venerdì 20 dicembre 2013

Bene gli appelli ai palermitani, ma il comune faccia di più.

Repubblica Palermo
19 - 12 - 2013 - Pag. I

Francesco Palazzo

In genere un' amministrazione convince i cittadini al virtuosismo civile con le pratiche di governo quotidiane. Che, di norma, sono il frutto del mantenimento degli impegni programmatici sui quali si era chiesto il voto all' elettorato. Quando, invece, si arriva ad un drammatico appello pubblico quale quello lanciato dal sindaco Orlando ai palermitani sul fronte raccolta rifiuti, con in più il fatidico riferimento a quelli che c' erano prima, che magari sarà realistico ma è sempre percepito come una excusatio non petita, si capisce che siamo su un versante di non ritorno, una specie di ultima spiaggia. A cui si arriva, peraltro, non a fronte di una mega evasione contributiva dei palermitani, ma proprio nel momento in cui con la Tares si sta chiedendo un corposo aiuto finanziario alle casse del Comune. Per carità, i nostri concittadini, sul fronte dell' utilizzo selvaggio del territorio, non si fanno mancare niente. Proprio l' altro ieri, una distinta signora, entrando in un rinomato bar del centro con pelliccia indosso, lanciava la cicca accesa senza guardare chi c' è dietro facendomela passare a qualche centimetro dal volto. Sarà la stessa proprietaria della lussuosa Mercedes che vedo quasi sempre parcheggiata sulle strisce pedonali? Potrebbe essere pure quella che porta a passeggio il cane e lascia il suo ricordino a futura memoria. No, saranno tre persone diverse. Che si danno il cambio in città, sino a raggiungere una grossa fetta di popolazione che quando è fuori fa quello che gli capita. L' appello del sindaco, perciò, è sacrosanto. Ma il punto è che cade in un momento in cui, raccolta dell' immondizia a parte, la città non brilla di certo per pulizia e decoro, in luoghi dove il Comune, e non certo i cittadini, dovrebbe intervenire. Faccio solo tre esempi su tre luoghi precisi, ma è chiaro che la casistica si potrebbe ampliare sino a farne un saggio, non un articolo. Primo esempio: viale Regione Siciliana, asse viario dal quale giornalmente transitano tantissimi palermitani. Ebbene, da tanto tempo ormai, le aiuole, si fa per dire, spartitraffico tra le due strade sono piene di rifiuti vari. E qui è colpa degli automobilisti, esperti nel lancio dal finestrino di ogni cosa che ritengano sovrabbondante nelle loro vite. Ma i sotto marciapiedi sono pieni di aghi di pino, lasciati li, suppongo, da quella volta in cui qualcuno del Comune li raccolse, scordandosi poi di portare via i vari cumuli che aveva creato durante la generosa spazzatura. Che si aspetta a raccoglierli? Questi aghi aiutano in occasione di piogge abbondanti o sono da ostacolo? Sono un deterrente per gli automobilisti incivili o un incoraggiamento? Secondo esempio: la prima fermata della linea 101 di viale Croce Rossa. Alcune basole del marciapiede sono, da mesi e mesi, divelte, creano uno squarcio di polvere sul terreno e una vista davvero da città di quart' ordine. In questo contesto, secondo voi, agli utenti che prendono i vari autobus, risulta più facile o più difficile gettare mozziconi, cartacce e quant' altro nei dintorni? Inoltre, molti cestini adiacenti alla zona non esistono più, e quei pochi ancora esistenti sono spesso strapieni. Terzo esempio: si sa che le foglie cascano dagli alberi e difficilmente vogliono saperne di risalire. Dunque vanno raccolte, ma non certamente dai passanti. Mi capita, in via Trinacria, nella strada della mia edicola, di vedere, e la scena si ripete davanti ai miei occhi da ottobre sino a oggi, un tappeto fitto di fogliame, che le piogge fanno diventare fango e che costituisce anche un pericolo per chi deambula. È semplice o arduo mimetizzare, nel sottobosco che è diventato un pezzo di strada di Palermo, gli escrementi dei nostri amati compagni canini? Non c' è dubbio che è una facilmente percorribile istigazione a delinquere. In definitiva, il nocciolo della questione, per come la vedo io, è il seguente. Prima di chiedere a chicchessia il giusto assolvimento dei propri doveri di cittadinanza, ci si deve sempre accertare che una pubblica istituzione abbia già provveduto, sullo stesso asse di ragionamento, a fare il possibile affinché l' appello non sia quello che potrebbe sembrare a prima vista. Un buco nell' acqua.

domenica 8 dicembre 2013

La Sicilia che attende immobile la politica e qualcuno che non ci sta.

La Repubblica Palermo

7 Dicembre 2013 - Pag. 1 

La lezione del commerciante su politica e società civile

Francesco Palazzo

Leggendo la bella esortazione di Dell'Oglio, pubblicata il 5 dicembre, ai suoi colleghi imprenditori, ho pensato a Kennedy. Non chiederti quello che il tuo paese può fare per te, chiedi quello che puoi fare tu per il tuo paese. Una prospettiva diversa. L'unica possibile e percorribile ad ogni latitudine. Anche quella sciroccosa, latitante e piena di pietose scusanti, come la nostra. La rivoluzione della normalità. Che non si attende che prima cambi la politica, in quanto costituisce l'aspetto essenziale della vita nella polis. La politica, viziosa o proba che sia, non può essere l'unico propellente della società e comunque ne è lo specchio. «Chiediamo al mercato, chiediamo ai politici, chiediamo alle banche, chiediamo lavoro e aspettiamo che arrivi la risposta facendo poco o nulla di nuovo o di diverso per andare verso la direzione che vogliamo». Questo scrive l'imprenditore palermitano e non c'è frase migliore per descrivere una società come quella siciliana che arretra nella qualità della vita, come dimostrano le recenti classifiche, ed è da retrocessione anche per il grado d'istruzione che fornisce nelle scuole. Una società che chiede, non si sa bene a chi, e che non fa. Domanda, innanzitutto, alla politica. Sempre pronta a sfruttare la scorciatoia del potente per scavalcare qualcuno e per attingere alle risorse pubbliche. Se c'è una fetta di torta per gli altri, perché non deve esserci pure per me puro e duro? Morale pubblica e vizi privati. E' la traiettoria che porta dritta a dipingere un quadro secondo il quale la politica è brutta e la società civile è il crogiolo di tutte le virtù. Mario Dell'Oglio ci dice che se continuiamo a pensarla in tal modo, andiamo tutti a fondo. Mi pare che l'appello dell'imprenditore sia il seguente. Ciascuno, in qualsiasi parte è chiamato a svolgere la propria attività, deve metterci del suo sino in fondo. Cosa hanno fatto i miei colleghi, si chiede l'esponente della rinomata famiglia di commercianti palermitana, per affrontare la crisi? Hanno capito come reagire in tempo, predisponendo correttivi alla loro azione d'impresa, o hanno atteso che la marea travolgesse tutto? Estendendo la riflessione alla società siciliana, si può chiedere la stessa cosa a tutti noi, senza attendere che siano i partiti o le istituzioni rappresentative a sbrogliare la matassa, che certo devono fare la loro parte, ma da soli non ce la fanno. Nella nostra regione si vive e si muore di risorse pubbliche. Ma questa è una caratteristica tipica delle società sottosviluppate. La Sicilia lo è in tanti suoi aspetti peculiari? Può essere. Ma se così fosse, come uscirne? «La verità è che qui è diffusa la mentalità di chiedere al di fuori di noi stessi». Ecco, questa altra affermazione di Dell'Oglio mi pare che evidenzi il grosso limite che un po' tutti quanti dobbiamo superare. Anche quando non chiediamo alla politica e ci comportiamo peggio di essa, la scusa è quella che tanto gli altri fanno in un certo modo e questo pare un alibi perfetto. Nelle grandi come nelle piccole cose. L'altro giorno, ad ora di pranzo, ho fatto un tratto a piedi a Palermo, dalla zona dell'Ospedale Civico alla Stazione Centrale, strade popolari, e, nel tardo pomeriggio, mi sono ritrovato a fare la stessa cosa nella zona residenziale. Ebbene, in entrambi i luoghi, come cartoline fotocopia, ho contato una ventina di auto parcheggiate sopra le strisce pedonali, quasi tutte chiudevano i varchi di transito alle carrozzine. C'entra la politica? Occorre mettere un vigile a presidiare ogni attraversamento pedonale? Utilizzando le ultime parole dell'intervento di Dell'Oglio, questo ragionamento su noi stessi lo dobbiamo fare assieme onestamente. Senza giri di parolee inutili appigli. Tipo: "io che c'entro", "non tocca a me", "la politica ci deve pensare", "cosa vuoi che cambi". Dobbiamo cominciare da subito a modificare i nostri angusti orizzonti di ragionamento. Prima che la realtà, oltre che le amare classifiche, ci cacci più in fondo di dove già siamo.