La Repubblica Palermo - 3 settembre 2019
Ma se i laureati partono in massa vuol dire che qualcosa non va
"Vorrei tanto che ci fosse un cambiamento nella quotidianità. Di questo ha bisogno Palermo". È un passaggio dell’intervista di Salvo Palazzolo a Rita Dalla Chiesa, apparsa domenica su Repubblica Palermo. Annunciando che vuole prendere le distanze dalla città, la figlia del generale pone una considerazione sulla quale è giusto riflettere. Il campo, lo sappiamo, è minato e dunque converrebbe alzare subito bandiera bianca. Lo si sta vedendo dalle reazioni sui social alle parole consegnate nell’intervista. Da una parte gli amici della felicità, quelli per i quali Palermo è più o meno il massimo della vita. Dall’altra i nemici della contentezza, che trovano il pelo ovunque e sono critici a prescindere. L’esortazione a riflettere sulla quotidianità riconosce i passi avanti compiuti, non spinge a vedere solo nero, ma ci porta su un aspetto cruciale. Ossia a vedere il dettaglio, il particolare, le periferie dei nostri pensieri e della città. Dove si gioca, se non tutto, una buona parte del presente e del futuro di Palermo. A proposito di periferie e di gestione particolare del territorio, non sappiamo che fine abbia fatto il provvedimento presentato in pompa magna qualche anno fa (doveva essere varato dal Consiglio comunale) che prevedeva la cessione di veri poteri ai Consigli circoscrizionali. Finalmente, dopo decenni in cui il decentramento è stato più un tema da campagne elettorali che concreto trasferimento di soldi, deleghe e funzioni. Un territorio con otto municipalità che avessero capacità diretta d’intervento e non solo di richiesta sarebbe senz’altro più curato e seguito nella quotidianità. Che costituisce l’unica leva per apportare cambiamenti strutturali e duraturi nelle comunità, le quali vivono in minima parte influenzate dallo straordinario e quasi del tutto nell’ordinario. Da questo punto di vista, il fatto che il Comune si occupi con un assessorato del Decoro della città non può che essere un aspetto positivo. Se però tale funzione fosse in capo anche alle otto (ancora non esistenti) municipalità, si potrebbe andare molto più a fondo alle tante piccole e grandi questioni irrisolte. Palermo nel 2022 andrà a elezioni. Forse sarebbe il caso che da qualche parte si cominciasse a parlare, tralasciando la battaglia senza costrutto tra apocalittici e integrati, del domani. Magari superando lo schema e le suggestioni non ripetibili delle pur belle stagioni della “primavera”, cercando però di non tornare indietro. Perché questo è un pericolo che bisogna avere davanti. Ricordandosi che un migliore livello di quotidianità si può ottenere se i cittadini maturano la consapevolezza che un pezzo importante di strada la devono percorrere loro. E che, insieme a chi è chiamato ad amministrare, devono stare attenti ad autoassolversi. Perché non ci assolvono i giovani laureati che vanno via a frotte da Palermo. Le nostre ragazze e i nostri ragazzi certo rimarrebbero se avessero un ambiente economico, lavorativo e sociale, quindi di qualità della vita, in grado di trattenerli. Oggi siamo a 37 anni dall’omicidio mafioso del prefetto Dalla Chiesa, della giovane moglie Emmanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. Palermo è cambiata da quel settembre 1982? Sì, certo e in meglio. Ma se avviciniamo a noi il mosaico di questa metropoli, possiamo vedere che molte, troppe tessere, del quotidiano non sono al loro posto o mancano del tutto.
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