sabato 25 aprile 2009

Un pullman per i consiglieri

CENTONOVE
Settimanale di Politica Cultura Economia
24 4 09
Se il traffico paralizza la poliica
Pag. 46
di Francesco Palazzo


Ma allora aveva proprio ragione l’avvocato del film di Benigni, quando spiegava a Johnny Stecchino che il primo problema della Sicilia, oltre l’Etna e la siccità, quello “che ci fa nemici famiglie contro famiglie”, è proprio il traffico, la mobilità. Infine il parcheggiare da qualche parte. Perché si può pure faticare ad arrivare, ma se non posteggi il quattoruote hai fatto un buco nell’acqua, sei un mezzo fallito, un quaquaraquà di sciasciana catalogazione. E, per tale motivo, può capitare che, somma disgrazia, non tanto gli orari e gli impegni di un singolo privato vadano a farsi benedire, ma che tutta l’attività politica di una città vada a ramengo, in rovina, in malora. E’ quello che drammaticamente rischia di accadere a Palermo se i consiglieri comunali non avranno l’opportunità di lasciare i propri mezzi a due passi da Piazza Pretoria, anzi proprio nella stessa piazza dove sorge la casa comunale. Così che quando piove, manco l’ombrello ci vuole. Basta un salto aitante e vai ad amministrare sereno e tranquillo. Ci avevano provato con l’adiacente Piazza Bellini. Tuttavia, a causa dei soliti sfascisti, l’ottima idea è stata purtroppo bloccata. Qualcosa, per nostra fortuna, è rimasto. Per la cronaca e per i libri di storia. Quelle belle indelebili strisce gialle, che tanto s’intonavano con l’ambiente circostante, donando un tratto sbarazzino al vecchiume dei luoghi, fanno ancora capolino sotto le strisce bianche che le hanno barbaramente e ingiustamente coperte. Chissà poi perché, i soliti sfascisti intendo, avversano il povero e vilipeso giallo e adesso sono muti, allineati e coperti sul bianco candido come un giglio. Se una piazza è storica, il discorso è chiuso. Punto e a capo. Bianco, giallo, rosso, verde peperone, rosanero non dovrebbe fare differenza alcuna. I soliti insondabili misteri palermitani. Che solo un buon giallo, questa volta in forma di romanzo e non di striscia, potrebbe risolvere all’ultima pagina. Per dare qualche certezza ai contemporanei e ai posteri. Tornando ai nostri amici consiglieri comunali, essi ci impegnano arduamente da mesi. Una volta per i pass automobilistici, utili a volare a tutta birra tra le vie del centro, e un’altra con le piazze a strisce, per fermarsi e correre a esercitare la legittima azione politica in favore del popolo. Una soluzione va trovata. Prima che il dramma finisca in tragedia. E non è quella che subito immaginate, maliziosi e cattivi come siete. Ossia, che non ce ne può fregare di meno di come fanno a posteggiare gli eletti dal popolo palermitano. Facciano un po’ come tutti. S’aiutino con autobus, taxi, metropolitana, moto, bici, garage privati, paghino nelle strisce blu o lascino l’automobile dove è possibile nel rispetto del codice della strada. Facciano pure qualche passo a piedi, che fa bene alla salute e distende i nervi. Queste alternative, valide per il mondo intero, non vanno bene alle nostre latitudini. Siamo uomini di mondo e ormai lo abbiamo capito. Ci vogliono rimedi seri, affinché gli amministratori riescano, sereni e puntuali, a recarsi presso il palazzo di città, detto anche delle aquile. Le quali, è risaputo, non hanno, fortunate come sono, problemi di parcheggio. Bisogna, dunque, che i palermitani tutti, con spirito compassionevole e partecipato, si spremano le meningi per uscire da tale incresciosa ed endemica circostanza. Io sul problema ho passato qualche notte insonne. Niente complimenti, immaginate, per la mia città farei questo e altro. Alla fine un’idea mi è venuta. Non vincerò il nobel, ma si può fare. Si compri un pullman, di quelli capienti, almeno in grado di contenere i cinquanta consiglieri e la giunta al suo completo, lo si doti di tutti i comfort e lo si munisca di tutti i pass stradali possibili e immaginabili. Che so, compreso quello di entrare da una porta della cattedrale e uscire dall’altra. Si tengano lì i consigli comunali. Il mezzo passerà a prendere gli interessati dalle proprie abitazioni, e li rilascerà, sempre davanti alle soglie domestiche, aspettando che chiudano i portoni, a fine lavori. L’aula consiliare la si lasci alle aquile. Sino a quando, ovviamente, stanche di volare, non cominceranno a motorizzarsi pure loro.

venerdì 24 aprile 2009

La Fiera del Mediterraneo e il punteruolo della politica

LA REPUBBLICA PALERMO – VENERDÌ 24 APRILE 2009

Pagina XXIII
I due punteruoli dentro la fiera
FRANCESCO PALAZZO


Da ragazzini, trenta e più anni addietro, li si attendeva come un evento. Erano altri tempi. Internet e la tv via satellite non erano ancora entrati nelle case. Ecco perché i film trasmessi al mattino, in occasione della Fiera del Mediterraneo, erano motivo di grande e attesa novità. La campionaria si svolgeva verso la fine dell´anno scolastico, si poteva stare in casa e godersi serenamente la visione, ai più piccoli vietata la sera. È il primo pensiero che mi è venuto leggendo che quest´anno l´evento salterà e che l´Ente Fiera è al lumicino, affossato da una pesantissima condizione finanziaria che si trascina da anni. Dal 1946 «la fiera» era un appuntamento fisso per i palermitani. Che una capatina l´hanno sempre fatta. Magari non c´è mai stata molta qualità dal punto di vista commerciale, ma farsi due vasche, una all´ingresso e una al ritorno, è un´esperienza che almeno una volta nella vita ogni abitante del capoluogo ha provato. Le prossime generazioni, probabilmente, non potranno più dire «ci vediamo alla fiera». Chissà se le responsabilità saranno mai accertate per questa sottrazione di passato e di futuro. Leggiamo che persino i quadri di proprietà dell´ente, sottoposti al vincolo di tutela artistica, sono stati pignorati e svenduti a privati a prezzi minori del loro valore. Apprendiamo che l´attuale ufficio liquidatore ha dovuto acquistare sedie dove sedersi e tavoli su cui lavorare, perché tutto è stato venduto al ribasso all´asta per far fronte ai creditori. La cosa più incredibile è pero un´altra. Alle due palme risparmiate dal punteruolo rosso, delle venti esistenti, sono stati attaccati dei bollini con il loro valore commerciale. Dove non ha potuto il terribile coleottero, arriva la cattiva gestione della Regione. Potremmo chiamarlo il Punteruolo Siciliano. Dopo il funerale della Fiera, che pagheremo tutti, si prospetta la possibilità che l´ente venga rilevato da privati. Vedremo. Anche se nella nostra terra, quasi sempre, si scrive privato e si legge pubblico. Nel senso che spesso i primi incassano e il secondo spende e spande. Sino a quando non si arriva al capolinea, e come in questo caso ci si trova costretti a vendersi pure gli alberi. A meno che non si debba dar credito alle voci secondo cui l´area di 83 mila metri quadri sia interessata a una lottizzazione per la costruzione di abitazioni private. Come dire, una bella e tradizionale colata di cemento. È una storia che conosciamo bene. Pure l´imbattuto punteruolo rosso ha da temerne seriamente, mentre quello siculo dentro i pilastri si fortifica, cresce e si mimetizza. Ricordate quello slogan di Lima? «Palermo è bella, facciamola più bella». Da allora sono trascorsi più di quattro decenni, ma l´operazione bellezza prosegue indisturbata su più versanti. Cambiano le facce, i luoghi, le persone, le parole. Il punteruolo siculo continua a lavorare, a scavare alacremente senza sosta. Talvolta vi sembrerà di non vederlo. Non preoccupatevi, non è morto, lui c´è sempre. Anzi, proprio quando non è visibile, lavora instancabilmente. Divorando dall´interno e svuotando tutto ciò che può. Contrastarlo, eliminarlo, o almeno arginarlo, è il vero problema politico e sociale della Sicilia.

domenica 19 aprile 2009

Palermo: se il centrosinistra sa andare oltre il corteo

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 19 APRILE 2009

Pagina XXIII
IL PRIMO PASSO DEL CENTROSINISTRA
Francesco Palazzo

Ieri tutta l´opposizione all´amministrazione Cammarata (Pd, Italia dei Valori e Un´Altra Storia) è scesa in piazza e ha convocato i cittadini per sottolineare tutte le lacune di una maggioranza politica e della giunta che la rappresenta nelle scelte operative. È un segnale da non sottovalutare. Sono trascorsi quasi due anni dall´inizio della legislatura, dunque un periodo congruo per avanzare una compiuta valutazione. È sotto gli occhi di tutti che sono più le ombre, alcune abbastanza pesanti come il caso Amia e la farsa delle Ztl, che le luci. Queste ultime, francamente, difficilmente individuabili pur con tutta l´imparzialità possibile. A ciò si aggiunga la pesante situazione finanziaria che rende difficile anche l´ordinaria amministrazione. Tutto questo a fronte di un dato elettorale di partenza del tutto favorevole al centrodestra. Le cui liste, nel maggio 2007, sfiorarono il 61 per cento, staccando il centrosinistra di un sostanzioso 23,1 per cento. Lo stesso candidato a sindaco della parte vincente si piazzò otto punti sopra un nome molto accreditato come quello di Leoluca Orlando. Insomma, c´erano tutte le condizioni per un´agevole navigazione. Invece si è andati avanti alla giornata, senza una vera progettualità, con liti e sostituzioni continue di assessori. Questi rilievi critici vengono fuori dalla stessa maggioranza che sostiene l´amministrazione. L´opposizione, negli ultimi tempi, si è contraddistinta per la sua vivacità su alcuni temi cruciali, almeno in alcuni suoi elementi di punta. La stessa manifestazione di ieri è frutto di una convergenza di fondo fra i tre pezzi della minoranza a Palazzo delle Aquile. Certo, i cortei di protesta anche quando veicolano proposte interessanti difficilmente scalfiscono la struttura del consenso elettorale. Che risponde a dati abbastanza consolidati nel tempo e a meccanismi poco aggredibili con un comizio o con una mobilitazione, per quanto estesa quest´ultima possa essere. Al momento, pur con una maggioranza in piena crisi d´identità, difficilmente Pd, Italia dei Valori e Un´Altra Storia potrebbero superare quel 37,8 per cento che la coalizione a sostegno di Orlando conquistò nel 2007. A meno che, ma questo è un discorso di là da venire, non si cambi per la prossima tornata elettorale lo schema delle alleanze. Oggi non sembra che ci sia una vera alternativa che possa concorrere veramente per una vittoria elettorale. Quanto al Comune ci sia bisogno di ricambio è abbastanza comprensibile per tutti. Se chi fa male viene poi comunque riconfermato - è quanto accade regolarmente in Sicilia - significa che l´opposizione, poiché non può prendersela con gli elettori, deve cambiare radicalmente il suo modo di porsi e di proporsi. Un corteo come quello di ieri può essere il primo passo. Al quale deve seguirne un secondo più significativo. Inizi, sin da domani, il centrosinistra, a costruire nel capoluogo l´alternativa. Individui ora, non all´ultimo momento, una figura attorno alla quale costruire un progetto di governo per Palermo. Sì, proprio un candidato o una candidata a sindaco. Scelga con il metodo che ritiene più opportuno, primarie o accordo tra partiti. Cominci ad aggiungere a questo primo tassello una rosa di assessori certi, poi gente che porti voti e qualità disponibile a candidarsi, pochi punti programmatici, non più di dieci, e inauguri un percorso. C´è tempo, si può lavorare con calma e serenità. Bisogna cioè evitare che la «chiamata alle armi» di ieri sia fine a se stessa, perché altrimenti il rischio è che questo malconcio centrodestra fra tre anni rivinca le elezioni.

martedì 14 aprile 2009

Gibellina, la memoria in un cimitero

LA REPUBBLICA PALERMO - MARTEDÌ 14 APRILE 2009

Pagina III
Pasqua a Gibellina, i sopravvissuti del ´68 tornano tra i ruderi
Francesco Palazzo

GIBELLINA - Verso le sei di sera del giorno di pasqua ci troviamo sulla statale 119, verso i resti di Gibellina. Passiamo sotto la grande stele chiamata porta del Belice. Gibellina, tradotto dall´arabo, piccola montagna. Saliamo lungo la strada, fermiamo due fidanzati che in macchina scendono a valle. Chiediamo se siamo nella giusta direzione. Sostengono di no, da quella parte c´è solo Santa Ninfa. Forse non sono del luogo o forse le nuove generazioni non vogliono la memoria del dolore, della terra che si apre e inghiotte tutto. Come avvenne a Gibellina nella notte tra il 14 e 15 gennaio del 1968. Statale 119. Ora in discesa. Incrociamo un´auto. Freniamo di botto, facciamo marcia indietro e in pochi secondi i finestrini sono allineati. Ci troviamo di fronte una coppia gentile di anziani: facce serene e dolenti, come se il terrore di allora non potesse più cancellarsi. Ci chiedono da dove veniamo, pensano che non siamo siciliani. «Se cercate Gibellina vecchia - ci dice la coppia - venite con noi, stiamo andando lì, al cimitero, a far visita ai nostri cari». Cimitero? In un paese che non c´è più? Cominciamo a seguirli. Dopo una serie di tornanti e circa sei chilometri, ecco Santa Ninfa. Un altro dei paesi che subì danni ingenti. Non come Gibellina, Salaparuta, Montevago e Poggioreale, completamente distrutti. In tutto, una quindicina di paesi furono toccati dal violento sisma. Dopo Santa Ninfa, pensiamo d´essere vicini alla meta e invece un cartello, con la scritta "Ruderi di Gibellina", c´informa che mancano dodici chilometri di strada tortuosa. Quanta e che strada, non certo quella moderna e asfaltata anche se un po´ sgarrupata di adesso, si trovarono ad affrontare allora i soccorsi per raggiungere Gibellina. Dopo sei chilometri l´auto davanti si ferma. Ecco il luogo delle baracche, alcune ancora visibili, che ospitarono per anni i sopravvissuti. Ripartiamo veloci, mancano sei chilometri di quasi deserto. Come i sei, del resto, che li hanno preceduti. Ecco il cimitero. I due anziani si fermano, noi pure. La moglie, pensando a ieri e guardando da lontano i loculi, sottolinea che la tomba è l´unica cosa che è rimasta loro. Guardando oggi all´Abruzzo ha una sola implorazione. Che non ripetano l´errore, fatto con loro, di sradicarli e costruire da un´altra parte. Cento metri più avanti, il paese con quello che resta della madrice. Il nome viene pronunciato come se le campane ancora suonassero per la festa pasquale. E invece c´è un silenzio surreale, pesante, pauroso. Anche la colata di cemento che copre gran parte della vecchia Gibellina e ha mantenuto intatta la struttura viaria, non ci solleva. Tornando vediamo meglio il piccolo cimitero. Intatto. Vivo, viene da pensare, di fronte a un paese morto.

sabato 4 aprile 2009

Se avvisassero le persone giuste!

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
3 aprile 2009 - Pag. 46
SE SI VIETA LA PROTESTA
Francesco Palazzo

Pensavo, in un primo momento, che questa storia dell’avviso orale a ben comportarsi, notificato il 26 settembre 2008 dalla questura di Palermo al sindacalista della CGIL siciliana e attivista politico Pietro Milazzo, se ben inquadrata, si sarebbe sgonfiata in breve tempo con il ritiro del provvedimento. Immaginavo, cioè, che si fosse messo in moto un intricato e impenetrabile automatismo burocratico, di quelli che una volta partiti non si riesce più a fermarli. Sino a quando qualcuno non legge con calma e buon senso le carte. Tuttavia, già una richiesta di rientro del provvedimento, inoltrata dall'interessato, è stata, nel mese di dicembre scorso, rigettata. In questi giorni leggo di un ennesimo appello, che ha raggiunto più di duecento firme, con il quale si richiede la revoca dell’avviso. Il quale si cuce addosso, stando ad una legge di mezzo secolo fa, a coloro che, per il loro comportamento debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l´integrità fisica e morale, la serenità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Se il sindacalista persevererà nella condotta per la quale è stato avvisato, potrebbero scattare alcune misure di prevenzione un tantino antipatiche: la sorveglianza speciale o il divieto di soggiorno in città e in provincia. Ma cosa ha fatto Pietro Milazzo? Pare che da giovane, più di trenta anni addietro, siamo nei primi anni settanta, poco più che ventenne, fosse sulle barricate delle rivolte studentesche, prendendosi, sembra, qualche denuncia. Dopo più di tre decenni la giustizia probabilmente rispolvera quei fatti e li collega a varie circostanze recenti di protesta nonviolenta. Perché Milazzo non ha fatto, come molti dei suoi coetanei, rivoluzionari borghesi a diciotto anni e più che integrati in un sistema spesso ambiguo a sessanta. No, ha proseguito nella sua strada, che si può discutere nelle singole battaglie, ma che è coerentemente legata al rispetto dei diritti elementari di cittadinanza, sia per gli immigrati, sia per i nativi siculi. Per dirla più chiaramente, ha continuato, da dirigente sindacale e da animatore sociale, a fare semplicemente politica. Non mercanteggiando posti di sottogoverno o cariche assessoriali, se avesse fatto ciò dormirebbe sonni tranquilli. Ma organizzando e partecipando a varie manifestazioni pubbliche e coordinando alcune piattaforme rivendicative. In questa veste, dal 2005 al 2008, questo il periodo incriminato, si è reso “colpevole” di scendere diverse volte in piazza insieme a coloro che lottano per avere una casa e con quelli che denunciavano le presunte irregolarità elettorali durante le ultime elezioni comunali palermitane. Inoltre, gli si contesta la partecipazione ad alcune altre pacifiche manifestazioni, tra le quali la protesta contro la presenza di navi militari USA nel porto di Palermo. Tutte cose, sia chiaro, sulle quali si possono avere posizioni le più diverse. Non è questo il punto. Ciò che pare davvero esagerato è che si considerino azioni di questo tipo, che sono politiche e solo politiche, nella forma e nella sostanza, come suscettibili di rappresentare situazioni nelle quali si sono messe in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica, incidendo, addirittura, l’ambito sacro delle libertà costituzionalmente garantite. Insomma, siamo in uno strano paese, e in una ancor più bizzarra regione. Perché, se manifesti pacificamente per la strada, puoi incorrere negli strali puntuali, e per carità legittimi, dei custodi dell’ordine. Se, invece, amministri malamente un’azienda pubblica, risulti condannato pesantemente da un tribunale della repubblica, ti trovi indagato per voto di scambio politico mafioso, oppure lucri insieme e allegramente con l’economia criminale, nessuno ti avvisa per indurti a cambiare vita. Anzi, in molti di questi casi, le maglie della sicurezza si placano. E si varcano trionfalmente, o si continuano ad abitare, le aule parlamentari e le stanze da dove si amministra il potere in Sicilia.

mercoledì 1 aprile 2009

Le mafie e i totalitarismi

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 01 APRILE 2009

Pagina I

Cosa nostra è forte perché non è una dittatura
Francesco Palazzo


Nell´interessante, e per molti versi apprezzabilissimo, intervento sulla mafia del presidente della Camera, in visita l´altro giorno in Sicilia, c´è una doppia affermazione che può essere oggetto di approfondimenti. Da un lato, la terza carica dello Stato ha affermato che il potere mafioso è una dittatura alla quale ribellarsi con le leggi e la legalità, dall´altro ha detto che nel ramo del Parlamento che rappresenta non ci sono né mafiosi né chi li difende. Proviamo a ragionare. La dittatura è una forma autoritaria di governo, in cui il potere è concentrato in un solo organo o nelle mani del dittatore, senza limiti di leggi o altri poteri. In primo luogo, se la mafia fosse stata, dall´unità d´Italia a oggi, un sistema di questo tipo, sarebbe già stata spazzata via come accaduto con ben altre dittature del secolo breve, fascismi e comunismi in testa. Che hanno trovato, ma questo è un altro discorso, un´ampia e radicata approvazione nei popoli. Il richiamo alle dittature richiama, in secondo luogo, al versante militare che questi regimi hanno utilizzato, e ancora impiegano, per affermarsi. È pur vero che il potere mafioso ha una struttura militare capace di colpire in diverse fasi storiche e in modi differenti. Tuttavia tale forza non è stata mai utilizzata per edificare totalitarismi. Al contrario è stata amministrata nei momenti giusti, sia quando è stata richiesta dallo Stato per mantenere l´ordine, ad esempio contro il brigantaggio, sia nei momenti in cui Cosa nostra si è mossa in proprio, vedi le stragi del ´92 e del ´93. E anche in questi ultimi casi è possibile, e molti tra investigatori, studiosi e storici lo ritengono verosimile, che le cosche si siano mosse all´interno di cointeressenze con pezzi più o meno deviati delle istituzioni. Al momento ne sappiamo poco, ma non escludiamo che i nostri figli potranno farsi, su tale delicata questione, un´idea meno precaria e ipotetica della nostra. Ciò che però possiamo affermare con ragionevole certezza è che i poteri mafiosi, che sono sì militari ma soprattutto finanziari e politici, hanno giocato la loro partita per intero, almeno in Italia, prima durante lo Stato liberale, poi durante il fascismo, quindi nel periodo repubblicano e democratico che viviamo. Non è stata mai la dittatura il loro orizzonte operativo, non avrebbero potuto sostenere un simile impegno strategico. Che peraltro non era funzionale ai loro interessi. Invece, com´è avvenuto sotto gli occhi di tutti, gli interessi mafiosi hanno proliferato dentro i sistemi politici in cui si sono trovati a vivere. In ultimo, riferendoci al nostro Paese, in quello democratico e costituzionale. Al cui interno hanno messo insieme un potere finanziario immenso, ormai in larga parte legalizzato e perciò difficilmente colpibile. Chi li ha aiutati, nell´ultimo sessantennio, in tale percorso? Sicuramente c´è stato un consenso di base da parte della popolazione. Ma non si può negare, faremmo un torto alla nostra intelligenza, che un decisivo appoggio è venuto dalla classe dirigente italiana. Non saremo certo noi a dire che la mafia è a Roma. Tale affermazione, vecchia come il cucco e falsa, è servita a molti di coloro che hanno guidato la politica nelle regioni meridionali, e a gran parte del corpo elettorale che li ha espressi, per scaricarsi di responsabilità appartenenti in larga parte alle classi dirigenti locali. Ma, allo stesso modo, è un tantino esagerato sostenere che nelle aule parlamentari della capitale non ci sono coloro che appoggiano le mafie. Perché vorrebbe dire che non abbiamo capito niente della nostra storia, e della cronaca, recente. Invece qualcosa l´abbiamo capita. La potenza delle mafie sta proprio nell´essere riuscite, con le complicità che sappiamo, a inserirsi nel gioco democratico, senza avere come progetto di destabilizzarlo, perché è il sangue su cui viaggia il loro potere. Se ci fossimo trovati, in questo secolo e mezzo, da una parte una dittatura criminale e dall´altra un Parlamento tutto pulito, a quest´ora non parleremmo più di mafie. Se ancora esse vivono e lottano assieme a noi, è perché le cose sono andate, e vanno, in maniera profondamente diversa.