La Repubblica Palermo – 15 settembre 2019
Trasporti e grandi opere, il sud in
ritardo di 158 anni
Francesco Palazzo
C’è una questione che lo Stato italiano si
trascina dal marzo 1861, dall'unità d’Italia, da 158 anni. O, meglio, c’è una
grande parte di territorio che da quasi 160 anni è questione a se stessa e
sostanzialmente pietra d’inciampo per lo sviluppo di un Paese che nelle parti
più progredite viaggia nei vagoni delle più forti regioni europee e mondiali da
un punto di vista economico e sociale. Tanto che, dopo la bellezza di quasi
sedici decenni, un’eternità dal punto di vista storico, si sente l’esigenza,
che comprendiamo, di interventi specifici per il Mezzogiorno. Come spieghiamo
alle giovani generazioni, che ci salutano in massa svuotando case e città,
senza provare imbarazzo, la circostanza che non siamo riusciti ancora a
liberarci di tale pesantissimo fardello? Dobbiamo realisticamente ammettere, al
loro cospetto e a noi stessi, che se c’è bisogno ancora di politiche mirate
alla parte più bassa della Penisola, non possiamo che prenderne atto. Puntando,
però, tra non so quanto tempo, augurandoci che tra altri 158 anni non saremo
ancora allo stesso punto di adesso, a emanciparci rispetto a tale soluzione da
quote rosa geografiche. Mirando a politiche che riguardino, senza distinzioni
sostanziali, allo stesso modo il Nord, il Centro e il Sud del Paese. Magari
iniziando da cose terra terra, dagli aspetti più lampanti. Ad esempio adeguando
finalmente i trasporti, la libertà di muoversi, in maniera omogenea su tutto il
territorio nazionale. Le differenze sono impietose e non più sopportabili. Non
è possibile che per andare in treno da Milano a Salerno, separate da ben
811 chilometri, ci vogliano cinque ore e diciannove minuti, e per recarsi da
Siracusa a Trapani, distanziate soltanto da 364 chilometri, ne occorrano dodici
e cinquantadue, con ben quattro cambi. Ma dovremmo procedere prendendo in
considerazione anche le grandi opere. Pure alle nostre latitudini servono,
eccome. Ce n’è una, ad esempio, che sarebbe un portentoso volano per lo
sviluppo di questa parte di suolo italico, ed è il ponte sullo Stretto di
Messina. Si dirà, e si afferma da tempo, che prima occorre altro. Solo che, lo
sappiamo e lo vediamo, questo altro non lo sperimentiamo così come non
scorgiamo il nostro ponte. Che sarebbe, invece, ci vuole davvero poco a
comprenderlo, un’occasione unica per adeguare a livelli essenziali tutto il
resto. Ecco, pur sapendo che tanti comparti non all'altezza della situazione
sono all'ordine del giorno rispetto a una comparazione con il resto d’Italia,
iniziare, mettendo però fatti concreti e non parole, dai movimenti delle
persone e da un’opera di valore mondiale, mai realizzata prima, che avrebbe un
indotto stratosferico, potrebbe essere un modo per mettere sempre più in
discussione, col tempo che ci vuole, l’esistenza di politiche dedicate al Sud. Ricordandoci,
ovviamente, è persino inutile evidenziarlo, che i primi a dare una grande mano
per uscire da questo storico collo di bottiglia, e in tanti già lo fanno,
dobbiamo essere noi che viviamo in questa parte di nazione.
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