mercoledì 30 gennaio 2008

1947-2006: il declino del parlamento siciliano

LA REPUBBLICA PALERMO – MERCOLEDÌ 30 GENNAIO 2008

Pagina X

Il declino legislativo dell´Assemblea regionale
FRANCESCO PALAZZO




Recentemente si era parlato della scarsa produttività, in termini di leggi approvate, del parlamento siciliano nella quattordicesima legislatura, prematuramente chiusa con le dimissioni del presidente Salvatore Cuffaro. Qualsiasi comparazione con le tredici legislature precedenti, che hanno concluso senza sorprese la loro storia, è quindi impossibile. Si è come creato un baratro storico tra il prima e il dopo. Come spartiacque gli eventi di questi giorni. È quindi possibile tracciare un primo schizzo, almeno a livello di grandi numeri e fermandoci alla produzione legislativa parlamentare, di quella che possiamo forse definire la prima repubblica dell´autonomia. Ma come sono andate le cose dalla prima legislatura, iniziata nel 1947, all´ultima che è terminata regolarmente, cioè quella precedente a questa che si spegne traumaticamente? Le leggi licenziate dal parlamento più antico d´Europa sono state, dal luglio del 1947 alla legislatura 2001-2006, 2.876. Numero che, diviso per tredici, fornisce una media di oltre 221 leggi per legislatura. Ma non sempre è andata così, c´è quando si è lavorato alacremente, ci sono stati i periodi in cui si è un po´ battuta la fiacca. Basta confrontare la legislatura che va dal 1976 al 1981, dove si conseguono più di quattrocento leggi, a quella appena trascorsa (2001-2006), nella quale il totalizzatore legislativo ha superato di poco le cento unità. È il risultato più scarso dell´intera storia autonomistica, ma non potremo mai sapere se nella legislatura appena troncata si poteva fare peggio. Nella storia del parlamento siciliano la produzione legislativa segue un andamento altalenante. S´inizia di gran carriera nella prima legislatura (1947-1951) con più di duecentocinquanta provvedimenti aventi valore di legge. Non è da meno la seconda (1951-55), seppure leggermente in flessione. Si scende ancora nella terza tornata parlamentare 1955-59. Flessione significativa nella quarta e quinta legislatura (1959-63, 63-67), dove si è rimasti al di sotto dei 200 provvedimenti per anno. Numeri simili nel quinquennio successivo (1967-71). Nella legislatura 1971/1976 (da quel momento durano cinque anni e non più quattro), si torna su e si superano nuovamente e abbondantemente le duecentocinquanta leggi. Ci si prepara al periodo d´oro 1976/1981 di cui già si è detto. Momento di grazia che continua anche nella prima metà degli anni ottanta (1981-86) con più di trecento leggi licenziate dall´Assemblea regionale. Da quel momento un lento ma inarrestabile declino. Nelle tre legislature ricadenti nella seconda metà degli anni ottanta e in tutti gli anni novanta del secolo scorso (1986-91, 91-96 e 96-2001) c´è stata una forte flessione rispetto al quindicennio iniziato nel 1971. Come prova che il periodo più nero è stato sinora quello della legislatura precedente all´attuale, anche il fatto che nel quinquennio ricade l´anno, il 2001, in cui le leggi approvate dall´assemblea regionale hanno quasi toccato il fondo, non superando le 15 unità. Il risultato più scarso di quest´ultimo, il peggiore in assoluto, è di dieci leggi, raggiunto proprio nell´anno in cui cade la prima repubblica, cioè nel 1992. Ma anche nell´anno in cui questa volta è il mondo ad essere sconvolto da un cambiamento epocale, come la caduta del muro di Berlino, Sala d´Ercole dorme. Nel 1989, infatti, solo 18 leggi partono dai banchi del parlamento siculo. La media più bassa per anno è comunque detenuta dalla legislatura archiviata nel 2006. A conferma che la legislatura del quinquennio 1976-81 è stata la più prolifica, registriamo il record in fatto di leggi nel 1977, con 121 provvedimenti, dove in un solo anno si supera tutta la legislatura 2001/2006, e nel 1979, che con 104 leggi è raggiunto ed eguagliato solo dal 1950. Si potrà dire che fare molte leggi non significa farle tutte buone. E su questo si può discutere. Ma farne poche e male, come negli ultimi venti anni, e nessuna in grado di rimettere in cammino la Sicilia, è un segno inequivocabile del declino dell´istituto autonomistico e di un parlamento così blasonato come quello siciliano. Ormai la politica, più che fare la storia, si limita a seguire la cronaca. Che sia rosa o giudiziaria poco importa ai fini del nostro discorso.

venerdì 25 gennaio 2008

Il centrosinistra siciliano, la politica e i tribunali dopo la sentenza Cuffaro

LA REPUBBLICA PALERMO - VENERDÌ 25 GENNAIO 2008

Pagina I

L´ANALISI

Per il centrosinistra la sfida è alle urne

FRANCESCO PALAZZO




Le decisioni del potere giudiziario sul fronte della politica - in Sicilia la sentenza di condanna a carico del presidente Cuffaro, ma non si può non ricordare il caso Mastella in campo nazionale - hanno scatenato polemiche, richieste di dimissioni, voti di fiducia, presentazione e discussione di mozioni. Quando la marea emergenziale del dopo sentenza si ritirerà, com´è naturale che sia, a Palermo rimarremo con molte parole e poca politica. Eppure solo quest´ultima è la leva in grado di porre per domani condizioni strutturali di miglioramento per la nostra regione, così come sino a oggi ha posto solo situazioni d´arretramento e di malgoverno. La politica che si ritiene inadatta, e quella che si vede in Sicilia lo è a molti livelli di rappresentanza, si combatte con la politica. Una politica in grado di cambiare segno e di rappresentare qualcosa di diverso per i siciliani e per le siciliane. Una politica che non sia solo testimonianza o la ricerca della migliore sconfitta, ma che si metta a cercare il consenso per vincere e governare la Sicilia, a prescindere e al di là delle sentenze della magistratura. Nei confronti delle quali tutti, soprattutto i condannati, dovremmo trarne giusto giudizio, più che nella forma, nella sostanza delle cose per come le conosciamo. Purché non si pensi che questa sia la strada giusta per dare alla nostra regione quello slancio che non ha e non ha mai avuto dall´istituzione dell´autonomia a oggi. Forse al popolo siciliano, in alcuni momenti, si può tentare di far credere che tutto quanto hanno di negativo dipenda dalla biografia di determinati personaggi. Ma tutti sappiamo che non è così. In fondo è un gioco abbastanza agevole da mettere in campo. Regala qualche settimana di gloria e di frenetica mobilitazione prima che tutto rientri nell´alveo del già visto. Quando poi si ritira la marea ci si accorge che la Sicilia è sempre lì, che la vita dei siciliani e delle siciliane non si è spostata di niente, non è migliorata. I tribunali non possono guidare o determinare la vita politica. Non è il loro compito. Questo deve valere sempre. Solo le scelte politiche e amministrative, le campagne elettorali, le urne, i voti, il confronto democratico, l´impegno coerente di chi vuole davvero cambiare non solo a parole, contano. Se il centrosinistra siciliano vuole davvero fare imboccare alla Sicilia la strada di un domani migliore, si attrezzi utilizzando meglio le armi della politica. Se è questo centrodestra siciliano il problema della Sicilia, lo si sconfigge solo in libere elezioni. Qualsiasi altra strada, per quanto avvincente e appagante, è una scorciatoia inutile, perché non sposta di un millimetro la situazione per come la vediamo ogni giorno. Se il centrosinistra vuole dare una svolta alla Regione e mettere in un angolo questo centrodestra, basterà che vinca le prossime elezioni regionali. E che cominci a tentarci tra qualche mese, quando si voterà per sette delle nove province siciliane. Oppure quando, tra breve, si tornerà al voto amministrativo al comune di Messina. Sappiamo sin troppo bene, e la storia elettorale passata e recente è stata in questo davvero maestra, che l´indignazione e la tensione morale non bastano a costruire politica in grado di affermarsi a suon di preferenze. Bisogna essere in grado di vincere i confronti democratici ed essere poi coerenti nel governo della cosa pubblica. Dimostrando a tutti che è possibile nominare i primari, i manager delle aziende sanitarie, i dirigenti nei comuni, nelle province e alla regione, i responsabili delle varie propaggini di sottogoverno, solo tenendo in conto la competenza e non l´appartenenza a quel partito o a quella corrente di quel partito. Solo perché sono i migliori e non in quanto hanno votato e fatto votare per questo o quel potente. Il centrodestra in Sicilia non si è dimostrato in grado di saperlo fare. Più della condanna che grava su Cuffaro, è questa la sua vera sconfitta. Se il centrosinistra riuscisse a rendere palpabile, prima ponendo le condizioni per vincere e poi non perdendo la bussola governando, che è possibile disegnare una Sicilia diversa, i siciliani e le siciliane lo capirebbero. Ma quando comincerà seriamente a cimentarsi nell´impresa?

lunedì 21 gennaio 2008

Mafia e politica: siamo sempre al punto di partenza

CENTONOVE
19 Gennaio 2008
Pag. 18

AL DI SOTTO DI OGNI SOSPETTO
di Francesco Palazzo




“Adesso tocca alla politica”. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Dopo l’ennesima positiva svolta sul pizzo delle associazioni rappresentanti gli industriali, gli artigiani, le piccole imprese e gli esercenti, esponenti del centrodestra e del centrosinistra, pochissimi per la verità, rilanciano il solito appello. Citando il Manzoni, si potrebbe dire che “s'ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo”. Ma è uno squillo, quello della politica, già troppe volte rimbombato a vuoto per avere un minimo d’attendibilità. Rappresenta ormai una campana stonata che rintocca, a scadenze fisse, un rumore di fondo fastidioso. Le scadenze abituali sono le campagne elettorali, dove ci si giura a vicenda di non candidare più persone al di sotto d’ogni sospetto, e i momenti forti in cui altri soggetti, ed è il caso appunto del decalogo antiracket firmato dalle associazioni di categoria, cercano di percorrere una strada di riscatto. Siamo all’inizio non c’è dubbio, il cammino è ancora lungo, ma è una pietra angolare di un nuovo edificio quella che viene posta. Che i produttori siciliani di economia e di lavoro veri, sappiano davvero edificarla tale nuova costruzione, lo vedremo. Gli edifici della politica siciliana appaiono invece vecchi, gestiti con metodi che poco o nulla concedono alla buona e trasparente amministrazione. Che la mafia trovi un terreno più che fertile tra le pieghe dei bilanci pubblici, veri e propri buchi neri, tra le curvature che portano ad assegnare gli appalti, oppure nel clientelismo che crea lavoro inutile per fortificare bacini elettorali, non può sorprendere nessuno. Le risorse finanziarie, siano esse comunali, regionali, nazionali o europee, normalmente sono terreno di caccia di faccendieri e croupier della spesa pubblica, per i quali il primo obiettivo è accaparrare fette sempre più consistenti di denaro “manzo”. Non importa se speso per fini di solito impalpabili, quando non inutili. “Piccioli manzi”, simili a quelli che le cosche mafiose si procurano con il pizzo. L’importante è essere legati al carro giusto, all’onorevole potente, all’assessore, al suo portaborse. Che si faccia parte della maggioranza o dell’opposizione non importa. La pentola deve continuare a bollire per tutti, e se non è così, diceva un vecchio saggio, pasta non se ne cala. Ma la pasta si cala. E chi può mangia. Certo, lo fanno anche le mafie. Perché dovrebbero astenersi dal banchetto? I rapporti mafia politica si realizzano e si consolidano in questi ambiti rarefatti e pur concretissimi. Se i rappresentanti delle pubbliche istituzioni vengono presi con le mani nella marmellata e sottoposti a processo, generalmente non collaborano. Resistono, resistono, resistono. Pur non riuscendo a smentire fatti gravissimi, anzi confermandoli persino nelle aule dei tribunali, cercano di trovarsi buoni avvocati per uscire meno “mascariati” da vicende più che scabrose. L’importante è rimanere nel giro. E i partiti che li candidano e li sostengono elettoralmente, si fanno qualche problema? Assolutamente no. Bastano le dita di una mano per contare quelli che, in Sicilia, pubblicamente hanno consigliato di non candidare, e comunque di non votare, certi personaggi del proprio schieramento. Eppure, se proprio si vuole seguire l’esempio degli imprenditori che denunciano, si dovrebbe sapere che ogni singolo attore economico che si ribella al pizzo deve indicare con nome e cognome il proprio estortore. La politica siciliana, piuttosto, fa proclami generici e attende. Che sia la prossima iniziativa da commentare o una sentenza della magistratura, poco interessa. E, allora, quell’“adesso tocca alla politica”, è ormai solo un modo per prendere o perdere altro tempo. Ma non si può più parlare a vuoto di un futuro che non viene mai. Vorrà dire che quando si sostituiranno gli sterili annunci con i comportamenti coraggiosi e puntuali dei singoli, così come fa il singolo imprenditore che punta il dito, se ne potrà riparlare.

domenica 13 gennaio 2008

La clemenza e la lotta alla mafia

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA, 13 GENNAIO 2008

Pagina XIII
Antimafia, la lotta politica che ancora non comincia
FRANCESCO PALAZZO




Ho ricevuto da alcuni giorni una mail da far girare e inoltrare al Quirinale, al governo e al ministro della Giustizia. Chiede di non concedere la grazia a Bruno Contrada. Me l´aspettavo una simile esortazione, già tardava. L´antimafia prêt-à-porter, letteralmente "pronta da indossare", ci sta poco ad attivarsi e a coinvolgere le solite due-trecento persone del consueto giro di posta elettronica. Ormai rispondo e inoltro sempre meno, certamente non lo farò in questo caso. Bruno Contrada si è sottoposto per quindici anni ai suoi giudici, mai ha cercato di sottrarsi ai processi e agli arresti, alla fine è stato condannato. Perché un cittadino non può soggettivamente ritenersi privo di colpe pur se già sanzionato dalla legge? Per quale motivo il suo avvocato non può inoltrare istanza di clemenza al capo dello Stato? Perché tutto questo crea scandalo? Non si tratta di fare il tifo per il sì o per il no. Non si tratta neanche di rifare processi sui quali la macchina giudiziaria ha messo il bollo definitivo. Dovrebbe aiutarci nella riflessione la necessità di capire andando oltre il momento presente.Ciò che si muove sotto traccia nella questione è una certa percezione della lotta alla mafia. Che preferisce, su tutto, gli aspetti giudiziari e repressivi. Quasi che tutto si possa risolvere con le indagini, le manette, le sentenze e gli anni di carcere. Ciò, sono per primi i magistrati a dirlo, è poco conducente al fine di arrivare alla sconfitta delle mafie. Ma che sia ancora così concepita la contrapposizione al crimine organizzato, lo capiamo da come viene affrontato l´argomento da molti degli attori in gioco. Anche dal governo nazionale in carica.Nella conferenza stampa di fine anno, le mafie sono state definite un cancro da estirpare e sono stati ricordati gli arresti eseguiti nel 2007. Definire le mafie un cancro, una patologia disseminata, quindi una specie di piovra, senza declinarne le cause politiche e sociali che ne fanno sistemi di potere abbastanza individuabili nelle società meridionali, significa avvolgerle in un´aura di mistero impenetrabile. Che solo dentro i tribunali può essere dipanato. Così come ricordare gli arresti dei latitanti, seppure eccellenti, finisce per tratteggiare le mafie esclusivamente come bande di assassini, prima o dopo destinati a marcire nelle patrie galere.Le mafie non sono un cancro o l´antistato, ma strutture di potere che intrattengono rapporti bilaterali con la politica e la società più diffusa. Sorvolare su questo significa lasciare alla giustizia e alle forze dell´ordine compiti impropri, che non sono in grado di svolgere, pure se agiscono in nome del popolo italiano. Compiti che invece sono tutti della politica partitica e istituzionale e dei corpi intermedi, collettivi o individuali, popolari o borghesi, che formano quotidianamente il tessuto sociale. Lo ha ricordato il presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno, citando gli imprenditori siciliani che provano a ribellarsi al pizzo.Il potere mafioso non coincide affatto con le posizioni penali singole, che compete alla magistratura chiarire, ma è immerso, nella quasi totalità e con una certa circoscrivibile evidenza, nella vita di tutti i giorni e lì deve essere affrontato. Per dirla tutta. Cosa è più inquietante: la clemenza chiesta per un detenuto o il fatto che la Regione siciliana nella sua massima espressione istituzionale, ossia il Parlamento insediatosi da più di un anno e mezzo, non abbia ancora, in una terra in cui Cosa nostra rimane solidissima, una credibile commissione Antimafia?Chissà se riceverò la mail che invita a sottoporre alle massime cariche del Paese tale gravissimo buco della politica istituzionale siciliana. Questa la inoltrerei e la farei girare. Perché parlerebbe di una classe dirigente, composta di eletti e di elette, distratta, quando va bene, sulla lotta alla mafia e della società siciliana che l´ha scelta in libere elezioni. E non dell´imputato, che va lasciato al suo giudice, o del condannato, che ha il diritto di continuare a credersi innocente e sperare anche in una revisione del processo, come previsto dall´ordinamento. Parlerebbe di una lotta politica alla mafia che ancora non si vuole cominciare seriamente.

domenica 6 gennaio 2008

Centrosinistra in Sicilia, politiche e voti al posto dei nomi


LA REPUBBLICA PALERMO – DOMENICA 06 GENNAIO 2008
LA POLEMICA
Ma adesso il centrosinistra cerchi consensi e non nomi
FRANCESCO PALAZZO


In vista di possibili e molto ipotetiche elezioni regionali, essendo la sentenza Cuffaro in dirittura d´arrivo, il centrosinistra comincia a farsi del male da solo. Come tradizione vuole. Invece di sfruttare le tensioni che dilaniano il centrodestra siciliano, cercando di rafforzarsi al proprio interno, si ricomincia dai nomi, creando non poche divisioni e polemiche. Il capogruppo del Partito democratico all´Ars, Antonello Cracolici, prendendo le mosse dall´esigenza del nuovo, fa il nome di Anna Finocchiaro come possibile candidata di tutto il centrosinistra alla presidenza della Regione. È chiaro che la proposta viene fatta avendo come meta elezioni imminenti. Giacché non avrebbe senso avanzare adesso un nome così autorevole, se la legislatura dovesse concludersi naturalmente nel 2011. Sappiamo, tuttavia, quale ruolo delicato svolge la Finocchiaro quale presidente al Senato della rappresentanza parlamentare del Partito democratico. Fare adesso il suo nome equivale praticamente a supporre una caduta a breve del governo Prodi e un liberi tutti nei due rami del Parlamento. Può essere che così sarà, e che c´è chi la sa più lunga di tutti noi. Ma se invece dovesse andare al contrario, ossia che il governo Cuffaro rimanga in sella e che l´esecutivo Prodi abbia filo politico da tessere ancora per qualche anno, ecco che sul terreno della politica siciliana, oltre i cocci delle divisioni che in questo momento caratterizzano quella che fu la Casa delle libertà, occorrerà raccogliere anche quelli del centrosinistra. Che però rispetto all´altra coalizione, seppure al momento frammentata, ha un piccolo problema in più. Quello del consenso. È facile, infatti, ritenere che qualsiasi nome dovesse succedere, domani o fra tre anni, al presidente Cuffaro, quale candidato alla guida del governo regionale, avrebbe dalla sua uno schieramento in grado di raccogliere voti a sufficienza per garantire l´elezione a chiunque. L´abbiamo visto alle ultime regionali e alle amministrative palermitane, sono i partiti del centrodestra a trainare e non coloro che rivestono i panni di primo piano. Ciò dovrebbe caratterizzare anche il centrosinistra siciliano, affinché possa avere qualche chance di vittoria a qualsiasi livello di rappresentanza in Sicilia, e ci riferiamo anche alle vicine elezioni provinciali. Creare spaccature ora, proponendo nomi al momento improbabili, e che comunque non risolvono il problema anche quando sono pure autorevoli (vedi, nel recente passato, Leoluca Orlando e Rita Borsellino), pone le condizioni e prepara il terreno a nuove sconfitte. Mentre invece non si è ancora capito quali siano in Sicilia la consistenza e le politiche delle due gambe del centrosinistra, l´appena nato Partito democratico e l´ancora più giovane aggregazione che è stata battezzata La Sinistra-L´arcobaleno. Così come non ci perviene da tempo lo stato di salute del movimento Un´altra storia, nato intorno a Rita Borsellino. La cui visibilità acquisita tra l´elettorato sarebbe insensato disperdere senza neanche farla passare dalle primarie. Senza, ovviamente, strapparsi le vesti se dovesse venire fuori una candidatura più legata al mondo partitico. Se magari, piuttosto che parlare di nomi, destinati in ogni caso a perdere in Sicilia, stante l´attuale quadro di forze in campo, si capisse un po´ di più chi sono, cosa vogliono e quale forza elettorale sono in grado di mettere insieme queste tre parti del centrosinistra siciliano, si potrebbe fare qualche passo in avanti. Sia che si voti per la Regione tra qualche mese, sia che, come ragionevolmente si può pensare, si arrivi alla scadenza naturale del governo Cuffaro e dell´imponente maggioranza parlamentare che almeno formalmente lo sostiene. In Sicilia al centrosinistra, più che il leader, servono la politica e i voti. Quando ci saranno questi ultimi, ci si accorgerà che i nomi hanno molta meno importanza di quanto si è generalmente portati a credere.