domenica 13 gennaio 2008

La clemenza e la lotta alla mafia

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA, 13 GENNAIO 2008

Pagina XIII
Antimafia, la lotta politica che ancora non comincia
FRANCESCO PALAZZO




Ho ricevuto da alcuni giorni una mail da far girare e inoltrare al Quirinale, al governo e al ministro della Giustizia. Chiede di non concedere la grazia a Bruno Contrada. Me l´aspettavo una simile esortazione, già tardava. L´antimafia prêt-à-porter, letteralmente "pronta da indossare", ci sta poco ad attivarsi e a coinvolgere le solite due-trecento persone del consueto giro di posta elettronica. Ormai rispondo e inoltro sempre meno, certamente non lo farò in questo caso. Bruno Contrada si è sottoposto per quindici anni ai suoi giudici, mai ha cercato di sottrarsi ai processi e agli arresti, alla fine è stato condannato. Perché un cittadino non può soggettivamente ritenersi privo di colpe pur se già sanzionato dalla legge? Per quale motivo il suo avvocato non può inoltrare istanza di clemenza al capo dello Stato? Perché tutto questo crea scandalo? Non si tratta di fare il tifo per il sì o per il no. Non si tratta neanche di rifare processi sui quali la macchina giudiziaria ha messo il bollo definitivo. Dovrebbe aiutarci nella riflessione la necessità di capire andando oltre il momento presente.Ciò che si muove sotto traccia nella questione è una certa percezione della lotta alla mafia. Che preferisce, su tutto, gli aspetti giudiziari e repressivi. Quasi che tutto si possa risolvere con le indagini, le manette, le sentenze e gli anni di carcere. Ciò, sono per primi i magistrati a dirlo, è poco conducente al fine di arrivare alla sconfitta delle mafie. Ma che sia ancora così concepita la contrapposizione al crimine organizzato, lo capiamo da come viene affrontato l´argomento da molti degli attori in gioco. Anche dal governo nazionale in carica.Nella conferenza stampa di fine anno, le mafie sono state definite un cancro da estirpare e sono stati ricordati gli arresti eseguiti nel 2007. Definire le mafie un cancro, una patologia disseminata, quindi una specie di piovra, senza declinarne le cause politiche e sociali che ne fanno sistemi di potere abbastanza individuabili nelle società meridionali, significa avvolgerle in un´aura di mistero impenetrabile. Che solo dentro i tribunali può essere dipanato. Così come ricordare gli arresti dei latitanti, seppure eccellenti, finisce per tratteggiare le mafie esclusivamente come bande di assassini, prima o dopo destinati a marcire nelle patrie galere.Le mafie non sono un cancro o l´antistato, ma strutture di potere che intrattengono rapporti bilaterali con la politica e la società più diffusa. Sorvolare su questo significa lasciare alla giustizia e alle forze dell´ordine compiti impropri, che non sono in grado di svolgere, pure se agiscono in nome del popolo italiano. Compiti che invece sono tutti della politica partitica e istituzionale e dei corpi intermedi, collettivi o individuali, popolari o borghesi, che formano quotidianamente il tessuto sociale. Lo ha ricordato il presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno, citando gli imprenditori siciliani che provano a ribellarsi al pizzo.Il potere mafioso non coincide affatto con le posizioni penali singole, che compete alla magistratura chiarire, ma è immerso, nella quasi totalità e con una certa circoscrivibile evidenza, nella vita di tutti i giorni e lì deve essere affrontato. Per dirla tutta. Cosa è più inquietante: la clemenza chiesta per un detenuto o il fatto che la Regione siciliana nella sua massima espressione istituzionale, ossia il Parlamento insediatosi da più di un anno e mezzo, non abbia ancora, in una terra in cui Cosa nostra rimane solidissima, una credibile commissione Antimafia?Chissà se riceverò la mail che invita a sottoporre alle massime cariche del Paese tale gravissimo buco della politica istituzionale siciliana. Questa la inoltrerei e la farei girare. Perché parlerebbe di una classe dirigente, composta di eletti e di elette, distratta, quando va bene, sulla lotta alla mafia e della società siciliana che l´ha scelta in libere elezioni. E non dell´imputato, che va lasciato al suo giudice, o del condannato, che ha il diritto di continuare a credersi innocente e sperare anche in una revisione del processo, come previsto dall´ordinamento. Parlerebbe di una lotta politica alla mafia che ancora non si vuole cominciare seriamente.

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