sabato 10 dicembre 2016

I siciliani e la sinistra radicale che votano no in massa. Ma si sono fatti bene i conti?


La Repubblica Palermo
9 dicembre 2016

Se alla sinistra piace solo perdere
FRANCESCO PALAZZO

In Sicilia il NO al referendum ha dilagato. Era difficile ribaltare il risultato atteso, ma non impossibile contenerlo. Soprattutto nelle due grandi città siciliane, Palermo e Catania. Ma da una parte si è mossa probabilmente meglio che altrove la sinistra esterna ai democratici, che ogni volta ha pure accolto per strada il presidente del Consiglio come una specie di usurpatore. Con una vigoria e un’acrimonia che non si era vista nemmeno quando a Palazzo Chigi c’era la destra. Lo schema è sempre quello di colpire ciò che è più vicino. Si era fatto con i due governi Prodi, 1998 e 2008. E magari ci guadagnassero più consenso, si potrebbe capire. Invece, ad esempio nel 2008, dopo la caduta di Prodi, la Sinistra Arcobaleno non entrò neppure in parlamento in occasione del voto anticipato. Che vide vincere l’altra squadra alla grande. Ora c’è il solito richiamo all’unione di questi frammenti, la proposta dell’ex sindaco di Milano, Pisapia, non è da buttare. Ma già sono partiti, anche dall’isola, a poche ore dal lancio del Campo Progressista, distinguo e anatemi. Dall’altra parte, almeno guardando a Palermo, città nella quale si giocava molto del risultato siciliano, non ci è sembrato che nel Pd ci sia stato un impegno massiccio per il SI. Nel gazebo allestito al centro ho visto sempre le stesse poche facce di volontari. Per il resto, a parte la funerea rappresentazione grillina a favore del No, non mi pare che i 5 Stelle nel capoluogo si siano spesi più di tanto, ma neppure le altre forze del No. I leader del movimento hanno disertato Palermo, così come i capi della Lega e di Forza Italia. Eppure, questo voto di massa per il No, escludendo impennate di Forza Italia, della destra e della Lega nell’isola, e ipotizzando che come sempre la sinistra esterna al Pd poco si gioverà di questa “vittoria”, dovrebbe essere di marca grillina, un consenso ormai evidentemente molto esteso. Certamente c’è stata anche in Sicilia un’opposizione nel merito alla riforma. Ma è chiaro che nel sud, e in Sicilia in misura maggiore insieme alla Sardegna, che però ha un peso diverso nel panorama elettorale, lo spoglio ha registrato un voto politico a prescindere dal quesito posto. Al centro del mirino Il governo Renzi. Che pure in tre anni, certamente con errori e sottovalutazioni, non ha proprio promosso delle cose così improponibili. Pensiamo al sociale, alla scuola, ai diritti civili, all’immigrazione, agli interventi sul mondo del lavoro, alla stessa riforma costituzionale, ai dati macroeconomici che migliorano. Ma ha avuto il sopravvento la ventata antigovernativa. Il classico schema siciliano di Roma che non pensa a noi. A ciò si aggiunga che ha prevalso chi ha parlato di sconvolgimento della costituzione, di democrazia in pericolo, creando paure slegate dal contesto referendario ma di sicuro effetto. Basta pensare che su uno dei due pilastri della riforma, il rapporto stato-regioni, si toccava non l’impianto dei padri costituenti, ma una modifica apportata nel 2001. E che peraltro non riguardava immediatamente la Sicilia in quanto regione autonoma. E che sul ruolo del senato c’è un dibattito ultradecennale tutto nello stesso verso, quindi niente di sorprendente. Ma alla fine con questo plebiscito cosa ci ha voluto dire la Sicilia rispetto ad altre regioni dove il no ha prevalso con percentuali più ragionevoli? Sicilia ancora laboratorio? E di cosa? Forse questo rifiuto di massa è la premessa di altri plebisciti, questa volta in positivo, da attribuire non appena sarà data l’occasione di votare per le elezioni? Questo lo scopriremo. Ma una domanda finale dobbiamo farcela, dando per scontato che nelle urne siciliane sono stati versati, più che altrove, disagi di tutti i tipi, che poco avevano a che fare con la riforma. Ma in una società politica che non riesce ad innovarsi, che rimane chiusa nelle proprie paure, che non cambia, che resta nel ‘900, alla fine, chi ci guadagna di più, coloro che hanno più difficoltà o quelli che sono già in qualche modo garantiti dal sistema? Le regioni più forti o quelle più deboli? Insomma, i siciliani si sono fatti bene i conti? Oppure, come probabilmente succederà alla sinistra dura e pura, alla fine da questo voto non avranno altro che da perderci?