
Perché negare che nei rioni ci possano essere teste pensanti che si
cibano e alimentano le mafie scegliendo questa opzione come fa uno
spaccato della classe dirigente? Allora, più che veicolare una sorta
di giustificazionismo della necessità, ci si deve chiedere perché
ciò succede e come fare per capire, prima, e affrontare, dopo, tale
situazione. Ammesso che le cose stiano così. Perché, se invece è
l'indigenza o la non ricchezza, a generare mafia in maniera
innocente, allora lasciamo le cose come stanno e continuiamo ad
accontentarci delle analisi consuete. Bisognerebbe però spiegarsi e
spiegare perché mai, strati sociali non poveri, tutt'altro,
continuino a foraggiare i poteri criminali. Se fosse vera l'equazione
niente povertà, niente mafia, non dovremmo assistere al fenomeno di
membri della classe dirigente, dunque per definizione forti sia
culturalmente che economicamente già di loro, che si mettono al
servizio della parte peggiore della società siciliana. Se ci
convinciamo di questi ragionamenti, dobbiamo ammettere che Cosa
nostra, nella sua lunga vita, che ancora non ci siamo messi alle
spalle forse anche perché non sempre ne abbiamo letto le dinamiche
in maniera corretta, abbia sempre pescato e raccolga tuttora
approvazione non forzata in tutti i settori della società siciliana.
E tale gradimento è tutto grave allo stesso modo. Forse, come
suggeriva don Ciotti nell'intervista a Repubblica in cui commentava
le parole che papa Francesco ha rivolto ai mafiosi, è necessario
“rovesciare schemi vecchi e datati”. Non è semplice farlo,
tuttavia può rivelarsi necessario e urgente.
Il consenso alla mafia è iscritto anche nella nostra cultura, intesa a 360 gradi. E' quindi davvero difficile da sradicare.
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