lunedì 26 aprile 2010
Riformite cronica, una brutta malattia
venerdì 23 aprile 2010
Centrosinistra in Sicilia, il muro del 30 per cento.
Generalmente, quando una parte politica attraversa un momento di crisi, e il centrodestra in Sicilia sta vivendo molto di più che un frangente di faide intestine, chi se ne avvantaggia è l'altra parte dello schieramento. Per restare al sud, alle recenti regionali, in Calabria e in Campania, dove il centrosinistra è alla frutta, il centrodestra ha vinto. In Sicilia, invece, il baratro della dissoluzione della maggioranza più che vittoriosa nel 2008, sta diventando il buco nero in cui tutti si stanno andando a cacciare. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, il dibattito che si sta svolgendo dentro il centrosinistra, o meglio nel Partito Democratico, lascerebbe intendere a un visitatore ignaro di cose siciliane, che proprio i democratici siano il punto debole della convulsa fase politica regionale. Quando, al contrario, dovrebbero esserne i primi beneficiari. I continui viaggi sull'asse Palermo-Roma dei maggiori dirigenti democratici e adesso questa sorta di commissariamento, descrivono un tira e molla che ormai sta iniettando dentro il partito il virus dell'incomunicabilità e dell'incertezza assolute. Ognuno dice la sua, tra interventi sui quotidiani, sui blog e sui social network. Dalle primarie è uscita una situazione che non è né carne né pesce. Non hanno vinto coloro che più tendevano a un rapporto stretto con Lombardo e hanno perso coloro che più volevano tenersene lontani. Ha prevalso una linea incerta, che guarda un po' di qua e un po' di là, non decidendosi se prendere una strada anziché un'altra. A conferma di ciò giunge l’ultima salomonica decisione della direzione regionale del partito. Che, cercando di accontentare tutti, finisce probabilmente per scontentare tutti. Questo stato di cose, se non siamo lontani dal vero nel rappresentarlo, può rivelarsi esiziale per qualsiasi formazione politica. A maggior ragione se riguarda un partito che non ha, almeno in Sicilia, numeri tali da potere sopportare scosse di un certo grado. Va detto, per avere un quadro più completo e veritiero, che al momento il Partito Democratico, a prescindere di cosa si possa pensare delle sue scelte, è l'unico soggetto del centrosinistra che tenti comunque di battere qualche colpo. Le altre forze navigano a vista, quasi scomparse, oltre che dal parlamento regionale, anche dal dibattito politico. Se non per dire che non sono d'accordo col Partito Democratico, o con quella sua parte fidanzata con Lombardo. Troppo poco come prospettiva. Per fare un bagno di sano realismo, bisogna tenere fermi i dati delle ultime tre elezioni regionali, un decennio di politica. Nel 2001 il centrosinistra si fermò al 30,3 per cento, nel 2008 si è tornati esattamente allo stesso dato, sommando anche Italia dei Valori che andò da sola. E' vero che c'è la parentesi del 2006, dove il centrosinistra raggiunse la “portentosa” cifra del 36,3 per cento. Se però togliamo la percentuale della lista legata alla Borsellino, voti non strutturali e presto evaporati, non ci si allontana molto dal 30 per cento. Dunque, questo è il dato di partenza, una colonna d'Ercole difficilmente valicabile, un quadro ormai abbastanza stabile e consolidato. Né si può pensare di cercare e trovare ogni volta il candidato che fa il miracolo di portare alla vittoria una coalizione che vistosamente non ha il consenso per farcela. E' strada che non spunta. Chiariscano, allora, i democratici che strada intendono prendere come partito e non come singoli l'un contro l'altro armati. Non soltanto per quanto riguarda la votazione, o meno, del bilancio regionale. Ma prospettando come vogliono giungere, ossia con quali alleanze, al prossimo voto regionale. Lo facciano con un referendum, un congresso regionale, come vogliono, ma non possono rimanere più del dovuto in mezzo al guado aspettando chissà che. Perché mentre si attende, può essere il partito a frantumarsi. E, dall'altro lato, le formazioni a sinistra del PD, dicano qualcosa in più delle critiche ai democratici. Prendano, anche loro, quel 30,3 per cento e vedano cosa farne. Se contemplarlo all'infinito, sconfitta dopo sconfitta. O se farne una base di partenza per costruire anche in Sicilia, finalmente, la democrazia dell'alternanza.
domenica 18 aprile 2010
Sul PDL in Sicilia. Alfieri o Cavalli?
domenica 11 aprile 2010
PD in Sicilia: partito o torre di babele?
http://www.livesicilia.it/2010/04/11/ma-e-ancora-un-partito/
Nel dibattito lacerante che si è aperto nel Partito Democratico, più o meno commissariato, più o meno autonomo, vi sono alcune questioni che meritano qualche riflessione. Intanto questa storia delle riforme. Da che mondo è mondo, le opposizioni presenti nelle aule parlamentari dialogano con le maggioranze e cercano di inserirsi per migliorare, dal loro punto di vista, i testi che passano all’esame delle assemblee elettive. Che il Pd siciliano abbia avuto bisogno di un congresso per stabilire quella che è, ci scuseranno, una banalità, possiamo registrarla come un frutto di questa incerta stagione politica regionale, ma non aggiunge nulla a quanto si sapeva già. Un altro aspetto riguarda la votazione, o meno, del bilancio regionale per l’anno 2010, che giungerà, e ciò non è segno di buona politica, in estremo ritardo. Il bilancio è un provvedimento che attiene, o atterrebbe, visto che non c’è più, alla maggioranza uscita dalle urne regionali nel 2008. La minoranza può inserire aspetti migliorativi, e si è sempre fatto, anche in tal caso si scopre l’acqua calda. Ma se vota in blocco il provvedimento, è chiaro che si autodenuncia come maggioranza. C’è poco da discutere. Anzi, l’approvazione della legge di bilancio è più pregnante, da un punto di vista politico, di un eventuale ingresso in giunta. Cosa che peraltro, è inutile giocare con le parole e con i fatti che abbiamo dinanzi, è già avvenuta.Sul bilancio, poi, è abbastanza vano dire che si voterebbe solo se contenesse “innovazione e sviluppo”. Avete mai visto un partito che affermi che il bilancio appena approvato ha in se “vecchiume e sottosviluppo”? Innovazione e sviluppo sono le parole più vecchie e abusate del vocabolario politico. I democristiani ci facevano colazione, pranzo e cena. E, quando avevano più fame, anche lo spuntino notturno. Su riforme e bilancio, l’incontro al calor bianco con l’inviato da Roma niente poteva aggiungere e niente ha aggiunto. Per dirla tutta, anche il mandare qualcuno da Roma, che deve mediare e concludere, è un rito della prima repubblica che ormai è tempo, con tutto il rispetto, di mandare in soffitta. Una liturgia che obbedisce a regole novecentesche, cadute e sepolte insieme al muro di Berlino. E’ il partito siciliano, i suoi dirigenti, gli iscritti, quella che molto retoricamente si chiama base, che deve decidere sul da farsi. Cercando di interpretare le speranze e gli intendimenti del corpo elettorale di fede democratica. Magari cercando di non disperdere gli elettori che già ci sono e tentando di conquistarne degli altri. Ma quello democratico è un partito o un insieme di persone, uomini e donne, che coltivano ognuno una propria prospettiva della politica e della Sicilia? E’ una domanda alla quale è venuto il tempo di dare qualche risposta. Perché vanno bene il dibattito interno, la democrazia, il discutere sino a sfinirsi. Va bene anche che ormai i partiti sono passati dalla fase solida della nostra infanzia a quella liquida della nostra maturità. Tuttavia, liquidità, elasticità, non vogliono affatto dire scomparsa di scelte e responsabilità univoche e chiare. Alla fine, soprattutto in frangenti delicati come quello che sta vivendo la nostra regione, un partito deve potersi, e sapersi, esprimere, in forma unitaria, con parole chiare e comprensibili. Nel nuovo testamento c’è scritto “il vostro parlare sia sì, sì, no, no”. Nessuno pretende questa nettezza evangelica, ma nemmeno si può sostenere come azione politica la torre di Babele veterotestamentaria, dove ognuno parla una lingua compresa solo dai discepoli più affezionati. Né si può accettare che una formazione politica sia l’espressione di una serie di associazioni, fondazioni e via discorrendo, che dall’esterno si sostituiscono alle vecchie correnti di un tempo. Nemmeno è concepibile che si voglia, all’infinito, stare con un piede dentro e uno fuori. Chi deve decidersi si decida e dia il suo prezioso contributo partecipando in pieno alla vita dei democratici. Non vorremmo che il termine partito, più che indicare un’unità politica, si declini sempre più nella sua accezione verbale. Partito in senso di andato, non ancora arrivato, in ritardo, fermo chissà in quale stazione. Si decidano i democratici e ci facciano sapere. Si chiudano in una stanza e poi informino tutti noi quale direzione vogliono prendere. O l’una o l‘altra. Tertium non datur.
martedì 6 aprile 2010
Su LiveSicilia: consenso e governo, i due problemi del centrosinistra siciliano.
http://www.livesicilia.it/2010/04/06/ma-il-pd-tenta-di-rompere-la-democrazia-bloccata/
domenica 4 aprile 2010
Su LiveSicilia - La Resurrezione a Palermo
La domenica di resurrezione trascina con sé vari aspetti, tutti abbastanza pregnanti, anche se non si è credenti. Per una città del sud, per Palermo, alcuni di questi significati indicano qualcosa che potrebbe essere e intanto non è. Pasqua come liberazione. Certo, dal potere criminale. E sin qui è troppo semplice. In teoria, si capisce. Perché poi, in pratica, dietro lo slogan che la mafia fa venire il voltastomaco, rimane l’intreccio dei rapporti con il potere criminale. Ma liberazione anche della mala politica che non amministra, spreca, perde tempo. Attenta solo agli interessi dei singoli, dei partiti o delle sottocorrenti che rappresentano. Resurrezione tutta laica, fine della passione per Palermo, quindi, se si riuscisse a tagliare i vincoli che a qualsiasi livello ancora legano il capoluogo alla mafia e se, al contempo, alla guida politica e amministrativa andassero persone che amano questa città. E ancora. Pasqua che, per gli antichi, era anche passaggio dai vizi alle virtù. E quanti vizi ha Palermo? Ci vorrebbe un’enciclopedia per enumerarli tutti. Sia che riguardino la dimensione pubblica, sia che si riferiscano alla sfera privata, almeno quella che incide pesantemente sulla vita collettiva. Il vizio del trovare un favore prima di cercare un diritto. Il vizio del saccheggiare continuamente il territorio. Quando percorro le strade della città, cerco di attraversare sempre sulle strisce pedonali, anche se allungo il percorso. Cerco di non parcheggiare mai in seconda fila, non pago i posteggiatori abusivi, adopero i mezzi pubblici per non incasinare ancora di più il centro. Mi sembra un modo, se volete banale, minimo, di mettere ordine in me stesso e nel rapporto con Palermo. Ebbene, fine della passione per la nostra città se cominciamo dalle piccole cose. Poi Pasqua come continuità. Solo a un certo punto i cristiani aggiunsero alla Pasqua domenicale quella annuale. Per conservare, credo, un percorso fatto di un progetto continuo non confinabile in un solo giorno di festa. Infine, perciò, un ultimo, tra i tanti, orizzonti di resurrezione per Palermo, potrebbe essere quello di abbandonare le finte emergenze e programmare un futuro migliore. Vivendolo e costruendolo, sia a livello pubblico che personale, insieme, tutti i giorni.
venerdì 2 aprile 2010
La storia è nota
Concorsi da esterni
Pagina XXIII
I NODI DEL CONCORSO ESTERNO, SERVONO NORME PER I POLITICI
Francesco Palazzo
Può il disvelamento dei rapporti tra politica, società e mafia essere affidato esclusivamente ai singoli pronunciamenti della magistratura? Questi ultimi, trattando necessariamente di casi specifici e di responsabilità personali, non fanno altro che sottoporci a un ondeggiamento a seconda di come si pronunciano i tre gradi di giudizio. Se c´è assoluzione, la convinzione dell´opinione pubblica, e della politica, è che quel processo, a prescindere da ciò che si trova scritto nelle carte, non si doveva fare. C´è chi addirittura si fionda verso improbabili riscritture della storia recente. Si arriva sino al punto di spacciare per assoluzioni complete pesanti prescrizioni. Al contrario, se qualcuno incappa in una condanna, ecco che si ridà fiato ai tifosi della parte avversa e si intravede la conferma che il connubio mafia-politica-società è ancora vivo e vegeto. Cosa della quale è difficile dubitare.Ma il punto non è questo. Ci si può limitare al ruolo di osservatori e commentatori di vicende giudiziarie senza affrontare mai di petto il problema? Il modo più diretto per farlo sarebbe quello di far partire un dibattito diffuso sul concorso esterno in associazione mafiosa, che porti a una norma di legge specifica. Che serva pure a dare contorni più certi, oltre che sulle fattispecie del reato, alle conseguenze circa le candidature alle elezioni, le dimissioni dalle cariche e le sospensioni o le radiazioni dagli ordini professionali. Ormai pure i magistrati più diffidenti danno segni d´apertura in tal senso. Sinora il concorso esterno è un reato demandato all´esclusivo convincimento delle corti giudicanti e alla bagarre polemica che si scatena nella pubblica opinione a corrente alternata. Per decidersi di mettere nero su bianco il reato relativo alla organizzazione mafiosa, il 416 bis, il Parlamento ci ha messo un bel po´. Nel 1982, sulla scia dell´uccisione di Pio La Torre, che proprio per questo perse la vita, e del generale Dalla Chiesa, la partecipazione all´associazione mafiosa divenne reato in sé. Da allora è stato più semplice perseguire gli organici a Cosa nostra. Fatto questo primo passo, ci si è fermati sostanzialmente lì. Nel senso che tuttora la lotta alla mafia viene vista dal mondo politico e dall´opinione pubblica come una caccia al superboss di turno. Preso l´ultimo, si parla di mafia in ginocchio, poi si scopre che quello era sempre e solo il penultimo.I rapporti della mafia con la politica, con il mondo delle professioni, ma anche con le fasce popolari che nei quartieri danno sostegno concreto alle cosche (e di quest´ultimo aspetto si parla troppo poco) rimangono sullo sfondo. A meno che, appunto, la magistratura non batta un colpo. Del resto, non ci si può affidare ai codici etici che si mettono in campo da parte dei partiti a ridosso delle elezioni, né possono bastare i codici deontologici che regolano la vita degli ordini professionali, come d´altra parte è davvero difficile pensare che il popolo delle periferie si faccia convincere spontaneamente dagli appelli antimafia. Lo vediamo, non si hanno scrupoli a candidare e votare rinviati a giudizio per mafia e condannati per questo reato. Allora, se proprio si vuole dare uno strumento certo a tutti noi, abbandonando le chiacchiere, visto che ormai si risponde soltanto al codice penale, si apra una discussione nella società, in Parlamento e si delinei al più presto cosa si deve intendere per concorso esterno in associazione mafiosa. Sia chiaro, non è soltanto una questione di codice penale. Attualmente ci sono norme che consentono di sanzionare il concorso nella commissione dei reati: tra questi, ovviamente, anche quello di mafia. Tuttavia, non si può non rilevare come il concorso esterno alle associazioni mafiose, che è poi il nocciolo duro dell´esistenza del potere mafioso, che altrimenti già sarebbe solo un ricordo del passato, investa tutta una serie di argomenti che hanno a che fare con il largo consenso che le cosche ancora hanno in larghi strati, borghesi e popolari, della società siciliana.