La Repubblica Palermo
– 14 settembre 2021
Il poco che resta
della lezione del beato Puglisi. Cosa resta nelle parrocchie della pastorale
anti cosche del beato Pino Puglisi.
Francesco Palazzo
Siamo a 28 anni dall’omicidio per
mano mafiosa di don Puglisi. A otto dalla beatificazione sul prato del Foro
Italico. A tre dalla visita di Papa Francesco nei luoghi di Puglisi. Domenica
abbiamo letto su queste colonne l’intervento, condivisibile, di don Corrado
Lorefice, ottimo arcivescovo della diocesi di Palermo. L’illegalità, il
clientelismo, sono da sconfiggere. Così come sono da promuovere la solidarietà,
la corresponsabilità, la cittadinanza attiva. Ha ragione don Corrado. Queste
cose ce le ripetiamo da tempo. Così come è giusto, e non possiamo che
controfirmare con don Lorefice, che i parroci lavorino con il territorio,
accanto alle persone, senza cercare postazioni privilegiate all’ombra dei
poteri. Il punto è, come emerge da diverse indagini e come sappiamo bene, che
gli uomini delle cosche, messi alle corde quanto vogliamo, impoveriti,
assottigliati numericamente, sono sempre dei punti di riferimento nella vita di
tanti quartieri. Dal pizzo quasi cercato per mettersi a posto,
dall’autorizzazione per qualsiasi attività, all’appoggio culturale che la mafia
riceve, alle attività criminose che in tante parti di Sicilia sono poste in
essere alla luce del sole, al consenso che le mafie incassano, soprattutto
quando non sparano, negli ambienti sia popolari che borghesi. Allora, parlando
di chiesa, di comunità cristiane parrocchiali, di preti alla loro guida, la
domanda è sempre la stessa. Qual è la pastorale concreta, quotidiana, feriale
della diocesi? Dalla risposta a questa domanda, ed eventualmente dai silenzi e
dai ritardi, possiamo misurare cosa ne è dell’eredità di don Pino. Ora, a me
pare, che nei decenni, quasi tre, che ci distanziano dall’eliminazione di 3P,
avvenuta il 15 settembre del 1993, in una calda serata palermitana di fine
estate, non molto sia avvenuto nella vita delle parrocchie. Anzi, se proprio
dobbiamo dirla tutta, pare di intravedere un riflusso rispetto a quella che fu
l’attività di Puglisi. Vado spesso, perché ci sono nato e ho ancora legami
familiari, nella zona di Brancaccio. E non mi pare di notare, posso ovviamente
sbagliarmi, attività delle diverse presenze parrocchiali che abbiano seguito e
migliorato l’esperienza di Pino Puglisi. Ma non dobbiamo soltanto fermarci al
luogo dove il sacerdote visse gli ultimi anni. La questione riguarda tutta la
diocesi e l’intera chiesa siciliana. La pastorale antimafia di 3P, magari
non si vuole chiamarla così ma questa era e per questo è morto, riguardava
diversi ambiti. Conoscenza del territorio, azioni su di esso, legami con
un’importante e laica realtà associativa del territorio, il Comitato
Intercondominiale Hazon, parole nette dal pulpito contro i mafiosi in carne e
ossa e non contro la mafia in generale, rapporti adulti con le istituzioni, che
venivano martellate, basta guardare l’agenda degli impegni di don Pino, per
chiedere servizi sul territorio piuttosto che facili finanziamenti per progetti
che lasciano spesso il tempo che trovano. Ricordo, ero capogruppo di Insieme
per Palermo, un’audizione di don Pino durante una seduta del consiglio di
quartiere, dove lui venne con un gruppo di persone. Parole chiare, sobrie,
nette. Non per la sua parrocchia, ma per il quartiere. Ora, il punto è
chiedersi che fine abbia fatto tutto questo. Se nelle parrocchie, su impulso
della diocesi, si è proseguito e potenziato il metodo di Puglisi. O se i
parroci, e le comunità parrocchiali che le guidano, fanno come meglio gli
viene. Portare una persona come Puglisi sugli altari equivale a prendersi una
bella responsabilità. Che va declinata e tradotta dalla chiesa palermitana (e
siciliana) con un cronoprogramma chiaro e semplice, con progetti strutturati e
azioni da attuare in tutte le parrocchie. Altrimenti c’è il rischio che don
Pino sia un beato irraggiungibile e solo contemplabile dalla chiesa. Francamente,
quel colpo di pistola alla tempia contro un grande uomo meritava e merita da
parte dei cattolici risposte molto diverse, non più rimandabili, fatte di
concretezze quotidiane nei territori parrocchiali. Dire che la mafia è
antievangelica, dopo il sacrificio di Puglisi, non può più bastare.