sabato 21 settembre 2019

Seggiolini allarmati obbligatori. Quando la tecnologia può salvarci dal dolore.


La Repubblica Palermo – 21 settembre 2019

I seggiolini e la burocrazia

Francesco Palazzo


Quando accade qualcosa di terribile, come la morte per la mancanza d’aria e l’elevata temperatura di un bambino rimasto in auto per una tragica dimenticanza, si sperimenta l’umana fragilità e fallibilità cui tutti, proprio tutti, siamo esposti. Lasciamo stare dunque le brutte parole che circolano sui social, così come quelle di chi afferma: «Sono perfetto, a me non capiterà mai». Cerchiamo di capire che nessuno può aggiungere nulla, se non parole umane, al dolore di questa famiglia. E alle ferite sempre aperte delle altre famiglie che hanno conosciuto questa terribile stazione. Intorno a un aspetto tuttavia possiamo ragionare. Riguarda il provvedimento varato nell’ottobre 2018 dal Senato. Si tratta dei dispositivi acustici e luminosi da utilizzare obbligatoriamente sui seggiolini quando si hanno bambini a bordo sotto i quattro anni. Ce ne sono in commercio, ma la legge serve a omologarne con precisione le caratteristiche. I casi sono nove dal 1998. Il punto è che il decreto attuativo, strumento senza il quale l’attività legislativa è vana, non è ancora stato emanato definitivamente e dunque tale obbligo in Italia non è operativo. Ci sono stati tempi tecnici da rispettare, associazioni di categoria da sentire, poi quelli che costruiscono queste cose, l’Europa e altre istituzioni che devono dire la loro. Ma dopo un anno, tempo in cui un pargolo viene generato, nasce ed è già avviato allo svezzamento, questi presidi salvabimbi non sono attivi. La disposizione avrebbe dovuto essere esecutiva dal 1° luglio scorso. Non stiamo parlando di una sonda spaziale ipermoderna. Speriamo perciò di non dover attendere ancora molto. La tecnologia non risolve certo tutti i nostri problemi. Ma è, almeno in questo caso, un aiuto che può rendere meno drammatici i buchi di memoria che possono trafiggere le nostre vite.

lunedì 16 settembre 2019

Il mezzogiorno, politiche normali e non speciali. Meglio ponte e alta velocità.


La Repubblica Palermo – 15 settembre 2019
Trasporti e grandi opere, il sud in ritardo di 158 anni
Francesco Palazzo

C’è una questione che lo Stato italiano si trascina dal marzo 1861, dall'unità d’Italia, da 158 anni. O, meglio, c’è una grande parte di territorio che da quasi 160 anni è questione a se stessa e sostanzialmente pietra d’inciampo per lo sviluppo di un Paese che nelle parti più progredite viaggia nei vagoni delle più forti regioni europee e mondiali da un punto di vista economico e sociale. Tanto che, dopo la bellezza di quasi sedici decenni, un’eternità dal punto di vista storico, si sente l’esigenza, che comprendiamo, di interventi specifici per il Mezzogiorno. Come spieghiamo alle giovani generazioni, che ci salutano in massa svuotando case e città, senza provare imbarazzo, la circostanza che non siamo riusciti ancora a liberarci di tale pesantissimo fardello? Dobbiamo realisticamente ammettere, al loro cospetto e a noi stessi, che se c’è bisogno ancora di politiche mirate alla parte più bassa della Penisola, non possiamo che prenderne atto. Puntando, però, tra non so quanto tempo, augurandoci che tra altri 158 anni non saremo ancora allo stesso punto di adesso, a emanciparci rispetto a tale soluzione da quote rosa geografiche. Mirando a politiche che riguardino, senza distinzioni sostanziali, allo stesso modo il Nord, il Centro e il Sud del Paese. Magari iniziando da cose terra terra, dagli aspetti più lampanti. Ad esempio adeguando finalmente i trasporti, la libertà di muoversi, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Le differenze sono impietose e non più sopportabili. Non è possibile che per andare in treno da Milano a Salerno, separate da ben 811 chilometri, ci vogliano cinque ore e diciannove minuti, e per recarsi da Siracusa a Trapani, distanziate soltanto da 364 chilometri, ne occorrano dodici e cinquantadue, con ben quattro cambi. Ma dovremmo procedere prendendo in considerazione anche le grandi opere. Pure alle nostre latitudini servono, eccome. Ce n’è una, ad esempio, che sarebbe un portentoso volano per lo sviluppo di questa parte di suolo italico, ed è il ponte sullo Stretto di Messina. Si dirà, e si afferma da tempo, che prima occorre altro. Solo che, lo sappiamo e lo vediamo, questo altro non lo sperimentiamo così come non scorgiamo il nostro ponte. Che sarebbe, invece, ci vuole davvero poco a comprenderlo, un’occasione unica per adeguare a livelli essenziali tutto il resto. Ecco, pur sapendo che tanti comparti non all'altezza della situazione sono all'ordine del giorno rispetto a una comparazione con il resto d’Italia, iniziare, mettendo però fatti concreti e non parole, dai movimenti delle persone e da un’opera di valore mondiale, mai realizzata prima, che avrebbe un indotto stratosferico, potrebbe essere un modo per mettere sempre più in discussione, col tempo che ci vuole, l’esistenza di politiche dedicate al Sud. Ricordandoci, ovviamente, è persino inutile evidenziarlo, che i primi a dare una grande mano per uscire da questo storico collo di bottiglia, e in tanti già lo fanno, dobbiamo essere noi che viviamo in questa parte di nazione.


martedì 3 settembre 2019

Palermo molto cambiata e molto da cambiare

La Repubblica Palermo - 3 settembre 2019
Ma se i laureati partono in massa vuol dire che qualcosa non va

"Vorrei tanto che ci fosse un cambiamento nella quotidianità. Di questo ha bisogno Palermo". È un passaggio dell’intervista di Salvo Palazzolo a Rita Dalla Chiesa, apparsa domenica su Repubblica Palermo. Annunciando che vuole prendere le distanze dalla città, la figlia del generale pone una considerazione sulla quale è giusto riflettere. Il campo, lo sappiamo, è minato e dunque converrebbe alzare subito bandiera bianca. Lo si sta vedendo dalle reazioni sui social alle parole consegnate nell’intervista. Da una parte gli amici della felicità, quelli per i quali Palermo è più o meno il massimo della vita. Dall’altra i nemici della contentezza, che trovano il pelo ovunque e sono critici a prescindere. L’esortazione a riflettere sulla quotidianità riconosce i passi avanti compiuti, non spinge a vedere solo nero, ma ci porta su un aspetto cruciale. Ossia a vedere il dettaglio, il particolare, le periferie dei nostri pensieri e della città. Dove si gioca, se non tutto, una buona parte del presente e del futuro di Palermo. A proposito di periferie e di gestione particolare del territorio, non sappiamo che fine abbia fatto il provvedimento presentato in pompa magna qualche anno fa (doveva essere varato dal Consiglio comunale) che prevedeva la cessione di veri poteri ai Consigli circoscrizionali. Finalmente, dopo decenni in cui il decentramento è stato più un tema da campagne elettorali che concreto trasferimento di soldi, deleghe e funzioni. Un territorio con otto municipalità che avessero capacità diretta d’intervento e non solo di richiesta sarebbe senz’altro più curato e seguito nella quotidianità. Che costituisce l’unica leva per apportare cambiamenti strutturali e duraturi nelle comunità, le quali vivono in minima parte influenzate dallo straordinario e quasi del tutto nell’ordinario. Da questo punto di vista, il fatto che il Comune si occupi con un assessorato del Decoro della città non può che essere un aspetto positivo. Se però tale funzione fosse in capo anche alle otto (ancora non esistenti) municipalità, si potrebbe andare molto più a fondo alle tante piccole e grandi questioni irrisolte. Palermo nel 2022 andrà a elezioni. Forse sarebbe il caso che da qualche parte si cominciasse a parlare, tralasciando la battaglia senza costrutto tra apocalittici e integrati, del domani. Magari superando lo schema e le suggestioni non ripetibili delle pur belle stagioni della “primavera”, cercando però di non tornare indietro. Perché questo è un pericolo che bisogna avere davanti. Ricordandosi che un migliore livello di quotidianità si può ottenere se i cittadini maturano la consapevolezza che un pezzo importante di strada la devono percorrere loro. E che, insieme a chi è chiamato ad amministrare, devono stare attenti ad autoassolversi. Perché non ci assolvono i giovani laureati che vanno via a frotte da Palermo. Le nostre ragazze e i nostri ragazzi certo rimarrebbero se avessero un ambiente economico, lavorativo e sociale, quindi di qualità della vita, in grado di trattenerli. Oggi siamo a 37 anni dall’omicidio mafioso del prefetto Dalla Chiesa, della giovane moglie Emmanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. Palermo è cambiata da quel settembre 1982? Sì, certo e in meglio. Ma se avviciniamo a noi il mosaico di questa metropoli, possiamo vedere che molte, troppe tessere, del quotidiano non sono al loro posto o mancano del tutto.