venerdì 2 aprile 2010

Concorsi da esterni

LA REPUBBLICA PALERMO – VENERDI' 02 APRILE 2010
Pagina XXIII
I NODI DEL CONCORSO ESTERNO, SERVONO NORME PER I POLITICI
Francesco Palazzo

Può il disvelamento dei rapporti tra politica, società e mafia essere affidato esclusivamente ai singoli pronunciamenti della magistratura? Questi ultimi, trattando necessariamente di casi specifici e di responsabilità personali, non fanno altro che sottoporci a un ondeggiamento a seconda di come si pronunciano i tre gradi di giudizio. Se c´è assoluzione, la convinzione dell´opinione pubblica, e della politica, è che quel processo, a prescindere da ciò che si trova scritto nelle carte, non si doveva fare. C´è chi addirittura si fionda verso improbabili riscritture della storia recente. Si arriva sino al punto di spacciare per assoluzioni complete pesanti prescrizioni. Al contrario, se qualcuno incappa in una condanna, ecco che si ridà fiato ai tifosi della parte avversa e si intravede la conferma che il connubio mafia-politica-società è ancora vivo e vegeto. Cosa della quale è difficile dubitare.Ma il punto non è questo. Ci si può limitare al ruolo di osservatori e commentatori di vicende giudiziarie senza affrontare mai di petto il problema? Il modo più diretto per farlo sarebbe quello di far partire un dibattito diffuso sul concorso esterno in associazione mafiosa, che porti a una norma di legge specifica. Che serva pure a dare contorni più certi, oltre che sulle fattispecie del reato, alle conseguenze circa le candidature alle elezioni, le dimissioni dalle cariche e le sospensioni o le radiazioni dagli ordini professionali. Ormai pure i magistrati più diffidenti danno segni d´apertura in tal senso. Sinora il concorso esterno è un reato demandato all´esclusivo convincimento delle corti giudicanti e alla bagarre polemica che si scatena nella pubblica opinione a corrente alternata. Per decidersi di mettere nero su bianco il reato relativo alla organizzazione mafiosa, il 416 bis, il Parlamento ci ha messo un bel po´. Nel 1982, sulla scia dell´uccisione di Pio La Torre, che proprio per questo perse la vita, e del generale Dalla Chiesa, la partecipazione all´associazione mafiosa divenne reato in sé. Da allora è stato più semplice perseguire gli organici a Cosa nostra. Fatto questo primo passo, ci si è fermati sostanzialmente lì. Nel senso che tuttora la lotta alla mafia viene vista dal mondo politico e dall´opinione pubblica come una caccia al superboss di turno. Preso l´ultimo, si parla di mafia in ginocchio, poi si scopre che quello era sempre e solo il penultimo.I rapporti della mafia con la politica, con il mondo delle professioni, ma anche con le fasce popolari che nei quartieri danno sostegno concreto alle cosche (e di quest´ultimo aspetto si parla troppo poco) rimangono sullo sfondo. A meno che, appunto, la magistratura non batta un colpo. Del resto, non ci si può affidare ai codici etici che si mettono in campo da parte dei partiti a ridosso delle elezioni, né possono bastare i codici deontologici che regolano la vita degli ordini professionali, come d´altra parte è davvero difficile pensare che il popolo delle periferie si faccia convincere spontaneamente dagli appelli antimafia. Lo vediamo, non si hanno scrupoli a candidare e votare rinviati a giudizio per mafia e condannati per questo reato. Allora, se proprio si vuole dare uno strumento certo a tutti noi, abbandonando le chiacchiere, visto che ormai si risponde soltanto al codice penale, si apra una discussione nella società, in Parlamento e si delinei al più presto cosa si deve intendere per concorso esterno in associazione mafiosa. Sia chiaro, non è soltanto una questione di codice penale. Attualmente ci sono norme che consentono di sanzionare il concorso nella commissione dei reati: tra questi, ovviamente, anche quello di mafia. Tuttavia, non si può non rilevare come il concorso esterno alle associazioni mafiose, che è poi il nocciolo duro dell´esistenza del potere mafioso, che altrimenti già sarebbe solo un ricordo del passato, investa tutta una serie di argomenti che hanno a che fare con il largo consenso che le cosche ancora hanno in larghi strati, borghesi e popolari, della società siciliana.

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