lunedì 26 aprile 2010

Riformite cronica, una brutta malattia

Se il caffè è pure riformista
Francesco Palazzo
LiveSicilia
26 4 2010

Il bilancio regionale troverà la maggioranza se dentro vi saranno le riforme. Ormai è un mantra della politica siciliana, un tormentone senza sosta. Da quando sono nato l’orizzonte riformista è entrato prepotentemente nella mia vita. Nella nostra vita. E’ un malanno dal quale è difficile liberarsi. Per dire. Non appena al telegiornale c’è una parola che comincia con la r, una fitta alla ferita sempre fresca si fa sentire. Per poi risolversi in una liberazione quando la lettera iniziale è l’inizio di altri vocaboli, tipo ricordo, rimessa, riletto, rifatto e via andando. Durante la visita militare avevo capito che riformato non era poi un bel complimento, si trattava di persone che avevano qualche difetto e perciò non potevano servire, beati loro, la patria armi in mano. E sino a quando si discute di riforme a Roma, puoi tentare di schivare le frecciate mediatiche. Lì, poi, proprio non ci sanno fare, si vede lontano un miglio che è un gioco di società, un risiko dell’improvvisazione, una tombola della banalità. A volte, devo ammettere, mi diverto anch’io. Per la verità, pur volendo essere comprensivo, non ho mai capito cosa significhi esattamente la parola riforma applicata alla politica. Sino a un certo punto mi pareva che bastasse e avanzasse la parola politica. Quella normale, trasparente, senza additivi. Ma il punto è che ormai il focolaio è vicino. Nella nostra regione non si parla che di riforme. L’epicentro è proprio sotto casa. Ad ogni riunione, nel bus, al bar, in chiesa, in ufficio, al supermercato, dovunque, puoi trovare un tifoso delle riforme. Un ultrà riformista della curva sud travestito con giacca e cravatta. L’altro giorno quel signore in salumeria sembrava tanto tranquillo. A un certo punto mi ha guardato in un certo modo, mentre il banconista affettava il prosciutto mi lancia il guanto di sfida. “ Riformiamo il turno, io che sono venuto dopo passo prima di lei”. Pur di non farmi scoprire, ho aderito alla richiesta. Inizialmente, ho pensato che quando in Sicilia si è cominciato a parlare di riforme, fosse solo per un tic nervoso, un rigurgito del passato. Mi sono detto, vabbè, passerà. Ma poi la cosa non si è fermata. Prima che succeda l’irreparabile, occorre farsene una ragione e cominciare a mutare lo stile di vita. Io ho già iniziato. Consiglio anche a voi di fare lo stesso. Cose piccole all’inizio. Io, ad esempio, ogni mattina, al bar, accetto che il caffè possa fare anche schifo, ma deve contenere almeno, per farlo diventare una bevanda succulenta, un pizzico di riforma. Il solo odore basta e avanza, non mi formalizzo più di tanto. Poi mi perfezionerò. Datemi tempo. Qualche speranza, è ovvio, rimane. Quando sento che si procede, proprio con il bilancio, a una nuova infornata industriale di stabilizzazioni e all’assegnazione a pioggia, come da nobile tradizione, di contributi a enti, associazioni e quant’altro, torno a rivivere. Mi rendo conto, ma è presto per dirlo, bisogna stare in campana, che dentro il cappello delle riforme ci siano le solite belle consuetudini. E qui mi rilasso un po’.

venerdì 23 aprile 2010

Centrosinistra in Sicilia, il muro del 30 per cento.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
23 APRILE 2010 - n. 16
Pag. 2
Il PD e le strade che non spuntano
Francesco Palazzo

Generalmente, quando una parte politica attraversa un momento di crisi, e il centrodestra in Sicilia sta vivendo molto di più che un frangente di faide intestine, chi se ne avvantaggia è l'altra parte dello schieramento. Per restare al sud, alle recenti regionali, in Calabria e in Campania, dove il centrosinistra è alla frutta, il centrodestra ha vinto. In Sicilia, invece, il baratro della dissoluzione della maggioranza più che vittoriosa nel 2008, sta diventando il buco nero in cui tutti si stanno andando a cacciare. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, il dibattito che si sta svolgendo dentro il centrosinistra, o meglio nel Partito Democratico, lascerebbe intendere a un visitatore ignaro di cose siciliane, che proprio i democratici siano il punto debole della convulsa fase politica regionale. Quando, al contrario, dovrebbero esserne i primi beneficiari. I continui viaggi sull'asse Palermo-Roma dei maggiori dirigenti democratici e adesso questa sorta di commissariamento, descrivono un tira e molla che ormai sta iniettando dentro il partito il virus dell'incomunicabilità e dell'incertezza assolute. Ognuno dice la sua, tra interventi sui quotidiani, sui blog e sui social network. Dalle primarie è uscita una situazione che non è né carne né pesce. Non hanno vinto coloro che più tendevano a un rapporto stretto con Lombardo e hanno perso coloro che più volevano tenersene lontani. Ha prevalso una linea incerta, che guarda un po' di qua e un po' di là, non decidendosi se prendere una strada anziché un'altra. A conferma di ciò giunge l’ultima salomonica decisione della direzione regionale del partito. Che, cercando di accontentare tutti, finisce probabilmente per scontentare tutti. Questo stato di cose, se non siamo lontani dal vero nel rappresentarlo, può rivelarsi esiziale per qualsiasi formazione politica. A maggior ragione se riguarda un partito che non ha, almeno in Sicilia, numeri tali da potere sopportare scosse di un certo grado. Va detto, per avere un quadro più completo e veritiero, che al momento il Partito Democratico, a prescindere di cosa si possa pensare delle sue scelte, è l'unico soggetto del centrosinistra che tenti comunque di battere qualche colpo. Le altre forze navigano a vista, quasi scomparse, oltre che dal parlamento regionale, anche dal dibattito politico. Se non per dire che non sono d'accordo col Partito Democratico, o con quella sua parte fidanzata con Lombardo. Troppo poco come prospettiva. Per fare un bagno di sano realismo, bisogna tenere fermi i dati delle ultime tre elezioni regionali, un decennio di politica. Nel 2001 il centrosinistra si fermò al 30,3 per cento, nel 2008 si è tornati esattamente allo stesso dato, sommando anche Italia dei Valori che andò da sola. E' vero che c'è la parentesi del 2006, dove il centrosinistra raggiunse la “portentosa” cifra del 36,3 per cento. Se però togliamo la percentuale della lista legata alla Borsellino, voti non strutturali e presto evaporati, non ci si allontana molto dal 30 per cento. Dunque, questo è il dato di partenza, una colonna d'Ercole difficilmente valicabile, un quadro ormai abbastanza stabile e consolidato. Né si può pensare di cercare e trovare ogni volta il candidato che fa il miracolo di portare alla vittoria una coalizione che vistosamente non ha il consenso per farcela. E' strada che non spunta. Chiariscano, allora, i democratici che strada intendono prendere come partito e non come singoli l'un contro l'altro armati. Non soltanto per quanto riguarda la votazione, o meno, del bilancio regionale. Ma prospettando come vogliono giungere, ossia con quali alleanze, al prossimo voto regionale. Lo facciano con un referendum, un congresso regionale, come vogliono, ma non possono rimanere più del dovuto in mezzo al guado aspettando chissà che. Perché mentre si attende, può essere il partito a frantumarsi. E, dall'altro lato, le formazioni a sinistra del PD, dicano qualcosa in più delle critiche ai democratici. Prendano, anche loro, quel 30,3 per cento e vedano cosa farne. Se contemplarlo all'infinito, sconfitta dopo sconfitta. O se farne una base di partenza per costruire anche in Sicilia, finalmente, la democrazia dell'alternanza.

domenica 18 aprile 2010

Sul PDL in Sicilia. Alfieri o Cavalli?

LiveSicilia
18 aprile 2010

Squadra che vince si cambia. La traiettoria non è coerente con la regola aurea del mondo sportivo. Ma è ciò che è accaduto al Partito delle Libertà in Sicilia e quanto sta succedendo a livello nazionale. Anzi, la presa di posizione dei finiani prende proprio a pretesto la situazione del partito in Sicilia. La nostra regione nuovamente anticipatrice di ciò che accade poi nel resto del territorio italiano? Difficile dirlo adesso. Di sicuro è accaduto che, dall’indomani della fulgida vittoria del centrodestra alle regionali del 2008, non ci sia stato un momento di tregua dentro quel contenitore dove sono confluiti Forza Italia e Alleanza Nazionale. Se qualcuno vuole capire a che punto è la lotta, e quanto sangue scorra nel campo di battaglia, basta che vada a vedersi, o rivedersi, il dibattito all’assemblea regionale seguito alle dichiarazioni di Lombardo. La parte del Pdl che si definisce lealista, pur essendo uscita dalla maggioranza iniziale, parla come neanche la più agguerrita delle opposizioni farebbe. Solo parole? Non sembrerebbe. Loro si sentono gli alfieri legati al progetto pidiellino. Poi c’è l’altra parte del partito nato, primo caso nella storia, sul predellino di un’auto. Si chiamano, o li chiamano, ribelli. E’ il Pdl Sicilia a trazione autonomista. Rimasto fedele al governo, pare partecipi alla gestazione del Partito del Sud, che un giorno nasce e un giorno muore, e mantiene un rapporto “cordiale” con il Partito Democratico. O con quella sua parte che appoggia il nuovo assetto politico alla regione. Il Pdl Sicilia si muove come il pezzo più estroso degli scacchi, il cavallo. Vicini e lontani da Berlusconi, flirtano con il Pd ma non andrebbero con i democratici al governo, almeno così affermano, vogliono dare vita al partito del Sud ma non si capisce come e quando. Un bel rebus. Sostengono un esecutivo di minoranza e affermano di non essersi mossi da dove gli elettori li hanno posti. Per la verità, la stessa cosa, ossia la coerenza, sostengono di non averla persa pure i pidielini lealisti. Sono gli altri, gridano, che non rispettano il programma e lo schieramento consacrato nei seggi. Adesso, comunque la pensiate, la situazione, sulla scia di quanto sta accadendo a Roma, potrebbe conoscere ulteriori sviluppi. Qualche domanda. Quando Fini indica la situazione siciliana come l’esempio più evidente della crisi del partito, da che parte sta? Se gli avvenimenti sono per come li conosciamo, non dovrebbero esserci dubbi che difende i ribelli autonomisti. Visto che in Sicilia i suoi si sono schierati con la svolta che ha portato al Lombardo ter. A questo punto è anche semplice inserire l’ultima tessera del mosaico, rappresentata dalla recente missiva che il Pdl Sicilia ha fatto pervenire al capo del governo nazionale. La lettera si conclude con la speranza che il presidente voglia apprezzare coloro che magari sono un po’ rompiscatole ma fedeli al progetto. Pare, a tutti gli effetti, “anche” una difesa della terza carica dello Stato e un tentativo di legittimare, proprio nel momento in cui la nave imbarca acqua, il percorso del Pdl siciliano con le impronte della trinacria impresse sul cuore. E del resto, se non fa piacere ai finiani un Pdl a trazione leghista, ancor meno, è quasi banale dirlo, può rendere contenti coloro che hanno fondato il Pdl Sicilia. Insomma, dalla Sicilia possono partire due mosse, forse non secondarie per dipanare l’inghippo. La prima è la mossa degli alfieri, i pezzi più vicino al re, rappresentati nel nostro caso dal Pdl lealista . Se vincono loro, il Pdl resterà così com’è. Chi si vorrà allineare, bene. Agli altri sarà indicata la porta o il contrito rientro nella casa del padre. L’altra è la mossa dei cavalli, i pezzi nella scacchiera un po’ più lontani dal re, quelli che muovono saltando gli ostacoli e cercando di sorprendere, non solo gli avversari ma anche la propria parte. Sono i pidiellini targati Sicilia. Se prevarranno loro, ma sembra difficile, qualcosa cambierà. Nel senso, intanto, di una legittimazione del percorso siciliano.Si può dire che i due partiti che avrebbero dovuto rappresentare il bipolarismo in Italia, non attraversano mari tranquilli. Con una piccola differenza. Il Pd perde ed è tornato a difendere il fortino delle regioni rosse. Il Pdl, pur scosso dalle tensioni che leggiamo, continua a vincere. A sud, al centro e, grazie alla Lega, al nord. Non è esattamente lo stesso tipo di crisi gestire l’abbondanza o la disperazione.

domenica 11 aprile 2010

PD in Sicilia: partito o torre di babele?

LiveSicilia
Domenica 11 Aprile 201o
Ma è ancora un partito?
Francesco Palazzo

http://www.livesicilia.it/2010/04/11/ma-e-ancora-un-partito/

Nel dibattito lacerante che si è aperto nel Partito Democratico, più o meno commissariato, più o meno autonomo, vi sono alcune questioni che meritano qualche riflessione. Intanto questa storia delle riforme. Da che mondo è mondo, le opposizioni presenti nelle aule parlamentari dialogano con le maggioranze e cercano di inserirsi per migliorare, dal loro punto di vista, i testi che passano all’esame delle assemblee elettive. Che il Pd siciliano abbia avuto bisogno di un congresso per stabilire quella che è, ci scuseranno, una banalità, possiamo registrarla come un frutto di questa incerta stagione politica regionale, ma non aggiunge nulla a quanto si sapeva già. Un altro aspetto riguarda la votazione, o meno, del bilancio regionale per l’anno 2010, che giungerà, e ciò non è segno di buona politica, in estremo ritardo. Il bilancio è un provvedimento che attiene, o atterrebbe, visto che non c’è più, alla maggioranza uscita dalle urne regionali nel 2008. La minoranza può inserire aspetti migliorativi, e si è sempre fatto, anche in tal caso si scopre l’acqua calda. Ma se vota in blocco il provvedimento, è chiaro che si autodenuncia come maggioranza. C’è poco da discutere. Anzi, l’approvazione della legge di bilancio è più pregnante, da un punto di vista politico, di un eventuale ingresso in giunta. Cosa che peraltro, è inutile giocare con le parole e con i fatti che abbiamo dinanzi, è già avvenuta.Sul bilancio, poi, è abbastanza vano dire che si voterebbe solo se contenesse “innovazione e sviluppo”. Avete mai visto un partito che affermi che il bilancio appena approvato ha in se “vecchiume e sottosviluppo”? Innovazione e sviluppo sono le parole più vecchie e abusate del vocabolario politico. I democristiani ci facevano colazione, pranzo e cena. E, quando avevano più fame, anche lo spuntino notturno. Su riforme e bilancio, l’incontro al calor bianco con l’inviato da Roma niente poteva aggiungere e niente ha aggiunto. Per dirla tutta, anche il mandare qualcuno da Roma, che deve mediare e concludere, è un rito della prima repubblica che ormai è tempo, con tutto il rispetto, di mandare in soffitta. Una liturgia che obbedisce a regole novecentesche, cadute e sepolte insieme al muro di Berlino. E’ il partito siciliano, i suoi dirigenti, gli iscritti, quella che molto retoricamente si chiama base, che deve decidere sul da farsi. Cercando di interpretare le speranze e gli intendimenti del corpo elettorale di fede democratica. Magari cercando di non disperdere gli elettori che già ci sono e tentando di conquistarne degli altri. Ma quello democratico è un partito o un insieme di persone, uomini e donne, che coltivano ognuno una propria prospettiva della politica e della Sicilia? E’ una domanda alla quale è venuto il tempo di dare qualche risposta. Perché vanno bene il dibattito interno, la democrazia, il discutere sino a sfinirsi. Va bene anche che ormai i partiti sono passati dalla fase solida della nostra infanzia a quella liquida della nostra maturità. Tuttavia, liquidità, elasticità, non vogliono affatto dire scomparsa di scelte e responsabilità univoche e chiare. Alla fine, soprattutto in frangenti delicati come quello che sta vivendo la nostra regione, un partito deve potersi, e sapersi, esprimere, in forma unitaria, con parole chiare e comprensibili. Nel nuovo testamento c’è scritto “il vostro parlare sia sì, sì, no, no”. Nessuno pretende questa nettezza evangelica, ma nemmeno si può sostenere come azione politica la torre di Babele veterotestamentaria, dove ognuno parla una lingua compresa solo dai discepoli più affezionati. Né si può accettare che una formazione politica sia l’espressione di una serie di associazioni, fondazioni e via discorrendo, che dall’esterno si sostituiscono alle vecchie correnti di un tempo. Nemmeno è concepibile che si voglia, all’infinito, stare con un piede dentro e uno fuori. Chi deve decidersi si decida e dia il suo prezioso contributo partecipando in pieno alla vita dei democratici. Non vorremmo che il termine partito, più che indicare un’unità politica, si declini sempre più nella sua accezione verbale. Partito in senso di andato, non ancora arrivato, in ritardo, fermo chissà in quale stazione. Si decidano i democratici e ci facciano sapere. Si chiudano in una stanza e poi informino tutti noi quale direzione vogliono prendere. O l’una o l‘altra. Tertium non datur.

martedì 6 aprile 2010

Su LiveSicilia: consenso e governo, i due problemi del centrosinistra siciliano.

LiveSicilia
6 aprile 2010
Ma il PD tenta di rompere la democrazia bloccata
Francesco Palazzo

http://www.livesicilia.it/2010/04/06/ma-il-pd-tenta-di-rompere-la-democrazia-bloccata/

Circa il tentativo del Partito Democratico di inserirsi nel vivo della battaglia politica siciliana, va anche messo in luce, oltre le legittime e condivisibili critiche, un aspetto. Non proprio irrilevante. Al momento il centrosinistra rappresenta una minoranza che non riesce ad andare oltre il 30 per cento. Alle ultime provinciali ha perso otto province su nove, guida un solo capoluogo di provincia. Ciò nell’ultimo decennio ha significato una mancanza di ricambio e quindi la possibilità per i soliti vincitori alle elezioni di permettersi di tutto, tanto poi le urne li avrebbero premiati sicuramente. La posta in gioco è quella di rompere questa sorta di democrazia bloccata. Che non è più, come un tempo, una caratteristica delle regioni del Sud. Solo in Sicilia il quadro politico-elettorale è così statico. In Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise le competizioni elettorali vedono fronteggiarsi due schieramenti veramente in competizione. Che danno vita ai fisiologici ricambi di una democrazia dell’alternanza. In Sicilia la storia è diversa. Ed è uno stagno che in qualche modo va smosso. Non perché bisogna fare il tifo per qualcuno. Ma per la semplice ragione che l’amministrazione regionale e tutti gli enti locali siciliani, nel caso di avvicendamenti possibili alla guida delle istituzioni, non potrebbero che funzionare meglio. Ovviamente lo scopo deve essere raggiunto con l’azione politica diffusa sul territorio e non attraverso manovre di palazzo. Ogni cambiamento di prospettiva, soprattutto se radicale, va sottoposto al vaglio del corpo elettorale. Il solo in grado di decidere maggioranze e opposizioni. L’operazione che il Partito Democratico sta mettendo in atto alla regione, oltre ad essere appunto una mera fusione di ceti dirigenti, presenta dei limiti evidenti. Sia sul piano del metodo, cioè entrare in maggioranza senza passare dalle urne, sia per quanto concerne il merito, ossia spacciare per riforme provvedimenti che si configurano come normali atti di governo. Che dovrebbero essere approvati dalla maggioranza uscita dalle urne. Tuttavia, lo sforzo di modificare il quadro politico, mettendo in campo alleanze che superino gli steccati tradizionali del centrosinistra, è una strada obbligata. Sempre che non ci si voglia condannare a una partecipazione elettorale quasi di testimonianza o ad essere opposizione a vita. Coloro che ritengono, all’interno del centrosinistra isolano, gli allargamenti all’area moderata un errore, dovrebbero caricarsi l’onere di indicare una diversa soluzione. Cosa che si guardano bene dal fare. Per la lampante evidenza che non esistono altre vie percorribili Semmai, bisogna capire se la convergenza verso la parte centrale dello schieramento politico regionale sia nel palinsesto di tutto il Partito democratico. Si ha l’impressione, infatti, che al momento si muovano soltanto alcuni singoli con appresso le loro ristrette aree politiche di riferimento. Gran parte del partito vive, con più o meno evidente disappunto, le scelte di pochi. Sarebbe auspicabile che il partito, tutto intero, dicesse se condivide o disapprova l’allargamento verso altri lidi. Se ci si presenta incerti e divisi sulle proprie scelte, con un rosario di dichiarazioni giornaliere una contraria all’altra, è abbastanza improbabile che si convincano gli altri sulla bontà di una proposta politica. Per quanto riguarda, invece, gli altri del centrosinistra siciliano, Italia dei Valori, Sinistra e Libertà, il movimento che fa capo a Rita Borsellino e le sigle più piccole, sarebbe utile, per tutti noi elettori interessati a vere sfide alle urne, che ci facessero capire cosa vogliono fare da grandi. Considerato che ormai il dato largamente minoritario del centrosinistra duro e puro è abbastanza consolidato e impossibile da spostare in avanti. Non discutiamo qui più dell’appoggio da parte del PD al governo Lombardo, situazione che prima o dopo avrà un suo epilogo. Meglio prima che dopo. Ma di una prospettiva di medio-lungo periodo. Rispetto alla quale il cammino, intrapreso da una parte del PD, non ha molte alternative. A meno che qualcuno non le voglia nascondere gelosamente alla nostra vista.

domenica 4 aprile 2010

Su LiveSicilia - La Resurrezione a Palermo

LiveSicilia
4 aprile 2010
La città dei vizi e dei favori
Francesco Palazzo

La domenica di resurrezione trascina con sé vari aspetti, tutti abbastanza pregnanti, anche se non si è credenti. Per una città del sud, per Palermo, alcuni di questi significati indicano qualcosa che potrebbe essere e intanto non è. Pasqua come liberazione. Certo, dal potere criminale. E sin qui è troppo semplice. In teoria, si capisce. Perché poi, in pratica, dietro lo slogan che la mafia fa venire il voltastomaco, rimane l’intreccio dei rapporti con il potere criminale. Ma liberazione anche della mala politica che non amministra, spreca, perde tempo. Attenta solo agli interessi dei singoli, dei partiti o delle sottocorrenti che rappresentano. Resurrezione tutta laica, fine della passione per Palermo, quindi, se si riuscisse a tagliare i vincoli che a qualsiasi livello ancora legano il capoluogo alla mafia e se, al contempo, alla guida politica e amministrativa andassero persone che amano questa città. E ancora. Pasqua che, per gli antichi, era anche passaggio dai vizi alle virtù. E quanti vizi ha Palermo? Ci vorrebbe un’enciclopedia per enumerarli tutti. Sia che riguardino la dimensione pubblica, sia che si riferiscano alla sfera privata, almeno quella che incide pesantemente sulla vita collettiva. Il vizio del trovare un favore prima di cercare un diritto. Il vizio del saccheggiare continuamente il territorio. Quando percorro le strade della città, cerco di attraversare sempre sulle strisce pedonali, anche se allungo il percorso. Cerco di non parcheggiare mai in seconda fila, non pago i posteggiatori abusivi, adopero i mezzi pubblici per non incasinare ancora di più il centro. Mi sembra un modo, se volete banale, minimo, di mettere ordine in me stesso e nel rapporto con Palermo. Ebbene, fine della passione per la nostra città se cominciamo dalle piccole cose. Poi Pasqua come continuità. Solo a un certo punto i cristiani aggiunsero alla Pasqua domenicale quella annuale. Per conservare, credo, un percorso fatto di un progetto continuo non confinabile in un solo giorno di festa. Infine, perciò, un ultimo, tra i tanti, orizzonti di resurrezione per Palermo, potrebbe essere quello di abbandonare le finte emergenze e programmare un futuro migliore. Vivendolo e costruendolo, sia a livello pubblico che personale, insieme, tutti i giorni.

venerdì 2 aprile 2010

La storia è nota

LiveSicilia
2 aprile 2010
La solita litania
Francesco Palazzo


La litania è nota. Lasciamo lavorare i magistrati, cui va, of course, tutta la fiducia. Vedremo, quando conosceremo le carte decideremo. Ciò significa, papale papale, che l’attività giudiziaria guida partiti e istituzioni. Ma poi le carte non le legge nessuno. Perché va a finire che se i giudici archiviano, o non rinviano a giudizio, tutto si chiude con una pacca sulle spalle. Un ci fu nienti. Pigghiamunni u cafè. Se si va a processo e si arriva a condanna, i garantisti duri e puri della prima ora non li vedi più neanche con il binocolo. Liquefatti. Restano in campo solo il giudice, e, mischinu, l’imputato. Se la cosa è grossa, ma dev’essere proprio gigante, può scivolare la poltrona da sotto quell’affare che per somma decenza non nominiamo. Anche in tal caso, ma che ve lo dico a fare, è sempre la magistratura a decidere chi, quando, e perché, deve lasciare la carica. Vi sembra un buon metodo? Non importa la vostra risposta, prendete atto che le cose stanno così. Se l’imputato è potente e non uno scassapagghiara, leggasi piccolo malavitoso, una volta che esce con le stimmate di un’assoluzione strappata con i denti o di una prescrizione agguantata per i capelli, viene beatificato. Santo subito. Vi pare, quello descritto, un uso politico della giustizia? Domanda retorica. Se non è uso politico delle determinazioni del potere giudiziario questo, vuol dire che non siamo in grado di vedere il sole a mezzogiorno in piena estate. E quella bella parola che chiamiamo politica? Non pervenuta. Vale come il due di coppe quando la briscola è a bastoni. Il suo primato, da molti osannato, non vuol dire un bel nulla. La politica si muove soltanto, in maniera convulsa, quando ode il tintinnio delle manette o dopo le decisioni della magistratura. Sino ad allora attende e tranquillizza. E tu, caro lettore, così rassicurato, dormi tranquillo. Come la sera consigliavano i più anziani durante il servizio militare. Poi, di notte, puntuale, arrivava il gavettone di acqua gelata.

Concorsi da esterni

LA REPUBBLICA PALERMO – VENERDI' 02 APRILE 2010
Pagina XXIII
I NODI DEL CONCORSO ESTERNO, SERVONO NORME PER I POLITICI
Francesco Palazzo

Può il disvelamento dei rapporti tra politica, società e mafia essere affidato esclusivamente ai singoli pronunciamenti della magistratura? Questi ultimi, trattando necessariamente di casi specifici e di responsabilità personali, non fanno altro che sottoporci a un ondeggiamento a seconda di come si pronunciano i tre gradi di giudizio. Se c´è assoluzione, la convinzione dell´opinione pubblica, e della politica, è che quel processo, a prescindere da ciò che si trova scritto nelle carte, non si doveva fare. C´è chi addirittura si fionda verso improbabili riscritture della storia recente. Si arriva sino al punto di spacciare per assoluzioni complete pesanti prescrizioni. Al contrario, se qualcuno incappa in una condanna, ecco che si ridà fiato ai tifosi della parte avversa e si intravede la conferma che il connubio mafia-politica-società è ancora vivo e vegeto. Cosa della quale è difficile dubitare.Ma il punto non è questo. Ci si può limitare al ruolo di osservatori e commentatori di vicende giudiziarie senza affrontare mai di petto il problema? Il modo più diretto per farlo sarebbe quello di far partire un dibattito diffuso sul concorso esterno in associazione mafiosa, che porti a una norma di legge specifica. Che serva pure a dare contorni più certi, oltre che sulle fattispecie del reato, alle conseguenze circa le candidature alle elezioni, le dimissioni dalle cariche e le sospensioni o le radiazioni dagli ordini professionali. Ormai pure i magistrati più diffidenti danno segni d´apertura in tal senso. Sinora il concorso esterno è un reato demandato all´esclusivo convincimento delle corti giudicanti e alla bagarre polemica che si scatena nella pubblica opinione a corrente alternata. Per decidersi di mettere nero su bianco il reato relativo alla organizzazione mafiosa, il 416 bis, il Parlamento ci ha messo un bel po´. Nel 1982, sulla scia dell´uccisione di Pio La Torre, che proprio per questo perse la vita, e del generale Dalla Chiesa, la partecipazione all´associazione mafiosa divenne reato in sé. Da allora è stato più semplice perseguire gli organici a Cosa nostra. Fatto questo primo passo, ci si è fermati sostanzialmente lì. Nel senso che tuttora la lotta alla mafia viene vista dal mondo politico e dall´opinione pubblica come una caccia al superboss di turno. Preso l´ultimo, si parla di mafia in ginocchio, poi si scopre che quello era sempre e solo il penultimo.I rapporti della mafia con la politica, con il mondo delle professioni, ma anche con le fasce popolari che nei quartieri danno sostegno concreto alle cosche (e di quest´ultimo aspetto si parla troppo poco) rimangono sullo sfondo. A meno che, appunto, la magistratura non batta un colpo. Del resto, non ci si può affidare ai codici etici che si mettono in campo da parte dei partiti a ridosso delle elezioni, né possono bastare i codici deontologici che regolano la vita degli ordini professionali, come d´altra parte è davvero difficile pensare che il popolo delle periferie si faccia convincere spontaneamente dagli appelli antimafia. Lo vediamo, non si hanno scrupoli a candidare e votare rinviati a giudizio per mafia e condannati per questo reato. Allora, se proprio si vuole dare uno strumento certo a tutti noi, abbandonando le chiacchiere, visto che ormai si risponde soltanto al codice penale, si apra una discussione nella società, in Parlamento e si delinei al più presto cosa si deve intendere per concorso esterno in associazione mafiosa. Sia chiaro, non è soltanto una questione di codice penale. Attualmente ci sono norme che consentono di sanzionare il concorso nella commissione dei reati: tra questi, ovviamente, anche quello di mafia. Tuttavia, non si può non rilevare come il concorso esterno alle associazioni mafiose, che è poi il nocciolo duro dell´esistenza del potere mafioso, che altrimenti già sarebbe solo un ricordo del passato, investa tutta una serie di argomenti che hanno a che fare con il largo consenso che le cosche ancora hanno in larghi strati, borghesi e popolari, della società siciliana.